Rosa del deserto
Come terra senza solco o deserto senza meta,
resto qui,
presenza senza nome, per sempre rinnego
emozioni in offerta promozionale,
lo “svendo tutto” dell’apocalisse
del sé, dei sensi, dei sentimenti,
incentivo alla rottamazione del rischio dei sogni.
Resto qui in silenzio,
rinuncio per sempre all’ipocrisia del pathos patetico
di appetiti urbani e commerciali.
Come terra senza solco o mare senza vento,
resto qui. Non più il fare, non più il dire.
Attendo solo
il bacio di una luna nella notte oscura,
rito che mi faccia rinascere come rosa del deserto,
disorientante articolazione del sentire.
Voglio giorni ed attimi di me
come petali di una rosa del deserto.
Nel deserto voglio fiorire come rosa
al bacio della luna in una notte oscura.
Coltivazione del silenzio
Procurarsi vasi vuoti di varia grandezza
dedicarsi compulsivamente
allo shopping gratuito e benefico dell’emozione naturale
all’attraversamento di terra umida e grassa
odorosa e seduttiva
attraversamento con dita come vasi vuoti
scorrimento di granuli di terra come grani di rosario
stringere e lasciare
imparare come accarezzare
riconoscere e sentire terra in un corpo divenuto nudo
anima come terra da plasmare
attraversare e plasmare anima come vaso,
primavera da allestire,
Flora e Zefiro da accudire,
demiurgica creazione tra le dita
fino a individuare radici
invasare, innestare, aprire
vaso pieno del silenzioso coltivare
vuoto di seme e di frutto
aperto all’ attraversare.
Stalattiti di felicità
Spaccarmi il cuore
con stalattiti di felicità,
incuneate
in questo antro oscuro
di solitudini e
di abbandoni e
di sterminati smarrimenti.
Spaccarmelo in mille e mille pezzi ancora,
perché non lo ricomponga più
neppure in una parvenza
di quello che era.
Tremare di paura fino al midollo,
percependo come
ineludibile
questa felicità nascente.
Sentirmi persa,
vinta,
all’angolo,
liquefatta quasi
in questo amore
silenzioso e gigantesco
come luna piena, immensa
su città ed anime assediate.
Spaccarmi il cuore e
dirtelo con i miei occhi
in questo istante.
ORFEO
Novello Orfeo,
procedevi dinanzi a me.
Seguimi.
Io ti guiderò,
ti proteggerò.
Conosco la via.
Poi ti voltasti
e io lessi
nei tuoi occhi
il nulla segreto
del tuo cuore.
E mi ritrassi.
Preferii le tenebre
alle lusinghe del tuo canto.
Tu neppure ti accorgesti
che persino il buio
era migliore
del tuo vano tornare e ritornare.
Continuasti il tuo canto altrove
e io non c’ero neppure allora.
Ti voltasti,
ma non sapevi guardare.
CARO BELLI
Ecco, come ogne giorno,
ricomincia ‘sto tormento d’annà a scola.
Sona er campanone e in un attimo
semo, tutti assonnati, dentro a ‘sto androne.
Firmo qua, firmo là:
registro de’ presenze, registro de classe, registro personale,
giustificazioni, circolari, communicazioni.
Me sembro ‘na scribacchina,
altro che esimia Professora.
Vabbè, semo pronti,
se comincia finalmente co’ a lezzione.
“Ehi, regazzì, hai studdiato?”
“M’è morto er gatto…c’ho er mar der panza…”
“Posso annàin bagno?” – già me chiede una,
elegantemente cor fazzoletto de carta in mano.
“E tu costì, co sta bella casacchetta,
c’hai fatto l’essercizzio?” – insisto co quella
der primo banco, er banco de’ sapientoni,
speranza de sto istituto.
Se illumina tutta e, tutta compita, dice : “Certo!
Ma stanno a casa…
L’ho lasciati sur comò!”.
E lì – penz’io- ce resteranno un ber po’.
“E tu?” – chiedo a quella affianco.
Me guarda intensa e me sorride tenerona:
“C’ho sbaiato materia, professorè…
Su feisbùk questi qua numm’hanno detto gniente,
sti fetenti!”.
“E nun c’hai er diario?” – insisto io a bella posta.
“See, professorè, lei è antica!”.
E vabbè, mò puro questa me tocca digerì,
penz’io e guardo fora a ‘sta finestra.
C’ho ‘a signora che stenne i panni
e ce guarda incuriosita dar barcone
der palazzo appiccicato a ‘sta scola anni sessanta.
Anni Sessanta…eh, già. Peccato che stamo ner 2011,
ce so eddifici de classe A, sta pe’ fini er monno e
a noi ce mancheno le sedie e a vorte
puro li banchi.
Intanto er frastuono de clacsòn, sirene, ambulanze, pompieri e
urlatori vari de prima mattina,
ce copre tutte le parole che se dicemo qua.
Faremmo mejo a sta un po’ zitti, dico io,
che er silenzio ner 2011 me sa che è l’oro del futuro.
Mo scrivo cor gessetto “rosa, rosae” e
nun c’ho neppure er cassetto,
mentre me sogno n’aula tutta mia, solo pe’ latino,
tutta colorata e piena de carte, libri, poster, giochi e
computere a volontà.
“Rosam, rosa, rosa…”
“A professorè, ma a che ce serve? E’ ‘na lingua morta!”
Caro Belli,
amico mio,
morto puro tuo como sta lingua morta,
qui ce preoccupamo tanto
de la carta, der vetro, de la plastica
che vanno affinì nella discarica,
ma mesà che in mezzo a ‘sta spazzatura
ce stanno affinì arte, musica e letteratura,
e giustizia e libbertà se stanno accatastà là,
insieme a cert’artre belle parole come pace,
amore e solidarietà.
Nemica di Penelope
Il cuore aperto,
esposto alla bufera,
lacerante amore per la vita,
travaglio cieco di cieco andamento,
come musica indecifrabile
parla oggi parole come germogli e
mi lascia stupita
sul suolo dei sogni sepolti.
I sensi dormienti
rispondono inquieti al balsamo inebriante.
Ricchi d’amore
i rami si protendono nel corpo,
intrecciano anelli di linfa
sull’anulare medio,
connubio fino alla vena del cuore,
eterno foedus di comune sentimento.
I fiori all’improvviso come pupille del cuore
scopri tra le labbra e l’ omero sinistro,
abbagliante fastidiosa coscienza
da preservare in eterno
come pane dorato e fragrante ad ogni risveglio.
La mano s’intreccia intorno
alla penna che scrive,
come liana che s’inerpica
intorno ad albero assopito
e lo solleva al cielo,
sacro alleluia di ninfe redente,
coro osannante di ogni parte di te.
Diventi così
vorace primavera,
nemica di ogni Penelope,
riottosa ad Itaca-viaggio organizzato,
donna come vela lascata al silenzio dei venti
con timone alla poggia,
fieramente protesa nel pollineo mare
del tuo nascimento.
PROMOZIONE COMMERCIALE
Confeziono me
come scatola di biscotti
etichetta a colori
profumo chimico
tradizione artigianale
ingredienti biologici
promesse allettanti.
Mi metto in bella mostra
sullo scaffale intermedio
ad altezza sguardo.
Usufruisco persino di una giornata di sconti.
Ma mi agito troppo.
Non riesco, sto stretta.
Questo tappo mi rinserra
e forse è male avvitato.
L’etichetta pende a sinistra.
Fa caldo, spostati.
Un movimento di troppo
e rotolo dietro lo scaffale.
Buio senza fine.
Qui non mi troveranno mai.
AUTUNNO
Naufragando tra vie di città
in oscuri ondeggiamenti
di auto e di semafori
incessante alternarsi di
automatismi inquietanti
tra il baluginare di
semafori e di segnali
Naufragando esule
in disperata ricerca di
significati perduti,
tento di afferrare con lo sguardo
mesti viali di alberi autunnali
involucri vuoti
mi chiedo: sono morti?
Neppure la natura resiste
al devastante non senso
del quotidiano sussistere.
Naufragando in questo mare
di vie, vicoli, strade, raccordi e
ricordi,
dove sono i sentieri del pensiero
da percorrere per dire:
io sono?
Quale salvezza nella sonnolenza
della danza di una foglia esangue
per inerzia giacente sul mio parabrezza?
Quale speranza
nel non odore di ogni cosa?
Neppure il vento travolge,
ma dominano gelo e umido
come coltre che offusca e pietrifica,
come caput Medusae
ci rendono identica sequenza di
sciarpe, ombrelli, impermeabili,
omologati annullamenti.
Desolato naufragio mattutino
il mio, il nostro andare
senza accorgerci di restare
identici a noi stessi,
perdute foglie
di un Autunno senza stagione.
Kerygma
Sfiorando occhi
kèrygma
di consonanza-assonanza di spiriti fratelli,
anime sorelle,
indistinto fulmineo fluire
di stati, atomi emozionali, esplosioni nucleari
come alveari,
api ronzanti nell’aria tersa
questi infinitesimali attimi di
cum-patire
con occhi che si sfiorano
atomi di vibrazioni che attraversano.
Aria calma, colma e sospesa = cuori svuotati.
Occhi che si sfiorano:
kèrygma di attese e di sorprese.
Cosa ne sarà
di me, di noi,
di questi occhi, di questi atomi ronzanti?
La lingua divien tremando
muta.
La parola giace, soggiace,
kèrygma su labbra
socchiuse e dischiuse,
richiuse.
Occhi come soglie.
Sfiorando occhi,
sfiorando soglie.
Non-parole. Non-azioni.
Solo vibrazioni. Solo presenze.
E peragere. Attraversare.
Nonostante
Sognandoti nonostante.
Arrendersi all’impossibilità di viverti,
io,
fragile e senza senso.
Custodirti nel cuore che
si chiude
come una corolla in tarda sera,
ostinata e ribelle.
Proibirti alla richiesta
dei miei occhi,
all’esplorazione delle mie mani.
Negarti a tutti i miei sensi.
Un po’ come morire.
Ma ritrovarti a notte fonda,
nel silenzio di tutto,
io e te,
con passi furtivi di amanti,
chiamarci nel sonno e
varcare soglie.
Esiste l’infinito amare
nel rito di questo incontrarti
altrove,
solo mio.
Sognarti,
amarti,
nonostante.