Luca Crocetti - Poesie

Agrodolce limbo

 

Ed ora io vivo sospeso a metà,

tra il mondo dei sogni

e quello delle necessità.

 

A volte ritorni

a farmi visita,

col tuo sorriso mi confondi,

tra le pieghe delle lenzuola;

 

l’odore dei tuoi capelli

su cuscini di nuvola,

il calore dei tuoi seni

su un letto di mandorla.

 

E non capisco più

a quale dei due mondi

appartieni tu.


Urlo di silenzio

 

Un urlo di silenzio

giace qui in fondo al mio cuore;

ore ed ore, a contorcermi nel dolore.

Incessante strazio.

 

Schiacciato, sul pavimento,

m’agito, tremo; laconico sgomento.

Gravato da un peso inconsistente,

ma assai denso e resiliente.

 

Sbatto mani e piedi, piango;

furioso spalanco la bocca come gridando;

ma è solo una truffa, poiché tutto tace:

energiche mimiche d’agonia, prive di suoni e voce.

 

Cerco, invano cerco, di espellerlo,

ma quel veleno rimane in circolo,

vizioso ed ozioso, avido e verace

d’un affannato respiro, che invece richiede pace.


 

Ridicolo

 

A volte nella vita

semplicemente perdi,

ma se non hai qualcuno da incolpare

non vedi via d’uscita.

 

Dentro ti rimane un vuoto,

ma è così denso

che ti trascina a fondo

e il tempo, ti blocca in un limbo.

 

Scusa se ho cercato di odiarti,

perché il dolore era troppo

e avevo bisogno di cancellarti.

Ma tu non hai colpe e mi sento così ridicolo.

 

Scusa se ho tentato di offuscarti

e diluire i ricordi, anche i più belli.

Ma come scordare il tuo sorriso?

Tu eri così meravigliosa ed io così ridicolo.

 

Farei di tutto pur di riaverti,

anche se per un solo istante,

pur di riaccarezzarti, nuovamente,

ed aver la possibilità di respirarti.

 

Siano dannati quei tuoi occhi splendenti

e la tua vivacità travolgente.

Per me sei stata una droga, la più potente,

ed ora non riesco a disintossicarmi.

 

Per me sei stata una droga, la più sconvolgente,

e senza di te, tutto è così poco interessante.

 

Io che pensavo di essere diverso, speciale,

che niente potesse ferirmi o contagiare,

ma ora dalle tue labbra pende un cappio

a cui mi vorrei banalmente impiccare.

 

Scusa se ho pensato di ucciderti,

perché se tu non ci fossi più,

sarebbe tutto più semplice.

Ma non te lo meriti ed io son ridicolo, semplicemente.

 

Scusa se ho sperato di seppellirti,

le orme lasciate dai tuoi passi,

perché se anche tornassi, ormai è passato.

Tu sei poesia, magia, ed io solo un omuncolo, ridicolo.

 

Ma non è forse questo che fa l’amore?

Renderti ridicolo, senza alcun pudore?


 

Fibre d’anima

 

Quando t’ho incontrata,

è stato caso o destino?

Tu volevi solo un’avventura,

io invece una cura.

 

Ero solitario e impacciato,

ma autentico,

mentre tu sfoggiavi la loquacità

d’una grande sofferenza:

ti mostravi forte

per via del tuo passato,

ma in realtà pure tu desideravi

cure e assistenza.

 

Quando ti guardavo

offrivi silenzi che eludevo,

e dai tuoi occhi ti leggevo,

l’emozioni e il pensiero.

 

Avevamo un ritmo perverso,

ma sincronizzato,

respiri che battevano

lo stesso tempo;

i nostri baci,

così intensi e avvolgenti, 

condensavano le ore

in secondi.

 

Quando te ne sei andata,

è stata colpa o destino?

Volevi sorrisi e non compromessi,

io ogni tassello del tuo mosaico:

 

pure le dure lacrime,

preludio di qualcosa che dura;

pure le imperfezioni,

sintomi d’un intima complicità;

 

come la tua bellezza,

un po’ ammaliatrice e ingannatrice,

ma che si disperdeva

al disotto della superficie:

il tuo volto spigoloso

e il mento piatto,

il profilo sgraziato di orecchie

celate da capelli sciolti.

 

Forse mai te l’ho detto,

per paura d’offenderti,

ma adoravo follemente

tutti quei tuoi piccoli “difetti”,

perdermi…

nei tuoi particolari,

perché ci ricamavo sopra

le mie emozioni.


 

Quale direzione?

 

Ero dalla nostra parte

quando ci incontrammo,

perché i silenzi tuoi

ed i silenzi miei

provenivano da stazioni diverse,

ma puntavano la stessa direzione.

 

Ero dalla tua parte,

quando decidesti d’andartene,

perché t’avevo ferito

e fatto carico

d’un ulteriore

scomodo bagaglio.

 

Son tornato dalla mia parte,

quando i gesti tuoi

t’hanno tradita,

perché mai hai voluto

condividere il viaggio,

ma il solo prezzo

del biglietto.

 

Ed ora son fermo al centro,

fra due binari paralleli,

proiettati su futuri diversi,

entrambi dolorosi,

ma estremamente lunghi

e in antitesi:

 

la consapevolezza

che dovrei scordarti

ed augurarti

un lungo viaggio,

fra mille sorrisi,

ma zero compagni;

 

ciò che ancor rimane

ed elude la ragione,

attraverso il tempo,

saggio maestro,

che forse mai riuscirà

a sbiadir del tutto,

ciò che per me era autentico.

 

Ma sia quel che sia,

nel mentre che

m’accendo una sigaretta,

perché non c’è fretta alcuna

nel recuperare

il tuo fastidioso ritardo.


 

Grazie…

 

… per esserti messa a nudo col tuo agire

ed aver rimosso ogni velo di falso

dalle tue parole.

 

… per avermi dimostrato che non vedi

oltre alla superficie

di ciò che conviene;

 

… per avermi mostrato che era un dono e non ho perso,

perché niente hai, da offrire,

oltre al sesso;

 

… per avermi finalmente liberato,

dalle aride catene

dell’indecisione;

 

… per avermi fatto versare lacrime,

un po’ dolci, un po’ amare,

di compassione.

 

Mi ci son lavato l’anima

e l’ho ripulita dalle scorie

del tuo leggero bianco e nero:

 

la mia tela emotiva,

più candida e limpida,

di come l’avevi trovata,

 

finalmente pronta,

per tutte le sfumature

d’un vero amore.


 

Dolci attenzioni

 

Spesso m’immagino

il ricordo d’un futuro che voglio,

ma che per il momento attendo.

 

Una domenica mattina,

in cui prepari un dolce,

da dietro, lento mi avvicino.

 

Le mie labbra sulla tua spalla:

i tuoi brividi, il mio calore;

scorro le mani sulla tua pelle,

fino ad intrecciarle colle tue:

 

mentre le guido con esperienza,

una ricetta che è sempre la stessa, 

ma è sempre diversa,

ci amalgamiamo,

 

com’ingredienti di ruvida passione.


 

Sensibilità

 

Tutto… … …è amplificato,

qui dentro:

tutto è immenso e denso,

qui dentro.

 

Aliti leggeri,

in superficie,

ma non sento più il senso del tempo

qui dentro:

 

s’infrangono sulle mie pareti,

com’echi che vibrano,

entrano in risonanza,

senz’affievolirsi,

 

ed è assai arduo

non cercar d’arrendersi

al conforto d’un sordo esilio,

da un mondo che parla troppo.

 

Un fragile timpano,

ad un sol soffio,

dallo implodere.


 

Sguardi

 

Il volto tuo…

 

ad un respiro di distanza

dal mio…

 

ed è…

così intimo,

questo silenzio…

 

di sguardi,

 

che parlano

di sogni e intenzioni,

 

c’accarezzano l’anima

e l’accolgono,

col loro tepore.

 

Occhi esausti,

 

su corpi provati,

appena consumati,

 

ma sussurran timidi,

fin dentro al ventre,

d’un altro domani.


 

Carezze

 

Tra il mai e il per sempre,

c’è un mondo di favole,

infrante,

in cui son tornato a credere,

 

perché sei carne,

in ciò che lasci trasparire,

ma anima,

in ciò che vorresti avere…

 

…anche se, non lo chiedi:

 

perché c’hai un doppiofondo

in quel tuo cassetto,

sepolto dentro al dolore,

sigillato dal passato.

 

Per questo son tornato,

a credere nei sogni,

quelli romantici, da nascondere,

da sussurrare all’orecchio…

 

…com’invisibili carezze, al cuore.


Agrodolce limbo

 

Ed ora io vivo sospeso a metà,

tra il mondo dei sogni

e quello delle necessità.

 

A volte ritorni

a farmi visita,

col tuo sorriso mi confondi,

tra le pieghe delle lenzuola;

 

l’odore dei tuoi capelli

su cuscini di nuvola,

il calore dei tuoi seni

su un letto di mandorla.

 

E non capisco più

a quale dei due mondi

appartieni tu.


 Figli (di altri figli)

 

Forse avrei dovuto

esser più clemente,

verso i vostri sbagli.

 

Rammentarmi

che anche i vostri son tentativi,

speranze e desideri.

 

Rammentarmi,

che pure voi,

non siete altro che figli (di altri figli).

 

Allora perché non ci sediamo

e mi insegni le cose, mamma,

che ancora non ho capito sull’amore:

perché sei restata, se desideravi viaggiare?

 

(Da te ho preso sia la forza che la fragilità.)

 

Allora perché non condividiamo un bicchiere di vino

e cerchiamo di ridere un po’, babbo,

così da scioglier quel tuo viso sempre severo,

solo per celare la tua profonda sensibilità.

 

(Da te l’ho ereditata, anche se lo nascondi.)

 

Solo perché gli altri non corrispondono

le stesse attenzioni, che investiamo verso di loro.

Dimmi,

hai imparato a prenderti cura di te stesso?


 Urlo di silenzio

 

Un urlo di silenzio

giace qui in fondo al mio cuore;

ore ed ore, a contorcermi nel dolore.

Incessante strazio.

 

Schiacciato, sul pavimento,

m’agito, tremo; laconico sgomento.

Gravato da un peso inconsistente,

ma assai denso e resiliente.

 

Sbatto mani e piedi, piango;

furioso spalanco la bocca come gridando;

ma è solo una truffa, poiché tutto tace:

energiche mimiche d’agonia, prive di suoni e voce.

 

Cerco, invano cerco, di espellerlo,

ma quel veleno rimane in circolo,

vizioso ed ozioso, avido e verace

d’un affannato respiro, che invece richiede pace.


 Andata…

 

Arriviamo qui in lacrime,

ma subito veniamo dissuasi

dal piangere.

All’inizio ci viene raccontato

che andrà tutto bene,

solo favole per cui combattere.

Ma nessuno dice la verità:

che la vita è anche crudeltà.

Ma oramai è tardi: siamo già in ballo

e quindi lottiamo con fede cieca,

per evitare lo stallo.

Dell’animo, nessuno

ci insegna come si cura,

in balia di noi stessi e della natura

inizia un’odissea:

una giostra di carezze,

ma fa anche un po’ paura.

Una lama a doppio taglio

che mette a nudo le nostre debolezze,

ma sa anche guarirle.

Mentre le leggi della fisica

spingono la vita con certezza

nel caos delle probabilità,

continuerei a sceglierti,

per l’eternità:

la più stupefacente incertezza.


 Nostalgia

 

Il fiume della coscienza

scorre e scava

nella valle della memoria,

e lascia segni e solchi,

man mano che divora

la dura materia.

 

Quando versi lacrime,

siano esse meste o felici,

il fiume s’ingrossa,

riaffiorano i ricordi:

quei solchi vengono bagnati

un’altra volta.

 

E ritorna in superficie,

un’altra volta.


 Niente di più

 

Fuori è inverno e c’è la neve;

è notte e le stelle

assistono dalle pareti a vetri.

 

Un calice rovesciato

e l’altro vuoto:

risate e morsi.

 

Stesi sul tappeto,

mentre il camino infiamma:

ci apparteniamo.

 

Il nostro più bello spettacolo.

Adesso sì,

che posso concedermi di morir.


 Dolci attenzioni

 

Spesso m’immagino

il ricordo d’un futuro che voglio,

ma che per il momento attendo.

 

Una domenica mattina,

in cui prepari un dolce,

da dietro, lento mi avvicino.

 

Le mie labbra sulla tua spalla:

i tuoi brividi, il mio calore;

scorro le mani sulla tua pelle,

fino ad intrecciarle colle tue:

 

mentre le guido con esperienza,

una ricetta che è sempre la stessa, 

ma è sempre diversa,

ci amalgamiamo,

 

com’ingredienti di ruvida passione.


 Sensibilità

 

Tutto… … …è amplificato,

qui dentro:

tutto è immenso e denso,

qui dentro.

 

Aliti leggeri

in superficie,

ma non sento più il senso del tempo,

qui dentro:

 

s’infrangono sulle mie pareti,

com’echi che vibrano,

in risonanza

senza affievolirsi,

 

ed è arduo,

non arrendersi,

al conforto di fingersi sordo,

in un mondo, in cui tutti parlano…

 

…parlano troppo,

 

…parlano a caso.

 

Un timpano fragile,

ad un soffio, dall’implodere.


 Carezze

 

Tra il mai e il per sempre,

c’è un mondo di favole

infrante,

in cui son tornato a credere,

 

perché tu sei carne,

in ciò che lasci trasparire,

ma anima,

in ciò che vorresti avere…

 

…anche se non lo chiedi:

 

perché c’hai un doppiofondo

nel cassetto del dolore,

sepolto dentro,

sigillato, dal passato.

 

Per questo, son tornato a credere

ai sogni, quelli romantici,

quelli da nascondere,

perché vorrei darti, carezze invisibili,

 

al cuore.


 Proposta di matrimonio

 

Che ne dici,

se assieme impariamo

a contagiarci,

invece di influenzarci,

ad esser complici,

anziché reduci?