L’uomo che non aveva mai visto il mare
E’ meraviglioso
quell’immenso movimento
che accarezza i fianchi della terra.
A volte ruvido, a volte morbido
ha la timidezza del gigante
svicola ad ogni abbraccio
beffa la gravità insistente.
Sembra tigre ma è preda costante:
la luna, con la sua eleganza
lo attira per farci l’amore
floscio lo rilascia
inerme piatto d’umiltà;
il sole, con il suo ardore
lo tempesta di luce
lo scalda, timidamente evapora
di grigio tinge il cielo;
il vento, con la sua cattiveria
lo scuote, lo frusta
ne stuzzica la rabbia:
che schiuma meravigliosa
riversa sulle sue creature!
Sulla terra degli uomini
appoggia piccole case
case sparse che decorano passeggiate
case colorate che decorano grandi case
case accarezzate che decorano sogni.
L’uomo che non aveva mai volato
Com’è lassù, tra le nuvole?
Avete notato qualche viso
qualche ala luminosa
apparizioni di creste,
scale magiche o porte
un sintomo di Dio, una sua sintesi?
No, perché da quaggiù non si vede niente.
Immagino la sensazione di sentirsi alati
vertigini sofisticate stuzzicate dal cielo
notti con bui sotto e sopra.
Immagino l’aria che dirada la ragione
accende visioni
l’intensità della luce del giorno
che illumina le creazioni
quelle di Dio, quelle degli uomini
e l’orizzonte, dove sta l’orizzonte?
Visto in volo dà la stessa certezza?
E’ passato un altro aereo
ed io ho solo fantasia.
LA MIA CITTÀ
La mia città è così
con il suo orgoglio nascosto
le finestre aperte al sorriso della sera
spente alla luce del mattino
come tutte le città degli uomini
scivola nella sua illusione
convinta che tutti amino la bandiera.
Soffoca le grida
distribuisce colpe per non averne alcuna.
E’ una città indifferente,
al “quand’era” lascia la sua bellezza
quand’era un tempo
quand’era diverso
quand’eravamo noi e non voi.
Sprofonda nella contraddizione di essere luna
e cratere della stessa luna
forse qualcuno urla, una pietra vola
all’altezza dei fumi
cade in acqua innocua.
Timidi fiori sulle scogliere
mescolano pollini al respiro dei pesci.
La prossima estate, insieme,
abbatteremo i nostalgici con parole mai dette.
Ingredienti instabili
Attacca la finta roccia la bagnina
con i suoi occhiali luccicanti
vuole la foto del ragazzo solitario
vuole l’amore.
E’ un dramma la solitudine
della bagnina bionda dagli occhi di metallo
qualcuno può morire.
Chi ha mescolato il demone con il cuore?
È una reazione naturale
dicono gli angeli riparatori
quando la carne diventa oro.
C’è un fotografo
che pazientemente scinde gli ingredienti instabili
ma la commistione ha già intossicato la luna.
Sdraiato su sfondo di conchiglie
massaggiato dal mare
sta l’amore a faccia in giù
cerotto usa e getta per pruriti occasionali.
Il Signore in tuta blu
Per un momento lasciatemi parlare
perché ho cose da dire
cose nuove
avvertite sui prati del Cormorano
nelle notti aperte ai banchetti delle sirene.
C’erano il silenzio delle onde
in cerca di frequenze
e i bisbigli dei morti trasparenti:
“Gesù è tra noi! Gesù è tra noi!”
li sentivi scivolare da ogni spazio.
L’hanno visto la mattina
lungo la litoranea in tuta blu
senza barba
col sangue rosso in bicicletta
Maddalena dietro
stretta all’attimo di carne
innamorata come sempre.
La sera era in salita
verso la fabbrica dismessa,
è sceso al cancello
a pregare nella solitudine
che è fortissima dove prima c’era folla
e il silenzio pure, forte forte.
Non l’ha riconosciuto nessuno
nemmeno i passeri e le serpi
nessuno l’ha baciato.
Oggi c’è un cartello e titoli sui giornali
“La Fabbrica dei Pensieri riapre tra dieci giorni”.
GABBIANI BURLONI
“Come va ragazzi?”
Rivolto ai gabbiani della spiaggia
due bastoncini appena immersi
penne sfumate al vento
“Cosa dice il signore del mare?”
Si voltano battendo le ali
mostrano il becco vuoto
sarà dura la lotta
i battiti sulla scogliera annunciano tempeste
ma i rumori dal cielo non sono temporali.
“Sarà dura per voi, almeno a noi non ci caccia nessuno!”
suggerisce il becco d’un gabbiano
ed io intelligente guardo sorridendo intorno
chi mai sarà questo cacciatore?
da quale dimensione, da quale spazio.
“Vi sbagliate gabbiani, noi superiamo tutti in terra!”
Irridono gli uccelli l’uomo
che non sa di essere selvaggina
e volano
loro che possono.
Comunisti della Terra
Comunisti, rassegnatevi!
Il mercato ha vinto
i ricchi intonano la loro preghiera
“Globalizzazione nostra madre eterna
sfrutteremo anche gli abissi”.
Ma, che versi sono questi?
Comunisti, è finita!
I poveri non scriveranno più poesie
taceranno le visioni delle facce stanche
avremo discariche di armi scadute
immense terre rase al cuore.
Ma, che versi sono questi?
Comunisti, pessimisti!
Fermeremo l’apocalisse delle tre nazioni
con un’impresa off-shore
sulle isole della luna
alla gravità del debito pubblico.
Ma, che versi sono questi?
Comunisti, parassiti!
Lascerete la terra dai sorrisi obbligati
vi accomoderete sulla petroliera, prego
costruita dai supremi della Banca Mondiale
con i sgravi delle multinazionali.
Ma, che versi sono questi?
Comunisti, assassini!
Manca il terzo del sistema solare
quello azzurro splendido
dove c’erano gli esseri intelligenti
dov’era passato il figlio di Dio
Ma, che versi sono questi?
Ma poi, chi erano ‘sti comunisti della Terra?…
TANTI QUADRATINI NUDI
E’ diventato tutto solo sesso
un mondo che ho nutrito anch’io
esplorato per soddisfare l’anima, invano.
Ora non so, forse uno sport come altri
allenamenti per migliorare le prestazioni, la resistenza
movimenti cadenzati, fisici pronti per bucare il video
“Noi lo facciamo meglio, vedessi che prestazioni!
Non c’è paragone con il mio ragazzo dotato:
video di trenta minuti e diecimila visualizzazioni”.
Come gemono queste ragazze!
Un bel ritmo, stesso tono, la smorfia che sembra piacere
e questi uomini, che uomini! Riprendono il vigore e la sottomissione
di tante madri, di tante figlie.
Chissà se le abbracciano quando piangono
quando un medico indifferente diagnostica loro il cancro
quando si accorgono di aver gettato anni alla miseria dell’incoscienza
quando realizzano di treni perduti e l’ultimo forse
su un binario lontano tra vuoto e rimpianto.
Chissà se hanno mai letto favole
magari alle creature svestite nella loro tana
dopo aver superato il lupo.
Chissà se hanno mai accarezzato i capelli bianchi delle madri.
Perché le madri piangono sulle mani sporche dei figli
sulle riprese dei propri errori in tanti quadratini nudi.
Vorrei fregarmene
giacere accanto al corpo libero di mia moglie
dopo aver fatto l’amore, senza preparazione
“Che facciamo domani? Al mare… insieme…con la piccola”.
Ma mi escono lacrime, tante lacrime
spremute dai volti umiliati delle ragazze del porno.
PASSEGGIATA AL TRAMONTO
Un falcone di bronzo appollaiato
su nomi eroici in caduta libera
che hanno l’obbligo di non morire
è il punto di partenza di ogni cammino.
Un abbaiare si avvicina ai primi passi
ce l’ha con me
come ogni essere vivente
verso le ombre della sera.
E’ comprensibile.
Si muovono le siepi del primo tratto
accostate ai marciapiedi invecchiati
forse un merlo ne solletica le radici
o hanno anime irritabili ai passi.
Le luci alla palestra mi lasciano perplesso
in quest’ora che depone luce all’orizzonte
ancor più la chiesa stentorea
nuda di luci e di colori, silenziosa.
Così, di solitudine, foraggia l’anima
e non dovrebbe.
Ancora altri passi ed un ex convento di suore
abbandonato
svuotato dell’odore di minestra
sfoggia serrande chiuse e rughe alle facciate
è lasciato morire di consuetudine.
Arrivano con due gatti enormi al muro
i graffiti di un genio splendido
assunto dagli angeli a tempo pieno
per appoggiare colori alle pareti del cielo.
Ce ne sono due in veglia veri:
un grigio piombo che sfuma la sera
un rossiccio che accende il tramonto.
Proseguo ancora,
tocca lo sguardo il fruttivendolo all’angolo
rassetta la sua impresa.
È timore del resoconto
o stanchezza accumulata?
Non è certo allegro quel viso in ombra.
Ed ecco il confessionale con la scritta “bancomat”
dove si parla ai soldi e risponde una voce automatica
a domande mai pensate
inventate da chi non ha risposte,
poco avanti il gelataio con il gusto di Godzilla
si affaccia sulla piazza ultra moderna
il post-atomico affiora:
qualche albero spoglio
qualche uomo piantato dall’indifferenza,
ne aggiungo anch’io a rafforzar l’ormeggio.
Il rimorso in esilio non trova la coscienza.
Non provo più emozioni
nel silenzio che termina il giorno.
I miei passi rimbalzano nella città vuota.
Raffineria
Una grande luna spalancata
sopra luci di metallo appese
in un surreale dipinto di contrasti:
limpido cerchio con mensole per sogni
torri di tubi sfornanti calde angosce
anche il mare di lato, inerme
invaso da fasci di luce che parlano nero
quello profondo del fondo in superficie.
Fa paura pensarsi uomo
nella complessità di tale immagine
l’uomo che ama alzare templi alla luna
confondere di superbia le stelle.
Provo a cambiare prospettiva
ritoccarne i contorni
capovolgerne il senso
il mare in tuffo sulla luna
nello spazio il fumo che si svuota.
Inutile, la prima foto del tablet
è la mia raffineria
unica spiaggia dei miei ritorni.