Julio Lazaro Padron Velazquez - Poesie

PANDEMIA

(Pubblicata nel 2010 all’interno di “Labile Soffio di Parole”, Albatros Il Filo Ed)

 

Apprensione, paura, terrore

Una nuova pandemia si avvicina…

La vita sul pianeta é messa in gioco.

I mari, le montagne, il cielo…

e perfino l’infinito,

sono sotto assedio!

I primi sintomi si vanno avvicinando.

Il gene letale sta emergendo.

La materia viva non ha futuro.

La materia viva andrà sparendo.

Madre Natura ha partorito 

colui, che più che figlio,

é il suo veleno.

Madre Natura muore nel parto.

L’uomo,

suo ultimo grido,

la sta uccidendo,

le spacca il cuore

… e trionfa l’infarto!



SE-DICI ANNIVERSARI

 

Se dici sole, io sono luna

Se dici luce, io sono ombra

Se dici estate, io sono inverno

Se dici tomba, io sono culla

Se dici fiore, io sono sterco

Se dici uno, io sono zero

Se dici musica, sono silenzio

Se dici bianco, io sono nero

Se dici fuori, io sono dentro.

Sempre il contrario,

Sempre l’opposto,

Sempre il dissenso,

Sempre lo scontro.

Sono così, sono un po’ sbronzo.

Ma se dici t’amo, quasi mi sciolgo

E se dici amore, Io in te, allora affondo.

Perché siamo diversi e piuttosto simili

Siamo i contrari che non esistono,

se non sono uniti nell’infinito e senza limiti.

Per ciò, se dici sedici…

Non so che sia,

un attimo, un sogno, un’illusione, una follia…

Sedici anni? 

Che vuoi che sia?

Se oggi, come ieri e sempre,

Io sarò tuo è tu sarai mia.


QUANTO BASTA

 

L’amore è quanto basta

per prescindere del amore.

L’amore solo avanza

se avanza spazio nel cuore.

Amare quanto basta

é una perfida ironia.

Amare quanto basta 

é una lurida follia.

Ameno che…

Amare quanto basta

sia una utopica poesia.

Amare quanto basta

a raddoppiare le stelle.

Amare quanto basta

ad azzerare le pene.

L’amore, Se basta non è abbastanza

e se avanza,

basta di essere amore.

L’amore è quella sostanza

che stordisce la ragione

e ci fa chiedere a oltranza,

sempre di più dell’amore.

L’amore non basta,

ma neppure avanza.

L’amore calza

quanto sovrasta.


DIVERSAMENTE DIVERSI 

 

L’uguaglianza è quel bel paradosso

di abbattere le differenze,

senza accorgersene che 

quel che ci rende uguali

é che siamo tutti diversi… 

Diversamente diversi!

Siamo tutti universi

di un universo di versi.

Versi che rombano in sinfonia,

o in disfonia deragliano

… e van tutti persi.

Sofisticate costellazioni di protoni 

che si sciolgono e ricompongono 

in un susseguirsi infinito di soggetti. 

Soggetti imprigionati nella forma,

nella materia,

nella coscienza.

Soggetti assoluti e relativi.

Soggetti sovrapposti e contrapposti.

La cronaca e la favola,

l’ingenuità e la malizia,

il maschile e il femminile,

il bello e lo brutto,

lo nuovo e lo arcaico,

l’umano e l’animale…

Tutti ugualmente diversi.

Tutti diversamente uguali.

L’utopica follia di un Giano

che muta e rinizia ad ogni istante 

nell’universo parallelo nel che coesiste, 

nascosto a piena vista,

dietro l’ingenua insofferenza

di un simulacro d’artista.


L’INTELLETTO

 

L’intelletto non si imprigiona. 

L’intelletto è libero come il vento,

l’intelletto è l’unica garanzia di evadere 

dal ghetto

… e dalla demagogia 

del nostro tempo. 

L’intelletto non si scambia, 

non si compra,

non si regala.

L’intelletto si coltiva,

si conquista,

si difende…

ma purtroppo anche si fucila.

L’intelletto senza memoria 

è come una pianta senza radici 

che al sole brucia,

perde i suoi fiori…

e vola via.


DEA CHE ARDE

 

Arde Ardea nel ghiaccio dell’astio.

Arde l’ocre tufo stuprato dal grigio cementizio.

Arde l’airone inquinato dall’oblio.

Arde la storia,

arde l’arte,

arde l’onore

… Arde a cenere il civile raziocinio.

Arde… Arde l’anima di un paese che si estingue 

nella pigrizia, l’omertà, il “menefreghismo”…

Un paese che si estingue

prima ancora di essere stato ricostruito.

Arde… Arde la voce,

la voce di un suo figlio,

pur se adottivo,

che grida il suo canto…

Il suo canto di dolore,

di dolore e di speranza…

La speranza nell’amore,

l’amore che non brucia,

ma che, nel fuoco,

germina, insorge… e avanza.

La speranza che prima,

anziché poi,

da tanto ardere…

dalle sue ceneri rinasca un’altra Ardea.


L’IMPRONTA DEL TEMPO

 

Chi pretende inchiodare il tempo 

ingabbia la sua vita nello spreco

tra le sbarre di un assurdo sentimento, 

che divella niente altro che il suo ego.

Se si fermasi il tempo,

ci mancherebbe l’alternarsi del sole e delle stelle,

ci mancherebbe dal mare il rumore delle maree,

ci mancherebbe dal cielo le nuvole, la pioggia… e la neve.

Se si fermasi il tempo,

pur se in grembo al gaudio e l’euforia, 

la vita sarebbe una tragedia…

una tortura, un martirio, una follia.

Se si fermasi il tempo,

l’universo diventerebbe una monotona e fredda fotografia, 

un fossile immutabile privo di futuro e di energia,

un aborto di progetto, spoglio di sogni e fantasia.

…E se invece, più che fermarlo,

diventassimo solo immune al soffio del suo vento? 

Beh, in quel caso sarebbe ancora peggio.

Perché vivere non é altro che l’arte di scolpire

il nostro corpo nonché la psiche

con l’impronta del tempo vissuto in pieno.

É così che oggi ti auguro buon “lavoro” e buon divertimento 

…e senza dubbio ti faccio i complimenti!

La tua opera, ad ogni istante, acquista pregio.


IL BACIO 

 

Ad ogni tuo battito di ciglia 

scompare e rinasce il mio universo. 

Ad ogni tuo battito del cuore

la musica conquista il mio silenzio. 

Come battiti di ali di farfalle,

ad ogni tuo respiro,

la mia vita acquista senso…

Perché il senso di vivere non é esistere,

bensì sognar da tuoi baci quello più intenso.

Non uno qualsiasi… Non uno a prescindere, 

bensì quello diventato esempio.

Quello in quel rifugio venerato quale un tempio.

Quello in cui l’amore spregia la buia sorte.

Quello in cui l’amore sfida la fredda morte.

Quello in cui l’amore sconfigge, 

in un abbraccio, il misero tempo.


UN ALBERO NEL MARE

 

C’é un albero in mezzo al mare 

del quale non si vuole sapere. 

Un iceberg che cuoce nel sale 

e disturba la nostra quiete.

C’è un albero che brucia nel ghiaccio 

da un primo mondo indolente

Che, in barba al credo, da un calcio 

a un fiume di stelle, perché indigenti.

É un albero cupo e fantasma

che piange speranze infrante.

Un albero che, di sangue e sudore, infanga

la immacolata bellezza delle nostre spiagge bianche.

É un albero senza doni, 

colmo di fame e di sete. 

Barche pregne di cuori, 

naufraghe bare nella corrente.

É un albero fatto di sogni

coraggio e disperazione.

Un albero che, pur se privo di soldi,

regge i pilastri per un futuro migliore.

C’è un albero che il Natale

lo rivive ogni giornata,

quando, in beffa all’oblio criminale, 

viene una qualche vita salvata.

C’è un albero che dal Natale 

non aspetta un sacro Messia, 

bensì che si compia l’ideale 

che sia sacra la vita.

C’è un albero che a Natale

non ostenta lusso né simulata umiltà

ma, stoico resistendo ogni sopruso, 

rimane, a nostra vergogna … 

culla, moto e speranza per tutta l’umanità.


BOTTIGLIA ALLA DERIVA

 

Quella da molti non è speranza… È semplice voglia, desiderio, preghiere e “magari un domani”… Fatui deliri distesi inermi nel turbolento oceano della vera speranza … La speranza dove vaga naufrago l’emigrante senza replichi di campane. Ogni speranza comporta un rischio di naufragio.

Ogni naufragio alberga un filo di speranza. Ogni speranza, pur quando naufraga, può sollevar, dal suo riflesso, una farfalla.

È normalmente il mondo reale ad essere riflesso nello specchio del nostro ideale, ma tal volta, disubbidendo le leggi della fisica, si fa la magia, e partendo da un mondo ideale, si riesce a materializzare un’altro autentico… ed è proprio l’emigrante, col suo prezioso carico di speranza, a trascinare questo progresso … questo salto qualitativo. La speranza è quell’istinto basico, quel tesoro evolutivo, quella forza innata che muove l’individuo a sfidare frontiere geografiche, morali, religiose, politiche e/o amministrative per costruire un sogno, per fabbricare un miracolo, per far concretizzare quel che fino allora era per tutti un impossibile…. una chimera.

Ma emigrare non è solo cambiare di paese, si emigra anche quando si cambia la città, la borgata, la scuola, la casa o la stanza dei fratelli… ma ancora oltre, emigrare non è solo cambiare lo spazio, la terra o “l’erba che calpestano le piante dei nostri piedi”… Si può emigrare anche nel nostro mondo interiore: dagli amici, dagli amori, dalla famiglia, dai genitori, dalle convinzioni … e per fino da noi stessi. Emigrare non è niente altro che un modo di mutare, crescere, maturare e per fino morire, ma senza per questo voler negare l’origine e l’appartenenza… emigrano perfino i continenti, le stelle, le galassie e l’universo… ma rimane sempre tutto inesorabilmente allacciato alla speranza… la speranza di completare quella traiettoria ellittica che ci porta, prima o poi, al punto di partenza.

La speranza è una forma nobile dell’ambizione, da non confondere con l’avarizia. La speranza è generosa e non egoista. La speranza non aspetta, non chiede, non supplica, non mendica… la speranza va e conquista.

L’emigrante è uno spirito irriverente, indomito e rivoluzionario, che, sacrificando i suoi più profondi legami affettivi, esplora ed espugna nuovi spazi. Porta il meglio della sua terra al suo nuovo destino e acquista il meglio dal suo nuovo destino per far crescere la sua terra. Sì, perché l’emigrante si allontana ma non abbandona. Si può abbandonare un paese senza essersene mai allontanati, mentre l’emigrante invece, pur se distante, quale bottiglia alla deriva, nel suo interiore non porta altro che tutta la sua terra in un sospiro… un sospiro da condividere con nuovi amici… nuovi amici con cui scoprire nuova Patria in tutta l’Umanità. Incurante di pregiudizi, menzogne, emarginazioni e condanne, l’emigrante, pur se inconsapevole, costituisce un pregiato strumento di scambio cognitivo, un meccanismo essenziale di sviluppo socio-evolutivo.

La speranza è il moto che traina all’emigrante.

L’emigrante è il moto che traina all’umana razza.