Sabbia
Mi sfiorasti
Incerto..
Ero sabbia per te
Trapassavo
Nel tuo orgoglio virile
Nel tuo languore profondo
Io credevo
Di strapparti le viscere
Con la mia sola mano
Lunare, eppure calda,
Cicatrice di salsedine rampicante,
E giovane, morbida
Quelle dita
Non ti sono sembrate
Cotone in grumi
Disidratato dal sole?
Neanche sapevo
Delle maree nevrotiche
Che si sollevano
Quando un uomo e una donna
Senza più speranza alcuna
Di notte stracolmi gli occhi
La saliva di ognuno in ginocchio
A pregare di non piangere più sola
E d’un tratto ci lacrimano le labbra
E abbiamo entrambi fame
Di amore organico
Di inchiostro fisico
Ci stiamo squartando
I nei e la vergogna,
I sussurri reciproci sono ora
Un mestruo nei timpani,
Da troppo tempo sordi,
E atoni
Neonata
Quando mi hai spogliato guardandomi
E hai cucito le mie lacrime
Sulle mie guance nude
Io ho smesso di piangere
Sul pavimento rugiada dell’alba
Ora ho cristalli opachi sugli zigomi
Allora ho taciuto
Ho ascoltato la tua voce,
la placenta che mi abbracciava
si è mossa per la prima volta
Quando mi hai preso le dita ad una ad una
E accarezzandole piano
Mi hai mostrato
Che il mio corpo è un continente
E percorrendo le mie vene, navigandole
Hai fatto sì
Che io aprissi la bocca
Per fingere di parlare
Io balbettavo incosciente
Parole senza senso
Era il mio primo vagito,
il mio Risveglio
Quando mi hai sfiorato la schiena
E ho vibrato, ho sussultato
– Pareva un treno furioso ai binari in partenza
Io lì ho aperto la bocca
Era la prima parola
Che tagliavo quell’aria di feltro
Con mesto rumore di una muta
Dicevo
Ti amo
Disegnando le lettere soffiando
E aprivo le finestre dei miei occhi
Per vedere da neonata il mondo schiudersi,
aprire i suoi petali e abbronzarsi candido
Si dissolve il sogno
Come precoce fugace maligna
Illusione di nebbia
Ora non piango
Ora ascolto
Ora parlo
Ora guardo
Ora ti guardo, ti spoglio
Ora ti sfioro la schiena
Ti dico ti amo in silenzio:
sono venuta alla luce
Maestro
Nel litorale di una notte e mezza
Maestro
Mi hai spiegato
Senza fiatare
Cos’è una donna:
E’ un travaglio della ragione, hai detto
E’ una lacrima che tradisce il ventre
E’ una voce che inciampa quando
Mi sussurri
Bugiardo
Chi sono: una donna, una gonna muta quando
Mi sfiori incauto
Eco
E ancora sentire
Sei la mia donna
E le tue mani incastrate fra le mie
E la tua bocca dolcemente sul mio collo arroventato
E i tuoi occhi perduti, sgomenti lungo il mio ventre
E la tua voce strozzata cercare la mia gola
E il tuo cuore singhiozzare delirante
E i sensi, disarmati, perdersi oltre l’ombra tua
E il silenzio frastornante dell’amore putrefarsi
E ogni lacrima opalescente di te rigarmi il viso…
Ancora, ti prego, ancora
Beatitudine
Ho il tuo odore
Steso a pennellate
Sui miei palmi
Sento urlare le tue arterie
Quando ci sfioriamo appena,
Vedo il colore della notte
Illuminarci gli occhi
Inumidirci la pelle
Ti ho graffiato il petto
Parlandoti e
Senza emettere fiato
Ho fatto vibrare la bandiera
Del tuo spirito, l’ho strappata
Come fosse un’ala d’angelo:
Volevo beatitudine
Ma ora sei smarrito,
Hai perso l’innocenza
Come io ho perso la mia
E ora cerco il tuo perdono
Nella cloaca che è il nostro baciarci livido
Nel sudiciume che è il nostro sussurrarci placido
Perdonami,
Ammoniscimi
Siamo un’alba
Digiuna d’oriente
Niente rimane
Della nostra pudica
Guerra insolente
Primavera
Non so come accettare
Quelle pure lacrime di neofita
Cristallizzate su ogni albero
Ancora nudo
Se son costretta a rinnegarti
Ad ammansirti
A dimenticarti
A ucciderti insomma,
Come se fossi stato tu
Bruma traslucida e instabile quanto son io,
Ad aver sfregiato il mio scudo
Ne è cosparsa la terra
Di questa nostra rugiada infettiva
E non cammina più scalzo nessuno
Da quando la nostra dolce opalescenza
È stata fraintesa per ombra,
Per perversa violenza
Non volevo morire
Oggi
Mentre tornavo a casa
Nell’arcipelago di persone
Che per me non sono nessuno
Sei passato tu
Mi hai fatto vibrare sottopelle il tuo profumo,
Quel profumo di cui ti eri inumidito
Il collo
O i polsi
O le orecchie
Non so quale parte di te
Lo aveva indossato
La sera in cui ci siamo conosciuti
(e tu non sapevi che mi avresti incontrato
Ed io non sapevo che ti avrei incontrato)
Perché io lo sentivo ovunque
E ce l’ho ancora in me
Come una scheggia nel palmo
Eri tu
Tra i tanti che vestono la tua stessa acqua
Che per me è la tua bocca
È il tuo sudore
È i maremoti che sommergono le tue voglie
Mi hai versato
Quello che non avresti dovuto
Invece: nostalgia torrenziale
E io ora vorrei solo non aver mai posseduto i sensi
Perché io voglio sempre morire ma
Quella sera la gravità
Sentivo nelle tempie,
Il sangue sarebbe stato battezzarmi
Erano sospiri, non singhiozzi quelli
Non volevo morire
Sveglia
Dimmi come faccio
A non sentirmi un frammento di vetro opaco Se sei lontano
E la terra è bagnata
E gli specchi e le foto
Sono pugni con guanti uncinati
E l’introspezione
Amore
E’ vedere falene scontrarsi in volo
Nell’alveare che è il mio cranio al pensare
Nello sciame che è il mio stomaco al volere
Dimmi come faccio
Se zampilla la pioggia, pare sangue
Se non mi sento di carne
Mi sento friabile
Di carta
Fragile
E tu sei lontano
Ma stanotte ho sognato
Di arricciare la mia bocca con la tua:
Si stava asciugando la terra
Le foreste non bruciavano più
La morte si vergognava di esistere
Le grida della gente svanivano piano
Tutto era
Un’immobile
Assurda
Illusione estatica
Sveglia: piove, ancora piove
Sul mio cuore piove
E tu sei lontano
Confessione
Tra le mie tempie
E’ appeso un filo spinato:
Lì appendo le mie nudità
Perché si buchino se son di stoffa
O sanguinino se di derma
Ciò che mi sgorga e mi lava e mi sporca
E parla al posto mio
Quando non ho parole coraggio o respiro
E’ ciò che resta
Di un lenzuolo di menzogne
Che si è impigliato dietro ai miei occhi
E’ ciò che resta
Di una creatura in fuga da voi cacciatori
Che si sente tradita
Se nel mio cranio in ruggine
Fatalmente inciampa
Ecco di che son fatte le mie lacrime
E le mie, di sangui: di ferite
Morfeo
Una viscida, cancerogena tristezza
Fa marcire le mie membra
Tu non sei che il surrogato
Di un amore che non ho voluto
E mi metti da parte
Come fossi grasso di scarto
E ti assapori la tua maledetta stasi
Perché io non merito
Una carezza, nemmeno una
Né uno sguardo
Sono il residuo fossile
Della mia ombra,
Vivo nella meschina consapevolezza
Di non essere più viva
Se non per attimi di tedio
Che mi fanno sentire
Nient’altro che un meteorite
Pronto a bruciare, distruggendosi,
Nella sterile notte di piombo
Che è il silenzio
Nel quale respiro
Perché, ossigeno,
Non fingi di essere morfina
Voglio dimenticarmi
Del suo sapore
Voglio sussultare
E dimenticarmi
Anche del mio sapore
Voglio naufragare
Nell’anenestico, amnesico mare
Dell’incoscienza
E non pensare:
Dimenticare, crogiolarmi
In un tiepido furore euforico
Che scopro essere
Quello che voglio