Empio
Uomo sazio di vento
navighi agli antipodi della miseria,
cola l’orgoglio
dal tuo cuore pingue, ivi
cresce il tempio dell’indifferenza,
ove si foggiano i mattoni della superbia,
impermeabile ad altrui dolor
ipocritamente semini favori,
ignaro, la morte ti avrà
e falcerà la tua cupa vita.
Quando morirai
la tua ombra stanca
ti consegnerà
alla solitudine.
Epoca
Epoca malata
di vanità ingannevole,
piena di apparente sazietà,
gonfia di noia asfissiante.
Ragazzi armati di bugie,
rabbiosi, pieni di brufoli e di tic,
votati alla caricatura
del fascinoso protagonista,
pretendono senza chiedere.
E si respira odore di muffa
tra uomini tatuati sul petto
approdati su lidi deserti,
complici dell’odio, del sangue.
Donne stanche di allattare,
avvilite mormorano
degli oltraggi sofferti
da mariti distratti
da fumose ambizioni
e miracoli alienanti,
consacrati a rinunciare
di vincere in amore amando.
Ho visto
Ho visto cuori ghiacciati
rinchiusi in bolle d’aria
danzare nel mare dell’ego,
trafitti dagli occhi di un bimbo
vittima di chi l’ha dimenticato.
Ho visto farfalle succhiare lacrime,
colorare il giorno e non aver bisogno di abiti,
volare leggere e nascondersi la sera,
contente di avere sole, liberta e fiori,
vivere pochi giorni e poi morire.
Ho visto clochards chiedere un po’ di vita a Parigi
affamati dagli occhi chiusi del mondo,
certezze che si sbriciolano in colpevoli silenzi
e pene che uccidono e corrono troppo veloci
nella rabbia graffiante del vento,
Ho visto giovani generazioni soffrire,
portatori di novità indecifrabili
stigmatizzati da presunti difetti
e da adulti che presumono di sapere già
e stentano a comprendere le loro cicatrici.
Mariantonietta
Madreperla
figlia di Vega,
fulgida gemma,
candida magnolia,
pelle lucida di nylon,
modellata dall’oceano.
Il timone dirige la paranza
spinta dagli alisei
tra i marosi.
Cristallo franto
da lingue maligne,
il gelo, fatale,
fermò le lancette,
e le lacrime del salice
ghiacciarono
nel parco dietro la fontana.
Mariantonietta
guada il fiume sacro,
danza con il male,
con gli ipocriti in prima fila
che battono le mani,
freddi ed eleganti,
inutili senz’anima.
Nessuna bottega
santa ti salverà,
ma l’amore di un puro
legato al silenzio
ti guarderà
con occhi liberi
e ti guarirà.
Chi è il puro?
Chi è il puro?
Chi provoca l’insonnia dei potenti
per risvegliare in loro l’umanità.
Chi denuncia la sazietà dei ricchi
quando affamano i poveri.
Chi gode del poco, e quel poco lo spezza
con chi non ha nulla.
Chi è disposto a lasciarsi uccidere
per affermare la sovranità degli ultimi.
Chi persuade un omertoso a credere che un mafioso
non è un uomo d’onore, ma uno sporco vigliacco.
Chi non lecca la polvere e consegna la propria coscienza
all’ipocrisia per ottenere consenso.
Chi non vende l’intelletto al potere,
rinunciando così a servire la verità sovvertendola.
Chi guarda il tramonto, una sera d’agosto,
e si innamora della vita.
Chi buca il cielo e scova oltre le nubi il Paradiso.
Chi di ritira sull’eremo, lontano dalle lusinghe,
e non si compiace di essere magnificato.
Chi attraversa il cuore di una donna riluttante
e la conquista con una poesia.
Chi bagna il pennino in una lacrima
e scrive emozioni che toccano l’anima.
Chi percepisce nei battiti d’ali d’una farfalla
il soffio di un bimbo che si corica.
Chi annusa il profumo di un fiore senza coglierlo.
Chi non si abitua al dolore e conforta gli inconsolabili.
Chi piange con gli afflitti del mondo
e non sentenzia parole vuote, tace.
Chi muta il sale in neve.
Chi ha occhi per vedere, chi ha orecchie per ascoltare
e non ingrassa l’ingiustizia.
Chi è convinto che il mare è salato perché raccoglie
le lacrime degli indifesi.
Chi ha il coraggio di cambiare le proprie idee
e non soffoca il soffio vitale degli innocenti.
Chi è disposto a perdere un amico per amore del vero.
Chi cambia la storia con il bene e non con le armi.
Chi chiude i serbatoi della rabbia ai ladri di pace.
Chi la sera prima d’addormentarsi guarda le proprie mani
e non le trova sporche di sangue.
Adamo
Nella selva Dio disse all’uomo: “Sei turbato!
Presto, non esitare, rispondimi, chi ti ha ingannato?”
Adamo: “La donna che Tu mi hai messo accanto”.
L’Eterno: “Così, ti sei lasciato sedurre dall’avversario?
Hai mangiato il desiderabile e rotto l’incanto.
Hai infranto l’armonia dell’infinito, illuso dal falsario,
da scellerato adesso perderai il Paradiso,
hai violato l’alleanza, il patto d’amore di chi ama,
e il tralcio vitale dell’innocenza hai reciso,
servendo il male, hai saziato il vuoto e la brama.
La posta in palio era l’immortale della vita,
possedevi tutto, per aggiungere un po’ di polvere
sulla bilancia, l’hai buttata via e tradita.
La donna che ti ho dato, era un aiuto,
ma come stolto ti sei addormentato,
e a chi divide da sempre hai creduto.
Non ti bastava essere il primo del creato,
volevi primeggiare ed essere uguale a Me,
prima del sole, prima del cielo, prima del mare,
avevi dato il nome a tutti gli animali ed eri il re,
ma possedere l’universo era niente per amare.
Tedio e notte, ora, sono sorelle nemiche,
e sudore, malanni, solitudine le tue fatiche.
Lontano dalla luce, dall’amore e dal Mio volto sarai
e il gelido mantello della morte sul capo stenderai.
E tu donna che ti sei intrattenuta con il serpente
con grande dolore e sofferenza partorirai,
hai creduto alla voce di chi separa e mente,
l’uomo ti dominerà, ma a lui non ti sottometterai.
L’accesso ai frutti dell’Eden e all’albero della vita
sarà dalla folgorante spada dei cherubini proibita.
Adesso masticherete piangendo spine e tormenti
e l’alito del vento peserà le vostre anime dolenti”.
Oh morte
Un viavai d’alme
rassegnate a patir,
meste accorrono in lacrime
pel nudo viale,
recano il vano saluto
all’inerme donna
coricata sull’atro manto.
Pallida giace in silenzio,
attorno a crisantemi
e nastri violacei.
Il dolore straziante di taluni
contrasta con la resa d’altri,
e il pianto dei figli copre
la prece di pie oranti.
Spesso la morte rapisce gli eroi
e rinvia l’ora dei mediocri, dei vili,
sottrae inesorabile l’elogio alla platea
per umiliare la mera vita.
Disumano
Occhi e pugni chiusi
per chi implora
compassione.
Il cuore del disumano
non ha battiti,
è un orologio fermo
che chiude il varco
ad ogni supplica.
Con crudeltà,
spegne il sussurro
del misero,
e con inesorabile
malvagità
soffoca i gemiti
del debole,
inutile piangere,
non si commuoverà.
Il suo petto
è un nido di vipere,
tesse pensieri
velenosi e assassini.
Anima buia,
sudicia,
vomita fango,
strozza
ogni palpito,
ogni grido
innocente
nel torbido
della palude,
senza farti risalire.
Nutre disprezzo
per il leale
e lo colpisce
alle spalle.
Finto,
capzioso
con il giusto,
infido e doppio
con il mite.
Desolato morirà
aggrappato al nulla,
la sua esistenza
vuota ed insignificante
vagherà
tra le dune del deserto
assieme a sciacalli
e scorpioni.
La barca
Il Dio nascosto, prese il largo con la barca,
rapì le anime rotte al fragore del mare
e ordinò l’impetuoso viaggio,
per approdare al riparo e non soccombere
tra i terribili sorrisi spenti dei beffardi,
senza bussola ne segnò, ugualmente, la direzione
e tra i mari lontani con vento di burrasca
non permise all’imbarcazione che affondasse
tra le vertiginose spire del male.
Condusse il legno per la giusta rotta
e non la lasciò impigliare nei torbidi
fondali, vinta dai vortici del vizio.
Con la sua rete pescò alla destra gli afflitti,
perché entrassero in possesso del Regno,
li volle con sé poveri ed umili
e li sfamò di Spirito puro.
Con la lampada illuminò i giusti
E denunciò l’opera nascosta dei malvagi
dal cuore grasso e dalla bocca unta di burro.
Con la vela, rigonfia di misericordia,
spinse la prua a tagliare la resistenza dell’ipocrisia,
tra le difficoltà quotidiane e gli spruzzi avvelenati
che avvolgono e strozzano la speranza
nella notte oscura piena di pericoli e abissi.
Con l’albero maestro raccolse le forze,
soffiò sulle vele e sparse al vento l’incenso e la vita,
e il suo alito rianimò gli oppressi dalla polvere
e fece compiere loro cose impensabili.
Con i remi della croce, del dolore, della passione,
tirò fuori dall’oziosa bonaccia
il battito della vita che non si fermò,
ma continuò a palpitare oltre il freddo respiro
davanti al muro nero della morte.
Dai incredulo, scuotiti, non essere vile.
Destati dalla tiepidezza e ardi d’amore !
E Dio si mostrerà nella storia alla tua presenza
dopo che avrai spianato la diffidenza e il dubbio.
Tramonti a Roseto
Ai piedi di un gigante che non dorme più,
v’è un borgo dorato sull’Adriatico
impreziosito da rose, tigli e tamarici,
e da donne straordinarie
che nascondono dentro le rughe
le cicatrici della vita senza lamentarsi,
con il cuore sul pontile trafitto dai riflessi della luna.
Inviolabili attimi d’attesa, di speranza
che non s’arrendono al tempo,
e cercano la forza nei piccoli segni.
Occhi che fissano il muro altissimo,
oltre il mare nero, oltre il dolore,
e chiedono alle vele di stringere il vento
e spingere la barca più in là dei sogni,
e riportare i loro marinai agli affetti.
Così nella pineta gli aghi di pino
s’intrecciano con i pensieri segreti
di ragazze innamorate che vogliono il domani ora,
sfidano il vento e gli acquazzoni di marzo,
e smettono di parlare male degli uomini e di Dio.
Nei tramonti a Roseto, a Ferragosto,
i solitari accendono falò di bugie sulla rena,
è l’invito a respingere i tradimenti
e raccontare ai silenzi gli abbandoni
di uomini che s’offrono
a donne invisibili sul lungomare
fino a piegare le palme a terra
per l’urgente bisogno di compagnia,
e di riempire il vuoto affettivo
con baci e carezze, seduti a un caffè.
L’anima ascolta
Il frantoio del tempo
macina carismi emergenti
e teorie filosofali raffinate,
lampade spente puntate
sul Dio ingombrante e il caso,
non rispondenti al dubbio
modellato da formule definite,
e l’anima ascolta contenuta
chi dipana le corde dello Spirito
e stringe nelle sue mani
quel piccolo colossale nulla
che sposta il cosmo tra ciò che è
e quello che deve essere.
Le energie dell’universo
pesano la forza dell’impulso
di presenze enigmatiche
pervadenti l’ordine naturale,
distanze invisibili svelano
l’inizio dei vagiti cosmici,
un flusso di particelle penetranti
nel silenzio surreale della materia
accede al comprensibile
e attraversa destini umani
con atomi di vita nascente
che esplodono di luce.
L’Amato
Nella profondità degli abissi
dubbioso cercai l’Amato,
dono d’amore fu ciò che accadde
e più nulla fu come sembrò,
in un piccolo angolo di luce,
all’ultimo respiro di vita
tra le crepe e le ferite
in storie di sabbia, via, lontano,
piovvero bisbigli d’acqua
e resero fecondo il deserto,
apparve nell’esilio infinito
l’ardito agire dell’Eterno.
Eppure in quel vuoto
pieno dell’assenza di Dio,
l’impossibile divenne possibile,
la natura incorruttibile,
opera della stessa mano,
diede vita a nuova creazione
tatuata sulla carne del reietto
in un legame indissolubile.
Voci dentro l’anima vinsero,
cessarono le musiche mortali
nella città dei ciarlieri ciechi,
seguii la luce dell’incontro,
e il sole alla fine benigno
rischiarò le notti più buie.
12 Novembre 2003
Perfidi talebani
al canto del muezzin,
supplicano falsi cieli
e attendono improbabili paradisi
con donne senza compassione
ammantate di regole e silenzi
da un dio che non c’è,
allevano figli, fuori dal grembo,
all’odio viscerale
in fiumi melmosi.
Fanatici, nutriti di illusioni,
colpiscono gli angeli a Nasiriyah,
immortali difensori della pace,
un prezzo da pagare
conficcato nella carne
apre piaghe vere e vive.
All’ultimo filo di sole
rinviene la Stella Polare
nella sabbia impazzita
e nel dolore tra le macerie
i rigagnoli sanguinanti
lasciati nell’ombra del varco
aperto nel muro babelico,
l’annuncio liberante
dà la forza di superare l’inferno
nel labirinto del terrore
che lotta con anime di carta,
abomini del presente
ove solo il Dio vero basta.
Amore d’amare sei
Anche se ammantassi
la luce del tuo corpo
l’impetuosa voluttà
non estinguerebbe
la voglia di sentirti mia,
e cirri pallidi non oscureranno
l’armonia sinuosa
delle dune femminili
da baciare e da carezzare.
Amore d’amare sei,
un sogno che il vento porta via
nella profondità dei versi
dove immortale corri.
Fascinosa donna che baci la bocca,
hai chiamato con gemiti
chi ti ha risposto,
tu rugiada primaverile
posata sulle foglie
nutri il grembo materno
voglioso di miele di rovo
e dopo la pioggia
attraversi l’arcobaleno,
cammini smarrita
inesorabile verso l’eternità,
inebriata dal prima e dal dopo,
passi accanto a chi ha in mente
la tua immagine, sorgente
immortale e lieta seduzione
rimani tatuata nel mio cuore.
L’amore
Avvolge il pudore nel fuoco
il mero ornamento d’amore,
roveto che brucia l’arbusto fioco
e scalda i midolli nudi di calore.
La passione corrode i temerari,
volontà di realizzare un sogno
e conservare paradisi cari
in un prezioso scrigno.
La tenerezza secerne l’acre goccia
e invita l’aurora ad aspettare,
nettare che si succhia dalla roccia,
zampillo ardente e impeto d’amare.
Rosalis
Bagliori di luce lasciati
come gigli candidi
riposano il respiro
sulla neve dell’esistenza.
Rosalis stella che dura,
rincorri il tempo disperso
dal vento d’autunno
che spinge altrove
le foglie affaticate, arrugginite.
Luccicano d’orgoglio
nel silenzio dei silenzi
i tuoi occhi neri,
illuminano le notti
con radiosi zaffiri.
Tenera niña,
dilata il tuo cuore
all’irragionevole
fluire dell’amore
e svela il volto
al desiderio
che anela l’altro
senza paura di guardare
dentro di te.
Carlo
Un viavai d’alme
rassegnate a patire
meste accorrono in lacrime
per il nudo viale,
recano il vano saluto
all’inerte uomo
coricato sull’antro manto.
Pallido giace silente,
attorno crisantemi
e nastri violacei.
Il dolore straziante di taluni
contrasta con la resa d’altri,
il pianto dei figli copre
la prece di pie oranti.
La morte rapisce gli eroi
e rinvia l’ora dei vili,
inesorabile sottrae l’elogio
alla platea mediocre
per umiliare la vita.
Solo
Solo in cerca
di orridi precipizi
nella verminaia fetida
del peccato
con la divisa
del pragmatismo
indebolito
da bocconi di piacere
velenosi.
La noia
arrugginirà la vite,
e il palmento
girerà e macinerà
ogni giorno
lo stesso frumento
nell’indifferenza
della penombra.
Dissoluto,
pervaso da rovine
e tenebre infernali
in animo ribelle,
assetato trangugerai
una coppa amara
colma di fiele,
vivrai in eterno i tormenti
della disperazione
nel gelo
per trovare
la fonte del male.
Sospesi
Vite sospese
in città dimenticate
attendono di migrare
verso altre latitudini,
un’ossessione
alla portata di tutti,
scalda le anime
e non chiede l’elemosina
alla luce del dolore
ma resta in piedi
anche se più fragile,
si trova con la sabbia
tra le dita sporche
che spezzano il cerchio
in simboli originali
attraverso gli occhi di Dio
che hanno formato la terra
perfetta e senza confini.
Vincent
Inquietudini estreme
nascondono i precipizi
e suscitano nostalgie lontane
nel labirinto interiore
della casa di Vincent
ove nascono dalla bottiglia
miseria, vomito
e speranze smarrite,
un fiammifero, un piccolo
lurido fiammifero per accendere
il paradiso di Goa.
La vecchia foto ingiallita
sul comò evoca
verità intramontabili
di vite in cordata
tra acrobatici ricordi
al culmine della disperazione
in memorie ferite.
Consapevolezza dolente
di recidere la corda
e lasciarsi cadere giù
negli abissi della vita,
grido che si sente
tra dubbi legittimi
e risposte spinte dal vento
nella casa di Vincent,
armati di eschimo e pugno chiuso
in minuti lunghi come anni
ascoltando Bob Dylan.