Lidia Allocca - Poesie

Una casa

 

La mia casa non ha un odore

io non ci posso entrare.

 

La mia eco nel salone.

 

Non ha fiori, solo rumori.

Ha un ricordo sepolto nel suo canto

e nelle fossette del mio gatto.

 

Ha una cella grigia tutta colorata

e tutto lì dentro è morto.

 

- Quali amori e quali mostri? -

 

Ha una carta nera sul lucernario

ha occhiali per vederci meno

ha amori ormai scaduti.

 

La mia casa non ha un odore da ricordare.



Pharmakon – 2

 

Abominevole creatura e sublime vesti
di stralci di carne non morta

una scarica elettrica ti vive
dentro che non sarai mai vita.

Non sei ma ti nomino
che solo esisti nei mortuari lembi

e non ti lascio sola
nella lotta contro la vitale essenza

che aleggia in pensieri spenti
piangendo e sputando su tombe impagliate.

Io ti creo di sudore
e di inquietudine di passati dolenti

per quando saprai di esserci
per l’altrove in cui ti perderai

e non saprai più dire
ma provando troverai parole meno giuste

per cucirti addosso l’indicibile terrore
dell’esserci e non essere delle cose.

Non gli amori ti ritroveranno
ma i dolori e i versi

che con torce e picconi
spaccheranno e bruceranno l’esistenza affannosa

e naufragherai nel mare infuocato
come un’esperta di tempeste e naufragi.

Abominevole creatura e sublime vesti
di sangue e di carne miei

insieme sul ciglio della Terra
cadremo nel vuoto che abbiamo formato.



Abito a fiori

 

(Morcheeba – I am the spring)

 

Ti calzerò a pennello

come i fiori di ciliegio

e la brezza del mattino

all’aprire i miei cieli

come porte al tuo bussare

e la terra s’attorciglierà

ai tuoi piedi di seta

nell’offrire i miei palmi

al tuo rigoglioso fiorire.

 

Ti calzerò a pennello

come l’abito che indossano

gli alberi e la morte

 

e saremo primavera.



La polvere e il lucernario

 

Avevi il tuo odore tra le dita

ignuda

la luce ti attraversava le gambe.

Niente ti avrebbe distratta

dalla tua quiete illusoria

abbandonata tra l’adipe scarna.

 

Suonasti un si e un do

ma non urlasti e non desti.

 

Avevi un dolore tra le dita

ignuda

la luce ignorava il tuo petto.

Niente ti avrebbe restituito

alle mani che ti sfiorarono

perse in rumorosi deserti.

 

Il silenzio che suonasti partorì buio.

Cantasti rabbia e si dissanguò il sole.



Ninna nanna della resilienza

 

C’è un posto nella mia guerra
un campo di fiori e di budella
dove modico e indisturbato avanza
il carro funebre della mia danza

 

In punta di piedi su cocci d’Avorio
di poli danzanti, d’aria e di cranio
all’ombra d’un occhio che guarda
le sbarre lucenti della mia gabbia

 

esiste velato e felpato, banale
un esser sordido e indigesto, frugale
la Luna smarrita, una benda sugli occhi
ai vivi tempesta, i fiori ai morti

 

E alla fine del giorno si pulisce lo sporco
di mani sbagliate ed un volto contorto
e addormentandosi su milioni di lotte
non vede la vita, non vede la morte



Se una notte d’inverno un viaggiatore – 2

 

Se
una notte d’inverno
un viaggiatore
bussasse alla mia porta
io non aprirei
poiché mi nego d’averne
ed entrerebbe
indisturbato
disturbante
facendomi perdere
la mia casa delle bambole
senzaporta,
senzatetto
per le strade della
realtà.
Quando
una notte
d’Inverno un viaggiatore
fingerà di bussare alla mia porta
si chiederà perché
è un viaggiatore
e si dirà che non c’è
soluzione
ché gliel’ha comandato il suo padrone,
per poi scoprire che può essere
un fiore
un raggio di sole
una foglia che cade
o acqua sciogliendosi
ma sceglierà di diventare
un fiocco rosso di vene
per impacchettare la sua essenza
e regalarsela a natale.
Se
una notte d’un viaggiatore
inverno
scendesse di primavera
e congelasse ogni gemma in cristalli
e trasformasse i petali in coltelli
forse
ma forse
il viaggiatore si sentirebbe a suo agio
sentendo dal cuore
uscire sangue caldo
e la vita scorrere dai polsi
formare diramate vie che non conosce
e non sapere più dove andare
diventando senzatetto com’il primo
per le strade del
dolore.



La difficoltà del non esserci

 

Il tuo corpo da più menti violato

mi è incanto e tragedia

in questo carnevale di dolore

in cui siamo ubique facce bianche

 

e non sentiamo il distacco

tra noi e il loro vuoto.

 

Stiamo fallendo.

Li abbelliamo dei nostri desideri

ma non vogliamo essere come loro

che sono morti

 

e non abbiamo il coraggio

di farli nascere davvero.

 

Hanno tutti i sintomi della non persona

e il loro sguardo è altrove

in cerca d’una guida che non li conduca morti alla morte

ma non c’è rimedio al nostro continuo errore.

 

Ciò che noi genitori sterminiamo

un giorno fiorirà.

 

(Ispirata al film “Detatchment – il distacco”)