Lavinia Cioli

Poesie e Racconti


“E quindi uscimmo a riveder le stelle”

Mai, fino ad ora, parvero ‘si vere
Poche parole d’una eterna speme:
il desiato istante di potere
gioire ancor, serenamente insieme.

Sfiorar le mani or lontane al cuore
Stringer d’abbracci chi non ci pareva
Così importante, da provar dolore
Per legge che divisi ci teneva.

E’ il buio che ci insegna a amar la luce,
assenza veste i panni dell’amore,
la notte non saprai dove conduce
il corpo che ti strappa con dolore.

L’acuto morbo vinceremo assieme
Ognuno solo, assieme alla sua ombra
Coltiverà, d’umanità quel seme
Che il Sé aveva reso la sua tomba.

Al primo sole sbocceremo ancora,
Con valori che parevano smarriti,
risorti così: forti, sol nell’ora
in cui l’Eterno ci mostrò finiti.

 


 

L’infinito nei miei occhi

Per quella goccia d’infinito nei miei occhi
grida la finitezza delle mani.
Ciò ch’io vedo non mi è concesso
stringere, sfiorare.
E se questi occhi bramano
una dissidia è nel mio cuore:
reale e desiderio
lo stringere, il toccare.
Non posso, non è all’uomo mai concesso
sfiorar ciò che l’acqueo umor non vede
ma per quella goccia d’infinito
io vivo in te quel che si crede
non umano, all’uom proibito.
Per quella goccia d’infinito nei miei occhi
piango la finitezza del domani
mentre canta la campana i suoi rintocchi,
e tu, qual sogno, scivoli via dalle mie mani.

 


 

Ho trovato la pace

Non era altrove:
non tra i silenzi del sole,
non tra fragili e tristi viole,
tra irraggiungibili, alate alcove;
Non nell’azzurro delle onde,
non tra montani e verdi echi
di storia o gioconde
e georgiche fiabe e segreti
di antri ed anfratti,
di abissi o ciclopiche cime.
Non era altrove! Non era
Nella profonda ed umana preghiera,
Ma nello specchio di sole
Dell’accettarsi di un tempo
Ove non posso celarmi o fuggire
Lontano da ogni volere,
nel tacere di finite rivalse,
nel placarsi di ogni sospiro.
Ho aperto stanchi questi occhi
Nel mattino di un nuovo domani
Da costruire con umili mani
Da vita e passione segnate.

Dentro di me
Ho trovato la pace.

 


 

Modernità

Orfani di un mondo nuovo
che la propria identità va ancor cercando,
mentre inesistenti spazi di ritrovo
affollano inestricabili reti: errando.

Senza miti né eroi si ergono Ideali
Vuoti, come il nulla che ci avvolge,
costrutti scintillanti e magistrali:
termini altisonanti per le sorde folle.

Eppure Nulla io ho espresso,
ma come un eco
risuona quale urlo: un suono fesso,

specchio ingannevole, futile riflesso
per una Società che fu Narciso,
che su uccise nell’illusione di Se Stesso.

 


 

Trama, ordito ed emozione

La vita è come una tela di un pittore solida e delicata, con la sua trama ed il suo ordito, tessuti da chi ci ha fortemente voluto nella nostra esistenza. Il nostro nudo è già un passato, il nostro primo vagito è già una storia.
Quei fili di tela sono stati curati da chi sognava, nella giovinezza lontana, la sua famiglia futura l’esser madre, padre, nonno e già vedeva gli occhi di noi: bambini.
Trama ed ordito sono immagini e storia di uomini e donne il cui ritratto è dentro il nostro cuore, anche se non abbiamo conosciuto il loro volto.
La vita è come una tela di un pittore che non sempre usa pennelli ed il suo colore è l’emozione. Sono mille le rappresentazioni, strato su strato, ognuna in divenire.
Su quella candida libertà ho raccolto le mie prime emozioni: macchie di colore puro e semplice, abbozzi primari di un mondo che era ciò che appariva, senza ombre, senza sfumature. C’era il rosso della rabbia o dell’amore, il giallo del tepore e della serenità, l’azzurro del cielo. Quante volte sulla tela si percepivano forme di mani o segni non vincolati ad un perimetro; bambina, rappresentavo ciò che di me sapevo dare: le mie mani. Mani per abbracciare, mani per sfiorare o per cercare di afferrare qualcosa di desiderato, mani per stringere altre mani, per cercare supporto, per instaurare un’amicizia.
Le linee non avevano uno scopo, perché non sapevo. Come ogni bambina correvo con la mia immaginazione ora in un mondo, dopo un istante in un’altra realtà, non avevo un fine, solo la voglia di vivere e scoprire.
È crescendo che cominciamo a voler gestire la nostra vita, è crescendo che andiamo a coprire o sfumare quei colori troppo compromettenti; e giunge il nero, il verde scuro, il blu notte.
La tela si fa più complessa, non sempre c’è una figura ben precisa. Da adolescenti siamo nel nostro periodo post-moderno, in cui si rifuggono le regole e le convenzioni per dare spazio al cupo della nostra ribellione. Giungono i mostri, i vuoti, le composizioni apparentemente prive di senso ma che descrivono i nostri stati d’animo quasi persi, siamo senza riferimenti perché volutamente cerchiamo di essere noi il riferimento per noi stessi. Ed anche il quadro ha una sua prospettiva particolare: è vissuto nella sua centralità. Non cerchiamo di raffigurare ciò che vediamo, ma quello che viviamo: milioni di Escher dalle infinite prospettive, dove tutto è possibile e tutto si contraddice ma resta appassionante per la perfezione della struttura e l’indeterminatezza delle possibilità di interpretazione.
Su questa tela, per tutta la nostra vita, scriviamo la nostra storia come abili pittori.
Quando giovani e piccoli adulti immergiamo i nostri pennelli nelle emozioni pure e nei colori forti cerchiamo di sfumare il tratto. C’è una piccola maturità che ci impedisce di palesare il nostro cuore apertamente come bambini. Raffiguriamo immagini permeate di speranza e amore, tempeste di emozioni, ma contenute: sono storie complesse viste dall’esterno. Volti delle persone amate, gesti ricchi di affetto, mettiamo su tela quei desideri che indirizzeranno le nostre scelte future.
Intanto ci prepariamo a tessere una nuova tela, con quei fili che abbiamo ricevuto in dono al nostro primo pianto, saranno trama od ordito di un tessuto destinato a chi verrà dopo di noi. Siamo pittori per una intera esistenza, ma tessitori solo di passaggio.
Passa il tempo, inesorabile, e la nostra opera d’arte si perfeziona. La maturità ci dona distacco e tecnica: tecnica per non essere feriti o per ridurre le conseguenti convalescenze, tecniche per dosare quell’investimento di emozioni, per non esaurire le nostre riserve e ritrovarsi senza colori da donare ai nostri sogni.
I soggetti delle raffigurazioni sono meno complessi, immagini più contenute dalle prospettive più verosimili e dalle tinte più pregiate. Compare l’oro della sacralità con cui andiamo a decorare i nostri principi ed i nostri ideali, raccontiamo una storia: la nostra storia. Sarà la composizione che tramanderemo a chi verrà dopo di noi, sarà l’immagine che nell’immediato porgeremo agli altri come per dire loro “Ecco quel che sono, ciò che ero ed ho voluto”
Con questa immagine affronteremo i nuovi giorni; nuove emozioni doneranno sfumature e perfezionamenti. Saremo piccoli Dorian Gray che non hanno ceduto alla tentazione ed invecchiano, mentre il loro quadro si perfeziona. Quando il nostro volto sarà segnato dal tempo ed avrà perso la perfezione della giovinezza sarà il nostro quadro ad avere la sua forma più splendente; finiremo per invidiare la nostra tela perché noi vivremo la finitezza dell’essere vivi mentre lei scivolerà nel tempo, tra le mani del nostro futuro.
La vita sarà un quadro che doneremo a chi verrà dopo di noi quando i nostri occhi saranno troppo stanchi per affrontare il sole di una nuova giornata. Sarà il nostro dono per quelle creature per cui abbiamo intessuto trama ed ordito di una nuova tela su cui non ci è concesso disegnare: quella nuova vita si muoverà tra le nostre tele e le tele che noi stessi abbiamo ricevuto in dono.
La nostra vita sarà un’opera d’arte con un significato diverso, l’interpretazione di quegli occhi critici diventerà il ricordo di noi e del nostro passaggio nel tempo.
Spesso, quando giunge la sera ed il mio cuore è affaticato dalle difficoltà del vivere, chiudo gli occhi e passo in rassegna il mio tesoro: le tele di mio padre, dei miei nonni, dei nonni dei miei nonni, tele di uomini che non ho mai conosciuto. Osservando quelle immagini piene di pacata speranza e determinazione, quei volti mai arcigni ma sempre pronti al sorriso, comprendo che c’è un disegno dentro di me: una trama, un ordito, un’emozione per cui vivere e continuare a lottare.