Katinka Borsányi 2 - Poesie

Passa l’autunno

Vellutato, passa l’autunno,
lascia in bocca un blando
gusto d’estate, senza traccia
di inutili moine,
nessun retaggio di vertigine
amorosa. Lecca il vento
l’albero di caco, maldestro
s’inceppa tra i rami,
il suo pianto si arena sulle foglie.
Leggero, il sipario scende,
mussola di bronzo, per chiudere
la stagione delle improbabili
promesse, ma ci resta un esile
auspicio di bene per l’inverno
colorato di marzapane
e il palo di luce gronda
ghirlande di edera.

 

 

 

S. Elisabetta d’Ungheria ai malati Covid

La malattia ti spaventa con il suo boato
che slitta sull’altopiano della mente
dove le ruote si girano in un’ossessiva
danza e non esiste alcuna retromarcia
e il pallore del tuo esilio ti fa scoprire
scaglie di argilla nella carriola di Dio.
Tra le tue costole, che sognano l’amaca
di biancospino, prude il virus della paura,
ma è confuso e sbatte le palpebre marce
e i suoi artigli di ruggine vengono accorciati.
La polpa del tuo cuore aspira con la cannuccia
pezzi di cielo dalla finestra della cattività
e il cinereo della stanza cede allo splendore,
i muri spogli s’impregnano di gocce grasse
di acuta gioia e merletti di pace adornano
il tuo deserto. E si disperde il carbone di febbre.

 

 

 

Santi Innocenti

Scende morbida la neve,
cadono come fiocchi le vite
bianche, piccoli martiri
senza nome, mille boccucce
succhiano il latte freddo,
mille risate sono sepolte,
si affogano nella neve
e domani la notizia non fa
più colpo, nella pioggia
si diluisce ogni pianto,
solo l’eco delle urla resta
nell’aria, vibra orfana e pura.

 

 

 

Alba d’inverno

Stanca di nero la notte si sveste
piano, sboccia l’alba dai petali fini,
la brezza sfarfalla tra i rami spogli
del gelso che sussulta sotto la brina,
vibrano, quali sorrisi festosi,
i nastri di luce rosa nell’aria
fredda, i fiori sepolti in terra
sognano le carezze del sole,
trilla note gialle solo il calicanto,
araldo di nuovi tempi di luce.

 

 

 

Linfa

È un frainteso, sia chiaro:
la linfa non scorre in te lineare,
segue le curve illogiche
dei giorni feriali,
ai nodi si arresta, li aggira paziente,
rispetta le inutili contorsioni
della mente e del cuore
gli iperbolici moti,
tace autorevole
davanti agli impulsi della carne
e ti lavora sapiente secondo il ritmo
che è solo tuo.

Ci vuole tempo che ne sia penetrato
il tronco e i rami tutti siano dissetati;
ti cade dagli occhi la scorza rugosa,
si scioglie il ruvido velo
e, a sorpresa, scopri di essere felice.

 

 

 

Silenzio voglio

Nella notte i corpi dei suoni
scuri si fanno ed è orrenda
la carne del silenzio.
Eppure silenzio voglio,
bello e riposante e discreto
che cammina in punta di piedi,
ma potente maciulla le mani invadenti
che pizzicano la mia indifesa pelle.
Un silenzio trasparente e lieve
che plasma canti futuri
ed è vasaio e sarto di pace.

 

 

 

Al bar

Siediti. Sì, qui davanti a me.
Guardami negli occhi
e guardati nel cuore.
Non ti faccio domande,
ma tu rispondimi.
Il metallo delle sedie
ti raffredda la mente,
così ricorderai ogni particolare.
Vuoi acqua? O vino?
Non importa, non diluire
l’inchiostro del passato.
Come vuoi perdonarmi
se non ti perdoni?
Bevi molto silenzio,
ti aiuterà come la medicina
amara, ma finché stai con me
non fissare i lacci delle tue scarpe,
mi dà fastidio. I tuoi occhi voglio,
quelli semplici, come gli occhi
dei cervi, fiduciosi nella paura.
Oggi non si paga. Le confessioni
sono gratuite. La vita ha già presentato
un conto salato.
La morte anche.

 

 

 

Rinascita

Cosa c’è da esplorare
in una prateria diserbata?
Un cuore strapazzato,
alcune sicurezze fatiscenti
e cadaveri di fiori stanchi
del proprio rigoglio,
rastrellati dal vento.
Ma il teorema della morte
eterna affloscia davanti
a un pertugio modesto
che, bonario, si schiude
tra nubi intrise di pietà
e aiuole abbandonate.
Credi e nuove corolle
di petali orneranno
il tuo cuore sciacquato
dal fortificante dolore.

 

 

 

Trittico di speranza

grugnano le invisibili forze
intente a svestire la speranza

mercimonio di anime sorde
taciuto da una retata di stelle

la speranza può essere scalfita
ma non finirà mai al mattatoio

 

 

 

Assolo

È un pugno di dolore,
niente di più, la solitudine.
Al calar della bruna sera
si stringono le dita attorno
al loro vuoto, ne resta l’eco
sulla pelle, tracce di unghie
arano la mano, non carezze.
E quando il buio sembra
soffocare l’ultimo respiro,
d’istinto, lo sguardo implora
pietà all’alto e si accorge
delle corolle: minute e chiare
fioriscono migliaia di stelle,
e lacrime liberanti
s’immergono nella sinfonia
delle amorose scintille
e sai che non sei più solo.