Ilaria Gentile - Poesie

PROSSIMI SCONOSCIUTI

 

Occhi fissi a degli schermi,
per parlar con chi non c’è,
e sembriamo quas’inermi,
senza saper qual è,
il nome di ch’invece,
sta nel sedil vicino;
chi è, cos’in passato fece,
o perché stesso cammino,
ha preso questa sera.
Sarebbe bello conversare,
rompere questa barriera,
conoscersi, dal vivo parlare,
passando insieme sereni,
tempo, senz’essere alieni.



OBLIO

 

Mi sono persa,
tra note sconosciute,
d’una melodia mai sentita,
mirando i rami,
d’un albero ignoto,
mossi d’un vento autunnale.
Mi sono persa,
tra le sue fronde,
nei color caldi e vivi,
d’ogni singola foglia,
a me, sì familiari.
Mi sono persa,
nel ricordo di qualcosa,
che tuttavia mi sfugge …
D’un sapore provato,
d’un odor amico,
è , dico forse,
‘na sensazione vissuta,
ch’alla memoria però,
rievocar non posso,
giacché son perduta.


 

DONNA

 

Oh Fior che sciogli i capelli,
da nobili amabili intrecci,
chioma folta, adorna di ricci,
sorrisi dei giorni più belli.

Lieve tua voce risuona,
nell’aria sì candida brezza,
che pur ciechi può tua bellezza,
incantar ogne persona.

A lungo sola hai nascosto,
quanto fragil esser potevi,
che la vita mentre crescevi,
altro d’esser t’ha imposto.

Oh rara, delicata creatura,
sorgente assetata di forza,
dolce polpa e dura scorza,
sei frutto di questa natura.

Placida gli occhi sul mondo,
t’ho visto poggiare serena,
ch’amor come filtro ti mena,
nel tuo ir’avanti en tondo.

E vagando notasi l’assenza,
d’esta gentil onesta creanza,
poiché del principio sostanza,
e dell’istessa fin sei l’essenza.

Oh Flora di speme nutrita,
illusa e rimasta ferita,
ti lasci alle cure del tempo,
affrontando ogni giorno la vita.


 

 SEGNI INDELEBILI

 

Catturato,
lo sguardo fisso,
alle sue mani,
meriggio inoltrato,
sta ‘l tempo stesso,
a pensieri vani.

Mani nodose,
un po’ trasparenti,
e consumate,
chiacchiere noiose,
si perdon lenti,
in codeste giornate.

Veloce va ‘l treno,
tremorio di sedili,
carrozza affollata,
è tutto pieno,
ecco man sottili,
di donna ch’è stata.

Star a guardare,
la traiettoria,
d’intrecci di vene,
fa sol pensare,
a quanta storia,
una mano contiene.


 

 GUAI

 

Passai front’un commerciante,
vendeva idee, occasioni,
pareva tutto sì allettante,
m’altro n’eran che illusioni:

possibilità irripetibili,
esperienze senz’eguali,
a sentir insostituibili,
pur tanto belle, quant’irreali.

Era astuto il commerciante,
caldi gl’animi accendeva,
d’ogni giovane aitante,
che all’amo suo giungeva.

E mentre avant’andando,
le sue parol ignoro,
m’allontano io pensando,
ch’incantar si lascia, peggio per loro.


 

 SOCIETÀ

 

Ventunesimo secolo abietto,
età del progresso chiamata,
alba di tecnologia avanzata,
dal certo discutibile aspetto.

Società, persone, governi,
nell’indifferenza fannosi il bagno,
resi ciechi dal Dio Guadagno,
ossia distruzione di valori perni.

Era di internet e di reti globali,
del pianeta lo sregolato inquinamento,
di morti di fame l’ammassamento
e del potere alle multinazionali.

Routine ormai il delitto in famiglia,
sparsi al mondo atti guerriglia,
mentre fioresi tensioni politiche,

son le condizioni sempre più critiche,
d’una umanità che tale,
si perde nel frivolo e superficiale.


 

MENTORE IL RAGNO E RAGNATELA LA META.



Si come l’argentea tela oscilla,
di minute perle d’acqua adorna,
la mente mia va e ritorna,
tra i pensier nella quiete più tranquilla.

Lavora l’ingegnoso tessitore,
lento termina il suo artificio,
nella buia notte o in luminoso albore,
a costo di fatica e qualche sacrificio.

Da quella grande forza contenuta,
dovremmo noi cogliere l’esempio,
essere tenaci, andare avanti senza paura,

timor che in “occasione” si tramuta,
poiché la rinuncia è qualcosa di empio,
e ‘l tempo lo spazio di una vita dura.



PICCOLE FERITE

 

Una fitta sì grande al petto,
che manca presto il respiro,
al torace di man un pugno stretto,
dalle labbra l’eco d’un sospiro.

La penna scivola or schivando,
minuscole pozze d’umido dolore,
e il pensier su te tornando,
tiene ancor ferito il core.

Tal il mal che mi procura,
d’esta affilata tua parola,
che sia verità, la paura.

E sì delusa rimango sola,
colla flebile mia speme,
che tu dica: perdonami, restiamo assieme.


 

PRIGIONE INVISIBILE

 

Oggi non di gente noi sentìa,
che perir lasciata si sia
di dolor, profondo e verituro.

Entro est’oblio sì oscuro,
erra il figlio dell’umana sorte
e grida con voce di morte,
il suo tormento fra tacite mura.

Anima corrotta, serrata all’usura,
da l’istesso grembo che pria lo manda
in terra, padre severo ch’il viver comanda.

Trattasi di ria condizione,
n’importa chi ha torto o ragione:
è un’invisibil triste gabbia,
scolpita entro sguardi velati di nebbia.

Tal del mio cuor è il travaglio,
che provo oggi come ieri,
per un fatal innocente sbaglio,
commesso senza distorti pensieri.


 

ALZATI MERAVIGLIA

Alzati meraviglia,
a te ch’ascolti dico,
poche cose debbo dire:
tu creatura figlia,
d’esto mondo amico,
gli orecchi devi aprire.

Vorrei farti capire,
che pur se ‘l duolo è grande,
nulla ci può atterrare,
sta a noi decisi agire,
superando le alte fronde
e la volontà affilare.

Cominciati ad armare,
d’amore, e di coraggio,
la forza tua fuori tira,
per ogni dì affrontare
ciò ch’è male di passaggio,
e placa la tua ira.

Il male altro male attira,
ricordalo, quando avrai paura,
e sarai triste e desolato,
tu,  in serenità respira!
Rischiara la vista oscura,
per non restar legato.

Poiché d’un solo lato,
non esistono monete,
decidiamo noi cosa vedere,
se lasciar il cuor addolorato,
oppur d’azioni concrete
reagire e farci valere:

abbiamo noi questo potere!