Katinka Borsányi - Poesie

Dialogo

 

 

 

Mi dici corona?

Ti dico corolla.

Mi dici virus?

Ti dico vita.

Mi dici caos?

Ti dico disciplina.

Mi dici orizzonte tenebroso?

Ti dico opportunità di crescita.

Mi dici smarrimento?

Ti dico che dentro di te sai perfettamente dov’è il nord.

Mi dici è un caso.

Ti dico ne sei proprio sicuro?

Mi dici morte?

Ti dico promesse di vita.

Mi dici non è giusto?

Ti dico metti le ceneri sui capelli.

Mi dici paura?

Ti dico preghiera.

Mi dici che non ci credi?

Ti dico leggi la storia di Ninive.

Mi dici va’ in quel paese?

Ti dico in quale? Fra poco saranno tutti dichiarati zona rossa.

Mi dici che non ne puoi più?

Ti dico è appena iniziato.

Mi dici la vita fa schifo?

Ti dico guarda i fiori.

Mi dici che c’entra?

Ti dico sono segni di speranza.

Mi dici che sono folle?

Ti dico sì, follemente grata.

Mi dici non c’è di che?

Ti dico sì, sta sbocciando la primavera.


Spettacoli annullati

 

 

 

È chiuso il sipario,

gli attori pendono sospesi

come il lampadario

carico di luce spenta

che regna muto 

sopra la deserta platea

e sospeso è il pubblico

che ormai recita stanco 

il panico tra scaffali svuotati.


Dramma di Bergamo 

 

 

 

Camion di soldati 

armati di amore,

camminano 

come cammelli

carichi di vite

spente in massa,

sigillate dal rantolo

dell’eterno silenzio.

 

Un triste convoglio

in funesta processione 

porta con pietà

l’offerta all’olocausto

sull’altare di un feticcio

avido di capelli bianchi.

 

Scorrono i grani scuri  

di un rosario mormorato

sulle strade di Bergamo,

custodi di troppe salme 

che annunciano, 

pur prive di parole,

tempi estremi 

per svegliare chi resta.


S. L. 49 anni

 

 

 

Galleggia un corpo inerme nel Piave, 

quel fiume ingordo di vite

da tingersi di rosso 

in battaglie

inutili.

 

Fluttua una donna come foglia nel vento,

lontana dalla bruna terra natia,

del Caucaso il ricordo 

lo riabbraccia

nell’acqua.

 

Affiora da onde mattutine, alla foce ignara

di essere culla di morte cercata,

l’esausta infermiera

dedita agli altri,

ma sola.

 

Si placa così la paura cresciuta di un angelo

in camice bianco, votato all’amore 

tra corsie e letti di malati,

a portare balsamo

contro il male. 

 

Umida si spegne la radiosa stella in caduta 

libera nel letto largo e perenne,

in battaglia si distingue, ma

sfinita, una donna

muore.


Nulla cresce

 

 

 

Nulla cresce ora nel mio giardino

abituato a profumare di vita,

il sole non svela alcun sentiero,

solo il solito labirinto dove giro a vuoto

e dove gli unici segni sono i sogni.

Mi esortano di fare strada nella giungla

ma la roncola mi cade per terra

tra mani tremanti e un urlo fermo in gola.


Canto di Francesco

 

 

 

Tu sei bellezza!

Lo canta Francesco

come un mentecatto

sulle strade di Assisi.

Tu sei bellezza.

Può non essere bello

colui che ha creato il sorriso?

Prendevo sonno

nel sentir parlare di te

e cercavo la bellezza

in specchi sporchi,

in sorgenti contaminate

da inutili pensieri,

avevo la benda sugli occhi 

e non capivo ancora 

che tu solo sei bellezza

e tutto il resto che è bello,

è bello per riflesso tuo.

Poco ci vedo anche ora,

il tanto pianto

mi ha consumato gli occhi,

ma vedo con il cuore

e vedo senza ombre e fraintesi

che tu sei bellezza. 

E grido con i venti

da penetrare ogni tana

priva di sole

e ogni vita ferma in torbide acque 

che c’è, che esiste

la bellezza, 

quella mai in balìa dei gusti

e sorride, danza, si moltiplica,

entra e fluisce in te

che, incantato, gorgheggi:

“tu sei bellezza”.


Custodisci la luce

 

 

 

Custodisci la luce

che arde in te:

che sia torcia superba

con lingue di fuoco,

o modesto lumino,

o languida fiamma

di una timida candela,

porta la luce,

mostra la via,

tieni sveglia

l’esile speranza.

 

Custodisci la parola,

il verbo che trabocca

di forza creatrice,

gentili e calde parole

con cui scioglierai

la prigione delle anime

che ancora dormono

al freddo.

 

Custodisci la sapienza,

il cuore saggio

nato nell’Eden,

la barca di carta

che naviga in acque pulite,

la barca che spingi

con voglia gioconda

su onde quiete

d’ingenua gioia.


Diagnosi di due parenti 2.

 

 

 

Dove sei, sole, dove?

Tra turbe di siringhe

che sbucano vite

e avanzi di sorrisi 

spogli di orgoglio

e consci dell’eternità,

nascosto, lo so, ci sei. 


Ombre del passato

 

 

 

Perché le ombre 

con il tempo si allungano?

Fingono, bugiarde, di avere

eleganti strascici neri,

subdoli tentacoli del passato,

chiazze violacee 

che afferrano l’anima bianca.

Datemi tiepido il sole, 

le ombre restino fresche e brune,

si ritirino ubbidienti

all’ora stabilita, chiuse 

nel guscio della notte,

a cui da sempre sono destinate, 

senza proiettarsi mai

verso il domani. 


Leda e il cigno

 

 

 

Nivee le piume mi sorprendono

nel sonno tiepido,

di acqua odora l’aria e di amore,

avvolto di ambrosia divina,

antichi rumori eccheggiano le onde 

e rimbomba il Taigeto

sotto i passi del dio in calore.

Cigno, 

cigno dal collo profumato

e interminabile come una serpe

che subdola si ruba la preda,

scivolato dall’Olimpo 

t’insinui fra le mie colonne 

di marmo vivo 

per farmi covare 

uova immortali.

Sei troppo umano, Zeus, 

con questo trucco,

ma ti cedo,

Sparta chiede coraggio

e non certo l’astensione,

servono i figli da mandare in guerra

e Leda è regina,

offro buon esempio

alle donne che siano sempre pronte

a cogliere il seme spartano

e a rendere onore ad Artemide.

Poggiti, cigno, in me,

m’inebria la brezza olimpica,

ubbidisco al candore fallace,

e, posseduta dai sensi sinuosi,

gioisco dell’inganno.