Loredana Merlin

Poesie e Racconti


Sono come
un giardino d’autunno.
Ho mille colori
ma non sono sbocci
di gioventù.
Sono solo ciò che resta
di fioriture passate
piogge battenti
e venti impetuosi.
Sono terracotta sbiadita.
Un coccio sbeccato
dove va zigzagando
un tempo di setole dure
che scrive racconti
con pigmenti antichi.
Sono una diga
svuotata negli anni
crepata dal sole,
dove unico sollievo
all’arsura è la luce,
rugiada del mio cuore
ogni nuovo giorno.

 


 

Giorni

Giorni. Uno sull’altro. Come se il primo avesse improvvisamente frenato. Così tutti gli altri in corsa, troppo, troppo veloci, vanno a sbattere con un effetto domino. Si accartocciano e s’incastrano brutalmente.
Giorni disorientati. Giorni pieni di un vento che nessuno oltre a me patisce. Un’aria che percorre la cavità delle mie ossa e sgretola le forze.
Eppure non mi do per vinta. E con quello, che non so se sia coraggio o risoluta follia, mi lancio ogni istante verso quei giorni e con le mani disperatamente cerco di sgrovigliarli.
Come fossero stropicciate pergamene, con rispetto le distendo, le spiano per cercare di leggervi la mia vita. Come fossero sgualciti teli, con perizia li stiro e li stendo al sole perché ritrovino il loro brillante colore. Resisto e mi sfido fino alla fine dei giorni. Perché altro non posso fare. Lo devo. A me stessa.

 


 

Verso la fine dell’anno

Apro gli occhi in piena notte. Sono sveglia e i pensieri guadagnano il piumino sotto il quale ho provato a nascondermi, come soldatini all’attacco. Li sento sulla nuca, entrarmi attraverso la pelle insieme al freddo. Ecco ci siamo. Mi ero illusa di avere quasi bypassato questi giorni-cenerentola.
Questi sempre ultimi nella fila, che spingono perché avrebbero voluto stare davanti, tra i primi.
Sui muri della stanza da letto le luci a intermittenza degli addobbi natalizi, sul balcone accanto, sono come segnali di allerta. “Attenzione, attenzione, un altro anno finisce!” Ok ora mi alzo. Al buio senza occhiali decido di fermare questi pensieri sulla carta. Scrivo nella speranza di riuscire a rileggere domattina.
Guardo dalla finestra il mondo fuori ancora in bianco e nero. Su di esso tutti quei balconi accesi e colorati sembrano insegne viste nei documentari di Las Vegas di notte. Invece sono lampadine di un Natale immaginario, luminarie allestite per le feste, magari per scacciare l’oscurità. Io sento già sono già odore di malinconia. Tra pochi giorni tutto si spegnerà. Che sarà mai? Che sarà mai se un altro anno finisce, pesando sempre come un macigno su questi ultimi innocenti giorni, capro espiatorio di altri trecentosessanta e passa? Resto in ascolto per capire cosa risponde il cuore. Segnali di vita in piccoli tonfi sordi, poi sento solo il freddo sotto i piedi scalzi e per il resto silenzio. Assoluto e pieno silenzio. Poi giù nello stomaco, in fondo in fondo, una piccola crepa in un battere di ciglia mi fa lacrimare gli occhi. Ma va! Non provo dispiacere, non ci sono rimpianti. Nemmeno ricordo tutto quello che è stato in quest’anno passato. Non importa. Va bene portarsi dietro solo le cose importanti. Quelle restano. Magari anche qualche piccola cosa dispersa nei mesi, nelle settimane, nei giorni, perfino nelle ore trascorse.
Conta questa notte, dove il sonno mi fa ciondolare la testa e chissà cosa avrò scritto, ma so che ci sono: Lori presente! Conta che dentro, io senta sempre il coraggio di sperare e costruire, di condividere, credere e procedere verso il futuro. Perché futuro è anche tra un attimo, tra un’ora, tra un giorno. Futuro è da ora in avanti. Torno a letto ma non mi riaddormento subito.
L’allarme’ adesso mi sembra un messaggio in codice Morse.
E io rispondo: “Sono pronta!”