Giovanna Manfredi Gigliotti - Poesie

Giorni dei Nebrodi

(al prof. Cono Benedetto)

Nell’estate veglia, senza crepuscoli né aurore
(mentre la bella Eco, respinta, si nasconde
e le ninfe e i satiri con i tirsi)
L’Apollo luttuoso del giallo che non luce
(dove per i salsi abbracci di luglio
e meteore di guance abbronzate e stelle,
l’onda azzurra ritorna).
Al flutto spumoso di tempesta
fin sulla bionda riva, io liberò,
io – se t’amo- io, mare occhiviola
(che già fremono , dietro uno scialle di luna
gli arcobaleni che ogni lacrima nasconde).

Piange l’insonne cicala l’arsura d’Inganno
-macchia di notte, un gatto nero
acciambellato-
se la pioggia, troppo bambina, si nega
alla pietra siziente
(Il veneficio s’attarda nel salso spumare).

Strozza questo mio dolore, Nebreia,
(incandescenti melodie sospirano,
impossibili vertigini
gridano i boschi):
un aborto di cieli impazziti vomita
amori di zagara e s’inchina,
leggenda notturna, a rattoppare
un’anima strappata.

 


 

 

Villa Piccolo

(A Bent Parodi di Belsito)

E tra i luoghi
del sacro,
come un rito
alla sera
mi ricorda
Parole…
Mi ricorda
le strade
ad un cuore svelato,
un mondo silenzioso
e venerando…

-il sacro si dispiega
ed è bellezza
ma taci…
possiedi la parola
e vivi vita-

e noi …
non veneriamo, forse,
analogie?
Metafore…
non sono, forse,
strade alla saggezza?
Divine nell’essenza…
sono passi?
La storia ed il pensiero
e la parola
non erano un banchetto
su quel prato?
Eucaristia, un cammino
condiviso?

Come un rito,
alla sera,
mi ricorda Parole…

Villa Piccolo.

C’era una sera
da aspettare
-ascoltare-
oltre il sole
a canicola acceso…
Ricordare le sere
e imparare
e Dei
che generavano
cantando…
Ninfee e l’agapanto
di lavanda
e pietra e pigne e prato
nel tramonto-
e fuochi,
e nubi d’oro
tra quei rami…

notturni messaggi
incantati
vibravano, a sera ,
appesi a quei rami,
tramonti rossi e densi
e sacri istanti
e simboli e messaggi
suggeriti

Se la luna
ci guardava,
ci spiava,
sbirciava quella casa
e il cimitero
di cani e gatti
amici nell’eterno,
dicevo ancora come
da bambina:
“mi guarda…”
e solo adesso
forse
non la temo…

antologia
di pietra
e di ricordi…

Un tempo ancora
c’erano ricette
e foto ed alchimie
e conoscenza…
Nascevano un tempo
qui dei versi barocchi
e verità nascoste
dentro i libri…
se restano nell’aria ,
silenziosi,
parlanti Dei
per chi li sta a
sentire…

ogni sera
ogni estate
-e parole e note-
con noi restava
sempre
una farfalla.

 


 

 

(Ai miei genitori e alla memoria di Don Vincenzo di Scafa)

Scafa, terra viola di ulive scure
e prugne,
azzurra di vento e di festa,
silenziosa e profonda,
fiorisce
come ragazzi tra i banchi
in tondi frutti di sole.
E lì, dove il ramo ferito
grondava di gocce di fiele,
improvvisa fiorisce,
germoglia
fatica e passione.

 


 

 

Tra i banchi di scuola

(Ai miei alunni di tutta la mia carriera, a quelli che verranno, a quelli di Roma, di Capo d’Orlando, Taormina e Sant’Agata; a quelli a cui ho dato qualcosa ed a quelli per cui avrei potuto, ma non ho saputo, fare di più. Ai ragazzi che mi hanno compresa, che mi hanno fatto sognare, a quelli che mi hanno fatto “disperare” e che mi hanno in ogni caso insegnato tanto.
Con gratitudine.)

Ho visto sbocciare fiori
nel deserto;
ed ho visto lottare, cambiare,
sorridere a volte
e sempre ho visto sognare.
Ho visto accendersi quei sogni,
a scintille, verità quotidiane e
sostanza di cielo e fame di Senso;
piangere, ho visto piangere,
di solitudine, d’amore, di rabbia,
di commozione, di stanchezza.
Sui banchi di scuola,
in un giorno qualsiasi, ogni anno,
a settembre, ho sentito
nascermi sogni d’incanto e
speranze di vita e futuro…
Ma soprattutto, ogni anno,
in un giorno qualsiasi, e nei giorni,
nel tempo,
tra quei fiori sbocciati e tra quelli
recisi,
ogni anno, ogni giorno…
io imparo ad amare.
Ma guarda!
improvvisa sul ramo
c’è una piccola foglia…

 


 

 

Eroi quotidiani

(A tutti coloro che sognano e lottano per un mondo migliore, fosse solo migliorando se stessi)

“Redenzione non in cielo, ma in terra”  L. Bovio

Gli eroi quotidiani
vivono in versi…
e non c’entrano
carte ed inchiostro
e non serve la penna:
è l’azione vissuta,
è l’amore vivente,
il lavoro strumento
nell’etico valore
della Scelta,
la vita palpitante
nel presente,
l’amore reso azione
e fatto vivo-
Non li puoi uccidere,
gli Eroi,
che se anche gli togli
la terra,
restano Uomini,
nell’Eterno,
paradigmi
che non puoi cancellare.
E non vedi
che del sangue fiorito
hai fatto
una stella?
Non li puoi uccidere,
gli eroi,
il loro Nome
è intessuto d’amore,
dell’eros,
strumento divino,
che rende l’esistere
Vita .
Puoi illuderti, se vuoi,
con le tue armi letali,
che forza sia violenza
e non vergogna,
paura mascherata ed ignoranza,
ma sai che forza vera
è solo il cuore,
che dentro l’assassino
freme il santo,
che ha fame di saggezza
e non la trova.
Illuditi, se vuoi,
d’essere sazio,
rallegrati
d’avere sparso il sangue
degli agnelli,
di vittime mattate
nel silenzio,
di lacrime germane
e degli amici,
di chi si sente affine
e lotta ancora…
illuditi ,
se vuoi, che sia felice,
di essere potente
e forte e in vita,
ma dentro non sei nato
e non lo sai,
l’odore putrefatto
è di chi ha perso
e vita e strada
e senso di se stesso.
Illuditi, se vuoi,
che siano in pochi…
Non era Cristo uno
con i fratelli?
Non erano i Templari
forse nove? Non era uno
Gandhi
o Borsellino?
Falcone
era da solo e non in mille…
e Manca adesso brilla
insieme a loro:
gli hai dato l’infinito
sempre eterno,
e tu dovrai restare
nel tuo nulla, insieme
ai tuoi fantasmi criminosi…
Perché non prendi il cuore
e scegli vita?
L’esercito che segue
e si reinventa
moltiplica l’amore,
si fa grande.
Le luci delle Stelle
e di candele,
i fari accesi, intensi,
nella notte,
non restano
nascosti da coperte…
ma fissi, in alto,
indicano strade,
rischiarano il cammino
eternamente…
se tutti, prima o poi,
saremo tombe,
diventeremo canti mai
cantati,
la bella morte
eroica
è privilegio…
se
mai
moriranno
gli eroi-

 


 

 
“Forse un mondo onesto non esisterà mai,
ma chi ci impedisce di sognare?
Forse
se ognuno di noi prova a cambiare
forse ce la faremo”  Rita Atria

Candida Fiamma

(a Rita Atria, cittadina dell’antimafia)

Forse
la strada era bagnata,
forse
era lunga la notte-

i tuoi sogni,
tra quei libri, dei figli…
non sapevi cosa fosse
un eroe.
Non cercavi di certo
una fama
e mai quella intravista
di buio
e del sangue paterno
già sparso,
ma una dolce parola
d’amore, un abbraccio
di mamma, un ragazzo,
una casa, i turisti, un lavoro…
e l’orrore chiamava vendetta-

Nel silenzio che avvolge
un mistero
d’una terra
ch’ è nata di sole,
ma che muore ogni giorno
di lutto,
tu imparavi a vedere
una Scelta.

Sogni semplici, azzurri,
fanciulli,
se si può l’illusione dorata
d’un eterno presente immortale…
-come tale, la tua giovinezza-
ma finchè si disvela la Vita
e con tutti i suoi densi perché.
E l’orrore chiamava vendetta,
ma imparavi a vedere
una scelta
e provavi a riviverla in te.

Quanto è facile ,invece,
imparare e poi essere onesti
quando intorno è ristoro la Casa,
paradigma è l’esempio che vedi…
Ma una Scelta è una forza trovata.
Se la strada, notturna, bagnata,
simulacri di fango e vendetta
proponeva al tuo cuore di bimba,
ti chiamava ora ad essere donna…
e la Scelta era Una ed eterna,
chè l’amore non lo puoi revocare,
chè la morte si vince col cuore…
Chè una Scelta è una forza trovata.

Solitaria guerriera fanciulla
aspiravi alla Luce, a Giustizia,
se l’orrore smaniava profondo,
hai compiuto il tuo dono
di Vita.

Forse poi
era già troppo buio,
per quel sangue innocente versato,
per poter sopravvivere in te,
non gli hai dato il tuo sangue
da bere,
hai provato a sfuggire alla notte

che ora brilla di candida fiamma.

 


 

 

Sui banchi della IIB

Grafie conosciute
e nomi e cuori e scritte
variopinte,
lasciare un segno,
prima del
diploma,
la traccia di colore
del passaggio,
messaggio,
e segno di un presente
già vissuto.
Dovrei rimproverarvi
e non ci siete…
sporcare tutti i banchi,
che pirati!
Invece
sono sola
e mi commuovo,
insieme a quei colori
dei miei sogni.

– Colori di tutti i sogni…-

Ricordo
quando, enorme,
pulsava il mio Tempo.
Allora, eterno, il giorno
rivelava
divinità incantevoli
e potenti: i sogni,
i desideri, l’avvenire

-la Vita
ha il senso
degli adolescenti-

e grande ed assoluto
ogni valore,
seppure
il mondo intorno
è una follia.

Allora
su quei banchi,
mi ricordo,
la Morte,
ch’era amica,
mi esortava,
diceva
che sacro è qui
il passaggio
e sacro
il tempo
(e meglio lo viviamo
se finisce).

Se dopo è un paradiso
oppure il Nulla,
m’importa solo il Bene
nel Momento…

 


 

 

Lampadario di cristalli colorati

(al prof. Benedetto)

Ho nascosto fiori
tra i libri
e corone d’alloro
intrecciate.

Ho creduto
di avere chiuso
I gialli lampioni del porto
tra i cristalli del mio
Lampadario.
Nelle intense
mie notti lontane,
ubriache d’insonnie
e ricordi,
compagno quel porto
e le luci,
un randagio, il suo tozzo
di pane,
una bionda fanciulla
di pesca,
scoprivo la penna
ed un foglio.
Per i miei sedici anni.
Ora
le luci di quel lampadario,
che osservo alla mia
buonanotte,
sono enigma
d’un vago futuro
e non so
se con me
c’è una penna.

 


 

 

Karis Maria Rita

Verrà un sogno
avrà un volto mai visto
eppure
saranno suoi i lineamenti
di tanto passato,
di persone che sono la vita;
avrà gesti e desideri
di tutte le tracce del tempo
nel sangue creduto assopito;
avrà le parole degli avi
e pensieri per cui è degno
morire;
avrà occhi nuovi,
ma d’un taglio per noi conosciuto
e sorrisi di antiche chimere,
ma d’altri orizzonti;
avrà fiori nel cuore
di semi piantati e scordati,
ma gli accordi di nuove armonie;
eroina d’antiche battaglie,
ma nuove saranno le armi;
libera,
sarà la padrona dei sogni.
Perché lei è il futuro.

 


 

 

Danae Sofia Nike

“Sono un’onda e volo”,

piccola stella gialla,
scintilla,
cuore
astrifiammante,
occhi furbetti, di cioccolata,
l’Intelligenza, la vita viva,
e bocca a cuore,
e il tuo culetto,
le ciglia lunghe
da grande attrice,
il sogno suo:
il muratore,
doppia saggezza
e Fuoco puro.

La tua luna di cristallo
di zucchero e neve,
vuoi legare ad un filo
e poi farne un lampione,
“da passeggio”, mi dici.
E mi chiami “gentile”,
“mammina gentile,
vuoi giocare con me?”.
Ed io,
che ero pietra,
del tuo amore rinasco.
NIKE,
la mia alata vittoria.
La mia eroina,
ogni giorno mi salva,
con un piccolo foglio
che io tengo sul cuore.
Ogni scritta è per me.
Danae,
pioggia d’oro
Di Zeus,
la mia benedizione,
il mio ultimo amore,
il mio canto del cigno,
adagietto di sera
con le sue prime stelle.
Coraggiosa,
la greca.
Nike
Che vuol dire vittoria,
la mia anima alata
e il ricordo
della mia prima terra,
dove giunsi da ecista.
Nike,
che vuol dire vittoria.
Non sarò
Mai più schiava del tempo
Se dal tuo sguardo
rinasco,
mio angelo alato,
la mia bambola viva,
che di notte mi abbraccia
affinché io non cada
dalla punta del letto,
dall’estremo mio quarto.
Danae,
dolce ridente, caparbia.
di zucchero solo per me.

 


 

Naxos

(incipit del poema “Naxos”,
ai miei colleghi ed amici, a tutte le “presenze” di quell’anno d’amore)

Artista
che ostinatamente vai
al monte Tauro,
o forse vieni qui, nel porto azzurro,
concluso tra due pietre di basalto,
alito fresco del suo Maestrale…
domani
il Tempo svelerà
che cosa è vero
e meglio nel silenzio
capirai
la voce che bisbiglia
dentro al cuore
e crea un gran subbuglio
qui nel petto.
Il segreto sibillino rivelato
sarà forse soltanto
una Parola
la voce soffocata
in uno sguardo…
e tutta la natura allora grida
nel rosso della Terra e della Vita,
l’invisibile evidenza dell’amore.
Per i sentieri,
centaurea e un nome antico,
che è destino e un po’ premonizione,
e tu andrai pensando
nuovi versi
per disegnare nel vento
nuove ere,
ma qualche volta forse
ancora ti chiedi
se c’è oppure no
quell’ipoteca
e tempo e spazio dettano le leggi.
Lottare dentro e poi vaticinare,
impressa dentro agli occhi
quella strada
che al pellegrino svela
il dio straniero.
Ma gli occhi adesso vedono
giardini,
un porto che fiorisce tra le onde
e un giorno forse sboccia anche quel nome
e il seme di quel duplice mistero.
Duale
adesso dice nella luce
il Sole che sbarcò su queste rive
portato col virgulto d’un olivo
bandiera d’una pentecontere.
Oracolo, la mappa di quel nome,
che sia restare oppure ripartire,
in greco, in ebraico
si ripete
la nenia, il segno,
lo stesso messaggio.
Erutta sullo sfondo il gigante,
il daimon di basalto,
cuore ardente,
e a volte quasi esplode
di passione
e inonda tutto il monte
del segreto
che un cuore, eppure sovrumano,
non può certo per sempre
contenere.

Un giorno il tempo, artista,
svelerà
se il verso, o quella tela,
era sostanza
che il mondo regge e ruota
con quel ritmo
che il corpo chiama cuore,
Senso il veggente.

Culla di un altro sentiero,
tempio di sacra memoria,
sublime di tempo e di spazio,
l’Oltre di un altro cammino.
“Cominciai a comprendere
Solo
quando me ne allontanai”,
mi disse il primo,
dall’alto dell’altra mia Isola,
oltre i confini
di tempo di spazio,
demoniaco pensiero,
ascetica aspirazione.
Ionica schizofrenia
-mi disse il primo-
mentre avanzava nero e
Insepolto,
adesso anche lui
Straniero,
mentre avanzava
tra lunghe reti
colui
che del paradiso ha le chiavi.

Artista,
non vedi le ombre dei grandi
stagliarsi
dal fondo smaltato del cielo,
indicando la strada più stretta
in cima del tuo sentiero?

Quarto piano.
Una terrazza in mezzo al golfo,
su cui la luna scende
per giocare
e poi rimbalza
dentro al mio balcone
rimbalza e poi ricade
dentro al letto.
Eccola, lì in fondo,
sopra al mare,
adesso sembra quasi
un grosso fungo,
e poi tra grosse nuvole
scompare
e rossa, quando torna,
ansimante,
stanca e forse un poco
imbarazzata,
fugge e un poco poi
si fa cullare
al cuore di un segreto,
il proprio sogno,
e poi riesplode tonda
per il cielo,
felice,
bianco fuoco d’artificio.
Lei sa di certo
il mio, il tuo segreto,
e se la ride, sai,
anche di cuore,
non parla con i treni
per sapere,
né chiede mai notizie,
non le fa portare;
nessuna frase
dentro la bottiglia,
nessun segreto
dato a quelle vele.
Lei sa che siamo
isole straniere,
ad altre albe dati,
ad altri mari:
lei sa se è mai
possibile
un destino,
e ride dei confini
troppo umani.
Lei chiama mare
tutto quell’azzurro,
che tu chiami confine
d’oltremare
e sa che è cielo quello
che ci unisce,
immersi in una luce
troppo uguale,
che io riempio a volte
di parole,
che tu d’azzardo chiami
con il niente.
Lei sa di certo i limiti,
i confini
che l’uomo, più piccino, chiama
fine
e il saggio, ravveduto, chiama
scogli.
Che importa se uno dice
che è pazzia?
Conosco dell’amore
un solo nome
e certo non ha regoli e bilance
non ha misure,
limiti e confini,
perciò lo chiamo Amico,
Assoluto.
Senza catene, Sciolto,
scivola su terre
e quando qualche volta
si commuove
si vela nell’azzurro
il dolce cuore
e scende
come gocce di rugiada,
uguale, qui e lì,
e pure altrove.
Unisce nell’azzurro
cielo e mare,
unisce il Fiume azzurro a
questo golfo,
due isole legate
al mare in mezzo.
Quell’anima nel lago
si rispecchia,
uguale al sogno
poi si riconosce,
ed io nel mare trovo
comprensione.

In questa solitudine,
bellezza,
il mare, i monti
sono compagnia:
questo silenzio è sacro,
è il mio destino,
che unisce le mie vite
nell’inchiostro.
Mi fanno compagnia
questi treni,
di notte attraversano
il mio letto,
le navi dentro al golfo,
i croceristi,
rossi di sole e forse
di emozioni,
le vele delle barche
dentro al vento,
un Nome
che ritorna qui
per sorte.
Di là dalla terrazza
è gonfio il mare,
il soffio
di quel vento insistente,
i mozziconi e
quel pacchetto vuoto,
e la mia sedia
accanto alla finestra.
Mi fanno compagnia
quelle luci
che seguono
il profilo della costa.

Due passi qui dal cielo
e vuoto dentro
o forse troppo denso
di pensieri;
poche parole e
tanto il mio sentire e
molto da capire
tutto insieme.
Terrazza a un passo
dalla Verità,
eppure è tutto oscuro
per Vedere,
ognuno che qui entra
poi mi dice:
soltanto il tempo svela
ciò che è vero.

Il cuore esplodeva
per la strada,
i piedi scalzi,
in mano solo i tacchi,
la notte d’oro
stesa sopra i tetti
e tanti addobbi
erano Natale.
Ma io vedevo il Nome
dentro al cuore,
forse soltanto un sogno,
ma lontano,
e la mia mano che
stringeva al petto
la Tau, quella fede,
una promessa.
Parlava chiaro dentro
quella voce
la luce che vedevo,
che era vera,
la rosa rossa
nella notte santa.
Perciò lasciai
la favola di cera
di notte
accanto al fuoco
di candela.
Vedo sentieri
allora sconosciuti
ed una strada che
mi porta altrove.
Io sono della strada,
un vagabondo,
non so che eterno esista
oltre al Nome.
La vela d’una barca
dentro il vento
che segue il suo disegno
capriccioso,
le mani che ripetono
quel vento,
quel suono come canto
di sirene.
Di te mi piace solo
ciò che è umano,
guardarti gli occhi,
dentro, intelligenti,
ma qualche volta penso
servirebbe
forse una scala o forse
qualche anno.
L’amore, dici,
chiede sempre tempo
ed è la Luce e Dio
come da sempre.
A volte mi ritrovo
senza tempo
e il corpo che tu vedi
non è mio;
forse sono soltanto
un’invenzione
e troppo spesso sento
solo il niente,
ma volentieri ascolto
il tuo profumo;
mi piace che non porti
l’orologio.
Sono una pietra
abbandonata al sole,
che ama l’onda azzurra,
il salso passo,
versi
che l’acqua svela
nel suo canto.
Cammino per la strada
e non ho fame
se non di sogni e fede
di bellezza,
del volto del presente
e di un miraggio
che spinga questo passo
più lontano.
Non lotto contro il tempo
o contro l’uomo,
ma cerco in fondo solo
quanto è Luce,
andare oltre, solo,
è oltre me,
la frase fatta, il sale,
la stanchezza,
il poco, il vuoto, il niente,
il troppo grigio.
Ascolto qualche volta
le conchiglie
che portano nel ventre
salse note.

Partii di notte
e risvegliai l’aurora,
le stelle mi sembravano
un miraggio,
la luce della luna
si spegneva
nel fuoco
del suo cuore luminoso.
La gota ch’era cera
poco prima
languiva come
ali di farfalla,
che muore dentro al sole
per passione.
Non c’era per la strada
quel profumo,
quel gelsomino in fiore
lì vicino,
non c’erano al balcone
i suoi vestiti,
a dirmi ch’era estate
anche d’ inverno
…che lieto quadro, che
dolce tepore,
vessilli al vento
della sua presenza,
colori amati dalla nostalgia.
Adesso non ho niente
d’ aspettare
e guardo il cielo
– ora
gira e splende-
mi lascio dondolare
come foglia.
Avevo mai scordato
quelle frasi
d’ una marina sciolta
nel suo pianto,
in margherite e spine
e chiglie azzurre?
Quel suono rimaneva
dentro al cuore,
ma adesso nel sapore
dell’assenza,
tutto sembrava spento
e sempre fermo:
la Strada
mi chiamava nuovamente.
Il logos della strada è
la scelta
di essere distaccata da ogni Cosa,
ma quando l’onda torna
sulla riva,
riporta nelle orecchie
quel racconto,
l’unione e il distacco
che è l’amore,
fiducia e libertà
dentro la scelta.
La pianta cresce forte
dentro al vento,
un giorno, quando torni,
se era vera,
lo scopri all’ombra di
una grande quercia.
Allora non importa
se è d’inverno,
oppure se è canicola d’estate:
qualunque cosa
dovrà mai affrontare,
tu sai che resta
fissa nella terra
e scorre
rossa linfa nelle foglie.
Allora il vagabondo
Adesso è un uomo
e pianta sotto ai rami
la sua tenda.
Adesso per la strada
o su nel cielo
riascolto volentieri
le mie voci,
la familiarità
di chi mi ama.

Soltanto il Vero può arrivare qui,
a un passo dalla porta
del Signore…
se qualche volta voglio compagnia,
m’affaccio
e gli offro
del Barolo.
Lui brinda ed è felice
insieme a me,
e ride dalla piazza a Castelmola;
lui ama il maniero degli artisti,
che sono poverelli
come il Figlio ma
possiedono davvero
tutto il mondo.
Nessuna Cosa può
turbare il cuore,
se non i sentimenti, le emozioni,
non cercano nel mondo
la materia,
non fanno che nutrirsi
dell’essenza.
Sanno che Vita e Strada e Verità
camminano insieme
per la mano,
e pregano d’amore nell’incanto.
A loro è dato di strappare al vento
l’oblio sepolto dentro ad ogni cosa
ed hanno una clessidra che è fatata
per rendere immortale
il proprio cuore.
Per questo Lui li ama
e gli ha donato
di ricreare vita
oltre il tempo.
Qualcuno è storpio
ed ha parole strane,
qualcuno vive
d’ una tavolozza stinta,
qualcuno ha ben nascosto
nel profondo
i versi suoi più belli
e non li ha scritti,
li ha dati ai propri giorni
come linfa
-che importa?
Artista veramente,
come gli altri,
che vive dei silenzi delle stelle
e trema al suono di
queste campane.

La notte che scende fatata,
dorate le luci sul porto,
mi sembra di essere a casa.
Il mare sorride discreto
se il faro silente gli versa
una coppa di cielo da bere.
Nell’onda si apre tranquillo
sereno il sorriso beato
tra spume leggere risplende.