Ludovica Cosentini - Poesie

GLI IGNAVI

 

In assenza di luce li sento ancora,

i pianti dei bruti in fondo alle trincee

di San Lorenzo.

“Te prego ragazzaccia,

accoglime tra le braccia tue

e portame via da sta strada

piena de paure”.

 

Percepisco gli sguardi offuscati

fra le insenature del Purgatorio,

osservano le mie braccia prive di buchi.

“Ma come se po’ resiste

al miele del popolo?”

 

Le luci dell’alba splendono

sulle ferite martoriate

degli ignavi.

Gli stessi che hanno abbandonato

le loro vesti ed i propri cari

alla piazzetta del mercato,

soggiogati dalla possibilità di scelta.

 

Arrancano tra le vie gemelle

del Tiburtino,

sguardi sviscerati da lacrime

che non si ricordano più

il perché.



VOLERAI UN’ALTRA NOTTE

 

Tra le traverse del Basilio

è nato un amore.

Ha mani grandi e dolci,

occhi candidi di sincerità

e tormento:

indossa il sorriso fiabesco

di chi non si è mai arreso.

 

Gambe granitiche e cosce melliflue,

trecce della mia terra

le cingono il seno e la schiena.

Il suo ventre è trofeo di cumino,

ove la vita non fa più così male.

La senti sussurrare tra la pioggia invernale

“non preoccuparti palloncino,

volerai un’altra notte.”

 

Il sapore ricorda il fiore impavido primaverile

e il miele scuro del castagno.

Le labbra sottili e decise

disegnano sul collo

le malinconie del passato.

 

Tra l’odore dell’erba adolescenziale

mi stringe forte i polsi

e mi dedica le serenità più sincere.

 

Ad un’affezione così, io non posso rinunciare.



SULLA TUA GUANCIA

 

Sono sempre stata disgustata dalla

prostituzione relazionale, miliardi di sagome

tristi che offrono un sorriso di circostanza

in cambio di una stretta di mano.

 

Quante volte abbiamo contato in una

metamorfosi per poi apprendere che, solo noi

siamo artefici di quello di cui poi saremo

vittime?

 

La verità, rondinella, è che siamo il frutto delle

delusioni e dei fallimenti della nostra età.

Non provare vergogna per le lacrime in pubblico

E non temere il giudizio altrui: ogni

fragilità dichiarata diventa punto di forza.

 

Ho confidato le mie paure al tuo orecchio pigro

e, in risposta, ho ricevuto il tuo palmo ricco

di speranze…

 

Sento ancora l’odore delle tue frustrazioni sulle

mie mani: come può un sentimento che porta

il tuo nome avere giorni spenti?

 

Voglio invecchiare sulla tua guancia.


 

RONDINELLA

 

Ti faranno sempre

pagare la possibilità

di avere ancora

una speranza.

 

Tenteranno di convincerti

che i tuoi meriti

non sono adeguati

a questa realtà.

 

Il mattino

alzerà i loro corpi

con l’inconscio desiderio

di umiliarti:

ti prego rondinella,

non credergli.

 

Il tuo valore

sarà proprio questo,

rispondere ai loro sguardi

con la certezza

di non essere

un errore.

 

Le lacrime

apriranno le porte

ad una storia

più grande:

insegnare a tutti

che, forse, c’è bisogno

di più persone che piangano

tra le crude strade di questa città.

 

E tu…

Tu che hai sempre osservato,

e mai partecipato

troverai qualcosa

che in pochi conoscono:

la responsabilità

di saper riconoscere un cuore

e di saperlo amare a sua volta.


 

IL FIATO DI DIO

 

Nel mio pensiero più intimo

c’è da sempre imprigionato

un piccolo vano.

 

Non c’è luce, non c’è porta

ma l’insopprimibile eco dei canti

del mio passato.

 

Ci sono io, nell’oscura profondità

da cui non riesco più a risalire…

e ci sei tu.

 

Appoggi i miei palmi stanchi

alla tua bocca variopinta

e sussurri alla mia buccia

priva di stelle

che la colpa non è mai stata mia.

 

Da bambina l’unica cosa che volevo 

fare era rincorrere il vento,

per conoscere il segreto

che avrebbe salvato la mia mamma.

 

Ho provato: a volte correndo così forte

sono riuscita anche a percepire

tra le mie ossa il fiato di Dio.

 

Lo stesso Dio che preferì punire Erode

che ascoltare i miei gemiti.

Ma è stato inutile,

ogni volta che giungevo

in un posto nuovo

il vento mi riportava 

in quella stanza d’ospedale.

 

Da quel momento ho compreso

che la vera croce non era quella 

che Gesù trascinò fino al Golgota,

ma gli occhi stanchi con cui

la mia mamma mi dava la

Buonanotte.

 

 

Parlo a te.

A te, che non conosci 

compassione.

A te, che te ne lavasti le mani

come il tuo nemico Pilato.

Sono alla tua porta, e non riconosco più

il valore delle parole.


 

NON RICORDO BENE LA STRADA DI CASA

 

Una bambina dagli occhi verdeggianti

e dalle labbra di pesca

decide di scrivere

una lettera a Dio.

 

A Dio

lei

non ha mai creduto.

Ma necessita di risposte,

e la verità non può attendere

i comodi dell’alienazione

o della fantasia.

 

“Caro Dio,

ti scrivo perché

ho alzato così tante volte

gli occhi al cielo

per raccontarti dei miei guai

che una lettera di presentazione

ti è più che dovuta!

 

Sono una bambina

che ha dovuto superare

tanti dolori nella sua vita,

che ha imparato a nascondere 

il suo cuore dietro una smorfia.

 

Sono una bambina

innamorata della sua mamma

e del suo papà,

anche se loro sono timidi.

 

Non comprendo le ragioni

di questa loro riservatezza,

a volte ne sono così confusa

che non ricordo bene

la strada di casa.

 

Dio, dobbiamo parlare tu ed io.

 

Troppe fantasie immortali

e speranze di solidi sentimenti

senza ritrattazioni.

 

Sono i miei occhi

ad essere malati,

vero?

 

Sono i miei occhi

che non lasciano spazio

al ricovero clandestino

di un amore?

 

Sono contenta che sia successo a me,

se avessi scelto qualcun altro

non ce l’avrebbe fatta.

 

Ti prego, promettimi

che ci riprenderemo tutto

con gli interessi.

 

Promettimelo.”



LE TUE DOLCI ASPIRAZIONI

 

Sguardo spezzato

dai sensi di colpa

di quei giorni

sepolti sotto la tua casa.

 

Tremi nell’illusione

che tutto possa scorrere

nel fondo della tua gola,

senza mai più tornare.

 

Povera bambina disgraziata,

non t’è concesso perdono

per le tue sentenze ingiuste.

 

La generosa utopia accompagna le tue notti visionarie,

notti in cui

non hai mai incontrato

il fallimento.

Notti in cui

non ti sei mai innamorata

della tua immagine riverberata,

notti in cui

non hai mai dovuto affrontare

le tue dolci aspirazioni.


 

UN GESTO D’AMORE

 

Passati tredici anni

nel fondo del mio petto

vedo ancora quella stanza buia.

 

La stessa stanza dove spesi

i miei anni felici,

dove i respiri affannosi

risuonano ancora

nelle mie orecchie di bimba.

 

“Un gesto d’amore”,

così lui lo chiamava,

quando l’amore

non aveva mai varcato quell’ùscio

e la vergogna mi vestiva

in un abito stretto

e senza speranza.

 

Le labbra tremano

nel ricordo di quella violenza

che logora,

ancora oggi, le mie ore spese

a recuperare quei sogni

che non potranno mai più tornare.

 

Da quella stanza,

la mia innocenza,

non ha fatto più ritorno.


 

IN QUESTA MATTINA D’ESTATE

 

Buongiorno piccola mia,

mai come in questa mattina d’estate

vorrei svegliarti

accarezzandoti i capelli

e sussurrarti delicatezze

di cui solo tu ed io

ne conosciamo l’eroismo.

 

Vorrei addormentarmi

tra le tue braccia

e cullarmi col tuo profumo,

che fa nascere in me

quelle speranze

che pensano di aver dimenticato.

 

Ho depositato così tante lacrime

davanti alla porta della tua casa,

accompagnate dall’illusione che

possano trasformarsi,

al tuo tocco,

in canti d’amore per te.


 

GREMBO VUOTO

 

Quando nasci dall’illusione

non ti resta che dimostrare

a te stessa

che la felicità esiste.

 

Ogni mattina è la dimostrazione suprema

che questa disperata ricerca

per te non è finita.

 

Ogni sera

è la certezza dolorosa

che un’altra notte

non lascerà spazio

al sogno di svegliarmi

e tremare per quei ricordi

riflessi sulla mia pelle.

 

Sono qui,

nella terra che un giorno

ha ospitato i nostri baci

e che ha udito

le nostre eroiche risate.

 

Amore,

in questa vita

non possiamo

che essere coraggiosi…

e non esistono strade brevi

per giungere al mio grembo vuoto.