Forse è troppo tardi
Forse è troppo tardi, però se mi ricapita,
devo ricordarmi di alzare la testa
verso l’azzurro del cielo, quando di giorno
la luce sembra giocare con tutte le cose.
Se me lo ricordo, farò più caso agli occhi tuoi
quando mi guardano chiamandomi invano
mentre corro verso i miei impegni quotidiani.
E se me lo ricordo, mi fermerò
a godermi di più le mani rugose di mio padre
e le carezze amorose di mia madre.
Se me lo ricordo, voglio scegliere la musica, con cui
saluterò tutti, affinché pensino a me con un sorriso.
Se mi viene in mente, domani stesso,
ruberò alla vita, almeno, i più bei ricordi,
e frettolosamente li metterò in una bella borsa
per portarli via con me
quando me ne andrò per sempre.
Il casolare
Bel casolare dei verdi anni miei,
malinconia mi assale,
quando ti penso, da te vorrei tornare.
Ricordo ancora il grande focolare,
dove i ceppi di legno scoppiettavano,
ed io che stavo, col viso incantato,
a guardar la fiamma,
le monachine che salivano, svolazzando,
come farfalle, nella gola nera.
Intorno odore di castagne.
Ricordo, in mezzo all’aia, il pozzo fondo,
col secchio, gocciolante e peso,
e, più in la, il piccolo stagno,
con il continuo gracidar di rospi e rane
Non so chi demolire un dì ti volle,
ma il mio cuore, è rimasto su quel colle,
dove svettavi e tra le tue bianche mura,
mi proteggevi da ogni paura
I due gatti
Nacquero un giorno, in un fresco mattino,
un tenero gatto ed il suo fratellino.
Quasi gemelli, uguali, spiccicati,
nei baffi, negli occhi, nei denti affilati.
Solo una differenza c’era davvero,
uno era bianco e l’altro era nero.
Così il gatto nero, per superstizione,
non lo volle nessuno, restò senza padrone.
Il gatto bianco, fu accolto e adottato,
vivendo nell’agio, amato e viziato.
Il micio nero, di giorno e di notte,
cacciava le prede, sfuggiva alle botte.
Dormiva nascosto, lontano dalla gente,
guardava la Luna malinconicamente.
Beato dormiva il bel gatto bianco,
in casa, al calduccio, con il fuoco a fianco.
Sulle gambe, paffute, del suo padroncino
riceveva carezze, giocava un pochino.
Passarono gli anni, volaron le vite,
delle nove che avevano, otto già eran finite
e un giorno d’inverno, di primo mattino,
congiunse i due gatti all’amaro destino.
Si videro e ostili, abbassaron le orecchie,
inarcarono, aggressivi, le schiene ormai vecchie.
Ma giunti vicini, annusandosi bene,
calmaron l’ira e appianaron le schiene.
Alzaron le code e, schiudendo le ciglia,
riconobbero subito l’odore di famiglia.
Sempre in tutto eran simili, uguali, spiccicati,
nei baffi, negli occhi, nei denti sciupati.
– “Fratello mio caro”, Iniziò il gatto nero,
-“Tu, che nell’agio, hai vissuto davvero,
sai dirmi perché quella vita serena,
non fu data anche a me, che soffrii solo pena?”
– “Mio caro fratello, te lo devo dire,
non è stato il mio vincere, che ti ha fatto fallire.
Ho avuto una casa, cibo, amore e tu no,
di ciò mi dispiace ma devo esser sincero,
non è la fortuna che di te si scordò,
ci fu solo un motivo; io son bianco e tu nero!”
Tutto dimenticato
Quando sarò vecchia e stanca
e resterò per ore ad attendere
che arrivi la sera e poi il mattino
e poi la sera ancora.
Quando racconterò le storie
della mia casa paterna, dei nonni,
di quando andavo a scuola,
del cane Dago
ma non avrò memoria di tanti
più recenti accadimenti,
tu, abbracciami forte.
Fai sì’ che nell’abbraccio,
io possa ritrovare gli odori antichi
di una torta di mele, del glicine fiorito,
fa’ sì che le tue mani morbide,
sulla mia pelle avvizzita,
riportino ai miei occhi spenti
i colori, persi nel tempo,
del mio passato.
Raccontami le storie
della nostra famiglia,
della tua infanzia,
di quella dei tuoi figli
che io possa riviverle,
almeno per un momento,
con le tue parole.
Sappi che la mia vecchia mente,
presto, avrà di nuovo, tutto dimenticato.
Zaffiro
Un giovane gabbiano,
aveva fatto sosta in riva al mare,
trasportato dal vento che, pian piano,
si era fermato, stanco di soffiare.
La spiaggia, era deserta, calda e dorata,
nel cielo continuavano a volare gruppi di uccelli,
lanciati giù in picchiata, nel mare, in cerca di mangiare.
Lui, era rimasto solo, aveva abbandonato
la schiera dei gabbiani ancora in volo,
fermandosi, stanco, per riprendere fiato.
In lontananza, si vedeva il molo,
il mare, continuava ad ondeggiare
e Zaffiro, il giovane gabbiano,
nel guardare la spiaggia abbandonata,
provò un senso di paura a restar solo,
in quello spazio immenso,
Guardava il cielo e sentiva un’acuta nostalgia
dei suoi amici, compagni di viaggio.
Emise allora un verso, ma il messaggio,
restò come a mezz’aria, di traverso.
Lui non si perse di coraggio
e provò ancora a ripetere il suo verso,
sempre più stridulo, insistente e secco.
Nessuno lo ascoltava e lui restava col becco
dilatato, proteso verso l’alto.
All’improvviso si voltò, ed ecco,
vide una gabbianella fare un salto,
Il giovane gabbiano, ebbe un sussulto di gioia:
adesso non guardava più lontano,
ma si muoveva con passo di danza,
un passo nuovo, sconosciuto, strano,
simile a un fiume in piena quando avanza,
travolgendo ogni cosa, al suo passaggio.
La gabbianella, apprezzò l’eleganza del giovane gabbiano:
il suo messaggio, l’aveva colta di sorpresa, in volo.
Lei era, solamente di passaggio
ma, uscita era ben presto dallo stuolo,
come obbedendo a un richiamo interiore,
aveva visto Zaffiro da solo.
Era in attesa di aiuto oppur di amore?
Fu amore a prima vista, travolgente!
Terminata la danza e lo stupore.
si levarono in volo, insieme, dolcemente.