Responsi
Si dice fede e salvezza
eppure le guerre ci sono,
forse dalla chiesa tra altari d’oro
sul nasconder la storia a preservarsi.
E i nostri nonni abbigliatisi guerra
per fame l’ordine eccelso adornaron
sì brande di ori con tatto cullarono
cari custoditoci la storia in dimore
poi preti per renderle grazia
battezzan dal legno logoro
tantò di fecondia senza collane
come a trovar beatitudine fra incertezze.
Ormai le macchine scorron paesaggi nel chiasso
dove sì scale consumaci ritmi veloci
abbàgliami il cuore,
ancora riflette quest’aria a trovarti
lungo pelle
denuda sul tremor d’anelito vedute
lontan dal sapor di palazzi,
eppure le guerre ci sono e
nessun prete battezza danari
tra invidie sì miseria sanguina
genti alla deriva sorge luce
fra argini s’annebbian speranze
mi disfacion dentro vergogne
si sperpera il peccato
credi ti brucin la storia o il passato?
Capisco che vento sì immensità angelica
ansa chiarezze per tramonti d’albe diverse
allora incapace ad immortalarsi,
lo scruto con gli occhi d’un fuoco
svanire nei suoi istanti.
Persi
Mordi le labbra di pioggia
e fruscia l’indifferenza
dai sudori in ghiaccio fra le rughe,
sentila viviamo,
queste occhiaie alba del cuore
sui frammenti agli anni nel vetro soffiato.
Adesso respira,
le profonde notti tra luce soffiano credimi,
per la solitudine quest’aria non conterà
più i tempi con brina.
A luce spenta
Lo chiederei da raggi rosei
all’assentarcisi smorfie ancor genue
le città
riflessesi imposte sulla pelle
per solleticarsi nel mattino poi tenue.
Posso
lungo questo percepirmi
eclissi di crepuscol sì
palazzine svestite ombra
così
già non ricordar,
l’emozione arrositasi cielo
tra gote riguardatesi velo
come il brivido storditosi donna
su lenzuola stropicciatesi in terra.
Eppur laggiù
l’impressione smarriscesi sensi
per dissonanti entità
da transumànasi spettri e ràdiasi
trombe di pendulo strìdesi
col riconoscersi
se quell’albore ansa
fra fronde ormai spoglie
fino a scoprirci,
fino a scoprirsi.
Amaryillis belladonna
Sotto la veste,
allo sfiorire dei miei anni,
forse le tue grazie
sapranno ancora accarezzare
tali petali
avvizziti
colti
da quel giardino
che distende
medesimo,
senza sospiri
lasciati agli eventi,
da una tempesta di primavera,
credimi
saranno i venti
a portarci il fiore.
In merito d’alba
Saranno queste strade un giorno
le stesse case a staccar palazzi dai parchi
poi vetrate le medesime che ci specchian
nella fretta fra attimi sintomo del respiro,
sì d’immagine tra l’incerto
ripercorre ormai solita per offuscar
sui fumi d’altre sigarette il dileguarsi
come a smarrirci con ironia nei secondi
per sorger dai minuti primavera perpetua
e lì mi perdo,
quando fra dolcezze sì anni al gocciolar
foglie d’inganni lungo sentieri sgombri
nuovamente sussurrerai “non cresciamo mai”
sì viva risposta librar tantò di vecchiaia farà.
Semplicemente l’attimo dallo splenderci
preziosi nei portavalori
mentre il sole s’accende tra sospiri su venti di tramontana
col dipingermi cielo d’egual maestria capirò.
IRONIA (e non capivo)
Credimi il mondo ci vuole
per foce lungo il mare leggere onde
parole al precipizio,
lo insegni incapace nell’afferrarle e
mentre piovono strabocchi gli argini
dalla sorgente eppur sbiadisci
lungo il principio,
s’figura dove ancor
la feritoia tra sì di scogli
cela la costiera
così aggrappa la dolcezza il panorama
sul perchè della gioia
con sguardo bambino,
egual pianto le tue risa
scorri fiume dove genti
circostanti scansano le acque nel lambirsi
sponde fra perverse curiosità
su si continui scorci
lungo il tuo orizzonte
ti spinge al suolo ormai distante
per svanirsi ponte questo corso
poi cielo,
l’avresti mai detto.
IL MERCATINO D’OGNI SANTO A SPASSO
Solamente spreconi tra il feto di
schifo,
questo sorcio vomitato.Si presenta
la discreta serata e tanta luce dai viali
“vendiamo mercati infetti gente”
usato logori e vuoti
poi queste feste melodiche botti,
altre cantilene bambine per filastrocche
che voltano “dai svelto”
l’ubriacone storto sul sorriso sdentato,
nicchie lungo vicoli vecchie cantine
d’asfalto
nella farmacia aperta sì pasticca smodata
regala bicchieri con calma,alla vostra destra signori.
Mentre facce genue ingialliscono sulla
fotogenica
fra aperitivi noia da puzza del naso per
bene
magari di tanta gioia quali al
ritrovarsene in mente
stupefacente,ora signori alla vostra sinistra.
Spalancate boccacce impegnate s’incoraggiano
così
delicate come minacce truffaldine con
decise parole
sì seriale la mostra di discorsi arguti
le incolla tra sospiri nasali ad ascoltarli
cani,
serrano i musi dal nascondersi il rigetto,
senza spiegazioni,maiali vomitano uomini lì
perchè forse sarà meglio persi,chissà
se lo straccio del cantuccio beve
la giornataccia o
ancora rimbomba la parolaccia sopra il
coccio
lungo sere “quel volgare imbecille”
lancio probabile compagnia mirabile
bevitore.
MANCANZE
Chissà se torbidi ruscelli mi strinsero a te
quando si miseri stracci ne lavava di singhiozzi
un abbraccio candido e ignaro lungo limpide acque madre
sull’infangarci le radici come aridi arbusti spezzati ormai stanchi,
se quel fiume sbocciò sopra il cielo dei miei occhi
come una nuvola dallo svestirsi l’aurora gaudia
colora i giardini in fiore tra giornate cupe,
se il mirarsi infondo fu l’eterno valore del seno o
sì dolce riflesso un amor che ancor grembo sfiorì.
Forse mi svelai al tuo fianco
per il crepuscolo d’una primavera si spalla fra lacrime
mai t’appoggiò con volte tanto lontane
dove perderci su boreali guazze
già sorta una calda luna nelle mie notti,
poi lungo il mendicare da vuote bussole
un qualche miraggio di seta persi i cardini,questo splendore.
Spoglio soffiò l’inverno sulle carni ed era freddo,morto,
ma tiepidi mani mi colsero polline ai poli
mentre contavo la brina,
rombò la tempesta uno squarcio immortale,
l’eco d’un rosato sorriso così per semplicità,
eppur le stagioni s’erodono come vetrate
sotto la pelle fra rughe d’affetto e valore,anime raggrinzite,
in vostra memoria nonna e le ero vicino sull’accostarci
schegge dei venti dove sì fondo letto scioglie antichi corsi
tra le nostre più intime ferite.
Adesso la gente s’muove nella fretta
mentre sguardi fuggono passi vaghi all’alba,
poco di voce distoglie dallo smarrirmi la folla
per il tetro riflesso della luce metropolitana e
quasi sferraglia il treno,
affianco un solitario autunno di rimorsi
forse ti sono stato vicino.
DIAMANTE
Guardo appena oltre il mar
dove l’occhio da sì colli sfoca vitreo
lungo paesaggi carsici
respirano piano,
ancor di vago desiderio,un brillore
qual serena mi smarrisce leggero,
eppur l’aria è carne
che sanguina tra le nuvole
mentre sorge dolore fosco ci trattiene la mano.
Tiepido autunno,
con quante foglie sdruccioli a pozze
per strada smemorato
poco sotto i marciapiedi appassite,
goccia soffice nei parchi
sulle panchine rugiada
quando l’inverno le carezza maturo,
lì lontani orizzonti si screpolano
questo mio tempo passeggia ormai solo.
VUOTO E SETE
Un bimbo dagli occhi scuri
dal suo cromosoma mancato
mi ha sussurrato in un bacio
con la sostanza d’un sorriso
che l’oblio sprofonda vuoto:
“una infinita vaghezza”
mentre tralascio arido le mie radici
quando schivo distante i tuoi spalpiti,
labbra e pupille:”guarda l’abisso emerge
colmo d’una sconfinata pienezza”.
NEL SUO ORGASMO
Prima dell’uscio né bagliore dal riflesso l’occhio,
il sudore ci erge su vasti giardini
oltre la soglia quel vano custodito
fra rovi lungo la schiena origami che segno,
è con le unghie ti slego sincera
il corpo sviene e goccia il capo chino
ancora l’ultimo sguardo schiara
un petalo si abbandona al tempo impreciso.
INSENSIBILE
Purchè abbia splendore
lungo il cielo azzurro di sale
tra il brillore luce del sole
accanto la pupilla
vola questo bruzzico nel sorriso
alle foci del canto pensiero,come svampi
sull’appiattirsi oceano senza dighe
lanterna per soliti ricercatori,innaturale
s’apre calda e sanguina a me immemore
un dolore né malattia sorgente
che possa evaquarlo il tremolio carnale,
lì sopra mi dilaga assai gaia
l’ignota screpolatura.