Giulia Dainelli - Poesie

Altro da me?

Perché è così importante vestire gli abiti giusti? Incarnare lo stereotipo, rientrare negli schemi?
Appurato che spazio e tempo esistono, ma solo concettualmente, così come paralleli e meridiani, sorge spontaneo chiedersi quale sia il punto di riferimento, la base sulla quale abbiamo eretto la nostra civiltà. Chi decide ciò che è giusto e ciò che è sbagliato? Prima di tutto vengono la morale e l’etica, poi di conseguenza la legge, e questo per poter convivere all’interno della società. Abbandonando anarchia e utopia, è, però, indispensabile soffermarsi su cosa sia giusto in altri termini.
Uccidere, rubare, ingannare ed essere violenti è sbagliato, pensiamo invece a ciò che non si presenta così palese, pensiamo a ciò che è legale, ma fa male lo stesso, pensiamo a quanto sia dolorosa una ferita e a quanto lo sia una discriminazione. Uno schiaffo fa male ed è punito dalla legge, ma lo schiaffo che deriva dall’umiliazione, chi lo punisce?
È bene riflettere sul significato di “normalità”. Non è normale andare in giro per strada, o in ufficio in pigiama, non è normale tingersi i capelli di un verde fosforescente, non è normale vedere due persone dello stesso sesso baciarsi; non è normale che una ragazza con qualche chilo in più indossi i leggings, non è normale che un ragazzo abbia lo smalto alle unghie, o che un uomo indossi un vestito. Non è normale che una donna islamica porti il velo in Italia, non è normale che la ragazza chieda al ragazzo di uscire e gli offra la cena, non è normale che un uomo di origine nigeriana sia in giacca e cravatta e faccia l’avvocato; non è normale che una donna indossi abiti succinti e poi denunci chi allunga le mani. Non è normale che chi ha una grave disabilità, studi, lavori e si sposi, non è normale che chi è affetto da patologie psichiatriche non sia chiamato “matto”, o che chi ha problemi di dipendenza non venga definito “drogato”. Non è normale che il figlio di medici e avvocati finisca a lavorare al supermercato, come non lo è essere un padre o una madre single; non è normale essere fidanzati in quattro, o decidere di vivere e morire come si vuole. Se il senso comune ci porta a questo, allora cos’è normale? Essere “diversi” è “normale”! Non è normale che sia necessaria, per ricordarci la nostra natura di persone, una cosa come il politicamente corretto. Ognuno di noi è diverso dall’altro ed è questo a renderlo speciale. È la diversità a ricordarci quanto siamo insostituibili e quanto ogni individuo sia importante e necessario alla comunità proprio per le sue differenze. Non potremmo andare avanti se tutti facessero i fornai, ma non esistesse nemmeno un fruttivendolo e così via per medici, insegnanti, operatori ecologici, camionisti e pizzaioli. Giudicarci l’un l’altro per come siamo fatti o per come decidiamo di essere e di vivere è solo impiegare male il tempo, visto che la critica distruttiva non ha mai portato benefici, né a chi la fa, né a chi la riceve.
Il “diverso” non sceglie di esserlo, non sa di esserlo e non dovrebbe esserlo perché non dovrebbe esistere un “diverso” visto che non dovrebbe esistere un “normale”. Queste categorie così indispensabili sono puro artificio, non sono altro che le parole di qualcuno che non ha la verità in tasca e che non è stato investito da nessuna autorità del compito di mostrarci l’unica via da seguire. È doveroso però parlarne, al fine di pensare in termini di alterità perché non possiamo aspettarci di essere capiti, aiutati, accettati e rispettati se siamo noi i primi a non farlo; se non ragioniamo quotidianamente in tal senso, se non comprendiamo profondamente che l’”altro” siamo noi per qualcun altro, non possiamo pretendere di essere capiti, aiutati, accettati e rispettati. Indipendentemente da età, sesso biologico, etnia, ceto sociale, identità di genere, status, ideale politico, orientamento sessuale, credenza religiosa (etc.) ognuno ha diritto di non essere giudicato e additato, ma dovrebbe essere accettato poiché persona, poiché essere umano.

 

 

 

Noi e le mie contraddizioni

Il dolore non mi fa paura finché sei dalla mia parte, finché le nostre mani si incastrano non c’è orrore che non possa essere dimenticato, sigillo più vincolante, né esiste potere più grande.
Tutto è iniziato nel male e nel buio è andato crescendo per caso. Leggero nell’ombra di un giorno si è perduto tra le pagine di un libro.
Non credevo nella forza delle parole, degli sguardi e della musica che si librava dalle nostre anime, ma adesso ne sono persuasa.
In questa vita ogni cosa si ripete ed ogni nota torna a tempo in questa macabra sinfonia. Continua la nostra danza infernale ed io non riesco a smettere di girare nel moto senza fine di quell’eterno carillon.
Le tue mani si muovono libere, ma pesanti sui tasti del pianoforte, così come una volta facevano su di me, le tue parole riecheggiano grevi nei miei battiti in crescendo.
Arrenditi mio amore, mio poeta, mio artista perché questo viaggio è stato solo un sogno, quindi oggi, ora, adesso sii scienziato!
Dimentica il gusto acidulo delle mie lacrime, scorda il freddo delle nostre miserie e l’abbraccio caldo che lo vanificò. Abbandona i desideri e le memorie, tienimi stretta qui, sempre con te, ancora per un’alba, ancora fino a domani. Poi abbandona la mia mano, guarda avanti, mira all’orizzonte e corri più che puoi, lasciami indietro, nell’oblio, lontano.
Non voltarti mai.

 

 

 

Pisa ha il Sole in fronte

Pisa ha il Sole in fronte anche quando piove, anche di notte! E mi piace pensarla così, ricordarla con delle foto fatte dal cellulare, degli scatti venuti fuori quasi per caso, durante i momenti della quotidianità, perché Pisa è alla portata di tutti, ma non è mai banale. È la leggendaria rivale di Livorno, una delle tante città storiche della Toscana, bellissima, dal fascino particolare, universitaria, ricca e magica, viva come il fiume che l’attraversa, meta turistica dall’architettura senza eguali, ma solo chi ci vive sa com’è la vera Pisa. La Pisa oltre la Torre, quella degli amori e dei desideri, quella del Lungarno descritto da Leopardi, quella dei diari e dei giorni che volano via, quella dei baci rubati sul Ponte della Fortezza, la sera, quella delle corse sotto la pioggia d’inverno, quella col vento fra i capelli in sella ad una bicicletta. Quella Pisa con gli amici, quella dei tempi indefiniti in autobus, sulla LAM rossa, quella della testa all’insù per fissare gli alberi “alti alti” di Giardino Scotto e ancora quella delle sere in Piazza Cavalieri a fare musica. Quella Pisa un po’ monotona e mai uguale, sempre traboccante di gente da ogni dove che anche se triste fa ugualmente festa; quella dei silenzi in biblioteca, quella che il vero Corso è Borgo Stretto, quella dell’acqua fresca alla fontana in Piazza Dante nelle calde giornate d’agosto, quando non c’è nessuno, quella delle penne cadute a lezione, quella dei giorni lontani dalla propria terra d’origine. Quella città di bagagli, viali, strade strette e case umide, quella di brindisi e canzoni, gioie e dolori, quella dagli esami infiniti e niente che va per il verso giusto; quella afosa e umida e quella fredda e cupa, quella di mare, campagna, collina, città di treni, aerei, autobus, macchine e pedoni, quella stracolma di studenti, di turisti e di giovani e anziani, piena e vuota di senso, libri e vita. Quella Pisa bella e triste, malinconica e assolata, vivace e desolata, quella di salite e discese, di ponti sbagliati e sensi unici, la Pisa dei raggi del Sole che filtrano tra i Platani, quella dei pomeriggi distesi sulle aiuole di Piazza Santa Caterina, o dei panini mangiati sull’erba fresca davanti al battistero; quella dove non si trova mai parcheggio o delle ore dedicate a perdersi nei sogni dell’orto botanico, e nello studio “matto e disperatissimo”. La Pisa di speranze e delusioni, quella oltre Corso Italia e quella delle notti infinite passate a ballare, a parlare e a fare l’amore. La Pisa della Luminaria, dell’Exploit e le sue chitarre, del gelato da Rufus e granite a Dei Coltelli, della cecina da Montino, del pranzo da Il Baronetto o da I Porci Comodi; la Pisa del Polo B, C e il Piagge troppo lontani dal centro e del P. P. N. Anche, delle mense universitarie, quella delle mille chiese, o del sottopasso a San Rossore, delle risate e le birre in Vettovaglie o delle file troppo lunghe dalla Foca Pia. La Pisa dei due passi su Via Santa Maria, dell’auto al Paparelli e dei mercatini in Piazza XX Settembre, la Pisa in compagnia o anche da soli, del sushi “bono, bono!”, dei biscotti della fortuna di Anni ’80 e dei faretti abbaglianti davanti Palazzo Blu. La Pisa del cielo che sbrilluccica la notte e i riflessi delle luci dei lampioni e delle stelle si bagnano di beato sul pelo dell’acqua, la Pisa del duomo tra i più belli del mondo, delle statue e delle mura, quella delle corse per non perdere il treno, quella dei traslochi e dei 18 mai voluti, ma accettati, degli incontri al Pacinotti e dell’Erasmus, perciò la Pisa di chi viene e chi va. La Pisa delle risate e tanti passi falsi, quella delle amicizie fatte in mesi e abbandonate, o fatte in un giorno e mai dimenticate, quella di chi ci vive una vita o solo un anno, quella un po’ mamma e un po’ donnaccia che ci dona sorrisi e delusioni, che ci regala soddisfazioni d’alloro, ci stanca, ci cruccia, anzi ci fa crucciare, ci tedia e ci maltratta, ma è per questo che l’amiamo, è per questo che per chi ci passa diventa, in un modo strano e mai scontato, per sempre casa.

 

 

 

L’altro lato della Luna

Si riconosce subito chi ha scorto l’altro lato della Luna, quelli a cui l’esistenza non ha fatto sconti; si vede dagli occhi, non perché sia facile capire dai loro occhi il dolore che si cela oltre la porta dell’essenza, nello “specchio dell’anima”, no, non per ciò che gli occhi dicono su loro stessi, ma per quello che dicono sull’oggetto della loro attenzione.
Lo sguardo di chi è stato squarciato dalla vita racconta le storie come nient’altro e questo perché sa come scovare e decriptare la scatola nera del mondo intero e ha dovuto imparare a vedere, guardando. L’occhio della realtà è crudele, spietato e anche se non ti ha mai visto prima, ti guarda come può fare solo chi conosce i tuoi più oscuri segreti e desideri, io lo so con certezza perché l’occhio ha scrutato anche me.
Adesso, però, che conoscete il trucco, quando camminate tra la folla fateci caso e mi raccomando, non aprite i cuori!

 

 

 

Macchina da volo

Costretta alla realtà dei fatti
Squarciata dall’orrore ideale
Lacerata anima stolta
Cigola al peso del desiderio
Angelo d’erotismo divino
Succube dell’inganno mentale
Ansima nel vuoto rullante
Macchina dalle certezze arrugginite
Piccola anelante possibilista
Soccombe alla speranza di un mattino
Alle intemperie si cela con nudità perversa
Abbraccia l’insaziabile sete
Una pioggia d’istinti la incalza.

 

 

 

La Vela

La Vela non sa cos’è chiamata a fare
Non sa che il vento sarà il suo solo compagno
Non sa che l’acqua è tutto ciò che vedrà da vicino
E che il Sole è l’unica cosa che la scalderà
La Vela non sa qual è la sua meta
Non sa chi siano i suoi amici
Non sa chi siano i suoi nemici
O quale sia il suo reale scopo
La Vela è libera, ma prigioniera della nave
È in compagnia, ma sola nel suo viaggio
È in movimento, ma sempre ancorata a quel pontile
La Vela è il baluardo del mare
È amica della scoperta
È amante dell’ispirazione
È figlia di ogni domanda senza risposta
La Vela è compagna dei sogni dimenticati
È madre del desiderio
È nemica della rinuncia
È simbolo di speranza
Eppure, non sa di trascinarci in salvo.

 

 

 

Per caso

A volte sento il suo profumo, il più delle volte me lo immagino soltanto, ma succede così e di continuo, all’improvviso, quando meno me lo aspetto mi torna alla memoria, netto come una stilettata al cuore e di solito accompagnato da altrettanto dolore; rimane lì, quel groviglio di emozioni nel momento, nell’immediato e si fissa, fluttua poi per ore tra i miei pensieri, per un lasso di tempo che tende al per sempre e non riesco a volerlo sentire svanire, forse perché è grazie a quel sussulto che mi rendo conto di essere sveglia, quando il ricordo torna impetuoso il tempo cessa di esistere ed andare avanti diventa un “dolce naufragare”. Basta solo un accenno di lui per tornare a vivere.

 

 

 

Punto e a capo

Ho iniziato a vivere soltanto oggi che ho le mani in mano e le dita tra le dita
Ed ora ho capito di odiare il rock a giorni alterni e amare chi non sa quello che dice
Ho iniziato a vivere per noia, stanca di morire ogni secondo e di stare zitta dal dolore
Ora ho capito di odiare chi non sa capirsi e crede di capire gli altri, chi si vende per ciò che vorrebbe essere
Ho iniziato a vivere dopo aver compreso che ciò che è sbagliato lo è se ne hai coscienza e che per amare serve bruciare i manuali
Ora ho capito di non sopportare l’ipocrisia delle verità, l’amarezza delle relazioni e viceversa
Ho iniziato a vivere quando ho smesso di sentire ed ho iniziato a pensare, o forse il contrario
Ora ho capito di odiare la musica troppo alta o troppo bassa e tutto ciò che non ha equilibrio, o che ce l’ha, ma solo in apparenza
Ho iniziato a vivere durante una riunione in cui il muro mi fissava e il bianco tendeva all’oblio
Ora ho capito di non sopportare chi gode nel collassare su se stesso affogando le spiegazioni nelle scuse e chi nega l’intesa di uno sguardo
Ho iniziato a vivere, così per caso, un giorno durante un viaggio in macchina, un lago, un tramonto e una pozza di fango dentro di te
Ora ho capito quanto non sopporto chi ha paura di avere paura e chi preferisce l’acqua al vino e le regole al sesso
Ho iniziato a vivere oggi, forse ieri, magari domani
Ora, però, ho capito che da soli non si è mai soli e che insieme lo si è di più, a volte, se si è distanti, il trucco è tutto qui
Ed io ho iniziato a vivere, finalmente, e senza trucchi perché ora, e soltanto ora, ho capito che l’amore si fa col cuore, non con la testa.

 

 

 

Mondo

I viaggi si fanno sognando
Così mi hanno detto
Ma è diverso
Ciò che si vede da ciò che si sente
È un lungo pellegrinaggio verso la verità
Verso il vuoto del mondo
Dove il Sole di pietra divide il buio
Dalle tenebre del nulla
Mentre la vita si dona goccia dopo goccia
Ticchettando crudele
Così il flusso dell’esistenza sfocia
Nell’oceano tiepido del tutto.

 

 

 

Leggera

Torno bambina
Giocando a mosca cieca
Tra le fronde di un salice piangente.