Giulia Paolucci - Poesie

Yours In Murder
(Inspired by David Berkowitz’s letter to the NY police)

Behind our house,
some rest! And the leeches,
the flies and beetles
are left alone,
to digest.

I spot mostly young caterpillars
butterflyraped
in the warm corpse of the earth.
They are bones now.

Kept locked in the attic,
it’s only psychosomatic:
watch my fingers turn to dust
grey fingernails, machine’s rust
-I’m subdued to Mechanic’s Laws-
I don’t repent, my love. It’s only lust.

Shoot, if you must
shoot to kill, or else
at the ball, les belles
will fry
like silkworms do.
Come on, don’t tell me
you
don’t like that divine fabric too.

Built upon blood
to preserve our youth.
And it tastes so good
-slipping into our throat
like blessed wine, religions’ glue-

You may call me Father, Savior
or Beelzebub:
I look for a fair game,
a good ol’ chasing
the tasty meat until
it rots, and none recalls its name.

I will be waiting in the water they drink,
with my worm-like fingers
rotten pink,
I won’t touch them
I won’t blink: to touch is to murder
and I love the never ending hunt.

Blood for papa, blood bound
honour thy father, lick the ground
he walks upon
or else he’ll know, he’ll know.

Banging beetles between the
browning beaks of the beasts.
Here, come! Come eat at my
table: it’s a free feast!

 

Traduzione

 

Tuo In Omicidio

Dietro la nostra casa,
un po’ di riposo! E i pidocchi,
le mosche e gli scarafaggi,
sono lasciati da soli,
a digerire.

Vedo per lo più bachi
strupratifarfalla,
nel caldo cadavere della terra.
Ora sono ossa.

Lasciato chiuso nell’attico,
è solo psicosomatico:
guarda le mie dita diventare cenere
unghia grigie, ruggine della macchina
-Sono sottomesso alle leggi della Meccanica-
Non mi ripento, mio amore. È solo lussuria.

Spara, se devi
spara per uccidere, oppure
le belle, al ballo
friggeranno
come fanno i bachi da seta.
Avanti, non dirmi che
non piace questo tessuto divino anche a te.

Costruito sul sangue
per preservare la nostra giovinezza.
E ha un sapore così buono
-scendendo nella nostra gola
come vino santo, colla delle religioni-

Mi puoi chiamare Padre, Salvatore
o Belzebù:
Cerco un gioco corretto, un
buon vecchio rincorrere
la carne gustosa finché
non va a male, e nessuno si ricorda il suo nome.

Aspetterò nell’acqua che bevono,
con le mie dita- vermi,
rosa marcio,
non le toccherò: toccare è uccidere
e amo la caccia senza fine.

Sangue per papà, legame di sangue,
onora tuo padre, lecca il terreno
sopra il quale cammina,
oppure lo saprà, lo saprà.

Scarafaggi che sbattono in mezzo
ai becchi dorati della bestia.
Ecco, vieni! Vieni a mangiare al mio
tavolo: è un banchetto gratis!

 

 

 

Blitzkrieg Loop

Dresde in flames,
Germany went down good:
The Nazis got what was due.

Respect for the troops:
artillery bones, a blitzkrieg loop
under the mud, boots.

Militar radio but we want to hear
Betty Boop and her long legs
legs that speak for themselves.
You can see her shiny lingerie, velvet red.

Cargo ships and hangar’s truth
Winner’s banquet, a bottle of Brüt
As the captain says, war is bad
but it’s also good. It drags you back
from the pits of hell: makes you anew.

Look at Steve, a filthy rapist
good-for-nothing fellow
but his eyes light up in the struggle.

His mad thirst, enhanced sense
got him under the Major’s lense:
and now he’s free, free as a convicted
man can be. War saves people.
Because hatred cleans-
it’s green and it’s free.

To us Romantics, war is
lyric poetry mistaken for screams,
blood wallowing below the seams.
But, above all, we deem battles a
temporary matter: cakes to a
batter. How did the Latins say?
You don’t get truce with chatter.

To make peace you got to forget.
What? Too hard?
No, you see, it’s just that
it’s lighter to grasp a bayonet.

 

Traduzione

 

Blitzkrieg Loop

Dresda in fiamme,
la Germania è andata giù bene:
i nazisti hanno avuto ciò che meritavano.

Rispetto per le truppe:
ossa d’artiglieria, un Blitzkrieg in loop,
sotto il fango, stivali.

Radio militare, ma vogliamo ascoltare
Betty Boop e le sue lunghe gambe,
gambe che parlano da sé.
Riesci a vedere la sua lingerie scintillante, rosso velluto.

Navi da carico, la verità dell’hangar
banchetto del vincitore, una bottiglia di Brüt.
Come dice il capitano, la guerra è un male
ma anche un bene. Ti trascina fuori dai
pozzi dell’Inferno: ti rende nuovo.

Guarda Steve, uno sporco abusatore,
buon a nulla,
ma i suoi occhi si illuminano nella lotta.

La sua sete pazza, senso potenziato
l’hanno portato sotto le lenti del Maggiore:
e ora è libero, libero quanto un condannato
può essere. La guerra salva le persone.
Perché l’odio purifica-
è verde e gratuito.

Per noi Romantici, la guerra è
poesia lirica scambiata per urla,
sangue che sguazza sotto le cuciture.
Ma, sopra a tutto, consideriamo le battaglie
una questione di tempo: torte per
un impasto. Come dicevano i latini?
Non ottieni la tregua con le chiacchere.

Per raggiungere la pace, devi scordare.
Cosa? Troppo difficile?
No, ma vedete, è solo che
è più facile impugnare una baionetta.

 

 

 

Elena di Troia

Ed Elena di Troia,
-dolce gola-
m’invoglia.

Serpeggia lucente,
lingue calda e tranquilla
fra le cose sabbia,
mortedeserte.

Sentila che chiama, sentila
come strilla!
Me martello e lei chiodo,
cotonearreso, carezza
di spilla.

Se hai paura, chiudi gli occhi
e se vedi il mostro, dillo.

Sebbene il lupo si nasconda fra
le pieghe della gonna,
Lei-donna
solo lei, torna.

Crudele
Elena di Troia,
se proprio devi dare uno spettacolo,
almeno compiacici,
almeno ingoia.

 

 

 

Non si nasce donna

Per ogni passo che si fa avanti,
se ne deve fare anche un altro
indietro.

Per guardare avanti,
ci si deve tagliare con lo stesso vetro
Che abbiamo creato.

Dal quale sanguiniamo. Che abbiamo
pasticciato.

Rosso piano rosso invoglia. Che lascia nudi. Spoglia.

L’abbiamo amato ma ci dá noia. Intrude.
Noi lo guardiamo e prude.

Sole lo eravamo, ma ora non piú.
Sapere disperata
che non lo sai solo tu.

 

 

 

Si diventa donna

Niente talento. Non si vincono
medaglie d’oro né d’argento.

Se l’hai fatto, lo volevi. Se è
successo, te lo meritavi.
All’inferno ci finiscono
pure gli ignavi.

Sei bella. Sgomento?
Lo eri pure prima. Lo eri ma
a stento.

Nemmeno il bronzo. Credi che
sia stronzo? Sono solo onesto.
Cemento e asbesto.
Non te lo meritavi. Se lo volevi,
sbagliavi.

Amare conta poco. Non basta
l’acqua per ammonire il fuoco.
Quando brucerai, brucerai
da sola.

Sperma in pancia. Sesso solo
per farlo, ancora e ancora.

Sai quello ma non sai altro.
Voce non da soprano, nè
da contralto. Voce rotta.
Ragazza sporca. Zozza.

Se non lo fossi, non ti vorrei.
Ti voglio per le gambe e per lo sporco.
Ti voglio a capo torto.
Ti voglio salva. Mi voglio morto.

Non sai scrivere ed è per quello che mi
piaci. Non sei piú di me.
Non ami oltre i miei baci.
Sei poche rime, rime facili.

 

 

 

Giro, giro tondo

e posso mettermi gonne lunghe
filate a ragnatela saliva
nylon benedetto
cotone di acqua argiva.

uno china la testa, uno non si impone
statua bianca e statua Adone
i sogni coraggiosi non rabbrividiscono
solo su pelle di leone.

e a me sebbene scalfisse poco o zero,
quell’attimo prima dell’uno meno,
quando ti togli le capacità di avere
coscienza, senno di essere
almeno vero a te stesso,
se non al mondo intero,

e io purtroppo muta con le gambe in aria
garrula lingua mietuta in un secondo
ho perso comunque una corsa,
una corsa millenaria!
a niente lame insignite ripetute alla noia
se bastasse così poco, dovrebbe fare
una paura boia.

non c’è soluzione, alcuna.
dannata, gliel’avevano
chiesta
quale, quale e quelli, incantati,
si sono fermati
si sono goduti, per così dire, l’attimo di gioia
trionfante stanchezza, fra le orecchie allori di chiara cartapesta
e hanno pronunciato parole pignoli
scivolava sul senso lo sfondo
si girava si girava, inutile girotondo.

e tutti perdono perché la ragione
non spiega un campo verde umore,
pochi cespugli dall’aria canonica
ti possono costruire d’un balzo la retorica.
perché il nostro mondo non dovrebbe essere come loro?
percepito lungo un’ottica oleosa
vissuto alimento dalla terra scabrosa.

qualsiasi cosa nasce e muore dalla nostra bocca
è inutile, non ci tocca
qualsiasi parola alzata mattone,
musicalità o decenza
va rigettata a terra, vomito egoistico
io!io!io! sì, ma chi me l’ha chiesto?

ed è questo
il silenzio
che tanto implori,
quando crollano
le aspettative
batterie senza pile
il pubblico si alza ma
non le prime file vai, prova
a spiegare
un cespo rotondo livido come un pipistrello
e un gatto stanco vibrisse
acquarello,
Narciso, spiegami quello.

prova a dirmi la parola, a fidarti
ciecamente dell’intronare i tuoi
sbattiti di ciglia, sorsi d’acqua giallo
tigli, mattinate passate a morirci
esisteva, qualcosa dietro?
se scosto la nuvola del mio percepire candeliere
-te lo giuro, succede per davvero-
vedo solo qualcosa che traballa,
temo preghiere.

 

 

 

La morte di Merlino

Merlino ci perdi,
ci perdi comunque:
butti l’amore e vedi cosa accade?
Uomo di scienza, nel calderone
con altri, facendo perno
su ottiche classiciste, roba vecchia
ti trascini all’inferno.

Era una strada che non andava corsa
per poi cadere giù,
ruzzolando a perdifiato
e vedere foglie morenti
-germogli stesi a bocconi sul prato. –

Morire, mio dolce Merlino, ti stava un po’
stretto,
a sghimbescio,
fra le pagine
del libro liscio come le pesche.

Morire non si annota,
ci pensi ogni giorno, mio Merlino
ma quando accade non puoi fare a meno
di essere un po’ sorpreso:
davvero ora si dovrà essere
corpo morto sotto un telo steso?

Libri pesanti e cattivi ti spingono sul petto
ed urlano di dire qualsiasi cosa
non sia mai stata pensata,
almeno quella!
prima di morire.

Tu ti gratti la barba, piano muovi le labbra
e un mugolio di sconfitta ti preme:
davvero non te lo riesci a spiegare
da dove venga quell’emozione spiga
che non vive, muore da seme.

L’Assoluto occhieggia: avido si rivela,
preme il corpo nudo contro
i colori della tela
e rimane sfumato, niente chiaroscuro
traballa e trema, a ritmo di tamburo.

L’Esistenza lo guarda sorpresa e cerca
di trattenerlo fra le braccia
ma tutti cadono, tutti crollano
terrorizzati al suo si taccia!
fra poco, silenzio di membra
fra poco, l’orma sbilenca della tempera.

E muori Merlino, muori non perché si deva
non perché se lo aspettassero tutti,
muori per rimpianto di non aver afferrato
ciò a cui si alludeva.

Muori silenzioso con gli occhi sbarrati,
solo per vedere
l’ultima goccia di miele
di tutto il creato.

Muori e poi anche basta:
non era così vasta
la tua temeraria vita.

Ti bagni le labbra di paura,
di sconforto, e ti getti
a capotorto nella tua stessa dimostrazione:
della vita si può essere padrone
solo finché si ha l’ardore.

Quando scappia via, come un cane ferito
lasciandoti armato di un patetico pallore
non ti trascini in un mondo migliore,
Merlino mio, lo sai, altrimenti
come si spiegherebbe questo
disgustoso e depresso grigiore?

Che è il primo pensiero, la scienza
che consegue
da colui che della natura
si pone come osservatore.

Merlino, per amor del cielo,
acconsenti a ridimensionarti
fra il freddo legno e il celeste velo,
fra le particelle di polvere
e l’acqua salmastra che non si puó bere
e ti perdi e non ci sei
e ti scordi di esserti perso e di esserci stato.

I tuoi muscoli diventato duttili e sottili:
sembrano essere mossi da dolci fili.
Una marionetta, il vento ti dona voce
il vento ti dá anima, soffiando veloce
le tue prime parole,
e per ultimo si duole
della tua inutile paura,
della tua bianca, pallida capigliatura.

Potevi andartene senza tutto questo frastuono
senza impazzire, addolorato, per non aver saputo spiegare l’uomo:
il vento sa, perchè non deve spiegare che
non avevi ragione te
(ma se per questo nemmeno noi)
morire e vivere
è
solo poi e poi e poi.

 

 

 

Il Big Bang

Una bambina si alza e chiede foto,
primo motore immoto
che fa girare tutti i pianeti
ancora sporchi di luce
scivolata a terra dai vetri.

L’universo appena destatosi
già componeva parole,
sdraiato sui confini
sonnecchiava silenzioso
ed a volte gli sembrava
di essere molto meno di prima,
ed a volte gli sembrava
di non essere assolutamente niente:
come si fa a vivere, espandersi, crescere
se ci si sente così
per più di un secondo?

Una bambina si alza e chiede foto
davanti ad una collina,
e sulla collina c’è il buio
e si deve aspettare
il tramonto e poi l’alba
e poi il mezzogiorno.
Lei dice, aspetta, aspetta
e poi
eccolo,
il grande scoppio
e luci! e lei
che grida falla ora,
falla ora,
scatta questa maledetta foto.

L’universo si stiracchia ancora un po’
e si guarda nello specchio.
Tutto quello che riesce a vedere
è un viso smunto fino all’osso
ed un grosso, terribile paradosso:
tutto continua ad accadere
la bambina apre gli occhi e lui
cade a terra malato
la bambina muore nella foto
e si stiracchia nel suo prato
ma
solo le foto sono immortali,
lui no.

L’universo si limita a vivere
per
una manciata di secondi
che gli scivolano fra le mani,
cadono nella foto
e si mischiano e confondono
iniziano a parlare una lingua lenta strana
ci mettono minuti, anche ore
per pronunciare una parola.

Certi discorsi, ci impiegano millenni,
altri milioni
e tutti, parlano insieme
c’è chi arriva dove deve arrivare
e chi invece perde il giusto tono.

L’universo cade fra le braccia
della bimba, che lo accarezza piano:
ha pietà
di questo povero essere disumano.
Tutto viene compresso
lungo le diritte linee di gesso
a più a non fa b
come b meno a non fa a
tutto equivale, elettroni
protoni e neutroni che fanno
un inchino davanti ai loro padroni.
Noi! Solo noi!
(e qualcosa che non riusciamo a capire)
in questo infinito
spazio di culla.
Noi! Solo noi! creati opposti al
nulla:
non serviva vivere, per così tanto
non serviva piangere, disperarsi
non serviva scrivere parole
imbrattare qualche tela
dormire e svegliarsi
di schianto.

Bastava stendersi fra violette,
guardare il cielo sottile
come la filigrana
alzarsi tutti,
e in prima fila
senza schermare in alcun modo
la sua luce divina.

Almeno così ci ha visto,
la bambina.

 

 

 

Quando moriremo mischiate le nostre ceneri

Tutte le onde che sono stato
non mi avevano preparato,
nemmeno un po’
a te che mi chiedevi di donarti
l’anima con una stretta di mano
mentre mi facevi l’occhiolino
come a dire, mi vorrai di nuovo e dirai
basta, ma sarà sempre un pochino.

È qualcosa di inumano
il muro che si sfalda, fragile come marzapane
alle sue grida sotto piano:
le onde d’Inghilterra non sono
abbastanza per te,
tu vuoi la terra, perché sei terra
Gea dalle mani alzate in preghiera
ai tuoi figli dici, Lui lo amo
anche se nascondi un anello nella mano
anche se dovresti dormire, è già sera.

É un onore la tua risata
e tutte le altre mie donne
si portano le mani ai capelli e gridano
in coro
lei promette dolore e polvere
noi il paradiso
e l’oro,
nemmeno il più santo cardinale
la potrebbe curare.

Vedete, non c’è niente da aggiustare
uno deve solamente decidere
se vivere con una ferita rosso furore
o arrendersi ad un dolce sopore,
una donna che gioca a fare la signora
o una che si schiarisce la gola
solo per dirti di toccarla ancora,
esattamente lì, non un centimetro
più in su.

Respirare passione, respirare solamente
il suo fiato
niente ossigeno, mi alimenta un suo bacio
e tutte le donne che avrei potuto avere
scuotono la testa, battono i piedi
e i suoi spacciatori, i suoi strozzini
i suoi vicini di malefatte e terrori
sono tutti lasciati a marcire, indietro
quando mi presento io senza troppi onori.

E lei butta la testa al cielo e le sue risate da iena
mi rendono burrasca lasciata a lambire sulla sua schiena,
e non c’è più Inghilterra, né colline né muri
che ci possano separare:
Terra lei ed io il suo mare.

 

 

 

Aranciamacchiata

Il dolore
pensavo avesse un odore.
Aranciamacchiata, senza pudore
che perde il suo sangue, il suo rossore.
Mi sento una ferita, mi sento
melograno
fra le tue dita.
Non mi aspetto che tu mi possa curare,
amare e ingessare, fra etti di bianco:
colore morto, colore stanco.
Non mi aspetto di essere salvato:
voglio solo il tuo profumo freddo
sentirlo colare dal mio costato.
E se tu non puoi darmelo, non mi daró per
perso: il mio cielo è celeste lucido,
e, fra mille nuvole, lavato terso.
Non mi aspetto che tu capisca
i miei aculei freddi e la mia vena istrice,
il mio chiamarmi animale, il chiamarmi lisca.
Non ho paura di perdere e non ho paura
di morire. Ma vivere! Dio se mi spaventa
e non riconosco i colori,
non distinguo il celeste dal rosa magenta.
Non penso ce ne sia bisogno:
ad alimentare il mio dolore non è il fumo
che esce dalle mie orecchie, no,
non le mie vecchie, assurde, argomentazioni.
Il mio male è il silenzio in gola, la parvenza
di una gioia non vissuta:
la uccido in partenza.