Lucia Lazzari - Poesie e Racconti

Adesso

 

 

Quando sei tornato a casa

ti sei messo a disegnarmi a matita

solchi nell’ anima e

mi hai donato il tuo

calore di mogano.

Mi hai sussurrato,

leccato,

urlato,

ansimato,

sudato,

succhiato,

raccontato,

spinto,

pianto

tutto il tuo amore.

Sono una persona diversa,

adesso.


Andrea

 

Andrea dagli occhi di mare

e con la sincerità di un bambino.

Andrea che in teatro vive

“una galassia di emozioni”.

Andrea che maschera il suo dolore

con una cantilena rap.

Andrea stimato dai compagni

di tutti i paesi.

Andrea che sconta

una colpa non sua.

ANDREA,

vorrei portarti dell’ erba per farti respirare la natura,

FUORI.

Andrea,

il carcere non è per sempre.

Il mondo ti aspetta.


 

Gatta

 

Attraverso la nebbia di fumo

in un sottile pomeriggio d’ inverno

versi familiari rivestono

la coperta in cui sono sommersa.

Il mio labile sonno svanisce

al sommuoversi dei cuscini.

Volgo il mio muso verso il resto,

verso tutto il resto.

E,

con espressione convinta,

mi rimetto a dormire.


La solita me veste diverse vesti

 

Equilibrista tra

anima e faccia,

sedo l’ Ego

per mantenerne

la sua deformità.

 

La voce estremista

di una divinità

pagana suona

in orecchie

non nuove alle frivolezze.

 

Ricerco la

narrazione del presente,

Trovo il

rimpianto del passato.


 

M. J.

 

Prima brucia la gola

poi si apre il petto

ad accoglierlo nel

suo sensuale percorso.

 

Si muovono le tue membra,

ti entra nel naso

l’ inconfondibile profumo.

 

Parla di natura,

di viaggi,

di amore cosmico,

di armonia.

 

Suona una musica straniera

quasi a ricordarti

quanto può essere

terribile

un viaggio dentro

se stessi.

 

Finalmente capisci

Il disperato bisogno

di scappare dai

propri panni.

 

Almeno per un po’.


Malessere provinciale

 

Sguazzo tra la maldicenza

e il vuoto di valori

scruto le scorze della gente

rivestite di vuoto

il loro è un niente che ferisce

un vortice nauseante.

 

La città è una moglie borghese

che sa solo lamentarsi da seduta.

La città è, in realtà, un paese

che solo tra le sue mura si sente sicuro.

 

Nel vuoto delle chiacchere

non riesco a proferir parola.


 

Padre

 

Conto le rughe sulla tua fronte

e vorrei spianare i tuoi dolori.

 

Guardo i calli delle tue mani

e mi sento colpevole.

 

Mi riconosco nel tuo viso

e nei tuoi pesi sulle spalle.

 

Forse non riuscirò mai

a dirti che

sei il mio Amore più grande.


 San Giorgio

 

Sudore e croste di

sporco.

 

Sbarre, sbarre e ancora

sbarre.

 

Sento passi e

sussurri

scoppiare nell’ isterismo

di una risata.

 

Tra le divise cerco l’ uomo,

ma non lo trovo.

 

Eccolo! Getta i suoi sogni al

sole, sopra la gabbia.

 

Sembra Cristo mentre

San Giorgio continuava a

sconfiggere

i poveri draghi.


                              Untitle

 

Persa nel pensiero di te

perdo anche un po’ dell’ immagine

che di te hai costruito,

che di te ho costruito.

Il candore del tuo corpo

cancella il tuo volto.

Il carnale diventa

immagine dello spirituale,

l’ignoto intuito,

il noto ignorato,

l’insperato una speranza.

Speranza di non perdere

il tuo candido raggio.

Speranza di poterti

per sempre rabbuiare.

Spero di non spengerti mai.

 

Agosto 2015


Emilia si sfila le scarpe da corsa e i vestiti e si fionda sotto la doccia. Mentre sente la fantastica sensazione dei muscoli affaticati che provano sollievo a contatto con l’ acqua calda comincia a ridere da sola poiché nella sua mente, durante quel suo momento così intimo, sono comparsi, come in un momentaneo uragano interiore, i ricordi di tutti quei momenti in cui quando gli amici pronunciavano “Emilia” aggiungevano sempre “Damiano” e viceversa.

Esce dalla doccia, si asciuga rapidamente nell’ accappatoio, indossa un semplice paio di slip, pigiama e pantofole e si siede alla scrivania della sua camera.  Apre e accende il computer portatile, apre la sua casella di posta, clicca su “nuovo messaggio” e le sue dita cominciano a digitare veloci:

“Caro non più mio (forse mai stato mio, per sempre mio),

Ti scrivo perché ho bisogno di scrivere a me stessa, ti scrivo perché la mia testa è finalmente riuscita ad accettare il fatto che sarai tu l’ unico che potrà capire fino in fondo le mie parole. Anche se sei in un’ altra nazione, anche se il nostro legame è incomprensibile a chi non sia Damiano ed Emilia… I miei amici, anche quelli che considero la mia più grande forza, non capirebbero. Non capirebbero perché non hanno gli strumenti per capirlo. Solo tu li hai. Solo tu hai sempre colto le parole giuste nello scorrere del fiume delle mie parole inutili.

Ti scrivo la storia di “Emilia e l’ Amore”.

A quindici anni mi innamoro per la prima volta; mi innamoro di un ragazzino profondo ed estremamente buono, puro, intrinsecamente anticonformista. Mi innamoro di una persona che mi sa capire, che si sa divertire con me, che raccoglie le mie paure e le plasma in poesia, canzoni, politica, passioni. Mi innamoro soprattutto dei suoi occhi perché in essi riesco a leggerlo, perché sento che i suoi occhi non possono mentirmi e, soprattutto, non vogliono farlo. Dopo poco più di un anno mi rendo conto che l’amore finisce; finisce fisiologicamente così come appassiscono i fiori. Finisce soprattutto perché è un amore fanciullo, ma non è fanciullo il dolore che ne consegue.

Alla disperata ricerca di una panacea anche apparente per il mio dolore mi butto addosso ad un ragazzo che non ha davvero niente di speciale, i cui occhi non mi trasmettono niente. Mi butto addosso a questo poco perché mi rendo conto che questo poco mi adora. Penso che, se lui mi adora, non potrò soffrire e tutto il mio senso di inadeguatezza, tutte le mie insicurezze saranno colmati da questa adorazione. Col tempo che passa questa adorazione diventa prigionia e io comincio a odiarlo e a odiarmi perché odio lui, lui che mi adora. Arrivo a diciotto anni e non mi sono mai odiata così tanto.

A causa di questo profondo odio per me stessa scelgo la mia estrema punizione. La mia estrema punizione s’ incarna in una persona che non è solo mentalmente disturbata, non è solo fisicamente e neurologicamente distrutta da droghe e psicofarmaci, è cattiva. Se devo pensare alla malvagità non mi viene in mente Hitler, non mi vengono in mente i gulag né i bambini con le pance gonfie dalla malnutrizione, non mi vengono in mente gli omicidi di mafia né gli stupri di guerra. Se devo pensare alla malvagità vedo i suoi occhi. Inizia il mio calvario che mi porta ad allontanarmi dai mie affetti, dalle mie passioni, dai miei valori, dalle mie aspirazioni. Divento uno strumento nelle sue mani, un oggetto. Valgo meno di un cellulare o di uno scolapasta. Non ti ho mai parlato della mia Via Crucis personale (perdonami la metafora cristiana, ma ho imparato a fare i conti anche col fatto che l’educazione cristiana che ho ricevuto fa parte di me, nel bene o nel male; perdonami anche se è come se vedessi il tuo sguardo a metà tra la disapprovazione e il sorriso), almeno, non te ne ho mai parlato fino in fondo. Per riuscire a parlarne ci sono voluti anni di analisi, di crescita personale, di incontri con persone che hanno vissuto il mio stesso calvario (i maschi violenti sono linearmente banali, adottano tutti le stesse dinamiche). Quando sono riuscita a parlarne tu non eri più accanto a me e non sai quanto rimpiango il non essere riuscita a raccontarti questo mio cammino di flagellazione. Perché, continuando su questa metafora a metà tra il sacro e il profano,  dopo la croce c’è la resurrezione. E tu sei stato la mia personale resurrezione.

Tu, nella tua profonda umiltà, non hai nemmeno capito la grandezza di ciò che hai fatto per me. Tu mi hai insegnato ad amare perché mi hai amata come io avevo bisogno di essere amata. Tu hai saputo darmi esattamente ciò di cui avevo bisogno senza che io te lo avessi chiesto. Tu hai capito, anche inconsciamente perché eri la persona giusta per capirlo, che per amarmi bisogna farmi divertire.

Divertirci ha significato ridere come se quelle fossero le ultime risate che ci facevamo insieme e, sulla stessa idea, parlare, ballare, cantare, scopare, ubriacarsi, fare una serata, viaggiare, guardare un film, stare con gli amici. Sono una persona pesante: complessa, contorta, insicura, riflessiva fino alla patologia, volubile, spesso sofferente. Ho bisogno di leggerezza, di passione, di emozioni forti. L’ emozione più forte di tutte è l’amore. L’ amore salva, tu mi hai salvata.

Ma, a un certo punto, questo amore ha cominciato a offuscarsi, i nostri sempre più frequenti litigi lo hanno coperto di banalità di coppia, è emersa la crudele verità: l’ amore è tutto, ma non basta. Non è bastato a colmare le nostre incolmabili diversità, le nostre inconciliabili storie di vita, i nostri differenti progetti. In quel momento tu ti sei dimostrato uomo, hai fatto l’estremo atto di coraggio: mi hai lasciata. Mi hai lasciata perché hai capito che quello era l’unico modo per non farmi soffrire più. Farmi soffrire una volta per non farmi soffrire più. Mi hai lasciata come estremo atto d’amore. Io ti ringrazio per averlo fatto, per essere stato l’unico ad avermi lasciata. Ti ringrazio ora, non l’ho mai fatto. E ti ripeto, come ti dico ogni volta che ci incontriamo, “è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati”. La nostra è stata la storia più temporaneamente breve fra le mie storie, ma è quella che sono sicura che non dimenticherò mai: mi hai lasciata quando mi amavi per farti ricordare per sempre.

E poi è arrivata una persona che è stata necessaria, il vuoto che avevi lasciato era talmente immenso che io non ho trovato nessuna soluzione se non fare quello che nella mia vita ho sempre fatto: usare le persone per colmare i miei vuoti interiori. Lui era tutto ciò che non eri tu: serio e bisognoso di una storia seria, banalmente rassicurante, condivideva i miei stessi interessi, avevamo lo stesso gruppo di amici. Lui ha sempre detto che io ero la sua migliore amica. Peccato che io pensi che ciò non basti. Credo che per amarsi si debba essere non solo migliori amici, ma compagni di viaggio. Tante amicizie si sfaldano nel momento in cui i due amici decidono di fare un viaggio insieme o di diventare coinquilini. Nella condivisione massima di un pezzo di vita le persone emergono davvero per tutto ciò che sono. Per questo i viaggi con Marco non sono mai stati troppo emozionanti, per questo le nostre convivenze temporanee non ci hanno mai portati ad una convivenza definitiva. Io l’ho capito dopo un paio d’anni, forse anche prima, ma, invece di mettermi in viaggio da sola e aspettare che qualcuno prima o poi si affianchi a me, ho tentato disperatamente di trovare in lui ciò che in lui non c’era: il nostro amore appassionato. Non c’era perché quello era il NOSTRO amore e perché lui avrebbe dovuto essere una persona tanto eccezionale da “superarti”:  da amarmi nell’ unico modo in cui io posso essere amata, nel modo che tu hai scoperto, e, allo stesso tempo, non essere te, non avere tutto quello che di te non si sarebbe mai conciliato con me. Il gruppo di amici si è sfaldato, i nostri interessi si sono diversificati, le nostre inconciliabilità (molto più profonde di quelle che ci sono fra me e te) sono emerse beffarde, Marco ha cominciato a diventarmi estraneo. Mi sentivo accanto a un piccolo, borioso, superficiale, viziato ragazzino. Lo odiavo e mi odiavo per non riuscire a staccarmi da lui. Lo odiavo perché non aveva il coraggio di lasciarmi. Nemmeno lui mi amava più anche perché io cercavo di essere più odiosa possibile per non essere più amata, per essere lasciata. Ma lui non solo non aveva le palle per lasciarmi nonostante mi amasse, non aveva nemmeno le palle di lasciarmi benché non mi amasse più. Lui mi vedeva soffrire e rimaneva immobile a guardarmi. Io soffrivo molto di più di lui: lui è molto più superficiale di me, ma, soprattutto, lui non ha mai conosciuto il vero amore. Perché tra me e Marco non c’era vero amore. Probabilmente ci siamo amati, ma non di quell’ amore vero, profondo e totalizzante che ti porta a volere il “per sempre”. Elena, con il suo consueto charme che negli anni hai imparato ad apprezzare, un giorno mi disse: “certo che portare il peso di Damiano deve essere difficile per Marco … ”. Marco il tuo peso non l’ha mai portato perché il tuo peso non lo ha mai conosciuto.  Se dovessi descrivere i suoi occhi ruberei un’ espressione al nostro amato Fabrizio “i suoi occhi come vuoti a rendere”. Io costringevo questi vuoti a rendere a guardare, guardare e non vedere, la poesia delle città addormentate che io amavo, dell’ alba in autostrada che mi commuove sempre, della naturalezza donata dall’ infanzia delle mie piccole cugine, del monte dalla cui cima vedi il mare, del libro usato maneggiato da mille mani.

Sono riuscita a lasciarlo solo quando ho visto altri occhi. sente il sacrosanto bisogno di camminare da solo. Io DEVO camminare da sola perché se non cammino da sola non potrò incontrare l’ Amore e non potrò camminarci insieme.

Ho capito che l’ amore non ha i tuoi occhi verdi. Finalmente mi sento pronta a superarti nel cammino. Tu mi hai insegnato ad amare, ma non sei il mio compagno di viaggio. Lo sei stato, ma non lo sei più. Mio padre dice sempre che “due buoni compagni di viaggio non dovrebbero lasciarsi mai”. Credo che sia per questo che lui e mia madre fanno così tanti viaggi insieme. Viaggiano e tornano a casa testimoniandomi ogni giorno che l’ Amore esiste. Mi fanno questo immenso regalo e, allo stesso tempo, mi caricano di questo peso che spesso mi sembra insormontabile. Ma sento che io sono nata per portare questo peso. Io voglio continuare a crederci, soprattutto quando non amo nessuno (sai che penso che si possa amare una persona sola e in un solo modo, con il resto delle persone si può provare “al massimo” un bene immenso e infinito). Perché adesso non amo nessuno e ciò mi permette di “amare” me stessa. Non voglio più annullarmi in una relazione.

Vorrei poter battere sulla tastiera del mio computer un’ altra storia, la storia di Emilia, il racconto di tutto ciò che ho vissuto, scoperto, assaporato, conosciuto di me stessa e per me stessa e non più contraddistinguendomi tramite chi ho (più o meno) amato. Aspettala, arriverà.

Vorrei che questa lettera, che ho scritto a te perché solo a te potevo scriverla, venga letta da tutti coloro che sono veramente intenzionati a conoscermi. Ho passato gran parte della vita a cercare di annullarmi. Con questa lettera mi spoglio e mi manifesto in tutta la mia nudità. Davanti a te che tante volte mi hai vista nuda. Davanti a chi mi vorrà vedere nuda. E spero che tra queste persone ci sia anche chi, vedendomi nuda, decida di avere l’ immenso coraggio di amarmi per quello che sono. Spero che a leggerla ci sia chi vuole provare a diventare il mio compagno di viaggio. Spero che capisca così fin da subito chi ha davanti perché così riesca a prendere la decisione ardua di provarci, nella più totale consapevolezza. Solo se vedendomi nuda mi troverà bella e sentirà che vale la pena provarci, solo in quel caso faremo l’ amore e non del semplice sesso.

Grazie anche per avermi dato la possibilità di crearmi questo strumento, questa cartina tornasole dell’ amore, mio caro chimico.

Ti voglio un bene immenso e infinito.

Non più tua, forse mai stata tua, per sempre tua

Emilia”

Il giorno dopo Damiano legge la mail dal suo portatile nel laboratorio di chimica dell’ università britannica in cui lavora. Dopo aver passato la giornata a riflettere,  stranamente distratto nel suo lavoro di analisi, entra in casa e, senza nemmeno togliersi le scarpe come abitualmente faceva, apre il pc e inizia a scrivere una lunga e-mail.