Luca Giacometti - Poesie

L’uomo che non aveva mai visto il mare

 

E’ meraviglioso

quell’immenso movimento

che accarezza i fianchi della terra.

A volte ruvido, a volte morbido

ha la timidezza del gigante

svicola ad ogni abbraccio

beffa la gravità insistente.

 

Sembra tigre ma è  preda costante:

la luna, con la sua eleganza

lo attira per farci l’amore

floscio lo rilascia

inerme piatto d’umiltà;

il sole,  con il suo ardore

lo tempesta di luce

lo scalda, timidamente evapora

di grigio tinge il cielo;

il vento, con la sua cattiveria

lo scuote, lo frusta

ne stuzzica la rabbia:

che schiuma meravigliosa

riversa sulle sue creature!

Sulla terra degli uomini

appoggia piccole case

case sparse che decorano passeggiate

case colorate che decorano grandi case

case accarezzate che decorano sogni.


L’uomo che non aveva mai volato

 

Com’è lassù, tra le nuvole?

Avete notato qualche viso

qualche ala luminosa

apparizioni di creste,

scale magiche o porte

un sintomo di Dio, una sua sintesi?

No, perché da quaggiù non si vede niente.

 

Immagino la sensazione di sentirsi alati

vertigini sofisticate stuzzicate dal cielo

notti con bui sotto e sopra.

Immagino l’aria che dirada la ragione

accende visioni

l’intensità della luce del giorno

che illumina le creazioni

quelle di Dio, quelle degli uomini

e l’orizzonte, dove sta l’orizzonte?

Visto in volo dà la stessa certezza?

 

E’ passato un altro aereo

ed io ho solo fantasia.  


LA MIA CITTÀ

 

La mia città è così

con il suo orgoglio nascosto

le finestre aperte al sorriso della sera

spente alla  luce  del mattino

come tutte le città degli uomini

scivola nella sua illusione

convinta che tutti amino la bandiera.

 

Soffoca le grida

distribuisce colpe per non averne alcuna.

E’ una città indifferente,

al “quand’era” lascia la sua bellezza

quand’era un tempo

quand’era diverso

quand’eravamo noi e non voi.

 

Sprofonda nella contraddizione di essere luna

e cratere della stessa luna

forse qualcuno urla, una pietra vola

all’altezza dei fumi

cade in acqua innocua.

Timidi fiori sulle scogliere

mescolano pollini al respiro dei pesci.

La prossima estate, insieme,

abbatteremo i nostalgici con parole mai dette.


Ingredienti instabili

 

Attacca la finta roccia la bagnina

con i suoi occhiali luccicanti

vuole la foto del ragazzo solitario

vuole l’amore.

 

E’ un dramma la solitudine

della bagnina bionda dagli occhi di metallo

qualcuno può morire.

 

Chi ha mescolato il demone con il cuore?

È una reazione naturale

dicono gli angeli riparatori

quando la carne diventa oro.

 

C’è un fotografo

che pazientemente scinde gli ingredienti instabili

ma la commistione ha già intossicato la luna.

 

Sdraiato su sfondo  di conchiglie

massaggiato dal mare

sta l’amore a faccia in giù

cerotto usa e getta per pruriti occasionali.


Il Signore in tuta blu

 

Per un momento lasciatemi parlare

perché ho cose da dire

cose nuove

avvertite sui prati del Cormorano

nelle notti aperte ai banchetti delle sirene.

C’erano il silenzio delle onde

in cerca di frequenze

e i bisbigli dei morti trasparenti:

“Gesù è tra noi! Gesù è tra noi!”

li sentivi scivolare da ogni spazio.

L’hanno visto la mattina

lungo la litoranea in tuta blu

senza barba

col sangue rosso in bicicletta

Maddalena dietro

stretta all’attimo di carne

innamorata come sempre.

La sera era  in salita

verso la fabbrica dismessa,

è sceso  al cancello

a pregare nella solitudine

che è fortissima dove  prima c’era folla

e il silenzio pure, forte forte.

Non l’ha riconosciuto nessuno

nemmeno i passeri e le serpi

nessuno l’ha baciato.

Oggi c’è un cartello e titoli sui giornali  

“La Fabbrica dei Pensieri riapre tra dieci giorni”.


GABBIANI  BURLONI

 

“Come va ragazzi?”

Rivolto ai gabbiani della spiaggia

due bastoncini appena immersi

penne sfumate al vento

“Cosa dice il signore del mare?”

 

Si voltano battendo le ali

mostrano il becco vuoto

sarà dura la lotta

i battiti sulla scogliera annunciano tempeste

ma i rumori dal cielo non sono temporali.

“Sarà dura per voi, almeno a noi non ci caccia nessuno!”

suggerisce il becco d’un gabbiano

ed io intelligente guardo sorridendo intorno

chi mai sarà questo cacciatore?

da quale dimensione, da quale spazio.

“Vi sbagliate gabbiani, noi superiamo tutti in terra!”

 

Irridono gli uccelli l’uomo

che non sa di essere selvaggina

e volano

loro che possono.


Comunisti della Terra

 

Comunisti, rassegnatevi!

Il mercato ha vinto

i ricchi intonano la loro preghiera

Globalizzazione nostra madre eterna

sfrutteremo anche gli abissi”.

Ma, che versi sono questi?

 

Comunisti, è finita!

I poveri non scriveranno più poesie

taceranno le visioni delle  facce stanche

avremo discariche di armi scadute

immense terre rase al cuore.

Ma, che versi sono questi?

 

Comunisti, pessimisti!

Fermeremo l’apocalisse delle tre nazioni

con un’impresa off-shore

sulle isole della luna

alla gravità del debito pubblico.

Ma, che versi sono questi?

 

Comunisti, parassiti!

Lascerete la terra dai sorrisi obbligati

vi accomoderete  sulla petroliera, prego

costruita dai supremi della Banca Mondiale

con i sgravi delle multinazionali.

Ma, che versi sono questi?

 

Comunisti, assassini!

Manca il terzo del sistema solare

quello azzurro splendido

dove c’erano gli esseri intelligenti

dov’era passato il figlio di Dio

Ma, che versi sono questi?

 

Ma poi, chi erano ‘sti comunisti della Terra?…


TANTI QUADRATINI NUDI

 

E’ diventato tutto solo sesso

un mondo che ho nutrito anch’io

esplorato per soddisfare l’anima, invano.

Ora non so, forse uno sport come altri

allenamenti per migliorare le prestazioni, la resistenza

movimenti cadenzati, fisici pronti per bucare il  video

“Noi lo facciamo meglio, vedessi che prestazioni!

Non c’è paragone con il mio ragazzo dotato:

video di trenta minuti e diecimila visualizzazioni”.

Come gemono queste ragazze!

Un bel ritmo, stesso tono,  la smorfia che sembra piacere

e questi uomini, che uomini! Riprendono il vigore e la sottomissione

di tante madri, di tante  figlie.

Chissà se le abbracciano quando piangono

quando un medico indifferente diagnostica loro il cancro

quando si accorgono di aver gettato anni alla miseria dell’incoscienza

quando realizzano di  treni perduti e l’ultimo forse

su un binario lontano tra vuoto e  rimpianto.

Chissà se hanno mai letto favole

magari alle creature svestite nella loro tana

dopo aver superato il lupo.

Chissà se hanno mai accarezzato i capelli bianchi delle madri.

Perché le madri piangono sulle mani sporche dei figli

sulle riprese dei propri errori in tanti quadratini nudi.

 

Vorrei fregarmene

giacere accanto al corpo libero di mia moglie

dopo aver fatto l’amore,  senza preparazione

“Che facciamo domani? Al mare…  insieme…con la piccola”.

Ma mi escono lacrime, tante lacrime

spremute dai volti umiliati delle ragazze del porno.


PASSEGGIATA AL TRAMONTO

 

Un falcone di bronzo appollaiato

su nomi eroici in caduta libera

che hanno l’obbligo di non morire

è il punto di partenza di ogni cammino.

 

Un abbaiare si avvicina ai primi passi

ce l’ha con me

come ogni essere vivente

verso le ombre della sera.

E’ comprensibile.  

 

Si muovono le siepi del primo tratto

accostate ai marciapiedi invecchiati

forse un merlo ne solletica le radici

o hanno anime irritabili ai passi.

 

Le luci alla palestra mi lasciano perplesso

in quest’ora che depone luce all’orizzonte  

ancor più la chiesa stentorea

nuda di luci e di colori, silenziosa.

Così, di solitudine, foraggia l’anima

e non dovrebbe.

 

Ancora altri passi ed un ex convento di suore

abbandonato  

svuotato dell’odore di minestra

sfoggia serrande chiuse e rughe alle facciate

è lasciato morire di consuetudine.

 

Arrivano con due gatti enormi al muro

i graffiti di un genio splendido

assunto dagli angeli a tempo pieno

per appoggiare colori alle pareti del cielo.

Ce ne sono due in veglia veri:

un grigio piombo che sfuma la sera

un rossiccio  che accende il tramonto.

 

Proseguo ancora,

tocca lo sguardo il fruttivendolo all’angolo

rassetta la sua impresa.

È  timore  del resoconto

o stanchezza accumulata?

Non è certo allegro quel viso in ombra.

 

Ed ecco il confessionale con la scritta “bancomat”

dove si parla ai soldi e risponde una voce automatica

a domande mai pensate

inventate da chi non ha risposte,

poco avanti il gelataio con il gusto di Godzilla

si affaccia sulla piazza ultra moderna

il post-atomico affiora:

qualche albero spoglio

qualche uomo piantato dall’indifferenza,

ne aggiungo anch’io a rafforzar l’ormeggio.

Il rimorso in esilio non trova la coscienza.

 

Non provo più emozioni

nel silenzio che termina il giorno.

I miei passi rimbalzano nella città vuota.


Raffineria

 

Una grande luna spalancata

sopra luci di metallo appese

in un surreale dipinto di contrasti:

limpido cerchio con mensole per sogni

torri di tubi sfornanti calde angosce

anche il mare di lato, inerme

invaso da fasci di luce che parlano nero

quello profondo del fondo in superficie.

Fa paura pensarsi uomo

nella complessità di tale immagine

l’uomo che ama alzare templi alla luna

confondere di superbia  le stelle.

 

Provo a cambiare prospettiva

ritoccarne i contorni

capovolgerne il senso

il mare in tuffo  sulla luna

nello spazio  il fumo che si svuota.

Inutile, la prima foto del tablet

è la mia raffineria   

unica spiaggia dei miei ritorni.