Francesco Tanzi - Poesie

Reperto 20/04/16

Da quale palcoscenico
credo di guardare il mondo?
Quanto clamore sanno fare
I rintocchi di un pendolo
quando l’esecuzione rientra
nelle sue aspettative?
– perfettamente.
Per effetto di cosa?
Non per affetto
ma perché affretto
affanno, stringo,
fingo, fino a che la lancetta
non torna a casa
– come se piovesse!
Perché l’acqua è figlia del terreno
e anche lei deve ritornare
a qualsiasi costo
in qualsiasi pozzo
da qualsiasi cielo.


 

Non so più che ore sono

Non so più che ore sono
adesso che gli ingranaggi raccontano
menzogne pur di essere ascoltati.

Non so più dove andare a dormire,
perché i demoni si sentono osservati
in casa, adesso che sanno danzare.

Non so più con chi andare a pensare
ora che il mare ha smesso di aspettarmi
dietro l’angolo di qualche solita strada.


19/01

Specchi di vetri oscurati,
dai confini dei balconi
i ricordi della pioggia
si tolgono la vita.

Memori di cieli e colori
mai riflessi altrove,
l’asfalto li chiama
e loro rispondono.

Ma nessuno pone
dei fiori per loro
di fronte ai binari
delle persone.


 

12/03

Il bianco di Bolzano
che s’accende nel vetro
è una trappola curva
per le onde e le pietre
quando l’occhio condanna
all’immagine eterna.
– Facoltà dell’altezza!
Come sedie sospese
come tappi in prigione
come reti lontane
che noi abbiamo strappato
per soffiare nel cielo
quello che ora sappiamo.


Oltre i respiri di questa finestra

Oltre i respiri di questa finestra
l’uomo rincasa.
Sopra il tetto di un palazzo
qualche foglia ha tentato la vita
riuscendo soltanto
a rubare i colori del tramonto.
Qualcuno si affaccia
come me ad ascoltare
la ruggine delle lamine
o l’imponenza delle gru altissime,
altri si serrano dentro
dalle loro famiglie
nella nostalgia di ciò che è presente.
C’è chi prende il volo
tra le parabole e le antenne
e gli alberi spogli delle vele
sui vascelli di cemento;
c’è chi striscia silenzioso
sulle ferite dell’intonaco
senza colore,
senza dolore,
al cospetto delle impalcature.
Oltre i respiri di questa finestra
la normalità,
ma in bagno ci sono le tue mani
che corrono tra i capelli bagnati.


 

Il gigante e la fenice

La fenice aprì gli occhi,
si svegliò in una mano
di pietra.

Il gigante la crebbe,
fulgido il manto, auree
le ali.

Una scintilla trema;
troppo lontana vola
– ancora.

Quanto cara la culla
dopo il viaggio! – Riposa.
La stringe.

La fenice aprì gli occhi
si svegliò in una mano
di pietra.


 

Iridi devote

Iridi devote
soffocate da cieli bianchi:
le ombre avvolgono chiassose
la ricerca di un ricordo di pelle
dietro le crepe di un muro,
tra le pieghe di una coperta,
nei respiri di luce
di una tapparella.


Incontro

Una macchina
controvento,
i tuoi seni
controluce,
i respiri
controtempo,
lo sguardo
contrattacca,
le braccia
contrappeso,
le mie mani
contro le tue:
tu mi vieni
incontro.


Siedo e sogno

Siedo e sogno. La realtà, pur se esiste,
ora scalpita su binari ardenti
lì fuori, nel vento, per ombre già viste,
riflesse fronde per soli morenti.

Il vetro carpentiere mi concede
l’arte sua più amena: una cattedrale
alta, che l’occhio le volte non vede
di vetrate a specchi di sangue astrale.

Qui confesso le mie glorie e i miei vanti
ma nessuno ascolta la mia eresia;
solo di una fila di corni i pianti
intonan lontani la mia elegia.


 

Siedo e sogno

Siedo e sogno. La realtà, pur se esiste,
ora scalpita su binari ardenti
lì fuori, nel vento, per ombre già viste,
riflesse fronde per soli morenti.

Il vetro carpentiere mi concede
l’arte sua più amena: una cattedrale
alta, che l’occhio le volte non vede
di vetrate a specchi di sangue astrale.

Qui confesso le mie glorie e i miei vanti
ma nessuno ascolta la mia eresia;
solo di una fila di corni i pianti
intonan lontani la mia elegia.