Giovanni Spinella - Racconti, Poesie, Opere

Il castagno racconta frammento estratto dall’opera Il vento e le memorie

Il vento mi aveva confidato che sul cartello c’era scritto
castagno secolare. Non avevo mai avuto l’impressione d’essere un povero vecchio, sin da quando germogliai da una castagna abbandonata sul terriccio fresco e leggero, che mi nutriva le radichette. Fui fortunato. Il suolo era in lieve pendenza, non rischiavo di essere portato via dal primo acquazzone, il clima
era giusto e non vi erano alberi a infastidirmi con la loro ombra, almeno non rammento. Ero stato favorito dalla sorte. Presto diventai un alberello pieno di speranze, tremavo sì di freddo durante gli inverni rigidi, mentre ero immerso nei miei lunghi sonni, ma mi risvegliavo felice quando le primule mi porgevano
i loro dolci sorrisi. Di anno in anno, quell’affare tondo e
caldo, lassù in alto, con le sue dita delicate giungeva fin
dentro il mio cuore, mi svegliava dal mio letargo e mi faceva crescere forte e robusto. Quando vidi spuntare tra le foglie
i fiorellini, e da essi nascere i primi ricciotti, ero così orgoglioso
che esultavo di gioia. Mi sentivo padre e madre! La mia emozione divenne tripudio quando i ricci si aprirono e riversarono al
suolo le mie, le vostre, castagne. Era l’autunno dell’anno?
Non ricordo! Sono così grosso che una ricciata fa due germogli d’uomo sono venuti a misurarmi il tronco e hanno trillato al
loro papà: diciassette metri e ventisei! Dopo tanto ascoltare capisco la parlata degli uomini che è così mutata, quella dei
ghiri e degli scoiattoli, il frinire di grilli e cicale, il ronzio
delle api che si dicono le monotone cose, mentre succhiano
il nettare dai miei fiori. Molti ricevono il mio cibo e ospitare
tanta gente mi fa sentire utile. Per un vecchietto come me
è un’emozione che induce a vivere e a tenere accesa la
preziosa fiammella che genera altra vita. Se verrete a trovarmi sempre più numerosi a Zocca, nessuno mai penserà di tagliarmi!

 


 

Come il sole

Il tuo apparire radioso
all’orizzonte della mia vita
è stato per me
come sole d’inverno
aduso a scioglier compatte nevi.
L’attesa di te era sete
che s’alleviava d’incanto
con la tua presenza.
Ti scelsi diletta sposa
e da quasi cinquant’anni
l’alba ci trova insieme,
dall’attimo che ti amai
ancor fanciulla in fiore.
Pur nel trascorrere di fugaci nubi
m’hai sempre adorato
soccorrendomi nel trovare e placare
contraddizioni che mi sono linfa.
M’hai incantato col tuo acume,
commisto alla tenacia che l’accompagna,
e in ogni giorno così vissuto
tuo innato istinto è fulgente faro.
Quando il dì volgerà a sera
avrà certezza il mio cuore
che al far dell’ultimo sospiro
m’avvolgerai nel bozzolo d’amore
animato dall’infinita passione
che mai s’assopirà.

 


 

Letale concerto

Sol valutando con mente
sgombra da futili giudizi
la prima metà del secolo
appena trascorso,
pregna d’orribili vicende,
ravviso la smisurata ferocia
della mia specie.
E quanto suoni blasfemo
definire bestie crudeli
i grandi felini e non solo,
peraltro mai adusi
ad estinguere vite d’affini!
Due conflitti globali
segnati da tragiche creazioni,
ultimate con l’impalpabile nube
di devastante effetto,
sconvolsero la Grande Madre
recando rovina e morte
d’ogni essere, compresa l’umana stirpe,
senza riguardo alcuno
per fanciulli e madri.
Alfine seguì la sospirata pace!
Or d’improvviso giungono
dall’attiguo oriente,
ad oscurare il sole e la speranza,
visioni e fragore
destati da letal concerto
di massacri e d’incubi
iniziato agli albori da Caino.


 

In me

Il far dell’alba sembra,
pur se ammanto
da soffice nebbia,
irrorato da raggi di sole
se giungi tu mia luce
mio bene ognora atteso
qual premio quotidiano.
Avverto tua fragranza
sgombro dall’ansia il cuore
siccome certo ormai
d’averti dentro l’anima.
Senza ombra di tedio
né di fastidio insano
ovunque tu ti trovi
sei sempre intorno a me.
E’ come dissetarsi
ad inesausta fonte
da cui ruscelli l’acqua
di dolce soavità.

 


 

Un canto nel sud

La voce della mia gente
disperata e felice
scala i sacri silenzi della notte
ai malinconici accenti
di un’armonica a bocca
verso un mare di stelle
appese a fili di cielo.
Mi scopro felice a respirarlo
ed a contar le luci una ad una
stupito per sì lungo oblio.
Avverto pulsarmi nelle vene
gioia di fanciullezza ritrovata
e lievitare in ogni parte di me
innocenza di vita perduta.
Il turbamento mi esalta e vivo,
vivo vibrando, come stelo di grano
alla carezza del vento
dimentico di ogni domani.
Due occhi immensi un ricciolo bruno
un volto arrossato
l’armonica crea il sogno s’innalza.
Scorre il vino robusto
a fissare l’incanto
di ore consumate e mie
sopra quest’aia del Sud
grande quanto il mondo.
Lavacro dello spirito
ansioso di purezza.

 


 

Emozioni

Qualora gli occhi ormai stanchi
cesseranno d’indagare curiosi,
se labbra faconde si serreranno
ove mani operose diverranno tremule
e inerzia prevarrà su mente e corpo
spossati da natural canizie
mai temerò l’eterno sonno.
Se fra i miei capelli
avvertirò soave
le tenere blandizie delle tue mani
finchè gli occhi
sapranno specchiarsi
nelle tue verdi profondità dorate
complici nel sorriso
al bianco cirro
che trascorre in cielo
e la mia bocca suggerà
il nettare dalla tua
mentre pensieri concordi
sussurreranno ancora
“più che ieri e meno di domani”,
protesi alla ricerca
d’ogni radice che c’ispiri,
nulla potrà finire.
Anche quando questo cuore stremato
si assopirà nel sogno,
mia eterna emozione d’una vita,
ti troverò dovunque.

 


 

Gea

Odiavo la pioggia sentendola ostile
amavo la pioggia che destava
fragranze mai dimenticate.
Tempo di chiocciole di fango
gioia d’offrire gioia
di scorgere appena adombrato
fugace un sorriso aleggiare
sul volto di chi mi diede vita
sempre fulgido nella memoria.
Amo la pioggia d’ogni tempo
generosa di odori pagani
antichi sapori, sicurezze
nell’afa di stagioni sconvolte.
Adoro la pioggia minuta leggera
insistente per ore nei giorni
quasi pensosa di fragili steli
di esili germogli d’un verde
teneramente acceso dal primo rigoglio.
Venero l’arte creativa
di eterna madre risanatrice tenace
di letali ferite da insane certezze.
M’è dolce cantare un amore
che cresce matura s’innalza
per ogni capello imbiancato
per ogni visione appannata
mentre l’udito cala il passo avanza
incerto ma ostinato al traguardo
d’un mistero che non offre ritorni.

 


 

Volontariato

Autentica ricchezza della Società
ne è linfa vitale
risorsa irrinunciabile
generosa espressione di dedizione
capacità d’offrire senza chiedere
di pretendere solo per gli altri
di accettare anche l’incomprensione
dimenticando se stessi.
E tuttavia non spegnete mai
la piccola fiamma
sovente l’invisibile scintilla
poesia che alberga nel cuore
e nella mente d’un volontario
che ne attiva e alimenta l’energia
spontaneamente largita.
Appare poco, ma c’è!
Non l’estinguete con l’indifferenza.
È poesia che sa esprimersi
soltanto con azioni concrete
scaturite dal bisogno dei sofferenti
che s’inverano quasi per istinto
nello stimolo a quotidiani gesti
intesi al bene comune.

 


 

Perché?

Si staglia sullo sfondo dei ricordi
sponda sicura d’eterne certezze
là sopra l’erto in alto in alto
piccola chiesa di Madonna
signora di marinai vigila ansiosa.
Lì accanto, ben più annoso,
devoto compagno di paesaggio
antico nuraghe da mistero avvolto
di vetusta salsedine ingrommato
quasi fiero di costante incuria
sorveglia immoto voli di gabbiani.
Dallo scosceso avanza verso il mare
scolpito da Nettuno e dalle brezze
colosso secondato da informi titani
indomita progenie d’elleniche deità
scende a frantumar onde ricorrenti
spesso pazienti a volte furibonde.
Vago nel sogno e tutto pare uguale
percorro sentieri mai cancellati
tragitti lunghi a lungo vagheggiati
fili di sole sogni di fanciullo
a ricercar sostegno ed ancoraggio.
Incauta ambizione demolendo il dio
ha travolto spietata i monoliti.
L’onda sciaborda su scogli diruti
l’ineffabile possanza della roccia
soggiace all’insipiente protervia.
L’incubo non offre lieti risvegli.


 

Pronto?

È da una vita che ti chiamo invano!
Perché ti neghi dopo avermi dato
sublime scintilla che m’induce
a coltivare speranza e disperata fede?
Ben sai chi sono
dacché conosci seme tuo remoto
che mi germoglia in cuore
proteso invano sopra finiti spazi
alla ricerca della sua sorgente.
Rispondimi se vuoi,
Tu che ravvisi tutto e tutto è Te.
Dall’uragano dei primordi,
quando il cielo s’è ornato stelle,
pianeti, astri ed effimere comete.
Da quando e come Tu accendesti vite
tramonti insieme a polveri migranti
mirabili armonie di sublimi accordi
e dissonanze urlanti?
Perché rimani muto al coro
dei pochi fortunati dei molti
sciagurati di chissà quanti mondi?
Codesto silenzio mi reca sgomento
desolante segnale d’abbandono
quasi condanna che non mi rassegna.
Quale l’oltraggio che ti muove
a negarmi financo una risposta
semplice e breve quale lampo in sogno?
Dimmi son pronto. Mi basterà!

 


 

Infanzia rubata

Non ho mai compreso
né con la mente adusa a pensare
né con il cuore vocato all’emozione
la violenza sull’essere umano.
Se poi la stolta furia sfiora bimbo
non v’è color di cute Dio che guidi
cultura in cui sia avvezzo nuotare
paese che abbia dato natali
che potrà mai discolpare chi ha ferito
la luce dei suoi occhi.
Molti piccoli uomini vagano persi
là dove la pace lacerata impedisce
il sonno devastandone i sogni.
Troppe macerie coprono laceri corpi
o quelli dei loro cari
oscuri mari ne ingoiano candore!
Se poi qualcuno per buona sorte
giunge a bussare alla porta
della nostra “civiltà”, ben si ricordi
che quella piccola testa
quel povero cuore
quel corpicino smunto e fortunato
s’è lasciato dietro
e reca dentro sé l’orrore!

 


Il castagno racconta

All’inizio mi ero offeso. Il vento mi aveva confidato che avevano scritto su un cartello che ero un “castagno secolare”. Quella trovata dei miei compaesani m’infastidiva, mi faceva sentire un povero vecchio. Prima d’allora non avevo mai avuto l’impressione di essere così “secolare”. Soprattutto perché avevo sempre badato alla mia forma. Fin da quando avevo preso a germogliare da una castagna, nemmeno troppo grossa, abbandonata da un ghiro distratto dentro una cavità del terreno. Nessuno l’aveva raccolta, per mia fortuna. Il terriccio di cui l’acqua piovana presto mi ricoprì era fresco e leggero, ma anche ricco e gustoso. Così le mie radichette si svilupparono bene e il fusto venne su agile e forte. Intorno non vi erano altri alberi che potessero infastidirmi con la loro ombra. O almeno non me ne ricordo. Sapete, col tempo la memoria comincia a vacillare! Fui ancora fortunato poiché il suolo era in leggerissima pendenza cosicché io non rischiavo di essere portato via dal primo acquazzone e l’acqua, d’altra parte, non ristagnava mai a farmi marcire i piedini. Insomma, ero stato proprio favorito dalla sorte, se poi aggiungete che il clima era, sicuramente, quello giusto. 

Presto diventai un alberello pieno di belle speranze. Tremavo sì di freddo durante gli inverni troppo gelidi, quando ero immerso nei miei lunghi sonni stagionali, ma mi risvegliavo tutto allegro e felice quando le primule giù da terra mi porgevano i loro dolci sorrisi. Quell’affare tondo e caldo, lassù in alto, con le sue dita delicate giungeva fin dentro il cuore, mi svegliava dal mio lungo letargo, facendomi crescere forte e robusto, di anno in anno. Non vi dico l’emozione quando fra le foglie, per la prima volta, vidi spuntare i primi grappoli di fiorellini tanto profumati e poi, da questi, nacquero i primi “ricciotti”. Mi sentivo padre e madre, ero così orgoglioso che esultavo dalla gioia. La mia emozione divenne tripudio quando in autunno i ricci, ormai maturi, si aprirono e riversarono al suolo le mie castagne. Le mie… le vostre castagne, ci pensate? Certo, erano pochine e piccoline, ma le avevo fatte io! Era l’autunno dell’anno? Non rammento più. Fate voi. 

Da allora, di primavera in primavera diventavo sempre più grosso e, dopo un’infinità di tempo, che non so più ben calcolare, mi accorsi d’essere così cresciuto da apparire… enorme. Figuratevi che, una “ricciata” fa, due germogli d’uomo sono venuti a misurarmi a piè di tronco e poi, tutti eccitati, dopo essersi consultati, hanno informato il loro papà: “Papi sono diciassette e ventisei!”. Metri, s’intende! Io ormai, dopo tanto ascoltare in religioso silenzio, capisco molte parlate, anche quelle degli uomini che sono così cambiate dopo tanto… cader di castagne. Conosco anche quelle degli scoiattoli e quelle dei ghiri, il frinire dei grilli e delle cicale e l’indaffarato ronzio delle api che si dicono le solite, monotone cose, mentre succhiano il nettare dai miei fiori. Molti ricevano da me cibo e casa: in cambio non chiedo mica il fitto ma solo un po’ di compagnia, rispetto e letizia. E tutti, in verità, me li concedono volentieri. 

Il mio debole, tuttavia, è d’ascoltare il canto degli uccelli: non mi è facile dirvi quante melodie posso aver udito fino ad ora. Se ritenete che siano state moltissime, beh, vi assicuro che sono state tante, ma tante di più. Né mi è possibile far conto dei nidi ospitati fra le mie fronde. Vi lascio solo immaginare i cinguettii, i trilli, i chiacchiericci, i gorgheggi, i richiami e il frullare d’innumerevoli voli. D’altra parte, tutto pieno come sono di rughe e grinze, fessure e buchi, non si riuscirebbe neanche a pensare all’enorme quantità di piccoli esseri che si sono annidati ed hanno messo su famiglia sotto la mia “buccia”. Mi grattano e solleticano da ogni parte: ed io mi difendo … ingrossando. Ora mi ci sono abituato, ma all’inizio il pizzicorino era insopportabile e, talvolta, mi svegliava durante il mio sonno invernale.  Anzi vi dirò di più: tutta questa grande famiglia che vive di me e con me mi è diventata indispensabile. Ospitare tanta gente mi fa sentire utile, necessario: e per un vecchietto come me è un’emozione che induce a vivere. 

Sapete che all’età di oltre novecento anni produco ancora castagne? Se non ci credete, venite a trovarmi, quassù a Montombraro, a pochi passi da Zocca. Vi sussurrerò in un orecchio il segreto dell’eterna giovinezza. Vicino a me c’è un mio figliolo, nato qualche centinaio di anni dopo di me. Ve lo farò conoscere. Se verrete, se sarete sempre numerosi, nessuno mai penserà di tagliarmi. E a me, ve lo confesso, giacché ho ottima salute, piace tanto vivere e accendere soltanto quella fiammella che genera altra vita! Al punto che sopporterei di buon grado un altro cartello con sopra scritto “castagno secolare”. 

 

 

Dipinto dell'autore Bova Marina

 

 

 

 

 

 

 


 

Dipintodell'autore il vento e le memorie

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Dipinto dell'autore il castagno racconta