Giorgia Ferrante - Poesie e Dialoghi poetici

Forse

Forse è così quando cadiamo,
quando ci perdiamo.
Precipitiamo, precipitiamo,
allontanandoci dalle cose che ci circondano che
si fanno sempre più piccole.
Ora si vede solo una flebile luce in lontananza
e poi
il buio,
il buio più intenso.
All’improvviso tocchiamo il fondo,
alzando lo sguardo verso l’alto non distinguiamo più nulla.
C’è chi si adatta al nuovo mondo;
altri tentano disperatamente di risalire, pur di sfuggire al terribile nulla.
Infine, ci sono io che cammino senza pensare,
lascio che siano i miei passi a guidarmi.
A poco a poco sento come un vuoto che mi divora da dentro
e sopra di me un macigno impossibile da sollevare.
È una tortura a cui non posso sottrarmi,
finisco per piegarmi al suolo, mi muovo a stento.
Forse è questo che accade quando ci arrendiamo.
Quando smettiamo di provare qualcosa
la nostra fiamma si spegne,
diventiamo deboli,
fiacchi,
eternamente stanchi.
Ognuno di noi ha un peso da portare,
un sorriso forzato da indossare,
dei bambini da sfamare,
una strada da formare.
Forse è così che accade
quando tutt’intorno scompare,
non resta più nessuno se non te e i tuoi passi;
non restano che terra e sassi.
Il verde delle colline è diventato un vortice di sabbia
che ci avvolge e ci spaventa cancellando la via,
il cielo è stato coperto da un velo nero da cui fuoriesce un triste pianto
e gli uccelli hanno fermato il loro canto.
Mi accorgo di un fiore accanto;
non è ancora stato trascinato dal vento,
le sue radici sono aggrappate alla terra, ha la forza di un uragano.
Eppure è così fragile;
sembra un essere umano;
si è battuto così tanto per restare ancora,
per resistere ancora,
che ora
sarebbe triste veder i suoi petali staccarsi
pezzo per pezzo
uno per uno.
Allora mi chino a terra,
lo circondo con le braccia
e pur essendo circondato da nulla
gli sussurro:
“Vivi”.
Forse è questo che accade quando ricominciamo a sperare,
a credere di nuovo in noi stessi.
Adesso è come sognare:
il vortice di colpo si dissolve, dell’eterno buio ormai ci sono solo i resti,
ha smesso di piovere.
Un involontario sorriso nasce nei nostri volti,
sembra non ci sia più nulla da temere
se non gli stolti.
Forse è questo che succede quando desideriamo qualcuno nello stesso tetto,
quando ci mettiamo in gioco,
quando non temiamo più il buio, anzi lo teniamo stretto
quando viviamo, pur sapendo che per poco.

 


 

Crash day

Wake up!
Hear the drops of water that flow slowly,
making the sound lovely
on the window and wind blows hard.
The hands of the clock chime.
It’s time,
it’s time to get up, while everything around is silent.
Forget every message received and sent.
Open your eyes now,
take your head off the pillow.
Rip the surface and get out of your box.
Damn it you’re smart as a fox,
so, don’t’ wear your headphones today,
wear your most beautiful smile, every day.
It’s time to grow up while everything around remains the same,
don’t feel shame to burn like a flame.
Put on your best clothes, sway gracefully on the road.
Not all will agree,
so allow yourself to be free.
Don’t hide in your thoughts, show off your gloss.
Wake up!  break order and sow chaos.

Giorno eterno

Svegliati!
Ascolta le gocce d’acqua che scorrono lentamente
rendendo il suono incantevole
sulla finestra e il vento soffia forte.
Le lancette dell’orologio suonano.
È l’ora,
è ora di alzarsi, mentre tutto intorno tace.
Dimentica ogni messaggio ricevuto e inviato.
Apri gli occhi ora,
togli la testa dal cuscino.
Strappa la superficie ed esci dalla tua scatola.
Dannazione, sei intelligente come una volpe,
quindi, non indossare le cuffie oggi,
indossa il tuo sorriso più bello, ogni giorno.
È ora di crescere mentre tutto intorno rimane uguale,
non vergognarti di bruciare come una fiamma.
Mettiti i tuoi vestiti migliori, ondeggia con grazia sulla strada.
Non tutti saranno d’accordo,
quindi permettiti di essere libero.
Non nasconderti nei tuoi pensieri, mostra la tua lucentezza.
Svegliati! rompi l’ordine e semina il caos.

CHE QUEST’OGGI POSSA DURARE IN ETERNO

 


 

La luce oltre la finestra

Mi affaccio alla finestra.
È finita la tempesta
e l’aria è più fresca.
Guardo il cielo; si colora di un tenue azzurrino;
si allontanano le nere nubi.
I raggi del sole che prima giocavano a nascondino,
ora giocano a rincorrere i verdi cespugli
ancora pieni di gocce d’acqua.
Porto il viso all’interno, come fa una lumaca per entrare nel suo guscio;
noto la mia stanza:
è disordinata, ma è vuota.
Sfrego i palmi con addosso una larga felpa,
sento freddo,
eppure, mi affaccio alla finestra.
Adesso vedo il mare
che toglie il suo mantello nero per confondersi col cielo,
vedo i gabbiani che aleggiano intorno
come ad aspettare che la preda spunti fuori.
È calato il silenzio dopo i rimbombi dei tuoni:
c’è silenzio tutt’intorno, ma il vento continua a soffiare,
eppure, mi affaccio alla finestra.
Osservo il prato davanti a me, il vicino che porta il cane a passeggiare.
Il sole illumina i loro passi e i bambini escono a giocare.
Tutto è ora colpito dai suoi raggi e da me
è rimasto il buio, il gelo della notte,
il pavimento sembra essere più freddo
ed io
mi sento sprofondare, sempre più giù
fino a non vedere più la Finestra,
mia ancora di salvezza.

 


 

La Luna su di noi

Guarda la luna come si libra in cielo
Candida e imperfetta
Son chiuse le finestre e barrate le porte.
Osserva come riflette la luce delle molteplici stelle, come rischiara la nera notte
Nel buio son chiuse le finestre,
ma qualcuno aspetta con trepidazione,
aspetta la notte per non dormire,
per perdersi e ritrovarsi
per liberarsi dalle angosce e paure
per ritrovare sé stesso
e come per miracolo
trovare la luce nel buio,
trovare la Luna nel cielo.
Stare senza te, Luna, è come essere in una foresta senz’alberi.
Nel buio di una notte senza stelle mi volto a cercarti.
Quando non riesco a trovarti immagino ti stia nascondendo,
mostri il tuo lato oscuro, così piena di segreti e racconti,
sei piccola nell’universo, ma immensa sopra di noi
Luna dai mille volti, sempre la stessa, ma mai uguale.
Sei dappertutto, anche in fondo al mare
pronta a cogliere i sogni
come fa un pescatore, che nell’ora ancor buia
si appresta a buttar la lenza in mare.

 


 

Parole in trappola

Sento parlare.
Sono qui anch’io, ad aspettare.
Sono qui a crogiolarmi in questa corroborante attesa
del domani che ci spetta, del turno in cui discorrono le parole,
parole nuove, fatte di tutti i colori del visibile,
che si accendono di un tenue azzurro, di viola, di giallo, di un rosso acceso.
Si ingarbugliano e si annidano, ciascuna con il loro peso.
Dalla mia bocca fluiscono i pensieri e dall’altrui orecchio vengono accolti,
felice di esser ascoltata dai molti,
sento che sono giorni di festa ed allegrezza questi.
Portano al desiderare di più
sempre di più, fino a volare in alto nel cielo,
ma non mi sono accorta di star cadendo in un mondo parallelo.
È tutto uno scherzo di cattivo gusto, una trappola che ha deciso di tendermi la mente.
Nessuno presta ascolto,
nessuno guarda il mio volto.
Han tutti paura del diverso.
È come stare immersi in acqua, coricati, dove il mare funge da coperta e
lascia scoperto il viso che emerge delicato in superficie.
Ti culla dolcemente, ti tiene su grazie a quel principio del re dell’Eureka
e non odi nient’altro che lo scorrere dell’onda.
Vien da tremar in questo grigio mar,
nel vedere quante barche ormeggiano sospese.
Non curanti dei pesci di pensieri che scorrono,
cogliendo al volo il grande rumore, mascherato di sgombro; ecco ciò che sono.
Qualcuno si avvicina esitante al cono di luce che emana sbuffi di fiabe e racconti,
vorrebbe star seduto ad ascoltare, ma viene trascinato via dalla corrente dell’ovvio,
viene riportato nel gregge dove si belano sempre le stesse cose.
Mi affido solo ai libri ormai, al mondo dei pochi, a quella cerchia ristretta,
dove sopravvive ancora il diritto di esprimere il proprio, in questa società ormai stretta.
Ho disegnato il cielo su un foglio di carta e me l’hanno strappato.
La mia mano ormai stanca, si trascina dietro un tumulo di parole d’inchiostro sbavato.
Perciò adesso lasciatemi sola,
chiudete la porta a chiave e una volta fatto, lasciatele per terra.
Richiudete la breccia che ho osato creare,
come un fiume che nato dalla montagna, scava nella roccia,
per creare nuove strade e conoscere il mondo a valle.
Sarò come un fantasma che infesta un qualche castello.
Lasciatemi al buio, nel mio silenzio a costruire la mia crisalide.

 


 

Piccolo bambino

Chissà cosa direbbe la Luna se potesse parlare;
cosa griderebbe agli umani, che ignari si danno da fare
su e giù
qua e là
senza fermarsi mai.
Non si voltano indietro quei figli di Adamo,
non mirano certo a diventare delle tacite statue di sale.
Chissà cosa direbbero gli occhi di un bambino appena nato
se vedessero subito il Mondo
Griderebbe anche lui?
Non è certo strano che un bambino pianga non appena lascia il suo piccolo oceano,
che senta anche lui quel brivido, che scorre
lungo la schiena quando si prova orrore e sdegno?
Squallido e grigio è il mondo in cui ti ritrovi piccolo bambino.
Qui governano il Tempo e la Ricchezza
Li conosci piccolo?
Sono essi che tengono le redini mantenendo a bada gli uomini
che, come cavalli furiosi, calpestano il suolo a suon di zoccoli.
Guardali piccolo bambino,
si ribellano, si muovono furiosamente, scalciano;
poi d’un tratto
si piegano, si placano, cedono e corrono;
corrono tirando avanti quel carro, dove riposano i due re
e vanno per la loro strada
senza voltarsi mai.
Almeno tu, piccolo bambino, non cedere;
salvati;
non venerare i falsi re di questa Terra
sii libero, scegli, sogna, ama, vivi.
Spezza le catene del Tempo e non seguire la luce della Ricchezza,
ma soprattutto voltati,
voltati a guardare il tuo passato, i tuoi errori,
così vedrai con occhi non velati ciò che eri, sei e sarai.

 


 

“Quando arriva la Tempesta”

Quando la Tempesta è vicina
e si alza la marea,
l’uomo cerca un’ancora per salvarsi
dalla terribile ondata.
Uno si salva come può
dal burrascoso vento che si genera in noi;
uno si aggrappa come può
per non venire trascinato via
dalla corrente della malinconia,
a costo di stare in una barca senza remi.
Quando arriva la Tempesta
ci si difende con ogni mezzo necessario,
per spazzare i terribili uomini in nero
che popolano gli incubi
e talvolta fuoriescono nella realtà.
Quando arriva la Tempesta
è facile mettere contro due illusi
a contendersi la vita,
mentre dall’alto vige un occhio perverso e
attende il risultato finale
dei due lottatori in gabbia,
senza prenderne parte.
Quando arriva la Tempesta
è difficile non cedere al gioco orchestrato
da questo genio del male,
c’ha privato di ogni verità,
da non provare più tenerezza o pietà.
Quando arriva la Tempesta
è facile spargere i semi della discordia
da non vedere più la bellezza dell’altro
e recidere il filo rosso
che unisce due destini,
come le tre Moire fanno con la vita di uomo, di cui
segnano inevitabilmente la morte.

 


 

Come ho salvato Eros

Il tema principale di questo dialogo poetico è l’amore o meglio è l’amore spiegato nelle sue varie sfaccettature, è il motivo del viaggio che la protagonista intraprende, ma lungo il suo percorso vi saranno degli ostacoli sia fisici che a livello del subconscio e lei dovrà trovare il modo di superarli.
Si scoprirà, leggendo, che l’amore non sarà più un pretesto di lotta disperata per riavere indietro la speranza e i sogni; vi sarà un dialogo impavido tra la protagonista ed il secondo personaggio principale, colui che porta due orologi come ciondoli, al collo.
All’interno del dialogo, inoltre, troverete molti riferimenti mitologici, ma la storia non è ambientata nel passato, piuttosto si tratta di luoghi immaginati dalla protagonista; in un mondo moderno e troppo caotico deve pur trovare dei posti che trasmettano tranquillità. Vi sono anche riferimenti a storie del tutto contemporanee, sfido i lettori a trovarli…
Ho camminato a lungo per queste lande remote
ignara del Mondo e della Vita.
Ho vagato per vallate fiorite e verdi, per boschi spogli e oscuri
sotto cieli limpidi e tersi, trapunti di stelle,
sotto cieli nembosi e silenziosi.
Una domanda sorge spontanea
rivolta a colui che
con le sue ali angeliche e i suoi dardi infernali,
d’improvviso
arriva violento e impetuoso, senza essere cercato, né chiamato:
non ha né occhi né viso, è un’ombra.
“Chi sei?”.
“Io sono te,
questo prato,
questo fiore,
questo vento,
il tuo sorriso, la tua gioia, la tua felicità
la tua rabbia, la tua ira, la tua delusione
io non ho un vero e proprio nome,
puoi chiamarmi Eros, per il momento,
permettimi di affiancarti nel tuo errare”.
“Solo tu potrai sapermi accanto,
solo tu, fino a che non avrai capito il mio scopo, il mio gioco.
Iniziamo insieme un’altra storia, un’altra vita,
solo alla fine saprai il mio nome, vedrai il mio viso e il colore dei miei occhi”.
Così iniziano tutte le storie,
con una domanda e un viaggio,
un viaggio che necessita risposte,
specie per qualcuno che cammina insieme ad un senza nome.
“Non vorrai colpirmi con le tue frecce, mentre siamo in cammino” – domandai, dubbiosa ed esitante.
“Sì, se sarà necessario” – rispose.
“Ma, farà male” – ribattei.
“Sì, farà male e non sarà colpa mia, io sarò il braccio e il dardo,
ma non sarò io a scagliarlo,
saranno coloro che non sapranno coglierti, cogliere la tua essenza
riconoscere la tua presenza e sentire la tua assenza.
Quelle persone che vogliono prendere, afferrare e divorare quello che gli darai,
quelle che non sanno come riempire il proprio vuoto, il proprio ego e ti scelgono come vittima,
ti tengono a bada con dolci e tenere parole, con vane promesse,
come il mielato canto delle sirene, che incantò Odisseo.
Non aver paura delle saette che porto nella faretra,
queste apriranno una ferita nel tuo petto,
ma fa parte del processo. Come può, infatti,
avvenire la guarigione dell’animo, se prima non si viene colpiti?”
“Sei venuto a dirmi che soffrirò. È così?” – risposi con una domanda, al suo lungo discorso.
“Di questo non c’è assoluta certezza, soffrirai, cadrai, morirai,
ti rialzerai, vivrai e rinascerai,
come l’ardente fenice risorge dalle proprie ceneri.
Solo questo posso garantirti.
Detto questo, possiamo avviarci”.
“Quale strada dovrei intraprendere?”
“Quella delle tue scelte, fatta di sogni e desideri”.
Cammino e davanti trovo un groviglio di rami,
un’intricata foresta, che neanche il fendente di una spada potrebbe squarciare.
L’entrata non si riesce a trovare,
quel fascio di frasche è difficile da superare
per raggiungere quel che desidero, con le mie sole mani.
“Non è la giusta strada, è piena di dubbi di ogni sorta,
paure, ansie, angosce
non porta ai desideri e chi s’ inoltra in quell’orrida selva, difficilmente fa ritorno.
Vi si trovano quelli che hanno ceduto ad ogni loro sospetto,
sono stati inghiottiti dai loro incubi, lasciando volare i loro sogni,
sprofondando nella palude della tristezza.
Tali impervi sentimenti sono nascosti nei meandri della nostra mente,
tengono imprigionato chiunque si trovi nelle loro vicinanze,
spegnendo la fiamma ardente
del nostro spirito, dividendolo dal corpo, come fosse una cosa a sé stante”.
Orbene cambiamo rotta, la strada è un’altra,
non sarà questa la scelta
rimane ancora un’opzione, ma oltre quel cipresso è tutto buio
i raggi del sole non squarciano le nere chiome,
che si abbattono sul sentiero
come le tre fiere fan con un impaurito Dante.
“Prendendo su questa via rischierò di perdermi, potrei scivolare od inciampare sui sassi”- dissi indugiando sui miei passi.
“Cosa significa perdersi in un fosco sentiero in confronto ad un vagabondare senza meta.
Un cieco non si è mica perso nel buio, ne ha fatto la sua forza, ne ha tratto vantaggio,
che importanza ha, vedere, quando dentro trovi un sole, più luminoso che in cielo?
È necessario perdersi per ritrovarsi, è necessario cadere per rialzarsi…
mi sembra di avertelo già detto” – rispose con fare esortante quell’essere alato.
Convinta mi avviai.
Ora
si sente il solo rumore dei miei passi e il vento acre e gelido
che sembra graffiare il mio corpo con delle lame.
Ero rassicurata dalla sola remota presenza di quell’arciere.
Camminai a tentoni, per quelle che sembrarono ore ed ore
al tatto toglievo davanti a me qualcosa che doveva essere fogliame
ed alte nere erbe.
La paura emerge.
Forse tutto è diventato grande o il contrario:
mi sento piccola e inerme,
è come stare dentro un oceano.
“Ti stai perdendo, devi alzarti e andare verso la luce” – disse la voce serafica.
“Continuo a non vedere nulla”
“Se rinunci a trovarti finirai per entrare nell’ angosciosa tristezza, devi credere”
“In cosa devo credere?”
“Decidi tu” – concluse, per poi svanire, come uno Stregatto, nel buio.
Ad un tratto mi fermai, indietreggiai, sospirai.
Pensai,
pensai ad un dolce e allegro ricordo,
ricordo un giorno d’estate sbiadito:
vedo i miei piedi nudi camminare sulla sabbia,
è calda.
Una delicata brezza mi accarezza il viso, sento l’odore del mare,
alzo la testa, ora è tutto più chiaro, una distesa azzurra mi si porge davanti,
sorrido e allargo le braccia,
corro verso il mare,
corro e rido.
Mi sento chiamare alle spalle e
mi volto: è mia madre,
mi incita a tornare, ma io voglio solo immergermi nel mare.
Agito la mano come per rassicurarla
ed entro nelle acque salate.
Sono circondata da altri bambini,
giochiamo tutti insieme. Uno di loro trova una pietra marmorea,
sembra riflettere la luce del sole, ne rimango affascinata,
poi sento:
“Ora, chiudete gli occhi, la rilancio in un punto qualsiasi e chi la trova per primo vince!”
Tutti siamo sull’attenti, pronti a partire, per recuperare la pietra del sole.
Adesso la memoria vede chiaro. Io in quel momento dissi a me stessa: “Ce la farò,
voglio recuperarla a tutti i costi”.
Una volta affermato tale pensiero, presi la rincorsa e mi tuffai.
Il fondo era di un blu intenso,
era come se avessi acquisito un sesto senso,
distinguevo nitidamente il verde galleggiare delle alghe,
il giallo dei pesci e le varie tonalità dell’acqua.
Cercai senza sosta, emergevo e m’ immergevo.
Così facevano tutti gli altri, dopo un po’, però, rinunciarono,
avevano perso lo slancio iniziale, tornarono verso la riva
come pescatori con la rete vuota.
Io non mi persi d’animo, scelsi di credere in me stessa.
Continuai a cercare ed infine la trovai
laggiù, che brillava come un diamante,
l’afferrai, tornai in superficie
andai per esultare e di colpo
come se avessi aperto gli occhi una seconda volta,
mi trovai in un florido prato di lavanda.
Appoggiato agli alti salici vi era il ragazzo alato.
“Hai creduto, alla fine, il tuo ricordo è servito a guarirti, sei arrivata qui” – parlò a testa bassa.
“Sono giunta alla fine del viaggio?” – domandai felice-per aver lasciato l’oscuro tunnel.
“No, questo è ancora l’inizio, non ho ancora finito.
Inoltre, è giunto il momento che ti dica lo scopo del nostro viaggio.
Hai imparato che prima di tutto devi credere in te stessa,
rimane da capire cosa significa amare.
Non ne conosci del tutto il significato”.
“Come puoi dirlo?
Io amo i miei genitori, amo stare tra la natura
amo vivere di emozioni, amo chi si prende cura di me”.
“Tu vuoi bene, tieni alle persone che ti stanno accanto e ami i tuoi di un amore diverso.
Voler bene non è la stessa cosa dell’Amore, come disse un piccolo principe alla sua rosa”.
“Allora significa che esiste un altro tipo di amore” – dedussi.
“Ci sono diversi tipi di amore, di ogni genere, forma e colore.
Affronterai molti altri ostacoli nel tuo cammino, capirai quando fermarti,
troverai qualcuno per cui sei disposta a compiere il pindarico volo”.
“Non capisco, per chi dovrei compiere un atto simile,
come se io potessi cercare la morte!”
“Non è forse, lanciandosi nel vuoto
che il pulcino impara a volare?”
“Non ho compreso del tutto, ma suppongo faccia parte dei tuoi enigmi” – sospirai.
Mi sedetti accanto a lui e per la prima volta mi parve di scorgere un sorriso
in quello che doveva essere il suo volto, ancora evanescente.
Ecco che si avvicina Nyx, la pallida notte,
si estende sulla radura la figlia del Caos,
porta con sé le ninfe delle stelle e le Sette sorelle, visibili come zaffiri nel Toro stellato.
Il viola diventa nero, i gattici dei salici si chiudono,
è tutto buio e non vi è alcun suono,
si ode il solo scrosciare di un rivo
in lontananza, dell’alba s’aspetta l’arrivo.
Chiudo gli occhi, ma non di paura, non sono più in quella selva oscura;
all’improvviso fa capolino la luna, nascosta da una nube d’argento
che riflettendo la luce del sole, rischiara la campagna.
E nel silenzio domando:
“Perché sei sparito, mentre mi trovavo in quel posto?”.
“Hai creduto d’esser sola, non c’era più posto per me, se mi allontani
sono costretto a volare via, ma non me ne sono mai andato, ho aspettato”.
“Hai aspettato cosa?” – chiesi dubbiosa.
“Ho aspettato che mi chiamassi, che ti ricordassi di me,
ho atteso che mi tenessi per mano e che fossi abbastanza sicura da non lasciarla.
Amare significa anche questo,
affidarsi all’altro quando le proprie forze vengono meno,
confidare che l’altro possa salvarci,
cercare la sua luce nelle tenebre, con la consapevolezza di trovarlo.
Ecco cos’ha fatto il tuo ricordo,
ti ha permesso di credere in te e poi di cercare
senza sosta, fino a perforare le tue ombre.
Infine, come hai visto, sei giunta in questo eden e mi hai trovato.
Adesso dormi, domani riprendiamo il cammino,
andiamo incontro ad altra gente per conoscerla in tutte le sue sfaccettature.”
Così venne il giorno, che con i suoi tiepidi raggi
svegliò la natura dal suo torpore e tutte le sue creature;
il ragazzo mi desta dal timido sonno, porgendomi la mano
mi aiuta ad alzarmi, finalmente mi accorgo del suo sorriso
che si confonde tra la fioca luce del sole, ma tutto il resto rimane sfocato,
come quando avviciniamo il palmo della mano fino alla punta del naso.
Sorrido di rimando, rimango meravigliata di quanta bellezza
abbia la curva di quelle labbra che hanno generato un misto di celati e pacati sentimenti
consentendo di provare la gioia e l’ebbrezza.
“Perché sorridi?” – domandai ad un tratto.
“Perché ogni giorno divenga degno d’ essere un buon giorno” – rispose con fierezza.
Seguimmo il crepitio dell’acqua, il brusio dei salici,
attraversammo il campo brulicante di fiori di lavanda,
giungemmo in un verde spiazzo, accolti da una panica, allegra melodia
che si andava facendo sempre più modulata e cantata.
Ragazze dall’eterea bellezza, con la lunga chioma dorata, incoraggiano il canto,
esortano uomini e fanciulle ad unirsi in un festoso ballo.
“Cosa sta succedendo qui?” – chiesi incuriosita.
“Queste solari e vivaci ragazze, con il loro incomparabile fascino
attraggono coloro dotati di anima umana, per infonder loro una falsa gioventù,
quest’ultimi, una volta unitisi alla danza proseguiranno in eterno,
dimenticando la ragion d’essere e vivere.
Molti desistono, si danno per vinti, convinti di poter vivere due volte,
di poter ingannare la morte attraverso l’infatuazione per le allegre donzelle,
dimentichi del vero amore, non fatto di sola contentezza”.
“Ma allora, come si distingue il vero dal falso amore?” – continuai domandando.
“Saprai ogni cosa a tempo debito, dobbiamo attraversare le tiepide acque,
inabissarci in esse e infine emergere dalla fonte del sapere”.
Dopo aver finito di parlare mi prese e spiccò il volo. Succede d’un tratto,
non ho tempo di reazione che da terra mi trovo a toccare il cielo con le dita.
Sorvoliamo, oltre tutto e tutti, verso la coltre di nuvole bianche,
la melodia si fa sempre più flebile e lontana;
adesso vedo un folto verdeggiare di chiome e sento il battito delle ali
grandi e fulgenti.
Ora attraversiamo pendii scoscesi, città appena sorte, dalla luce accolte,
fino ad arrivare in un’estensione azzurra, vasta ed infinita,
che abbraccia tutta la terra con le sue spumeggianti braccia.
Si cala giù a picco, a velocità superluminale, il tempo si dilata nello spazio,
che rallenta, mi tengo con forza, per paura di cadere,
le sue ali sferzano impavide e tagliano il vento,
per poi giungere a toccare la sabbia, con maestosa leggiadria.
“Eccoci arrivati alla prossima tappa!” – esordì trionfante.
Io ringraziai cielo e terra di essere arrivata sana e salva.
“Sei forse impazzito?!” – lo fulminai con lo sguardo.
“Ho forse sbagliato qualcosa?” – chiese smarrito.
“Certo! mi stava scoppiando il cuore” – continuai.
“Chiedo scusa, è stata la foga del momento”.
Una volta calmato l’animo ebbi forza di domandare:
“Cosa facciamo qui?”.
“Stiamo continuando il nostro viaggio, solo con un mezzo diverso,
dobbiamo raggiungere un’isola di vetro, fragile e puro come un cristallo,
la quale, ci permetterà di recuperare ciò che è perso.
Troverai desideri e passioni che tentano gli uomini, ali strappate,
donne troppo impegnate per rendersi conto che il tempo non perdona.
Altri consumati dalla propria bellezza, incuranti dei bisogni altrui,
oppure accecati dall’aspetto esteriore, scambiandolo per amore.
Tutti loro stanno in una campana di vetro, destinata a frantumarsi con essi”.
“Un’isola? E non possono uscire da questa città trasparente?”
– pensai dovessero essere più di una, per contenere tutte queste persone.
“Ciascuna delle case è dotata di porte, solo che alcuni si chiudono a forza ed altri,
semplicemente,
dimenticano l’uscita.” – Rispose Eros.
Poi continuò: “Pronta a levare le ancore e spiegare le vele?”.
“Cosa? Quali vele?” – domandai incuriosita e spaesata,
mi guardai attorno e in lontananza vidi un maestoso veliero,
che si innalzava nell’acqua, rimasi meravigliata, ma, un pensiero mi balenò nella mente:
“Perché dobbiamo servirci del veliero quando puoi portarmi lì in volo?”.
“A volte la via più semplice non è accessibile, l’isola è impenetrabile,
impossibile da raggiungere dall’alto, la nebbia disperde il sentiero.
Possiamo arrivarci solo via mare” – rispose lui.
Utilizzò le ali un’ultima volta, per raggiungere il grande vascello.
Prendemmo il largo, dirigendoci in questa nuova meta,
l’orizzonte che squarcia cielo e mare diviene sempre più impercettibile,
tant’è che, adesso, l’azzurro e il blu sono tutt’uno, uniti da un’armonia segreta.
Il vascello è una chiave, che rende una porta accessibile,
verso l’isola su cui si erge la fragile città di vetro.
Una volta ormeggiato il grande veliero mettemmo piede sull’oasi di cristallo.
Era tutto silenzioso, troppo calmo, per essere descritta come la città del caos
dove infuriano e infiammano lascivi desideri.
Ci addentriamo verso il cuore dell’isola, si vedono alti gabbiani,
volano nel cielo, sorvolando le trasparenti crisalidi, come fossero aeroplani,
l’involucro contenente gli umani è costituito da maniglie dorate e lucenti,
invoglia ad avvicinarsi e attira melodiosamente le nostre menti.
Eros immediatamente mi copre gli occhi e mi ordina: “Non guardare, finirai per desiderare
di far parte di questo vitreo mondo, non posso permettertelo,
prendi parte del drappo delle mie vesti e non lasciarlo andare.
Dobbiamo incontrarli qui, quando la nebbia si farà più densa e fitta.
Quando donne e uomini avranno del tempo, per fermarsi dall’intricato loop in cui si trovano,
verranno verso di noi, poiché avvertiranno la presenza del diverso,
vorranno strappargli le sue sicurezze, poiché è ciò che hanno dimenticato di trovare.
Perdendo gli appigli a cui aggrapparsi, hanno seguito la scia delle tentazioni,
dei caduchi sogni, dedicandosi alla contemplazione e all’Oggettificazione di persone.
Donandosi esclusivamente al lavoro, trascurando la propria famiglia
fino ad annullare il proprio io”.
“Temi che io non sia abbastanza forte da cedere all’affascinante folgore?
Ho accettato di viaggiare con te perché sin dal primo istante ho trovato una sorta di
rinnovata fiducia negli altri, la tua sola vista mi ha donato conforto,
voglio credere che anche loro potranno uscire da qui.
Come io sono riuscita a trovare la luce nel buio, loro possono trovare di nuovo la cima
dello spago, il gomitolo di lana che li condurrà all’uscita,
lo stesso che Arianna diede a Teseo per orientarsi nel districato labirinto del Minotauro.
Sono consapevole di aver imparato qualcosa,
da questa strada che abbiamo deciso per percorrere assieme” – parlai con decisione.
“Hai ragione – rispose il ragazzo – ho giudicato in fretta, ma è a causa di ciò che so,
di ciò che ho visto, sorvolando su queste terre;
che mi porta a parlare così degli uomini.
Tuttavia, non è detto che la mia prospettiva sia giusta,
sono contento di disimparare ciò che ho sempre
ritenuto una verità assoluta, per vederlo con occhi nuovi.
Soprattutto sono felice che sia tu, a togliermi la mano dagli occhi e a condurmi,
a lasciare il drappo delle mie stoffe e a tendermi la mano”.
“Anche gli angeli possono sbagliare, temere per la propria sorte,
ciò può portarli a vivere lontano dagli esseri umani,
ritenendo giusto giudicarli dall’alto in modo onnisciente
– sorrisi lievemente –
è giunto il momento che tu ci conosca dall’interno”
– conclusi, portandolo verso una delle teche di vetro.
Arrivammo davanti ad una lunga scalinata, trasparente e lucente,
all’apice vi erano quelle che sembravano essere due persone, discutevano animatamente
su chi avrebbe avuto la meglio quel giorno, il desiderio di sé
o l’opprimente lavoro.
Salendo per le scale notai che i due erano uno,
erano la stessa persona,
che parlava al suo se stesso specchiato, due toni diversi,
ma sempre la stessa persona.
Il lavoratore avrebbe voluto indossare un cardigan nero,
Il Dorian Gray avrebbe benissimo indossato un completo, sorseggiando il suo martini.
“Mi spiace interromperla – mi intromisi – ma non trova sia una giornata splendida?
Non crede sia meglio fare una passeggiata fuori?
Potrebbe incontrare altra gente e trovare altre argomentazioni”
– tentai di estirpare l’apatia radicata in quell’uomo, a costo di apparire inappropriata.
“Sei impazzita ragazzina? Io qui mi dedico solo a me stesso,
ho tutto quello che voglio e non lo devo a nessun altro” – mi fissò col suo sguardo lapidario.
“Te stesso? A me sembra che tu sia perso nell’eterna indecisione, consumando le tue giornate
– passai dal lei al tu, per ricambiare la sua sfrontatezza -.
Non continuai il discorso e passai oltre, lasciandomelo alle spalle.
Aprii un’altra porta, essendo tutte le stanze attaccate,
trovai un uomo e una donna, il primo spazzolava dolcemente
i lunghissimi capelli neri dell’altra, lo faceva senza interruzione, serenamente
come se la mente fosse incantata, mentre la donna si guardava allo specchio,
incurante della tanta cura che le prestava il ragazzo.
D’un tratto si vide l’uomo diventare vecchio,
consumato dalla sua bellezza e lei ridere. Avrebbe trovato un altro rimpiazzo.
Rideva di gran gusto, sollevò la testa all’indietro e poi si alzò,
spinse il vecchio, raccolse la sua chioma e se ne andò.
L’uomo per parte sua si rannicchiò a piangere, ripetendo di continuo:
“Non tornerà…ho perso tutto. Non tornerà…ho perso tutto!
Aveva perso la sua fonte di vita, l’aveva donata a quella donna,
che voleva solo prosciugare.
Allora mi avvicinai, mi chinai all’altezza dell’uomo divenuto vecchio e domandai:
“Perché sei qui?”.
“Vagavo senza meta, una volta approdato in questo luogo, ho camminato per tanto tempo,
fino a quando non vidi lei, una giovane ragazza dai capelli corvini,
lisci come la seta, dagli occhi verdi smeraldo, che brillavano,
mi parvero una luce confortante in mezzo a tanta desolazione.
Mi invitò a seguirla ed io, colpito dalla sua bellezza, mi ammutolii,
le andai dietro e soddisfai ogni sua richiesta, credevo fosse l’amore a guidarmi”.
“Quello non era amore, ti ha manipolato-continuai- non merita le tue lacrime,
ora devi liberarti da queste catene
che ti tengono saldo a questo posto. Una volta fuori troverai una donna
disposta ad accoglierti tra le sue braccia, devi solo alzarti”. Gli tesi la mano,
lui mi guardò esitante… “Fidati di me, questo non è il luogo per te,
di qualunque cosa ti abbia privato quella donna non hai perso te stesso,
puoi ancora trovare il sentiero luminoso che ti condurrà a casa,
devi solo credere che sia possibile, è la base dell’amore,
credere che sia possibile perdersi per ritrovarsi”.
L’uomo a qual punto sorrise e una lacrima gli rigò il viso,
afferrò la mia mano, lo aiutai e gli indicai la porta
dalla maniglia dorata: “Finalmente vedo l’uscita, entrai proprio da lì
l’ultima volta, la volta in cui lasciai che lei mi annebbiasse la mente.
Grazie, grazie anche a te Eros, era tanto che non ti vedevo”, concluse il vecchio
e allontanandosi le rughe iniziarono a sparire,
il viso diveniva liscio, le mani avvizzite tornavano levigate, le braccia forti
e quando arrivò a toccare la maniglia ecco che era nuovamente giovane.
“Come poteva vederti quell’uomo?”
– domandai dopo aver visto il ragazzo oltrepassare la soglia. Eros mi guardò e rispose:
“Io esisto in ogni forma e genere, quando gli umani mi vedono vuol dire che hanno capito ciò che sono
e se vogliono qualcuno accanto, perché l’uomo è strano, può stare solo o con gli altri,
vivere da sé o per altre persone, può arrivare a sacrificare se stesso
per amore o tutti gli altri per puro egoismo.
L’amore è altruismo, sacrificio e coraggio, caduta e rinascita.
Quell’uomo è rinato, ma non di certo grazie a me”.
“Quindi non è vero che riesco a vederti solo io. Riescono a vederti coloro
che ti riconoscono, è facile da dedurre, ma io non ti ho mai conosciuto”.
“In parte è vero, puoi vedermi solo tu, al momento è il tuo viaggio, ma
nel frattempo, diverse persone stanno intraprendendo un percorso con Eros.
Io posso essere ovunque e da nessuna parte, arrivo dove è necessario.
Inconsapevolmente tu avevi bisogno di me, te ne renderai conto alla fine.
Sai…con te mi sento più me stesso, più vivo oserei dire.
Ad ogni tappa del viaggio perdo un po’ più di ciò che ero.”
Sorrisi – ero senza parole – e lui fece lo stesso.
Continuammo il nostro giro, sempre tenendoci per mano,
la sua presa era salda e calda.
Notai che la sua forma corporea andava facendosi sempre più definita.
Mi domandai fra me e me: “Chissà come sarà una volta finita”.
Nel nostro cammino trovammo un’atra porta, che al suo interno
ospitava delle strade affollate e macchine impantanate,
strade piene di macchine che andavano in diverse vie, case, palazzi, grattacieli.
Vi erano numerose persone vestite con giacca e cravatta o tailleur,
ognuno col suo orologio al polso e valigetta in mano.
Una volta entrata mi guardai attorno, immediatamente mi si porse davanti uno scenario,
una donna esce in fretta di casa, dirigendosi verso il taxi, col suo tailleur rosa,
la sua grande borsa bianca, con all’interno il suo laptop,
lasciandosi alle sue spalle un ragazzo e due bambini. I due piangevano,
mentre il ragazzo tentava di consolarli, dicendo loro: “Non tornerà neanche oggi, la mamma,
ma ci sono io per voi, sapete che viene solo ad ogni compleanno”.
Inaspettatamente sentii la rabbia crescermi dentro,
vedere una famiglia sgretolarsi così fa male, proprio quel qualcuno
che dovrebbe proteggerli, i figli, da tutti i mali,
o quanto meno provarci, se ne va, ha finito il suo compito, ha adempiuto al suo ruolo.
Le mie gambe avanzarono e senza rendermi conto mi trovai dietro a quella donna,
corsi anch’io verso l’autovettura gialla e mi fiondai dentro.
“Perché li hai lasciati? – chiesi senza troppi giri di parole. “Cosa? Chi sei? Cosa vuoi da me?”
– si girò spazientita e sorpresa al tempo stesso.
“Perché li ha lasciati” – ripetei.
La donna mi diede ancora un’occhiata torva, si voltò a guardare l’orologio,
fece cenno di fermare il taxi e scese dall’auto, io feci lo stesso, le afferrai il braccio.
Fu costretta a girarsi. La guardai dritto negli occhi, glielo chiesi un’altra volta:
“Perché li hai lasciati? …I tuoi figli”.
“Ho troppo da fare, lasciami in pace ragazza, non so di cosa tu stia parlando”.
“Ho visto e sentito quanto basta, torni da loro solo per ogni compleanno
e dopo li lasci soli, quindi te lo chiedo un’altra volta, perché li lasci soli?”.
“I miei figli? Ah quelli non sono i miei figli, sono stati un intoppo,
tu che ne sai di loro?
Loro sono solo i figli del loro padre, quel povero stupido non c’è più,
era troppo debole e si è lasciato morire.
Io sono stata costretta a stare con loro, sono ancora minorenni sai;
ho sposato il padre per denaro e non intendo rinunciarci,
quelli non sono altro che
un ammasso di fastidiose bocche parlanti,
che blaterano la parola mamma più di quanto pensassi,
non fanno per me, sono una perdita di tempo”.
“Forse non hai chiaro il significato di perdere tempo, ti stai lasciando invece, inghiottire,
dalla valanga sabbiosa, dai minuscoli granelli che imperterriti
scorrono all’interno di una clessidra.
Hai lasciato la tua famiglia per appropriarti della montagna di denaro, rivelatosi fango,
ecco cosa fai, continui a trascinarti nel fango, convinta di nuotare nell’oro.
Hai dato troppa importanza al tuo lavoro
che ora non sei altro una vecchia signora con un mucchio di carte.
I castelli che hai costruito si abbatteranno giù con un soffio,
ecco come hai perso tempo.
Non c’è più una porta aperta per te, ma puoi tornare indietro,
riparare ai tuoi errori, abbracciare i tuoi figli,
perché non importa chi li abbia fatti, loro vogliono solo amore,
in cambio avrai il vero oro, ti accorgerai che era ciò che insegui da una vita”.
La signora non rispose, mi rivolse solo uno sguardo misto tra
stupore e divertimento, dopo di che rise; una fragorosa risata
si allargò nel suo volto,
come ad aver ascoltato solo balle.
Si piegò in avanti e si tenne lo stomaco con le braccia.
Io non capii, osservavo soltanto lo strano comportamento,
non c’era più nulla da dire, più nulla da fare.
Eros poggiò le mani alle mie spalle…
“Andiamo, qui non rimane più un briciolo d’amore, è tardi ormai”.
Sconsolata oltrepassai la porta, al cui interno conteneva il caos cittadino.
Andando avanti Eros puntò il dito e indicò due donne,
una in piedi e l’altra in ginocchio,
una vestita di tutto punto e l’altra con una giacca sgualcita.
“Questa è l’ultima volta che ci vediamo, ringrazia di essere ancora qui”
– sibilò l’elegante donna.
“Sono ancora qui e mi avete tolto tutto!” – gridò disperatamente l’altra.
Non vi fu altra risposta, girò i tacchi e se ne andò.
Esterrefatta mi avvicinai, la aiutai ad alzarsi e
le domandai cosa fosse successo, la donna in un primo momento non rispose,
vedevo la delusione nel suo sguardo, era affranta, potevo sentire
il suo dolore.
“Qualunque cosa sia io sono qui per aiutarti ”- continuai…
“Aiutarmi? Il mio tempo è finito qui, ho perso, ho voluto giocare
ed è tutto andato, è stato come giocare senza regole da imparare.
Non puoi aiutarmi!” – concluse camminando avanti e indietro nervosamente.
Ci fu un silenzio piatto, nessuno proferì parola, finché la donna riprese:
“Non so più cosa stessi cercando, sono giunta qui con una valigia piena di progetti
e l’ho perduta, sono arrivati altri uomini e donne a strapparmela dalle mani.
Quei progetti rappresentavano il sogno di una vita,
ero pronta a disegnare case per le famiglie e invece,
mi ritrovo rinchiusa in edifici che le strappano.
Mi piacerebbe tanto ritornare bambina, a quando i pensieri erano meno,
o non c’erano affatto, a quando non sentivo il bisogno di evadere
con la mente per stare bene, a quando, se si rincorreva qualcuno, era per gioco.
Ora invece, ho dovuto rincorrere quegli altri per vivere”.
“Quelle persone non hanno saputo comprenderti, o semplicemente
non volevano farlo, credevano di viver già felicemente.
Non devi più farlo adesso, rincorrerli intendo,
lascia andare l’appiglio che ti tiene legata a loro,
è come tenersi a una corda intrecciata di spine, per questo hai finito per farti male.
Quindi ti chiedo di venire a camminare un po’ con me,
condividiamo i sentieri tortuosi e i mondi meravigliosi che ho conosciuto.
Ti mostrerò che questa è solo una parte di tutto ciò che ti attende al di fuori.
Vieni con me, prendi la mia mano e saliamo in alto,
dimentichiamo la paura del vuoto, è ora di lasciare la tua prigione.
Non guardare in basso, ma solo in alto, verso il luogo che fa per te,
devi solo attraversare la porta davanti a te,
io posso accompagnarti all’uscita,
ma ciò ti porterà solo a metà strada, all’inizio sarà come sbiadita
e in salita, andando avanti, però, sarà più facile, basta fare un passo alla volta,
un giorno alla volta”.
Usciti dalla porta, la casa di vetro si frantumò e con esse tutte le altre,
come una reazione a catena, il loop stava ricominciando il suo giro,
le persone all’interno correvano disperate alla ricerca di un riparo,
dimentichi che accadrà di nuovo.
“Il nostro momento è arrivato, dobbiamo approdare in un altro luogo” – disse Eros
con aria tranquilla.
“Ma ci sono così tante persone qui, che ancora devono uscire
dalla loro condanna, dalla loro tortura,
vanno aiutati ad andarsene da questa vitrea altura”.
“Hai eseguito il test alla perfezione, proprio come mi aspettavo,
possiamo andare oltre”.
Mi accigliai e sconcertata domandai:
“Cosa? Era solo un test? Tutto quello che ho affrontato
da quando sono arrivata qui era solo un compito da fare,
mi hai preso per una cavia? Certo che sei sfrontato,
da te non me lo sarei mai aspettato.
Sentiamo cosa dovrei fare adesso, farmi trascinare in volo per un’altra isola
come una stupida illusa? Io ho sofferto e pianto con queste persone,
ho sperato per loro, ho anche creduto che tu stessi capendo un po’ più gli umani,
che siamo fatti di errori, sbagli, tristezza, felicità, sogni, rabbia, disprezzo, paura,
perdono e amore. Sì, nonostante tutto vogliamo conoscere l’amore,
crediamo di meritarlo, anche se siamo sporchi e feriti, perché ci rende vivi”.
“Ma se fino a prima d’incontrarmi non sapevi neanche cosa fosse l’amore!”
– fu diretto e coinciso quell’Eros.
“Già, ho conosciuto molte sfaccettature dell’amore grazie a te!
Tante grazie! Adesso sto molto meglio, puoi tornare da dove sei arrivato,
il mio viaggio finisce qui, non voglio più starti a sentire” – risposi gettandogli contro
l’amara risposta.
“Devi venire con me, non puoi rimanere su quest’isola, so che sei arrabbiata e mi odi,
mi dispiace, ma è così che funziona, è il compito che mi è stato imposto.
Sarò destinato a rimanere qui per sempre, a vagare per queste terre, in solitaria,
se non lo concludo,
mi tarperanno le ali, quindi ti chiedo,
per favore, vieni ancora con me, un’altra volta”.
“È questo che ti spaventa? Rimanere su questa Terra, dove vivono i miseri umani,
così sfortunati da ricercare il pezzo mancante di cui Zeus li ha privati
– parlai ironicamente –
che cosa brutta dover perdere le ali, mentre qui, ogni giorno ci sono umani
che dall’alto si trovano improvvisamente scaraventati al suolo,
piegati, schiacciati dai più forti! Tutto questo ogni singolo giorno!”
Eros non proferì altre parole, mi prese con forza tra le braccia
e si levò in volo.
“Lasciami! non toccarmi” – tentai di divincolarmi dalla presa, inutilmente.
“Mi dispiace, ma devo” – sospirò l’angelo, atterrando sul vascello.
Mi allontanai delusa e arrabbiata, non riuscivo a guardarlo.
Lui per parte sua, si avvicinò con aria afflitta e seria al timone,
virò la nave e prese il largo.
Il vento iniziò a soffiare contro la vela, prima debolmente e poi
sempre più, notai che Eros stava avendo difficoltà a gestire il timone,
mi avvicinai e flebilmente pronunciai:
“Sai… non dovresti fare ciò che qualcun altro ti impone”.
Il ragazzo stette in silenzio e guardò davanti a sé:
“Sposta quelle vele, il vento sta andando a nostro sfavore” – sentenziò.
Mi avvicinai all’albero maestro del veliero, slegai il nodo, lo portai in tensione
e corressi l’andatura della vela; mentre riavvolgevo la corda
piccole gocce mi bagnarono le mani,
alzai la testa, un cielo grigio e scuro era in avvicinamento.
Delle nuvole cariche di pioggia ed elettricità, dipinsero di nero il mare
e poi le cose peggiorarono, il vento divenne più forte,
in lontananza si vide qualche lampo, le gocce di pioggia si fecero insistenti,
battendo sempre più violentemente contro il suolo…
Il vento ti trascina, devi reggerti forte,
i lampi ti abbagliano e i tuoni ti assordano.
“Senza volerlo siamo finiti in un territorio che non avrei mai voluto rivedere,
siamo nelle isole Strofadi, la dimora delle mitiche Arpie,
mostri alati e terribili, con testa, busto e braccia di donna,
il resto di uccello, con gli artigli pronti a strappare ciò che luccica.
Per ciò che luccica intendo che afferrano solo ciò che gli interessa
o che vogliono togliersi di torno, come un fastidioso moscerino.
Non esiteranno a spezzarci nello spirito,
riescono a vedere le nostre più profonde paure” – disse Eros a gran voce,
per poi virare a tutto tribordo il timone, nel disperato tentativo
di sfuggire alla violenta tempesta.
Mi aggrappai ad una delle corde che tenevano salde le vele, per non cadere,
vidi avvicinarsi delle strane creature con la coda dell’occhio,
arrivarono sopra le nostre teste in un soffio,
sembravano dei veri e propri rapaci, con la testa di una graziosa donna,
ma non appena aprirono le bocche intravidi la lingua da serpente.
“Cosa volete?” – domandai senza esitazione…
“Oh, ma non ti presenti neanche, dove sono finite le buone maniere,
i giovani di oggi hanno perso i valori di un tempo, dico bene?”
– disse una rivolgendosi all’altra con un mezzo sorriso.
La seconda non rispose, si limitò ad un cenno d’assenso.
“Vedo che accogliete bene dalle vostre parti gli stranieri,
con un rumoroso e festoso spettacolo, molto lampeggiante direi,
manca solo un tocco di classe, dove sta la fregatura?
Chiedo scusa se parto prevenuta, ma ho avuto a che fare con esemplari del genere”
– rivolsi un’occhiata al ragazzo alato, tornando subito
a guardare le due strane creature.
“Vedo che hai già conosciuto Eros, ma
permettici di dire che non abbiamo creato noi questa tempesta,
sei stata tu, anzi siete stati voi…
con la vostra intromissione nell’isola di cristallo,
avete seminato il caos, tutto doveva restare com’era.
Invece tu, ragazza, hai voluto salvare l’insalvabile”.
“Sì, l’ho fatto, ma alla fine si è rivelato tutto un compito,
un test per accertarsi di non so cosa,
mi ha preso in giro e fatto vuote promesse,
raccomandandomi di tenere lontano coloro che si comportassero in tal modo,
e invece lui è stato il primo”.
“No, no, aspetta, stai sbagliando tutto, io non ho mai voluto prenderti in giro,
quello che ho provato era reale, ma ho dovuto portarti lì, in quell’isola,
era il mio compito ed è vero che il nostro viaggio non è ancora finito”
– si avvicinò verso di me sconsolato.
“Non hai ancora capito? – s’intromise uno dei rapaci in volo-
quello stupido mezzo angelo, ormai non è altro che umano,
se vuole tornare al suo essere primordiale dovrà allontanarsi da te,
rinunciare al suo sciocco gioco, non è solo questo in fondo?
Lo ha fatto e continua a farlo solo per divertimento,
questa è la nuda e cruda verità, noi non facciamo altro che tessere
e unire le fila della verità, spezzate dell’inganno.
Eros è al servizio del Tempo, non è colui che lo resiste,
al contrario, lo teme e fa ciò che gli chiede,
nel tuo caso, caro Eros, il tuo è scaduto,
ti sei divertito a raggirare quest’umana,
il tuo compito è finito.
“Siete delle arpie velenose, avete barricato la nostra traversata,
ma non lascerò che diciate altre cose sul mio conto,
io sono venuto con uno scopo, all’inizio era un gioco,
ho fatto il gioco del Tempo, ma ho trovato il coraggio di ribellarmi,
adesso so che qualcuno può amarmi.
Non premetterò che le vostre lingue infette stravolgano il vero”
– distolse da me l’attenzione Eros.
“Noi siamo le uniche sostenitrici della realtà e verità,
l’unico a mentire se tu, ti ostini ad essere ciò che non sei,
non amerai nessuno, sei solo una pedina che ne muove delle altre,
è stato questo il prezzo da pagare per essere un dio.
Rappresenti solo i desideri e la passione del corpo,
sei funzione diretta di un potenziale di desiderio.
Non fai da filo conduttore tra mente e cuore,
senza questo non puoi definirti completo, per questo
per noi, non sei altro che un mezzo angelo, un mezzo dio!”
– sibilarono, per poi allargarsi, nelle loro facce, una gracchiante risata.
Ad un tratto in mare le onde cominciarono a farsi alte e impetuose,
in cielo si liberò un forte boato,
la nave cominciò ad oscillare fortemente.
“Il momento è giunto, devi fare la tua scelta Eros,
se scegli di rimanere in questo mondo sai cosa ti spetta,
sai bene che non sei fatto per amare”
– riecheggiò una voce stridula dall’alto.
“Eros, non dirmi che pensi di andare sul serio…” – mi volsi a guardarlo.
“Non ho molta scelta, sapevo a cosa andavo incontro, una volta infrante le regole.”
“È così che fate dunque, manipolate e poi strappate,
sradicate le certezze e fate leva sulle insicurezze.
Eros avrà anche iniziato il tutto come un gioco, ma io credo davvero che voglia resistere al Tempo,
credo che possa infrangere le regole,
credo che possa amare.
Io l’ho visto il suo sorriso,
ho sentito il suo tocco… manca ancora qualcosa nel suo viso”
“Il colore dei suoi occhi vero? Non puoi sentire neanche i
battiti del suo cuore. Non è colpa tua, è stato fatto così,
lui non è altro che un mezzo per rendere docili e servizievoli
gli umani, dandogli l’illusione di essere una famiglia,
una comunità, una società. Illudendoli di poter raggiungere la felicità,
soltanto trovando la persona che riesce ad essere, in qualche modo,
simile a ognuno di loro” – parlò la creatura volante in cielo,
con finto sconforto.
“Non credo a nessuna parola, sono convinta che Eros possa essere chiunque voglia,
possa ridere e piangere come tutti gli altri, che possa lottare per i suoi sogni”.
“La convinzione è solo un effetto collaterale dell’illusione,
non ti porterà da nessuna parte, prima te ne libererai, prima potrai tornare
a vivere” -tentò di essere docile l’arpia, ma si notò subito
lo sguardo folle e malvagio.
“Torna nella terra ferma e non cercarlo”.
Detto questo l’arpia si levò in alto nel cielo e sparì.
“Devo andare, questo mondo in fondo non mi appartiene,
ho commesso un errore a trascurare il fattore tempo
e adesso dovrò accettare la mia punizione,
la mia sconfitta, ho scelto io di essere quello che sono,
io ho fatto in modo che il Tempo avesse il mio cuore,
per non sentirne più le ferite, farai meglio a dimenticarmi”.
Una volta concluso il discorso, mi salutò con un cenno,
spiegò le ali e se ne andò.
“Sei triste non è vero?”
sei triste perché ti senti sola e incompresa,
da quell’estraneo che ormai è diventata parte di te,
ti viene da urlare e gridare, spaccare muri e finestre,
perché pensavi di non dover più indossare una maschera,
pensavi di poter essere, finalmente, te stessa,
ma lui non ha lottato per restare, quindi ora,
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senza ulteriori indugi, la prendi fra le mani e la indossi,
ancora una volta, dipingendola di indifferenza
ed aggiungendo un tocco di finta risata.
Entri in tutti i ruoli possibili, dei vari personaggi che
hai creato: si fa ciò che serve per restare in piedi,
nessuno vuol mostrarsi debole,
specie non davanti a colui o colei,
cui abbiamo mostrato già le nostre vulnerabilità, paure ed incertezze.
Non si può fare lo stesso errore due volte.
Non so per quanto tempo rimasi rannicchiata in un angolo del maestoso veliero.
Non sapevo da che parte andare, ero rimasta senza una meta.
Forse io e lui siamo destinati ad essere una di quelle coppie
che stanno meglio distanti,
come due poli opposti,
come Mercurio e Nettuno, uno incandescente, l’altro gelido.
Le aspettative illudono,
le persone deludono,
anzi gli angeli deludono.
Non ci sono sconti né falle in questo gioco,
si mette tutto in gioco,
i sentimenti, le ansie, le paure e l’anima.
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Non ci sono trucchi con l’amore.
Presa dalla rabbia, dopo un interminabile silenzio
gridai:
“Avevi detto che saresti rimasto…
Mi hai ferito proprio tu,
proprio quello che si è dichiarato essere solo il mezzo per scagliare la freccia fatale,
sei andato via proprio quando ho dato al tuo volto un nome.
Che ironia!
Allora è questa la vera faccia dell’amore,
il vero volto di Eros,
che ha creato un muro impenetrabile, indistruttibile,
si è arreso di fronte alle difficoltà,
ha scelto la via più facile,
raccomandando proprio a me di non farlo.
Ero così vicina a te e adesso, così lontana,
siamo come sconosciuti seduti uno accanto all’altro.
Provo rabbia e disperazione, è come essere andati cento passi indietro.
Non mi degni più del tuo sguardo, la prima cosa che mi ha permesso di conoscerti,
non posso più tenderti la mano, non posso più vedere il tuo sorriso;
anche se non sei umano, anche se il tuo corpo non ha forma
io posso renderti tale, posso dare ai tuoi occhi un colore e al tuo petto un cuore.
È questo il peso dell’amore? Le sue conseguenze?
Non pensavo fossi capace di distruggermi.
Ricordi quando dicesti che era necessario essere feriti affinché si potesse guarire?
Era tutta una messinscena, io sono ferita, ma il dolore non passa”.
Posso sentire il vuoto che dilania dentro, si fa spazio e divora il vecchio bel ricordo,
sostituendolo con disprezzo e risentimento.
Ti estranea da ciò che davi per certo, da ciò che eri, ti rende una persona diversa.
È come essere davanti ad una scacchiera, in stallo,
non si può neanche dichiarare una patta,
ogni mossa è stata fatta
e sei qui a cercare di rimanere intatta.
Il Tempo ha avuto la meglio su tutto e tutti,
ha creato una distanza insormontabile,
si erge sul suo trono, promettendo che ogni male è curabile,
ma non ha fatto i conti con la tenacia degli umani
creatori essi stessi, dei giorni, delle ore e dei minuti.
Si sono fregati con le loro mani,
ma
possiamo rimediare cancellando la linea temporale,
eliminando il ticchettare dell’orologio e smettendo di dipendere da esso.
Mostrarci per come siamo, esaltando le nostre fragilità,
al posto di nasconderle, in un mondo che esalta la notorietà.
Smettiamo di usare smile per mostrare la felicità
e troviamo un modo per andare avanti, accettandoci come siamo,
non possiamo permettere che il tempo domini le nostre vite,
scavalcando l’Amore.
L’amore spesse volte è imprigionato in un angolo buio del nostro mondo,
e senza rendercene conto
è lì per colpa nostra, siamo noi che, in fondo ci dimentichiamo di lui
e quelle volte tocca a noi salvarlo dalla solitudine,
nonostante ci avesse chiesto di dimenticarlo.
Tocca a me, dunque, salvare Eros…
Mi alzo in piedi e vado verso il timone,
e pur non sapendo dove andare, per la prima volta non ho timore.
Le nubi si diradano, la superficie del mare increspa contro il veliero
e lo sospinge in avanti, mentre il vento inizia a soffiare,
la vela si gonfia e un altro viaggio sta per cominciare…
Quando tutto sembra finito non basta fare altro che trovare un nuovo inizio.
Non importa non sapere la meta, importa iniziare,
Il resto si trova strada facendo,
come quando si devono rimettere insieme i pezzi di un puzzle,
si comincia dai bordi e poi, piano, piano
si vanno inserendo i pezzi mancanti,
fino ad arrivare al centro,
come un andamento a spirale,
un giro che ti trascina verso il suo epicentro,
verso un posto sconosciuto, un luogo astrale,
quella zona posta sopra l’ipocentro,
proprio dove tutto può rischiare di frantumarsi improvvisamente,
dove si può rischiare di perdere, distrattamente,
il pezzo per completare il puzzle,
per finire il gioco.
Si deve correre il rischio e lasciare fare,
gli ostacoli sono solo incidenti di percorso;
come disse qualcuno…non possiamo imparare a volare se prima non cadiamo.
Magari, durante la nostra caduta verso la spirale, durante un intoppo
riusciamo a trovare quel pezzo mancante, per caso, guardando nelle nostre tasche,
chissà come c’è finito lì… Ma non è questo l’interrogativo fondamentale,
tutt’altro, è banale
e allora ti dai un colpetto in fronte e ridi per la tua sbadataggine,
ti rendi conto di averlo avuto sempre con te,
tutti i tasselli tornano al loro posto,
il puzzle si completa.
E mentre vado avanti tengo insieme i pezzi di cuore che mi restano
con la speranza che fa da collante,
con la speranza di trovarlo.
La grande nave va avanti senza una rotta fissa,
lasciandosi cullare dalla grande pianura celeste e spumeggiante,
non c’è accenno di terra ferma in lontananza,
mantengo fissa la rotta ad oltranza
e mi domando se basti la sola speranza.
I dubbi cominciano ad affiorare, a tentare…
Passano le ore e si fa buio, l’unica fonte di luce è la luna e
dall’altra parte, volgendo in alto lo sguardo,
una brillante stella polare sembra voler indicare la strada,
Procedo in quella direzione, lasciandomi l’intera traversata alle spalle,
non sapendo cosa mi attendesse davanti, poiché il futuro è incerto,
è come un libro mai aperto,
non sai cosa ti riserva,
sta lì riposto e pur essendo inanimato, in realtà, aspetta, osserva.
Al di là sembra estendersi una valle,
ma non verde, né fiorita
non tersi cieli, né vita.
Si estende un’oscura radura, con alberi rinsecchiti,
privati della loro linfa vitale,
il cielo è coperto da intense nubi temporalesche
e si erge un’ombra solitaria, placida, non si muove.
D’improvviso
un fulmine fuoriesce dalle nuvole e illumina il suo volto,
mi colpiscono i suoi intensi occhi azzurri. Era serio,
aveva uno sguardo truce e penetrante,
tanto da scavarti dentro,
ma quegli occhi…era come se fossero stati sempre suoi,
nonostante Eros fosse indefinito, indecifrabile,
quello avrebbe permesso a chiunque di riconoscerlo.
Quell’uomo però, non era affatto Eros,
non aveva delle fulgide e candide ali,
non indossava una veste talmente bianca
da allontanare tutti i mali,
ma un completo nero,
di un nero intenso da permettergli di confondersi in quella desolata valle.
Mi avvicinai a quell’essere, fermai la nave,
mi appoggiai al bordo del veliero e avanzai verso una sporgente trave.
Lui mi guardava, non proferiva nessun suono
ma vidi cambiare le sue labbra, che
da una linea retta passarono ad un sorriso sghembo
ed emisero flebili, ma chiare parole:
“Sei arrivata al mio cospetto, alla fine, ciò che cerchi è ormai perso”.
Lo guardai spaesata, non sapevo chi fosse, eppure lui
sembrava conoscermi bene,
infatti, dopo aver parlato si avvicinò,
si stanziò davanti, era più alto,
tanto da oscurare quel debole bagliore solare in lontananza.
“Ci sono io al suo posto, il nemico fatale che mai avrebbe voluto rivedere,
sono il Tempo e questo è il mio tempio,
dove nulla si crea e nulla si distrugge,
in continua evoluzione, in uno stato entropico,
che mai potrà tornare al suo stato originario,
sono le leggi della natura, mi trascendono,
da me non dipendono.
È qualcosa di arcaico e arcano, come il silenzio della notte,
dove le stelle parlano, per chi sa ascoltare…”
– disse con fare eclatante, senza spostare gli occhi dai miei,
come a volermi leggere i pensieri.
“Perché mi trovo qui?”
– riuscii a domandare solo questo.
Una semplice e banale questione, ma per me
aveva un’estrema importanza.
“Perché hai cercato invano vuoi dire…quell’angelo caduto,
è lui che cerchi no? – fece il finto vago –
ha agito secondo le mie direttive, pensando di potermi spodestare,
ma alla fine è tornato con la coda tra le gambe,
è giunto subito qui all’ultimo squillo di trombe,
questo è il solo luogo in cui può stare,
bramava la luce del sole ed ora si trova dietro le sbarre,
dove niente e nessuno lo potrà distrarre!”.
Scoppiò in una fragorosa risata
Io lo guardai spiazzata, non sapevo bene come reagire,
avrei voluto ribattere, ma ero come bloccata.
Le mie mani tenevano saldamente una delle corde ancorate,
stringevano forte, come ad aver perso sensibilità,
potei solo fare un verso di stizza.
Il Tempo fece un bonario sorriso,
ma si rivelò artefatto
e continuò: “Devi accettare il corso degli eventi, voi umani siete deboli.
Io servo ad orientarvi, a volte…il più delle volte mi diverto a far il contrario
– e alzò le braccia in segno di ammissione di colpevolezza –
è importante che tu giunga ad una piena consapevolezza
di ciò che sei,
di ciò che fai,
è ora che tu ti chieda come sei giunta qui e non illuderti,
non è stata la speranza, mi spiace deluderti”.
Mi ricomposi, lo osservai ancora una volta,
era solo un ragazzo con due orologi che gli pendevano dal collo.
Scesi dalla nave e nell’avanzare verso di lui dissi:
“So che sembra assurdo, sono state le stelle a guidarmi
ed il mare a cullarmi
forse è ora che tu e tuoi orologi vi mettiate da parte;
è tempo di coltivare ciò in cui noi umani crediamo,
ne ho abbastanza che il Tempo lasci sfiorire i sogni,
noi umani non possiamo concederci forse il lusso di credere?
Vuoi tanto sapere come ho fatto a capire la giusta strada, vero?
Parli tanto ma osservi poco,
non ti sei reso conto che non sei altro che un guscio vuoto.
Se proprio vuoi saperlo, ho capito che non sono qui per Eros,
sono qui per me,
in fondo
non si sa realmente cosa si cerca fino a che non la si trova,
ho trovato desolazione e morte intorno,
ma non è l’esterno a cui devo prestare attenzione,
io sono viva,
sono viva dentro,
so bene che nulla è eterno
di certo non per te, anche per te arriverà la fine,
ma sai cosa tiene vivi noi umani?
Per quanto deboli possiamo apparire,
siamo padroni di noi stessi e continuiamo ad accettare Eros,
in tutte le sue forme, lontano o vicino che sia,
reietto od emarginato, continuiamo a tenerlo stretto,
teniamo stretta quella rosa e la accettiamo con tutte le sue spine,
anche se sappiamo che ferirà le nostre mani,
anche se siamo solo umani.
Io sono arrivata qui, in quest’altra dimensione perché lo desideravo fortemente
Perché volevo conoscere il famoso fattore tempo,
colui che ha interrotto il mio viaggio,
anche se l’ho capito in questo preciso istante.
È buffo come le parole che spesso pronunciamo si riferiscano a te,
sei un po’ ovunque, ma tendi a soggiogare tutti:
angeli, demoni o umani che siano.
Perché?
Ho capito che siamo noi uomini a definirti
– parlai cercando di precedere le sue riposte –
anche se tu hai trovato il modo di ergerti al di sopra delle nostre teste,
non governi da sempre, è quello che hai ritenuto necessario fare,
confinato in quest’oscurità, al di là della bellezza visibile.
Ma ancora ti chiedo, perché?”
Il ragazzo dai lunghi capelli bianco cenere parve scomporsi,
sciolse le sue braccia formanti un incrocio e
poggiò le mani dietro la schiena, tirò un sospiro,
sembrò come sollevato, infatti sorrise,
avanzò ancora verso di me e finalmente parlò:
“Io non sono proprietà di nessuno,
sono stato usato, umiliato, degradato,
cercato per scopi effimeri e consumato in futili azioni,
voi sciocchi umani siete soliti pensare che le mie clessidre abbondino,
che i granelli scorrano indefinitamente e le sprecate.
Perché, dimmi perché non dovrei fare lo stesso con voi?”
– mi fissò con uno sguardo truce.
“Questa guerra va avanti da troppo tempo,
bisogna che qualcuno si tiri indietro,
pensavo fossi un cumulo di rabbia e cattiveria,
però adesso, noto che sei accecato
dal risentimento, dall’odio, dal rifiuto.
Dev’essere frustrante tirare avanti senza poter
toccare la terra sotto i piedi,
senza poter ammirare le stelle,
correre tra verdi prati,
dato che sei circondato da rovine antiche e alberi senza vita.
Voglio mettere da parte il risentimento che provo per te
voglio ricominciare, finalmente so chi sono
e qual è il mio scopo.
Trovare Eros non lo è mai stato, il mio fine,
dovevo trovare te, riportarti agli antichi albori…
Eros non sei altro che te, un alter ego creato da te,
vuoi sapere come ho fatto a capirlo?
Nel breve tempo trascorso insieme
lui non mancava di stabilire un contatto
mi tendeva sempre la mano,
non sapevo quale fosse il colore dei suoi occhi,
ha però, il tuo stesso sguardo e tu, come lui,
non manchi di perdere il contatto visivo con me
vuoi la mia attenzione, ma hai paura,
di fidarti, temi sia troppo, che tu possa superare i tuoi limiti,
per questo hai scelto di andartene,
prima che i sentimenti prendessero il sopravvento,
prima che colmassero il vuoto che hai dentro.
L’hai portato troppo a lungo, che vederlo pieno
non ti farebbe più sentire te stesso, dico bene?
– e continuai –
tu diresti che è solo il tuo tirapiedi,
l’amore, il cosiddetto Eros,
mentre,
io con una quasi ovvia calma risponderei,
cosa vuoi che sia l’amore:
è fuggevole e incanta,
è un orologio molle di Dalì, un carpe diem di Orazio
un bacio rubato contro le porte della notte,
con le stelle appena sorte.
L’amore è un momento,
un momento che non può sussistere senza una forza e un braccio.
È il Sole che rincorre la Luna,
è imparare cosa c’è nell’altro,
non che sia di facile comprensione,
è spogliarsi di ogni idea che costruiamo dell’altro
per lasciare spazio alla scoperta, che
ci dà occasione di scoprire chi davvero siamo”
– conclusi annullando le distanze e lo abbracciai.
Lui non ricambiò, ma sentii delle calde lacrime bagnare le mie spalle.
Mi staccai dall’abbraccio, indietreggiai e lo guardai;
aveva il viso roseo e rigato da quelle lacrime,
vidi le due collane segnanti l’ora cadere,
come due pesanti catene, al suolo,
il suo volto pallido e segnato da profonde occhiaie
tornò come prima, il suo corpo vestì nuovamente di bianco
e le sue ali si innalzarono.
Tutt’intorno divenne di un verde acceso,
la valle si riempì di vivaci papaveri rossi
ed il sole tornò alto nel cielo.
Dopo di che il ragazzo alzò la testa e disse:
“Lo conosco, l’Amore, fa parte di me, di ciò che avevo dimenticato,
è terribilmente bello e spietato,
così leale e onesto, ma ha altri lati, altre conseguenze,
è un guerriero, colpisce quando si sente attaccato,
quando è circondato, quando non ha vie di fuga,
usa l’ira e la follia per difendere l’amante o l’amato,
o ferirlo, ma anche proteggere e curare.
Tu hai avuto il coraggio di restare,
ed è tutto quello che cercavo.
L’amore si vive avanzando e si comprende fermando,
restando immobile per trasformare, per guarire il dolore
e per abbracciare la paura di perderlo,
mentre ritrovi in te la gratitudine, la felicità e il semplice saperlo felice.
Sì, ho sentito le tue parole, in fondo, volevi solo che io fossi felice.
Non esiste amore in altra forma, non esiste amore che trattenga,
non esiste amore che non sappia fidarsi,
che non sia disposto a lasciare andare.
Ascoltare colui o colei che si ama è capire l’altro lato di me, il Tempo.
È resistere alla tristezza,
accettare l’incertezza,
accogliere l’altro nella sua pienezza.
È apprezzare ciò che davvero è l’altro.
Hai urlato di essere disposta a darmi un cuore,
ecco,
senti come batte
-fece a porgermi la mano sul suo petto e proseguì –
è così chiassoso e implacabile, tanto da distruggere ogni segno di incertezza.
É scoprire che l’amore non era punto di arrivo e non era neppure la risposta,
perché l’Amore era il viaggio ed era la domanda.
Tu hai capito bene il mio gioco,
hai visto che brancolavo nel buio e mi hai ricordato ciò che ero;
stavolta mi hai guidato tu, al di fuori di questa nera valle,
perché l’Amore trascende il Tempo e si nasconde dietro il suo viso,
si fondono insieme fino a diventare tutt’uno,
l’uno non esiste senza l’altro
e solo facendo pace col Tempo puoi tornare ad avere l’Amore.
Quest’amore è la tua salvezza e la tua condanna, perché è vero.
Solo quando è vero è capace di tutto questo”.

Giorgia Ferrante
21-12-2021