Giovanni Pieri - Poesie

PARTE PRIMA
LIRICHE

4 STAGIONI

Paola, non lasciamo che maggio passi

Non lasciamo che maggio passi
Senza aver ringraziato
Il sole, che sorge ogni giorno
Un po’ prima e più a nord,
Da un lontano orizzonte di tetti.

Non lasciamo che maggio passi
Senza aver ringraziato
La pioggia leggera
Che fa bella la terra
D’erba nuova e di fiori.

Non lasciamo che maggio passi
Senza aver ringraziato
Di betulla le gemme
E d’acero e frassino,
esplose in nuovi rametti.

Non lasciamo che maggio passi
Senza aver ringraziato
Ogni boccio di rosa
Che colora la vista
Del nostro giardino.

Oh cara, non lasciamo
Che maggio passi
Senza aver ringraziato
D’essere insieme
A guardare la luce.

Non lasciamo che maggio passi.

 

 

 

2 agosto 2004
(in occasione del 66° compleanno)

Ecco l’alba con luce diffusa
Vince un poco la notte,
dal buio emergono oggetti
privi del loro colore.

Nere le ombre, grigie le cose,
più chiare e più scure,
solo il candido marmo
di sé bianco risplende.

Lenta la luce s’innalza.
Nel cielo, ovunque,
tenue appare il colore
e poi si sviluppa deciso.

Ecco l’aurora infiamma
Il creato. Il rosso tinge
gli estremi confini del cielo
e riverbera su tutto e su te.

E’ un trionfo di luce.
Ogni goccia rifrange,
ogni sasso rilette il tripudio
del sole che nasce.

A te lo spettacolo è offerto,
perché dentro ti entri,
tutto ti prenda
e ti lasci dimentico

che solo questo vuol dire:
che l’ieri è passato
e che un giorno di più
ti avvii a consumare.

 

 

 

Tramonto d’ottobre

Cala da lungi il sole
rosso di là dai pioppi,
raro per lunga secca
il tremolar di foglie.

Specchia il cielo la roggia,
sulla sponda si muove
lontano d’ombra in ombra
un cigolio di ruote.

Va il cane lungo il ciglio
per una pingue caccia
d’immaginaria preda;

l’anima mia lo segue
in cerca della traccia
di questo giorno breve.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Senza te

Senza te
Vivo in un deserto
Pur se
In mezzo alla gente

E ravvisarti
Di lontano
Nell’altrui volto
E’ un crudele miraggio

 

 

 

Ascensione al Vesuvio

Salgo la strada che avvolge,
sterrata, l’eccelsa cima.
Pino e ginestra mi vengono incontro
L’aria fresca si profuma di miele,
si assapora con la lingua e le labbra.
Senza schermo di piante si svela
la cima del monte Somma, verde
contro l’azzurra pianura.

Chiude alle otto il sentiero
sbarrato con esile catenella
Ora è proibito salire.
Non resisto. Scavalco e vado,
ma non da solo. Su per il sentiero
si anima una piccola folla.

Il sole tramonta celato da foschie lontane,
il golfo si indovina più in basso più scuro.
Lontano affiora il fantasma dell’Epomeo.
Di rosso si tinge dal basso la vetta
e galleggia in un mare di cielo.

Due ragazzi, lui e lei col sacco a pelo, parlano piano,
come in chiesa, del punto dove passare la notte.
Una notte in un’isola del cielo.

 

 

 

Perché guardare al passato quand’è il presente che ci fa felici

Come dopo un’ascesa alla montagna,
attraversato il ceduo e la faggeta,
esce il viandante su un largo pianoro
e, vòlto indietro al suo cammino,

vede la via, il bosco e la pianura,
nel sole immersa e d’ombre cosparsa
di nubi alte nel terso cielo azzurro
e poi guarda il restante cammino;

e s’abbandona al momento felice
ché tutto contempla: dov’è, dov’era
e dove il passo lo porterà dipoi.

Così noi, Paola, vediamo il passato,
del presente sentiamo il profumo
e ci avviamo al nostro futuro

 

 

 

Ottobre

Azzurro è il cielo,
Tiepida l’aria ferma.
Scintilla la luce tra le foglie
Di ieri solo un poco più gialle.

Calmo, mangia
Il nostro cane teneri
Fili d’erba. Il Tempo
S’è fermato tra le parole.

Lento plana il meriggio
Verso la sera. E lento plana
L’anno verso la fine
Finalmente tranquillo.

E’ forse questa
Solo una pausa di pace
Prima che l’anno nuovo
Porti nuove tempeste?

 

 

 

Primavera

Primavera, tu fai
D’ogni prato un giardino
D’ogni tramonto una gloria,
Una festa d’ogni mattino

Con scoppi di luce stordisci,
Fermenti sottili profumi.
Di verde nuovo risplendi
Tra le risaie ed i fiumi

Non par più vera la vita
Nello splendore irreale,
Fatta del tutto e del niente
Di una dolcezza speciale

 

 

 

VENUS

Andavo a Parigi per un gruppo di lavoro sul riciclaggio (dei rifiuti s’intende) e aveva nevicato sull’aeroporto di Linate.
L’aereo non era pronto a partire perché aveva neve e ghiaccio sulle ali. Un servizio d’aeroporto che le irrorava con antigelo vi si affaccendava intorno, ma nessuna comunicazione aveva troncato la speranza di partire presto.
Al solito all’ora della partenza una voce di donna, dolce ma impersonale, ci disse che l’imbarco avrebbe avuto luogo con alcuni minuti di ritardo. Gli sbuffi dei passeggeri in attesa si fecero sentire rumorosi. Dopo un po’ la voce precisò che il ritardo sarebbe stato di mezz’ora. Nuovi sospiri.
Quando però venne annunciato che il ritardo sarebbe stato di un’ora il pubblico sbracò e cominciarono mormorii e mugugni di vario genere. Qualcuno si accomodò meglio sulla poltroncina, altri tirarono fuori il computer e con aria molto seria si misero al lavoro. Altri cominciarono a chiacchierare, se dovevano passare un’ora accanto a qualcuno tanto valeva che la facessero scorrere piacevolmente, placando il nervosismo. Qualcuno per non saper cosa fare cambiò posto.
Lei venne a sedersi accanto a me. Lei era una ragazza con una sterminata quantità di bagagli a mano che depositò ai propri piedi, quasi a baluardo. Attaccò subito bottone dicendo in inglese pronunciato alla francese non so quali improperi all’indirizzo delle compagnie aeree in generale e dall’Alitalia in particolare.
Di parola in parola venni a sapere che veniva dal Camerun e che nella vita faceva la segretaria d’azienda. Era venuta a Milano per visitare suo fratello che lavorava all’ambasciata. C’è un’ambasciata del Camerun a Milano? Boh!
Di sicuro pensava che la sua bellezza non dovesse andare sprecata nemmeno un minuto e quindi, come si direbbe in inglese era “fishing for compliments”. In francese i complimenti non li sapevo fare bene, perciò mi venne in soccorso dicendo che la potevo tranquillamente definire “rayonnante”, cosa che mi affrettai subito a fare.
Ed era davvero raggiante con due grandi occhi scuri che mandavano lampi ed un sorriso bianchissimo in contrasto con la pelle di cioccolato al latte. Parlammo dell’Italia e le piaceva, a motivo del cibo e chissà che altro. Le chiesi se con le sue frequentazioni italiane sapesse un po’ la nostra lingua. Rispose di non saperla parlare ma di conoscere solo le parole più belle.
“Culo, cazzo, figa” enunciò e contestualmente si lanciò in una spiegazione del perché proprio quelle le sembrassero le più belle. Niente di sconcio, secondo lei, anzi l’emblema della bellezza della vita.
Alla piega che aveva preso la conversazione le signore scandalizzate senza darlo a vedere si allontanarono un po’. I maschietti fecero altrettanto, fino ad allora avevano occhieggiato in tralice forse invidiosi che quel fior di ragazza dedicasse le sue attenzioni a uno di cui non si capiva perché fosse capitato proprio a lui. Intorno a noi si fece il vuoto.
Si andò avanti così per un tempo indefinito finché non ci si rese conto che di partenza dell’aereo non c’era notizia. Come risvegliata da un sogno si alzò in piedi e disse che andava a informarsi. Mi venne l’istinto di seguirla con la scusa di sentire anch’io le novità, ma mi trattenni pensando che aveva lasciato lì tutti i suoi bagagli e doveva pur tornare.
Non la vidi più. Finalmente con due ore di ritardo l’aereo era pronto per l’imbarco. Pensando che lei fosse in giro andai al banco delle informazioni e chiesi se l’avessero vista. Sì, mi dissero che era venuta, si era informata e, stufa di aspettare, aveva telefonato che la venissero a prendere. “E i bagagli che ha lasciato di là?” Lo steward fece un gesto vago, “Ha detto che avrebbe mandato qualcuno a prenderli”.
Questa è una storia piena di cose che non tornano. Il viaggio a Parigi per poi volare nel Camerun, l’ambasciata del Camerun che è a Roma e non a Milano, i bagagli lasciati all’aeroporto con noncuranza, lo stesso cambiare posto per poi attaccare bottone. Ma chi era davvero? Era vera? Esisteva? Ancor oggi, se ci penso, tutta la storia si vela con l’irrealtà del sogno.

 

 

 

Dialogo di un Uomo con la Porta di casa sua
Ovvero:
Un dramma dell’Intelligenza Artificiale

UOMO – Apri! (alla porta)
PORTA – Può ripetere per cortesia, Signore?
UOMO – Apri e sbrigati (ha le mani piene di pacchi)
PORTA – Mi spiace ma la voce non corrisponde.
UOMO – Oh! Santa pazienza, ma che cosa succede oggi, dev’essere il raffreddore (tira su col naso)
PORTA – Da quanto tempo la tormenta il raffreddore, Signore?
UOMO – Mah! E’ da ieri che non sto bene
PORTA – Quanto Lei dichiara purtroppo non corrisponde ai fatti: le tracce vocali di ieri erano nei limiti di tolleranza ammessi.
UOMO – Non è possibile! Dev’esserci un guasto (tra sé).
PORTA – Vuole forse entrare? Dica sì o no! (perentorio)
UOMO – Sì (forte), Acc…! Questa non ci voleva! (a sé)
PORTA – Allora attivo il sistema cognitivo di riserva; la prego di appoggiare la mano destra sul pannello. (un pannello rettangolare emerge da una fessura nella porta con un sibilo e un click finale)
UOMO – vediamo un po’… uff!…(depone qualche pacco a terra, ne infila uno più piccolo nella tasca esterna del soprabito), Argh! Che schifo! (schiaccia inavvertitamente l’involucro delle pastarelle e si imbratta la mano, indi pone la mano sul pannello)
PORTA – Il test non è probante, le impronte appaiono confuse da un fluido organico non identificato.
UOMO – Ma allora che cosa devo fare? (riprendendo i pacchi in mano)
PORTA – E’ tutto nelle sue mani Signore, non le resta che tirare fuori la chiave dalla tasca e seguire le mie istruzioni: a) impugnare la chiave tra il pollice e l’indice per la parte arrotondata tenendo la punta in avanti, b) infilare la chiave nel foro-bersaglio al centro della porta, c) ….(enumera)
UOMO – Finiscila con questa litania, so cos’è una chiave, perbacco! (depone a terra i pacchi che ha appena ripreso e si fruga le tasche senza successo). Quando cerchi una cosa è sempre nell’ultimo posto in cui vai a guardare (estrae anche il pacchetto dalla tasca e lo ripone spazientito perché nemmeno sotto quello ha trovato la chiave). Ah! Che sbadato, l’ho lasciata in casa!
PORTA – Questo non mi permette di verificare la sua identità nemmeno per via induttiva, se Lei fosse chi pretende di essere si sarebbe attenuto al regolamento che raccomanda di portare sempre una copia della chiave con sé.
UOMO – Ma al diavolo te e il regolamento! (spazientito, fa l’atto di sferrare un calcio alla porta)
PORTA –Signore, devo farle notare che con certi comportamenti aggrava solo la sua situazione. Le ricordo che, per contratto, io sono un meccanismo dotato di personalità giuridica e posso mettere in atto quanto in mio potere per difendere la Proprietà della quale sono stato posto a custodia.
UOMO – Questo è troppo! (fuori dai gangheri lascia rumorosamente cadere i pacchi e si avventa contro la porta con calci e pugni, abbozza anche un tentativo di sfondamento con una spallata)
PORTA – Questa è una reale emergenza (tra sé). Pronto Polizia? Tentativo di intrusione indebita in atto. Qui chiama HAL 2003 – Serie X666 – Contratto 1000001… (si qualifica parlando come dall’interno di una macchina). Prego intervenire in via immediata…. prego intervenire…. prego intervenire (ripete indefinitamente)
POLIZIOTTO – Fermi tutti! (irrompendo). Portare le mani immediatamente sopra la testa! (impugna la pistola a due mani e la punta contro l’Uomo)
UOMO – Questa è bella! (alza istintivamente le mani). Ma è il colmo: la pistola puntata su di me e di fronte a casa mia! Ma andate tutti al diav…! (indignato, accompagna le parole con un gesto significativo e così facendo abbassa le mani e sfiora la tasca rigonfia per l’involto delle pastarelle).
POLIZIOTTO – Fermo! E’ armato! (al pubblico) Non toccare quella tasca! (spara)
UOMO – Ah! (cade colpito) Che stupido, potevo chiamare la centrale operativa e dare la parola d’ordine… (mormora esalando l’ultimo respiro).
PORTA – Alla buonora! La dichiarazione, non richiesta, di conoscenza della procedura dimostra finalmente che Lei è quello che dice di essere, perciò procedo (la porta si apre con uno scatto); così faccio buona figura e non ci rimetto nulla: nelle condizioni in cui si trova quello non entra di sicuro! (a sé).

FINE