Laura Altamura - Poesie

Filastrocca della Festa Mondiale del libro

Ciao mi presento: io sono un libro
leggimi, aprimi, non essere pigro!

Spesso mi guardi in modo sospetto
mi lasci dormire in un armadietto.
A volte mi spolveri con uno straccetto
come un soprammobile del tuo mobiletto.

Son lì ad aspettare una mano gentile
che un po’ per volta mi voglia sfogliare.
Ed oggi- 23 Aprile –
è la mia Festa Mondiale.

In questa data in tempi lontani
sono morti tre importanti scrittori
e a dar loro i meritati onori
ci pensarono i catalani.

In Catalogna con un decreto reale
fu istituita la Festa del libro e delle Rose
in quella data era usuale
donare un fiore alle giovani spose.

Non voglio seccarti con storie tediose!
Son qui a ricordarti che in me ho tante cose
ti parlo di piante ,di rocce e animali ,
racconto storie di amicizie leali

d’amore, di guerra e malattia:
aprimi e leggimi suvvia!

Leggi in silenzio , tranquillo, da solo
o ad alta voce o in compagnia
prendimi in mano ti porterò in volo
le tue catene strapperò via.

Se mi assapori troverai libertà
ti donerò conoscenza e curiosità
ti aiuterò a pensare con la tua testa:
fammi questo regalo per la mia Festa!

 

 

 

Autunno

Nei giorni di sole , dentro e fuori non sprecare nulla .
Prendi appunti per la tua anima e la tua pelle ,
ne avranno bisogno quando le giornate saranno brulle, come oggi.
Nei giorni grigi ,come oggi ,
fotografa l’umido autunno e riempi cassette di secco fogliame.
Ti serviranno quando il sole sarà troppo accecante
e tu vorrai restare in ombra.

 

 

 

Le mani

Con le mani sul volto una donna può ravviarsi i capelli.
O ravviare un pensiero che l’assilla.
Tenta di cancellare tracce di trucco.
O tracce di paura.
Si asciuga dalla pioggia o dal sudore o da una lacrima .
Cancella la stanchezza dagli occhi o si disegna un sorriso, come se avesse una magica biro.
Si nasconde, con le mani, se non vuole essere guardata.
O si sistema se vuole essere guardata.
Si strappa rughe.
Ombre o ragnatele.
Nell’incavo delle sue mani a cucchiaio sul volto cerca risposte
sfregandosi, per non lasciare che i suoi sogni si addormentino.
Non chiedere mai a una donna cosa fa con le mani sul volto.
Forse non te lo dirà.
Forse non schiuderà mai le sue mani verso di te.
Ma se lo farà devi essere così forte da guardare il mostro che ne esce e che dormiva fra le sue dita.

 

 

 

Abbraccio

Un abbraccio è melodia sussurrata.
Non fa rumore, un abbraccio.
È forza motrice.
È danza per farsi spazio nell’altro mantenendolo intero.
È somma che si fa unità e poi si sminuzza in cristalli. E in ogni cristallo c’è l’intero.
È leva che sospinge incessantemente da e verso l’altro.
Non è violento un abbraccio, ma è spinta propulsiva di amore nel mondo
al di là i due corpi che si stringono.
L’abbraccio che continua nell’oltre.

 

 

 

Perdersi

Ho bisogno di:
un libro
scarpe comode
parecchi anni in meno e il coraggio di allora
e di perdermi quel tanto che basta per sentirsi forti quando si ritrova se stessi.
Un taccuino un po’ stropicciato e poi vado.
Sì, vado ad incontrare fantasmi.

 

 

 

La notte e il suo mistero.

Nella notte buia e silenziosa
Dove niente ha una forma
Una creatura piccola e spaventosa
Corre avanti e poi indietro torna

In quel manto tutto nero,
grasso e denso come la pece,
Sembra proprio
che lei invece

passi certi sappia fare,
correndo e saltellando
fiera e certa del suo andare
sulle punte va danzando .

Spaventa pipistrelli svolazzanti
tassi dai musi a strisce
nottole grigie e giganti
e chi la sua presenza intuisce

Non ha un nome e nemmeno un volto
l’animale misterioso,
padrone assoluto del bosco sconvolto
ride e schernisce ogni timoroso.

Solo più tardi, con l’ alba leggera
che luce e pace restituisce
furba e veloce la bestia nera
in un baleno, via, sparisce.

Gli animali si inchinano al sole che sorge.
La vita, dal bosco alla radura
il suo volto sereno ci porge
e ogni cosa rassicura.
Da un nascondiglio qualcosa si scorge.

E piccolo, fiacco, scappa addirittura.
È ciò che resta della paura.

 

 

 

A mio nonno

Tu della vita solevi cantare
Di Bacco, di festa, di allegria
Io quest’ottava ti voglio donare
Anche se impari al tuo fare poesia.
Calmo guardavi la morte arrivare
Sereno al pensiero d’andar via.
Dal ciel intona l’ultimo sonetto
E noi lo terremo caro nel petto.

 

 

 

Riflessioni dai vetri di un ospedale oncologico

Tutto può cominciare quando senti un intruso nel tuo corpo e, dopo un accertamento, un medico ti chiama; ti dice che deve parlarti.
E lo fa con un foglio in mano, mentre tu sai.
Ed anche se sai, cerchi di fare la simpatica, ti dire qualche battuta, sempre meglio essere brillanti.
Il medico parla, parla. E tu sai.
No, non sapevi di quelle sigle, numeri, criteri, non abbiamo tutti una laurea in medicina, ma la tua pancia era arrivata prima della tua testa.
Poi il medico ti congeda e tu resti così, in piedi :con in una mano quel foglio di carta e nell’altra la tua vita, a sentire quale dei due pesa di più.
Ecco, quel foglio è un biglietto di viaggio.
È allora che comincia un cammino, che tu farai a piedi nudi e traballanti appoggiandoti a chi ti offrirà una mano, perché non è vergognoso aver bisogno.
E incontrerai nuove persone, amiche di drenaggi, di esami e terapie, a cui farai domande buffe, tipo “ma la pastiglia la prendi a digiuno e che effetti ti dà, stitichezza o altro?” con la stessa leggiadria con cui ti faresti dare la ricetta dell’impepata di cozze.
Quelle persone le chiamerai per sentirle. E per alcune avrai paura se è un po’ che non le senti. Eh sì, alcune stanno tanto male.
Ritroverai persone care che sono dietro di te, forse lo erano anche prima, ma non ci facevi caso.
Altre ti lasceranno per strada, perché è più bello essere amici se ci si deve raccontare del lavoro e delle scarpe nuove. E forse meglio così, perché a te delle sue scarpe nuove non te ne fregava molto nemmeno prima, solo che ora sei capace di dirglielo. Prima no.
Nel camminare attraverserai i meandri di un ospedale, incrociando volti, cartelle cliniche e solitudine.
E al contempo attraverserai anche i meandri del tuo cuore, che ti chiede di ascoltarlo.
Capirai che quel foglio è un viaggio che non volevi, no, forse non te le meritavi, né se lo meritavano i tuoi cari ed i tuoi bambini.
Ma non puoi scendere e allora puoi solo cambiare l’attitudine con cui lo percorri.
Ti accorgerai che è tutto difficile, terribile, ma non di più di quanto temessi o pensassi ;e sarà allora che ti ritroverai persino a sorridere.

 

 

 

Tu meritavi

Corpo spezzato e poi calpestato
rubato usato e usurpato
Avevi un sogno nel pozzo profondo dei tuoi occhi innamorati.
Il rosso non è un bel colore se è di sangue.
Ti meritavi un rosso sfumato d’amore e passione.
Il blu non è un bel colore se è del livido che hai sugli occhi.
Ti meritavi un blu cobalto di immensità.
Il tuo corpo galleggia nel lago della doppia di violenza: di chi ti ha colpito e di chi non ti ha dato ascolto.
Il ferro non è l’altra faccia dell’ amore.
Ti meritavi un coltello.
Per tagliare i cavi della tua prigione e tornare libera.
Tu meritavi un coltello, sì, ma non nella pancia.

 

 

 

Confidenze tradite

Le nuvole accolgono i miei pensieri
li rendono più leggeri
ma passa il vento
con indifferente leggiadria
e porta tutto via.

Consegno al mare le mie paure
urlando
i miei desideri proibiti, parole oscure
sussurrando.
Arriva un’onda
e tutto fluisce, va a largo danzando.

Scrivo sulla sabbia
la mia rabbia
e quando la pioggia la schiaffeggia
la battigia mi sbeffeggia.

Pianto il seme carnoso
della speranza
per farlo crescere rigoglioso
in un terreno nutrito e turgido
e l’assiolo -dispettoso-
lo ruba di nascosto col suo becco fulgido.

Così ho trovato in me una nicchia
proprio qua fra lo stomaco e il cuore.
Lascio tutto dentro, anche ciò che duole
anche ciò che picchia.

Quel che affidi ad altri spesso non torna
fa un viaggio verso galassie di indifferenza
tocca cuori noiosi e frigidi
come lunghi inverni rigidi.

Ciò che trattieni
riempie
implode
forse un po’ logora la giuntura
fra te e l’equilibrio

ti destruttura ma non ferisce
e non tradisce .
Così ciò che sono,
ciò a cui sono connessa
e quel che ho in dono
lo ritrovo in me stessa.