Laura Vanoli - Poesie e Racconti

AUTOSTRADA

 

La Serravalle direzione Genova, in un primo pomeriggio di fine dicembre.
Nebbia, micro goccioline, umidità.
Le curve, le gallerie, le controcurve in discesa, persino un grande tornante panoramico. Traiettorie talmente azzardate da diventare affascinanti.
Lo Scrivia è triste, abbandonato a fondo valle, le case sembrano buttate sui pendii a manciate distratte, il mare è vicino ma non abbastanza. La ferrovia incastrata tra le abitazioni, il fiume, l’autostrada. L’autostrada incastrata sinuosa e dolorosa tra le ville stile liberty e i condomini scrostati con le persiane aperte a sbalzo. La raffineria potente e austera, scintillante di tubi e di neon, incombente e rassicurante, come un gigante adagiato nel posto sbagliato. E le curve, quante curve, che ti sembra di essere arrivato, invece quante altre curve ti aspettano ancora.
All’improvviso ti sorprende Genova, ti lasci alle spalle la Valle Scrivia con la sua nebbia, il mare è là in fondo tra i palazzi e i troppi edifici, sembra un miraggio, vorresti guardare meglio, ma eccoti di nuovo inghiottito dall’ennesima galleria. 
Quando esci dall’autostrada allora sì che è mare, scintillante di sole, sedici incredibili gradi e l’impressione di aver fatto un viaggio attraverso la Terra di Mezzo, come in un libro di Tolkien.


 

ASPIRANTI IDRAULICI


È un tranquillo venerdì pomeriggio. Dopo settimane di impegni, commissioni, incombenze, eventi, spostamenti, ecco i coniugi finalmente liberi dai doveri. Quindi: perché non dare un’occhiata alla cassetta del water che perde un rivolo piccolo ma costante? Sono anche muniti di un pratico kit di guarnizioni gentilmente fornito da padre di lei, insieme a sintetiche istruzioni per effettuare il banale (dice lui) intervento.
L’infortunato (dotato di stampelle a causa di una recente frattura al ginocchio destro) e l’impiegata si mettono al lavoro.
Dopo almeno cinque minuti passati a studiare la copertura della cassetta interna, che non presenta viti, non ruota, non scatta, non si smolla, lo stampellato tenta una repentina mossa di sgancio di un componente plastico, facendo leva col cacciavite e sentenziando: “o la va o la spacca”. Sono fortunati: la va!
Si passa al lavoro serio: “passami il cacciavite, prendi una torcia, fai luce, non mi entra la mano, ma si potrà fare una cassetta così piccola, ma dove cavolo è la guarnizione che tappa, apri l’acqua, chiudi l’acqua, alza il galleggiante…” 

È chiaro che sono in difficoltà, ma ancora si illudono di essere un po’ idraulici dentro. Tentativi, prove, fallimenti. Portano la situazione sotto controllo e si arrendono. 

L’impiegata rinuncia in relativa serenità. L’infortunato molla il cacciavite a malincuore, piccato nell’orgoglio di maschio, quello che “ci penso io, aggiusto io”. 

La conclusione è scontata: la moglie chiama il pronto intervento idraulico, “24 ore su 24, a casa vostra entro un’ora”. Non richiama nessuno, non arriva nessuno. 

È mezzanotte. I coniugi aspettano fiduciosi.



CAVALIERI

 

I cavalieri del Medioevo portavano armature in maglia metallica formata da anelli finissimi, abilmente intrecciati, inscalfibili dalle armi da taglio, pesanti quaranta chilogrammi, ed elmi di circa sei chilogrammi.
Armi ai fianchi e spesso mazze pesantissime per sferrare colpi sul cranio dei malcapitati caduti da cavallo. Cadere da cavallo era una grossa ipoteca sulla morte.
Di ritorno da un giorno di battaglia, ammesso di avere la fortuna di tornare sani e salvi, me li immagino stremati, che si tolgono tutto quel peso di dosso, che si liberano di quella gabbia, che tornano esseri umani e non macchine da guerra, che sfiniti si accasciano su giacigli più o meno improvvisati e forse provano un po’ di sollievo, per essere lì, ancora vivi, più leggeri nel fisico, ma forse più pesanti nell’anima, dopo aver visto sangue e morte.
E forse provano un po’ di sgomento e angoscia pensando al nuovo giorno che arriverà entro poche ore, inesorabile, da cui non si ha mai scampo.
Il nuovo giorno: peggio del peggior nemico. Mai stanco. Mai in ritardo. Mai uno sconto.
Questa è la sensazione di alcune brutte giornate, quando la resa è la più grande tentazione.
Eppure. Eppure. Eppure si va avanti.



LA MOGLIE E LA CHIAVE

 

Dopo il lavoro, la moglie, alla guida dell’auto del marito, si dirige alla carrozzeria, per far visionare i danni dovuti ad una eccezionale grandinata. Mentre apre il portaoggetti in cerca del libretto di circolazione, butta la chiave sul sedile del passeggero e chiude serenamente la portiera. Basta un attimo e la macchina emette un’inequivocabile schiocco. La sicura è attivata. E la chiave è irrimediabilmente dentro. A nulla serve ravanare nelle tasche e nella borsa. Ormai è fatta.
Il carrozziere gentilmente propone alla donna distratta che un suo collaboratore l’accompagni a casa per prendere la chiave di scorta. “No, ti prego, con Loris, no… È un meccanico grosso e burbero… Cosa ci diremmo nel tragitto mentre mi macero tra i sensi di colpa per il disturbo? Che smacco. No, no, con Loris no…”
Lampo di genio: “non avreste un’auto di cortesia da prestarmi?”. Ce l’hanno!
La povera sventurata viene dotata di una potente Twingo del 2001, blu elettrico, con i finestrini tenuti insieme dallo scotch da pacco. Parte, recupera la chiave di scorta, torna (velocemente, perché la carrozzeria alle diciannove in punto chiude), mentre si scatena un breve ma intenso temporale.
Poteva andare peggio: potevano non funzionare i tergicristalli.


LA QUARANTENA

 

Piccoli alibi, scuse e pretesti per uscire di casa nell’area perimetrale consentita.

 

- Scendo in cantina a prendere il prosecco. 

Ma se abbiamo portato su l’ultima bottiglia ieri… 

Ah. Accidenti. 

- Scendo in cantina a prendere la carta igienica.

Ma se ne abbiamo ancora qui in casa… 

Sì, ma la carta igienica serve sempre. 

- Scendo nel box a cercare quel libro di quello scrittore sconosciuto che forse avevo comprato quattro anni fa, prima del trasloco e che forse è nella scatola più irraggiungibile di tutte.

Ma ti serve veramente? 

No, ma metti che si renda indispensabile da domani. 

- Vado io fino in fondo alla via a portare il bidoncino dell’umido. 

Ma se lo ritirano tra due giorni… 

Ah. Non è che è il giorno della carta? 

- Vado a vedere se c’è qualcosa nella cassetta della posta. 

Ma se non passano i postini…

Sì che passano! Forse, ogni tanto, se riescono. 

- Scendo a tagliare la siepe, che ha qualche rametto che spunta.

Ma non ti ricordi che si son rotte le forbici da giardino? 

Ah. Vabbè uso le forbicine da pedicure. 

- Scendo ad innaffiare l’erba del giardino. 

Ma se abbiamo il prato sintetico… 

Uh, vero, non me lo ricordavo! 

- Scendo a fare un giro in bici nel corsello. 

Ma se il nostro corsello è lungo sì e no 50 mt? 

Eh, giro in tondo.



L’ESPERTA PROMOTRICE


È un tranquillo pomeriggio post recita natalizia alla scuola materna. Mamma, papà e bambino entrano in farmacia. Obiettivo: acquisto delle consuete gocce naturali con effetto drenante contro la fastidiosa ritenzione idrica femminile. Obiettivo raggiunto in pochi minuti. 

Mentre il figlio si avvicina ad un tavolino con fogli e pennarelli a disposizione dei piccoli clienti, una signora gentile approccia la mamma e le propone un veloce esame del cuoio capelluto e della pelle. Gratuito. 

Esitazione. Il bambino e il papà si sono già accomodati sulle seggioline… quindi… perché no?
Ci si dirige in una zona riservata. Con una penna ottica viene fatta l’indagine del cuoio capelluto, immagine ingrandita a dismisura sul monitor del pc. Che orrore! Domande sui capelli, sul loro stato di salute e su come vengono curati. “Come li curo… Li lavo…”. Risposta sbagliata.
Si passa alla pelle del viso. Stessa procedura. Stesse immagini ingrandite e inquietanti. Domande sulle abitudini di trucco, idratazione, protezione, pulizia. Ovviamente la mamma non mette in pratica alcun comportamento virtuoso. “Ma perché si trascura, signora?”, chiede dolcemente l’esperta promotrice, con un’espressione vagamente compiaciuta negli occhi. E ci credo… eccola qui l’ingenua cliente presa all’amo, il terreno vergine dei trattamenti. “Mi trascuro? Ma davvero?”

“Le consiglio degli integratori a base di vitamine, nessun conflitto in caso di dieta ipocalorica, nessun effetto collaterale, nessuna controindicazione. E poi oggi viene eccezionalmente applicato il 10% di sconto. E per il viso non si lasci sfuggire questa crema idratante illuminante rimpolpante defatigante levigante rigeneratrice, nonché l’acqua micellare per la pulizia in profondità del viso, fondamentale per la salute della pelle non più giovane.” 

Come non approfittare dello sconto? Come non illudersi dell’eterna giovinezza? Come non dare soddisfazione alla gentile esperta di cute ed epidermide?
E così, mentre la facile preda si accinge a pagare i miracolosi prodotti, si fa persino irretire in un appuntamento di controllo a febbraio, “comodamente in questa stessa farmacia”.
La mamma si dirige finalmente al tavolino dove papà e bambino continuano a disegnare, ancora beatamente inconsapevoli dei recenti accadimenti, mentre lei nel frattempo ripete fra sé e sé, con poca convinzione: “ma sì, in fondo mi son fatta il regalo di Natale”.


 

PEZZI DI VETRO

 

Pezzi di vetro sul selciato, una canzone di De Gregori che torna dal passato, un grande pino che ha resistito, gli studenti con il futuro nello zaino, una valigia di promesse e buoni propositi, una camminata a passo lento, quasi immobile, in compagnia di pensieri a mezz’aria. 
L’inverno non è stato, la primavera ancora non osa, il tempo resta apparentemente sospeso, il gomitolo non si srotola e i non ti scordar di me non crescono più in quel giardino.



REPARTO RIANIMAZIONE

 

Quasi ora di cena. La famiglia felice rientra dal fine settimana al mare. Si depositano all’ingresso borse, borsoni, sacchetti, bambini. La mamma si impegna subito per preparare qualcosa da mangiare. Il papà ricorda alla famiglia di dare il mangime ai pesci rossi, che sono “abbandonati a loro stessi” da poco più di due giorni. La mamma dalla cucina domanda: “a proposito, come stanno i pesci?”. Dopo un attimo, il papà, ritto di fronte alla vaschetta, risponde: “mica tanto bene, ce n’è uno capottato”. Mamma e figlio si precipitano a verificare di persona. Uno dei pesci è drammaticamente adagiato sul fianco fra i sassolini blu del fondo. Il bimbo mormora: “Trene… è morto?”. No, respira ancora. Annaspa, più che respirare. 

Dopo un vago commento sul fatto che chi ha voluto i pesci dovrebbe anche occuparsene, si attiva immediatamente l’unità di crisi. 

Si constata che il filtro non funziona e che l’acqua è più torbida che mai. Si lavora alacremente per ripristinare condizioni di vita accettabili in quella vasca malsana. La cena per i bimbi può aspettare. La mamma procede alla rimozione del filtro intasato, al lavaggio dei sassolini e al cambio dell’acqua, mentre il bimbo osserva con i suoi occhioni preoccupati i pesci in attesa in una ciotola provvisoria: “ma mamma, ma Trene vivrà?”. “Eh, stiamo effettuando tutte le procedure utili e necessarie, la situazione è grave, ma non disperata, tra poco li rimettiamo in vasca, diamo loro da mangiare e aspettiamo domani. Se supera la notte, possiamo stare più tranquilli. I medici sono fiduciosi, ma la prognosi resta riservata”. Il piccolo guarda la mamma spaesato e perplesso. La mamma riflette su tutte le volte in cui ha pensato ai pesci come a una scocciatura e invece ora spera che Trene ce la faccia. 

Certo, se proprio vogliamo essere precisi, bisogna ammettere che venerdì l’acqua era già un po’ sporchina, il filtro era già al limite di utilizzo e la mamma ha versato più cibo del solito, per dare maggiore autonomia alimentare alle bestiole, ovviamente. Ma forse questa congiuntura di condizioni ha creato il “piccolo” problema di un alto livello di sporcizia nell’acqua. Insomma, la mamma ha un po’ azzardato. Per forza adesso si dà da fare per recuperare la situazione. 

Viene a suo favore, però, il comportamento disinvolto del compagno di vasca del moribondo: Rino, detto il Pasciuto, non mostra alcun segno di sofferenza e sguazza felice anche nell’acqua torbida. Il sospetto è di tentato omicidio nei confronti di Trene, detto lo Smilzo. Rino, il Prepotente? Rino, lo Spietato? Rino, l’Assassino? 

Non si saprà mai. Non per niente esiste il detto “muto come un pesce”.

La situazione viene monitorata nell’arco della serata. I medici sono cautamente ottimisti. 

La mattina successiva, Il povero Trene nuota a tratti e stancamente. La convalescenza potrebbe durare giorni. O forse il fisico è ormai segnato. O forse è distrutto psicologicamente dalla pugnalata alle spalle da parte di quello che credeva un amico. Il baldanzoso Rino fa i suoi giri della vasca, avanti e indietro, su e giù… manca solo di sentirlo fischiettare. 



UNA BANALE SCOTTATURA

 

Quelle che si procurano la scottatura del secolo nel modo più stupido immaginabile afferrando un piatto rovente. E poi non hanno nemmeno una qualsiasi crema contro le scottature, nemmeno una, né alla calendula, né all’aloe o alla lavanda. Niente di niente. Ah no, hanno la crema tedesca, un portento per ammorbidire i talloni. Ah… quella ce l’hanno, eh, vuoi non averla quella! 
E allora si fanno un impacco di bicarbonato e acqua tiepida (uno dei famosi rimedi della nonna letto su internet) e avvolgono la mano nel panno, ma lo posizionano male e, senza rendersene subito conto, disseminano la casa di polverina bianca. E, imprecando, armate di aspirabriciole, puliscono nervosamente e pensano che non ci vanno alla farmacia di turno a comprare la crema.
“Ci metto il miele. Ci metto l’olio d’oliva. Ci metto una fetta di patata. La buccia della banana. 
Ci metto pure zampe di rana, ali di pipistrello, peli di ragno e capelli di strega, piuttosto. 
Ma in farmacia non ci vado”.


UNA PAUSA PRANZO

 

Di bianco vestita, raminga per il centro di un paese deserto, come le domeniche di agosto tanti anni fa, profumo di sugo, una radio accesa in una casa qualunque, due secchi rintocchi dal campanile, l’auto parcheggiata al sole, trenta minuti di nulla in un luogo indifferente, guardando un balcone fiorito che un tempo visitammo, quando si cercava casa, dieci anni fa.
Di bianco vestita, come in piena estate, senza brezza di mare, osservo un cielo opaco e torno alla base, senza voce, con mille pensieri.


DISGELO

 

 

Cadono le mie perle di futuro
nel lago della tua inquietudine,
scivolano sul fondo,
riuscirò a bere la tua malinconia? 

Spalanca la porta all’invasione di petali,
troppo a lungo è durato l’inverno,
è tempo di disgelo, di arcobaleni e profumi. 

Fidati di questi occhi grandi,
specchio di un cuore traboccante di ricordi bambini.

E neve innocente come zucchero a velo.
E un mare di luce, un mare di cielo limpido e terso,
a confondersi con i tuoi occhi,
con la tua voce di fondali d’oceano.

Universi da vivere,
foglie danzanti a rincorrersi nel vento,
fiducia, speranza e colori. 

Cerchi forse la mia mano? 

Il tuo futuro è qui, sotto al cuscino,
ogni sera, ogni mattina,
il tuo futuro è qui, nel mio respiro. 


 

IN  APRILE

 

 

Ancora arranco
e cerco canzoni.
Scruto orizzonti,
invento poemi.
Invoco la pioggia
per timore del sole,
piango di notte
e il giorno fa male.
Volere è potere?
Potere è volere.
Vorrei ma non posso.
Farei, ma non riesco.
Un viaggio, senza scappare.
Un volo, senza le ali.
Un salto, oltre la voragine.
Il coraggio, dopo il dolore.
Non soffrire, ma senza anestetico.
Imparare, che non sia troppo tardi.
Sperare, senza ingannarsi.
Amare, ma con il cuore.
Sorridere, illuminarsi,
credere ancora.
Ritrovarmi nei miei occhi,
riflessi in uno specchio,
senza mostri, senza cani,
senza la paura del domani.


 

ONDE

 

Pioggia insistente
batte sui vetri come spilli impietosi.
Una promessa mancata,
sei lettere di risentimento.
Ma in fondo cos’eri?
Una foto, una voce,
un miraggio, un abbaglio.
Sfidiamo la nebbia, sopportiamo il rumore.
Attenzione alle insidie di una discesa,
ai placidi fiumi in piena.
Sii argine e guida
e portami verso il mare.
Il cuore è leggero,
il cuore è pesante,
è ancora giovane
se coltiva illusioni e speranze?
Carezze e ricordi
che sfiorano un borgo sul mare,
splendido in primavera,
lucente di futuro,
ancora faro per il nostro domani.
Il pensiero è nomade,
orfano di tempo e spazio,
ma sempre in cerca di un porto sicuro,
di un attracco da cui ripartire.  



CON IL TEMPO

 

Con il tempo diventeranno preziose anche le ore con la febbre 

e tutti gli abbracci non richiesti.

Durante il tuo sonno, tutto ti racconterò e mai niente saprai di me.

Abbracciandomi il cuore, ti guarderò sospesa e ti lascerò andare. 

Rimpiangerò i tuoi consigli, che ormai da tempo più non mi dai, perché son grande, ma grande non sarò mai. 

Mi mancherai, più di oggi, più di ieri, più di tutti i miei pensieri e svanirà anche l’illusione di un momento che per te neanche esiste. 

Perderemo senso persino noi, illuminati di luce incandescente per un attimo infinito. 

Troverai un giardino d’incanto, ricoperto di neve tutto l’anno e un silenzio amico ad accoglierti.

Continuerò ad averti accanto, taglio di diamante che vegli su di me. 

Con il tempo qualche cosa imparerò, parzialmente capirò, ancora un po’, ogni giorno, soffrirò, mai dimenticherò, quasi niente importerà più. 

Con il tempo un po’ più dolce ti troverò e forse, finalmente, mi innamorerò. 

Solo allora lo spettacolo avrà inizio a non sarà più tempesta, anima mia.


 

LO SCHIZZOFOBICO


Perché lo schizzofobico decide di fare un semi-bagno quando le condizioni non sono favorevoli? 
Lo schizzofobico dev’essere particolarmente ottimista se decide di addentrarsi in mare e bagnarsi fino alla vita (non un centimetro di più per carità) quando la situazione è la seguente:
- discreto affollamento in acqua, soprattutto vicino alla riva,
- gruppo di ragazzi che gioca a pallavolo,
- bambini che fanno i tuffi,
- giovane coppia sul materassino che si diverte a buttarsi giù a vicenda
- e nello specifico io che tiro la palla a mio figlio. L’anziano schizzofobico mi passa accanto con le braccia leggermente alzate e adocchia truce la palla (di modeste dimensioni) tra le mie mani, aziona il radar, in meno che non si dica individua il mio compagno di giochi e intuisce la traiettoria di lancio, alla quale si sta pericolosamente avvicinando. Acido, grugnisce: “gradirei non essere schizzato”. 
E io a questo punto gradirei schizzarti, guarda un po’, solo per quanto sei sgarbato e fuori luogo. Che poi ci arrivo da sola ad evitare di tirare la palla se passa qualcuno vicino. Ma se lo pretendi, allora quasi quasi mi dimentico di questa civile accortezza, oh caro il mio bagnante semi-bagnato. 
E invece resto saggiamente muta e immobile, attendo paziente il suo passaggio e faccio un lancio impeccabile, perfettamente recuperato da mio figlio, senza nemmeno uno schizzo. 
Tiè! 


 

QUANDO LA MAMMA CREDE NELL’AUTONOMIA


Ora di merenda. La piccola approva lo yogurt. Si predispone tovaglietta, ciotolina, cucchiaino e bavaglia. La mamma è consapevole del rischio. In caso di eccessivo imbrattamento, sarà lei a pagarne le conseguenze.
Pronti partenza via! il cucchiaino ormai è in mano alla piccola e si è tramutato in un’arma impropria. Dopo soli due bocconi, la bavaglia ha già finito di essere pulita. Dopo altri due, anche la tovaglietta acquisisce quel tocco di colore che fa tanto glamour.
La piccola, orgogliosa, continua a immergere il cucchiaino nella ciotolina e a portarselo alla bocca, a volte sgocciolante, a volte troppo pieno, a volte girato all’ingiù.
E a volte si dimentica che lo scopo del tutto è inserire in bocca il cibo, piuttosto che giocarci spalmando yogurt ovunque.
EH vabbè, cosa sarà mai? Ciò che conta è stimolare l’autonomia. Prima impara, prima è indipendente, meno le stiamo addosso, meno avrà bisogno.
In un tempo incredibilmente breve, tutto assume una suggestiva tinta violetto: la scelta dello yogurt ai frutti di bosco premia anche la vista, oltre che il palato.
Viene concesso anche il bis ed è l’occasione per farsi una maschera rigenerante al viso e ai capelli, compresi quelli della mamma, ormai disarmata.
Peccato che questa scommessa sull’autonomia non sia applicabile anche al bucato e che la piccola non sia in grado di lavare tutti i capi sporchi.
Nel blu dipinto di blu, felice di lavare quaggiù.


 

 QUANDO LA MAMMA PRENDE LA BICI


È deciso. Si esce puntuali dal lavoro (ma non puntuali del tipo “dai che finisco una cosa” e passa un altro quarto d’ora), si fila a casa veloci (non ci si ferma a fare benzina, “tanto son solo cinque minuti”), si molla l’auto, ci si cambia, si prende la bici e si va all’asilo nido a recuperare la piccola. I tempi son precisi, ma con un po’ di impegno ce la posso fare. I tempi a incastro son la mia specialità: anche quando ci sarebbe agio, riesco a creare la quasi urgenza. Non è da tutti, ammettiamolo. 
Arrivo davanti al box (che è singolo, agevole, ma le bici sono parcheggiate sul fondo, quindi vanno estratte o riposte movimentando necessariamente l’auto), prendo la bici, parcheggio la macchina, salgo in casa a cambiarmi, butto l’occhio alla sveglia e calcolo che arriverò in ritardo di cinque minuti, generalmente tollerati senza problemi (sono esperta). 
Inforco la mountain bike e parto. Accidenti, ho dimenticato l’acqua. E ti pareva? Sospiro rassegnata: non c’è tempo per tornare indietro. 
All’improvviso, dopo qualche centinaio di metri, non so come, un pensiero mi colpisce con la precisione di un lampo: ho sbagliato bici! Ho sbagliato bici. Ho… sbagliato… bici…
Ho preso quella senza seggiolino. Cioè la mia. Ho l’attenuante della forza dell’abitudine: la mia non ha seggiolino. Però, cavolo, Laura, ma dove hai la testa? 
Dietrofront immediato. Schizzo in casa, chiavi della macchina, di corsa al box, sposta la macchina, scambia le bici, riparcheggia la macchina, abbassa la sella, inforca la bici, dove ca@@o ho messo il mazzo di chiavi per aprire il cancello elettrico, per fortuna non l’ho chiuso nel box, finalmente parto, affondo i piedi sui pedali, ritardo ritardo ritardo. 
Quella che doveva essere una biciclettata rilassante diventa una corsa contro il tempo: supero il semaforo palesemente rosso dando una mia interpretazione personale di arancione in stato avanzato, affronto i dossi come se non ci fossero, rischiando di scomporre in mille pezzi il mezzo a due ruote. Per fortuna all’andata c’è un discesone che mi illude di guadagnare tempo, ma la strada abituale è interrotta per lavori, quindi imbocco un senso unico contromano. Non do una precedenza e sgommo nella ghiaietta frenando di fronte all’ingresso del nido. 
Entro, sorrido, attingo ai fazzoletti a disposizione all’ingresso, mi asciugo disinvolta il sudore. Mi consegnano la bimba, felice di vedermi. Beata ignoranza. Soddisfatta, la posiziono sul seggiolino, la lego, partiamo. Niente caschetto, la piccola se lo toglie sistematicamente e lo getta a terra (avrà preso da qualcuno), quindi, senza ipocrisie, non l’ho nemmeno portato. Mentre pedalo, rifletto. Concludo che non mi annoio. Nel senso che IO non annoio ME stessa. È già qualcosa. Non lamentiamoci.


 

 QUANDO LA MOGLIE È A CASA DA SOLA

 

La moglie a casa da sola mangia poco e male, figuriamoci se mette sul fornello una pentola, è già tanto che apra il frigorifero, ma riesce a seguire con un godimento infinito ogni singola parola del telegiornale. 

Tenta di smontare lo schienale del seggiolino auto nel garage, aggredita dalle zanzare, studia gli incastri, si spazientisce, lo porta in casa per proseguire il lavoro con più agio, ma poi finisce che va a letto e il seggiolino è ancora lì, troneggia in mezzo alla sala, perfettamente assemblato, con lo schienale ancora al suo posto. Ci si penserà domani. 

Gestisce male la raccolta differenziata, sbaglia i giorni e viene assalita da dubbi che quando è in coppia nemmeno la sfiorano, anche se (o proprio perché) la pattumiera di solito la porta fuori il marito.
In pigiama e ciabatte, dopo la doccia, a mezzanotte, porta fuori i sacchi giusti, previo ennesimo controllo del calendario comunale. Mentre torna verso il cancellino di ingresso, alza gli occhi al cielo, sperando di vedere una stella cadente tra il braccio di una gru e l’altro, ma niente botta di fortuna e la stella cadente non cade. E comunque non avrebbe avuto un desiderio pronto. Controlla persino la cassetta della posta: niente cartolina da sé stessa spedita mentre era in vacanza. Però c’è un volantino con le offerte di un supermercato di nessun interesse,  che andrebbe buttato nel bidone della carta, ma ormai il recipiente è troppo lontano in fondo alla strada e allora, pur di trovargli un senso, se lo sfoglia lungo il vialetto semibuio di casa, anche se non si legge niente. 

Riflette sui tigli del viale, da sempre alberi adorabili, che lei ama, ma da quando in questa casa il contatto con i suddetti si è fatto più stretto, la conclusione è che forse l’unica stagione in cui queste piante non rompono le scatole con foglie verdi o secche, fiori, frutti verdi o secchi è dicembre. Per il resto è tutto uno scopare, raccattare, pulire, rimuovere da ingressi e terrazzi. Meglio i cipressi del cimitero? Ma no, teniamoci i tigli, che in primavera profumano in un modo incredibilmente sorprendente. 

Avvia la lavatrice troppo tardi, perché ha avuto mille altre cose da fare, non riuscirà mai a stendere prima di andare a dormire e questo è uno smacco intollerabile nella gestione generalmente ottimale delle tempistiche casalinghe. Ma, soprattutto, sovrappensiero, rovescia una buona quantità di ammorbidente per terra, imprecando dentro di sé per la sua imperdonabile distrazione; si prodiga a pulire, però l’ammorbidente è un po’ ostico da eliminare. Il risultato è che il pavimento tipo pietra diventa molto morbido e vellutato, scivoloso al camminamento, mentre un piacevole profumo di lavanda aleggia per tutto il bagno. (Ovviamente mentre scrivo la lavatrice emette il suo allegro beep beep di fine ciclo di lavaggio, ma mi rifiuto di stendere all’una e mezza di notte). 

La moglie a casa da sola ha un rapporto conflittuale con il condizionatore (nuovo) e si ritrova a smanettare col telecomando e a imprecare con lo split. Programma l’orario di spegnimento automatico del dispositivo in camera da letto, ma si fida poco della temperatura e teme di avere freddo, ma teme anche di avere caldo. Si addormenta poco convinta e sfinita.

Per fortuna si addormenta.  


 

UN MOTIVO

 

C’è sempre un motivo per piangere e c’è sempre un motivo per sorridere.
C’è sempre un motivo per cedere e c’è sempre un motivo per resistere.
C’è sempre un motivo per tutto e il contrario di tutto.
Vorrei scendere da questo treno e fermarmi il tempo necessario ad osservare i binari, i vagoni, i viaggiatori, i miei compagni di viaggio, il paesaggio finalmente immobile.
Mi sfugge qualcosa. Il tempo, il senso, non so. Vorrei provare a capire. Dovrei scendere.

Strano che tu non veda le mie lacrime trasparenti e infinite.
Strano che io te le nasconda e ne faccia distillati di tristezza assaporati in solitudine.


 

RAGGIO DI SOLE

 

C’era una volta una nuvola, per metà bianca e per metà nera, che fluttuava sola soletta in mezzo al cielo. 

Un bel giorno assistette ad un’incredibile magia, che raramente succede al mondo. 

Osservò un raggio di sole incontrarsi con un raggio di luna e vide una meravigliosa luce accendersi nel punto del loro contatto. 

Raggio di Sole e Raggio di Luna si abbracciarono subito stretti stretti: scintillavano felici, luminosi come lucciole in estate, armoniosamente fusi l’uno nell’altra. 

Fecero passeggiate e progetti, parlarono molto del passato e del futuro e si immaginarono di fare tante cose insieme. Sognarono persino una casetta tutta per loro, in mezzo ad un prato verde, nella tranquillità della campagna, vicino ad un fiume, con una splendida vista sulle montagne. 

Ad entrambi piacevano molto le montagne e Raggio di Sole avrebbe tanto voluto mostrare i suoi posti del cuore a Raggio di Luna. 

Raggio di Luna ascoltava ammirata le storie di Raggio di Sole, che, da lassù, a forza di vedere tutti i giorni il mondo girare, aveva imparato mille cose e le donava perle di saggezza ed esempi di generosità. 

Raggio di Sole aveva qualche cicatrice qua e là, mentre Raggio di Luna aveva qualche ombra e qualche avvallamento di troppo, erano diversi e imperfetti, ma quando si univano sprigionavano gioia e felicità. 

Sembravano legati da una forza magnetica, sembrava che si fossero aspettati da tanto, sembrava potessero tenersi per mano per sempre. 

Ma un brutto giorno di pioggia Raggio di Sole e Raggio di Luna si guardarono improvvisamente tristi e Raggio di Sole disse: “amore mio, tu appartieni al mondo della notte e delle stelle, il tuo posto è là. Io non posso portarti via dal tuo cielo blu. Ma sarò sempre qui a pensarti dal mio cielo azzurro.”

Raggio di Luna non avrebbe mai voluto sentirsi dire quelle parole, sognava di poter vivere sempre accanto a Raggio di Sole, anche se sapeva che non sarebbe stato facile lasciare il suo cielo notturno e le sue amate stelle. 

Raggio di Luna pianse tanto, le sue lacrime erano meteoriti che evaporavano nel cielo di maggio, ma nessuno le vide, nemmeno Raggio di Sole, che ormai era tornato nel suo cielo azzurro, silenzioso e lontano. 

La nuvola bianca e grigia provò tanta tenerezza per Raggio di Luna, raccolse le sue lacrime e le fece cadere sottoforma di pioggia per giorni e giorni. La avvolse dolcemente e cercò di farle capire che aveva avuto la fortuna di vivere una magia unica al mondo, ma a volte, purtroppo, le magie si dissolvono e ne resta solo la scia. 

Raggio di Luna si asciugò gli occhi umidi e guardò da lontano il suo Raggio di Sole, che era così bello, così splendente e indimenticabile, fece un sospiro profondo e struggente, poi, in cerca di coraggio, strinse forte il suo cuore e finalmente si girò verso la notte e le stelle.