GLI IGNAVI
In assenza di luce li sento ancora,
i pianti dei bruti in fondo alle trincee
di San Lorenzo.
“Te prego ragazzaccia,
accoglime tra le braccia tue
e portame via da sta strada
piena de paure”.
Percepisco gli sguardi offuscati
fra le insenature del Purgatorio,
osservano le mie braccia prive di buchi.
“Ma come se po’ resiste
al miele del popolo?”
Le luci dell’alba splendono
sulle ferite martoriate
degli ignavi.
Gli stessi che hanno abbandonato
le loro vesti ed i propri cari
alla piazzetta del mercato,
soggiogati dalla possibilità di scelta.
Arrancano tra le vie gemelle
del Tiburtino,
sguardi sviscerati da lacrime
che non si ricordano più
il perché.
VOLERAI UN’ALTRA NOTTE
Tra le traverse del Basilio
è nato un amore.
Ha mani grandi e dolci,
occhi candidi di sincerità
e tormento:
indossa il sorriso fiabesco
di chi non si è mai arreso.
Gambe granitiche e cosce melliflue,
trecce della mia terra
le cingono il seno e la schiena.
Il suo ventre è trofeo di cumino,
ove la vita non fa più così male.
La senti sussurrare tra la pioggia invernale
“non preoccuparti palloncino,
volerai un’altra notte.”
Il sapore ricorda il fiore impavido primaverile
e il miele scuro del castagno.
Le labbra sottili e decise
disegnano sul collo
le malinconie del passato.
Tra l’odore dell’erba adolescenziale
mi stringe forte i polsi
e mi dedica le serenità più sincere.
Ad un’affezione così, io non posso rinunciare.
SULLA TUA GUANCIA
Sono sempre stata disgustata dalla
prostituzione relazionale, miliardi di sagome
tristi che offrono un sorriso di circostanza
in cambio di una stretta di mano.
Quante volte abbiamo contato in una
metamorfosi per poi apprendere che, solo noi
siamo artefici di quello di cui poi saremo
vittime?
La verità, rondinella, è che siamo il frutto delle
delusioni e dei fallimenti della nostra età.
Non provare vergogna per le lacrime in pubblico
E non temere il giudizio altrui: ogni
fragilità dichiarata diventa punto di forza.
Ho confidato le mie paure al tuo orecchio pigro
e, in risposta, ho ricevuto il tuo palmo ricco
di speranze…
Sento ancora l’odore delle tue frustrazioni sulle
mie mani: come può un sentimento che porta
il tuo nome avere giorni spenti?
Voglio invecchiare sulla tua guancia.
RONDINELLA
Ti faranno sempre
pagare la possibilità
di avere ancora
una speranza.
Tenteranno di convincerti
che i tuoi meriti
non sono adeguati
a questa realtà.
Il mattino
alzerà i loro corpi
con l’inconscio desiderio
di umiliarti:
ti prego rondinella,
non credergli.
Il tuo valore
sarà proprio questo,
rispondere ai loro sguardi
con la certezza
di non essere
un errore.
Le lacrime
apriranno le porte
ad una storia
più grande:
insegnare a tutti
che, forse, c’è bisogno
di più persone che piangano
tra le crude strade di questa città.
E tu…
Tu che hai sempre osservato,
e mai partecipato
troverai qualcosa
che in pochi conoscono:
la responsabilità
di saper riconoscere un cuore
e di saperlo amare a sua volta.
IL FIATO DI DIO
Nel mio pensiero più intimo
c’è da sempre imprigionato
un piccolo vano.
Non c’è luce, non c’è porta
ma l’insopprimibile eco dei canti
del mio passato.
Ci sono io, nell’oscura profondità
da cui non riesco più a risalire…
e ci sei tu.
Appoggi i miei palmi stanchi
alla tua bocca variopinta
e sussurri alla mia buccia
priva di stelle
che la colpa non è mai stata mia.
Da bambina l’unica cosa che volevo
fare era rincorrere il vento,
per conoscere il segreto
che avrebbe salvato la mia mamma.
Ho provato: a volte correndo così forte
sono riuscita anche a percepire
tra le mie ossa il fiato di Dio.
Lo stesso Dio che preferì punire Erode
che ascoltare i miei gemiti.
Ma è stato inutile,
ogni volta che giungevo
in un posto nuovo
il vento mi riportava
in quella stanza d’ospedale.
Da quel momento ho compreso
che la vera croce non era quella
che Gesù trascinò fino al Golgota,
ma gli occhi stanchi con cui
la mia mamma mi dava la
Buonanotte.
Parlo a te.
A te, che non conosci
compassione.
A te, che te ne lavasti le mani
come il tuo nemico Pilato.
Sono alla tua porta, e non riconosco più
il valore delle parole.
NON RICORDO BENE LA STRADA DI CASA
Una bambina dagli occhi verdeggianti
e dalle labbra di pesca
decide di scrivere
una lettera a Dio.
A Dio
lei
non ha mai creduto.
Ma necessita di risposte,
e la verità non può attendere
i comodi dell’alienazione
o della fantasia.
“Caro Dio,
ti scrivo perché
ho alzato così tante volte
gli occhi al cielo
per raccontarti dei miei guai
che una lettera di presentazione
ti è più che dovuta!
Sono una bambina
che ha dovuto superare
tanti dolori nella sua vita,
che ha imparato a nascondere
il suo cuore dietro una smorfia.
Sono una bambina
innamorata della sua mamma
e del suo papà,
anche se loro sono timidi.
Non comprendo le ragioni
di questa loro riservatezza,
a volte ne sono così confusa
che non ricordo bene
la strada di casa.
Dio, dobbiamo parlare tu ed io.
Troppe fantasie immortali
e speranze di solidi sentimenti
senza ritrattazioni.
Sono i miei occhi
ad essere malati,
vero?
Sono i miei occhi
che non lasciano spazio
al ricovero clandestino
di un amore?
Sono contenta che sia successo a me,
se avessi scelto qualcun altro
non ce l’avrebbe fatta.
Ti prego, promettimi
che ci riprenderemo tutto
con gli interessi.
Promettimelo.”
LE TUE DOLCI ASPIRAZIONI
Sguardo spezzato
dai sensi di colpa
di quei giorni
sepolti sotto la tua casa.
Tremi nell’illusione
che tutto possa scorrere
nel fondo della tua gola,
senza mai più tornare.
Povera bambina disgraziata,
non t’è concesso perdono
per le tue sentenze ingiuste.
La generosa utopia accompagna le tue notti visionarie,
notti in cui
non hai mai incontrato
il fallimento.
Notti in cui
non ti sei mai innamorata
della tua immagine riverberata,
notti in cui
non hai mai dovuto affrontare
le tue dolci aspirazioni.
UN GESTO D’AMORE
Passati tredici anni
nel fondo del mio petto
vedo ancora quella stanza buia.
La stessa stanza dove spesi
i miei anni felici,
dove i respiri affannosi
risuonano ancora
nelle mie orecchie di bimba.
“Un gesto d’amore”,
così lui lo chiamava,
quando l’amore
non aveva mai varcato quell’ùscio
e la vergogna mi vestiva
in un abito stretto
e senza speranza.
Le labbra tremano
nel ricordo di quella violenza
che logora,
ancora oggi, le mie ore spese
a recuperare quei sogni
che non potranno mai più tornare.
Da quella stanza,
la mia innocenza,
non ha fatto più ritorno.
IN QUESTA MATTINA D’ESTATE
Buongiorno piccola mia,
mai come in questa mattina d’estate
vorrei svegliarti
accarezzandoti i capelli
e sussurrarti delicatezze
di cui solo tu ed io
ne conosciamo l’eroismo.
Vorrei addormentarmi
tra le tue braccia
e cullarmi col tuo profumo,
che fa nascere in me
quelle speranze
che pensano di aver dimenticato.
Ho depositato così tante lacrime
davanti alla porta della tua casa,
accompagnate dall’illusione che
possano trasformarsi,
al tuo tocco,
in canti d’amore per te.
GREMBO VUOTO
Quando nasci dall’illusione
non ti resta che dimostrare
a te stessa
che la felicità esiste.
Ogni mattina è la dimostrazione suprema
che questa disperata ricerca
per te non è finita.
Ogni sera
è la certezza dolorosa
che un’altra notte
non lascerà spazio
al sogno di svegliarmi
e tremare per quei ricordi
riflessi sulla mia pelle.
Sono qui,
nella terra che un giorno
ha ospitato i nostri baci
e che ha udito
le nostre eroiche risate.
Amore,
in questa vita
non possiamo
che essere coraggiosi…
e non esistono strade brevi
per giungere al mio grembo vuoto.