Maila Gufoni

Poesie


Lo sproposito

Lo sproposito è nella sua licenza,
perché il poeta non può mai farne senza.
Quando la giusta rima, non viene trovata,
lui, prontamente, ci mette una cazzata.
Il grande poeta, poi pure ci insegna
che una corbelleria divien parola degna.
L’esempio più bello e più lampante
lo dà il sommo poeta, il grande Dante.
Lui fece dal volgare, nascere lingua nuova,
come i pulcini che nascono dalle uova.
Sciacquò il latino in Arno, piano, piano
e, da quello sciacquio, ci nacque l’italiano.
Poi il sommo poeta, ma sommo per davvero,
In italiano volgare scrisse al mondo intero.
Senza rimpianto della madre lingua latina,
quella Commedia la battezzò Divina.

 


 

Io sono un disegno astratto

Io sono un disegno astratto,
uno scarabocchio fatto da un matto,
un graffio doloroso sul petto,
un foglio strappato di netto.
Sbadiglio al mattino in ritardo,
e, in cerca di sesso,
la notte per strada mi attardo.
Trascino il mio corpo a fatica
che avvolge un’anima antica.
Non voglio, mi dico, non voglio!
Ma intanto mi firmo sul foglio,
scrivendo il mio nome,
cambiando la “o” con la “a”.
Non sono ne’ donna ne’ uomo
ma un corpo abbozzato,
io, sono un disegno sbagliato
su un pezzo di carta bagnato
dal pianto che ho sempre versato.
Sono una suola scollata,
di un cuoio color di patata,
sono una giacca sgualcita
di tante toppe guarnita,
un vecchio pagliaccio
con l’abito fatto di straccio,
non rido e non piango
ma faccio frequenti battute,
per tenere nascoste nel petto
le mie lacrime mute.

 


 

Come una foglia

Come una foglia
voglio aggrapparmi al vento,
volare via per non tornare più,
per diventare un lieve rumore.
Sono nata bagnata dal mare,
sono il riflesso del sole,
ho visto la luna baciare le stelle
e ho ascoltato promesse d’amore
ma quanto sei lontana primavera!
E’ giunto l’inverno,
fa freddo questa sera,
odo solo voci lontane.
Voglio aggrapparmi al vento
per andare oltre il mare,
per scoprire se i sogni
sono davvero amore,
se sono davvero luce.
Voglio volare in alto,
farò una breve danza, sarò rumore
e poi, per sempre, sarò silenzio.

 


 

Quando avrò il passo lento

Quando avrò il passo lento
e le mani stanche,
mi guarderai ma non capirai.
Quando il mio mondo sarà silenzioso,
e mi causerà tristezza e paura,
quando sarò solo una figura
seduta dietro alla finestra,
mi guarderai ma non capirai.
Quando mi vedrai guardare
tante fotografie sparse sul tavolo,
come una bimba,
affascinata dai suoi giocattoli,
mi guarderai ma non capirai.
Quando per pietà,
non entrerai più nella mia stanza,
per non incorrere nella fragilità dell’emozione,
e quando, un giorno, toccherai la mia vita
nelle cose che ho lasciato,
le guarderai e, allora, capirai
che tutto il tempo mio, era anche il tuo
e quel prezioso tempo, che ora vorresti darmi,
non me lo puoi più dare.

 


 

Ti aspettai

Ti aspettai,
provai a immaginare il tuo profilo,
a disegnarlo sopra un foglio, tante volte.
Di un rosa pallido ti colorai il viso
e d’oro, come il sole, i tuoi capelli.
Curiosa toccavo la mia pancia
che cresceva a dismisura e poi,
in una tarda sera di marzo,
ti vidi davvero, eri la mia bambina!
In sala parto, ostetrica e dottori
ma c’eravamo solo noi,
e tutto il mondo fuori.
Crollò ogni mia immaginazione
nell’osservare quella tua perfezione.
Tremante, poggiata sul mio petto,
mi guardavi e non piangevi più.
Eri così piccina ma così infinita
da riempire, per sempre, la mia vita.

 


 

Forse sarà domani

Forse sarà domani,
forse tra qualche anno ma arriverà,
fulminea, come un ramo che si spezza,
o lungamente attesa, come un ambito premio.
La grande porta si aprirà sul nulla,
o forse su quel Dio ‘sì saggio e comprensivo.
Qualcuno si ricorderà un momento vissuto,
di un bacio, di un abbraccio, del giorno di Natale,
e lo conserverà nel cuore.
Tanti, l’obbligo sentiranno di esternare
parole rituali e vane, portate via dal vento.
Chissà se dalla bara percepirò qualcosa
che ridere, l’ultima volta, mi farà
ma penso che una luce sfolgorante,
o, più probabilmente, il sonno eterno,
m’impediranno di vedere e di ascoltare.
Dopo, passate le formalità del funerale,
faranno tutti ciò che sempre han fatto,
dimentichi di me.
Così, a sbocciare, continueranno i fiori,
cadrà la pioggia, a turno arriveranno le stagioni,
la luna e il sole, alterni, danzeranno, in cielo,
a illuminare amori, vite, sogni ed illusioni.

 


 

La Gianna

Tutti la chiamavano la Gianna,
ogni mattina stava davanti al mercato,
poi tornava in stazione, la sua casa.
Trascinava un carrello della spesa,
con dentro tutte le sue cose,
e una foto della sua bambina
in braccio a lei da giovane.
Da quando era sceso il buio nella sua mente,
parlava con l’orsetto di peluche, marrone,
gli sorrideva, lo coccolava con baci e carezze
e gli regalava parole dolci d’amore.
Nessuno sapeva la sua età ma sicuramente,
non era anziana come sembrava.
Senza denti, capelli grigi e sporchi,
maleodorante, si grattava dappertutto.
Ogni giorno, prima di sera,
chiamava la sua bambina al telefonino
e le raccontava la sua solita giornata.
Le diceva che le mancava tanto,
e le mandava tanti baci con le lacrime agli occhi.
La bimba, in realtà, viveva solo nei suoi ricordi,
non c’era più, da molto tempo, non esisteva più
ma lei la sentiva, ci scherzava, udiva la sua voce.
Posava poi il finto telefonino,
e si prendeva cura del cartoccio di vino,
che sapeva darle consolazione e oblio.
Una sera, dopo il pietoso pasto,
come sempre, si fece il segno della croce,
alzò gli occhi al cielo, si coprì il capo
e poi si addormentò, abbracciata al suo orsetto.
Si lascio andare via, via per sempre,
volando su nel cielo, illuminato dalla luna.

 


 

Il viaggio

Abbandonai la mia città natia
rivolgendole l’ultimo sguardo e andando via.
Per il viaggio misi il vino nelle fiasche
e qualche pezzo di pane nelle tasche.
M’avvolsi con un caldo mantello
partendo con un programma molto bello.
Salii così sul mio cavallo bianco
e cominciai a galoppare sui terreni, scoscesi di montagna,
tra castagni e ginepri, finché non arrivai nella campagna.
Qui trovai riposo per le mie gambe stanche,
feci merenda, accesi il fuoco e poi montai la tenda,
Tardava il buio a venire per il lento calar del sole a maggio,
così passarono poche ore, e, ancora sveglia ripresi il mio viaggio.
La notte poi arrivò ed era fresca e fascinosa
piena di stelle e con la luna in ciel, meravigliosa.
In mio corpo desiderava di fermarsi a quella sera,
affascinata com’ero dalla dolce brezza di primavera.
Ma no non potevo farlo!
Dovevo continuare a viver con coraggio
continuai così, nell’oscuro oblio della notte,
su quel cavallo bianco, il mio stupendo viaggio.

 


 

Il gabbiano

Per ora, sto chiuso in un mondo fiabesco
Ma tra pochi giorni vedrai che io esco.
Mia madre ha fatto l’uovo, in città, sopra un tetto,
con la gente per strada a morir sull’asfalto.
Ecco, adesso ci siamo, il guscio si è rotto
i miei occhi, d’istinto, vanno a guardar di sotto.
Mi aspettavo, di certo, di trovarmi sul mare,
vorrei tanto sbagliarmi ma mi sento un po’ male.
Adesso che mangio? Qui non ci sono pesci,
non ci sono le onde,
faccio forte uno strillo, ma nessuno risponde.
Io voglio volare con le ali nel vento
e vedere di sotto il mare d’argento.
Qui non c’è l’acqua azzurra ma solo palazzi
e, se cadi di sotto, di certo ti ammazzi.
Pochi fiori ai terrazzi ma non sono ginestre,
e nessuno si affaccia mai dalle finestre.
Ha dentro la testa i problemi sociali
mentre io penso soltanto a sbatter le ali
Corrono sempre, affannati, ci son ladri e assassinii,
non rispettano i vecchi, trattan male i bambini.
Io, libero al vento, nel cielo svolazzo.
vedo solo dall’alto questo gran mondo pazzo.
A che serve, buon Dio, aver fatto questa terra
se poi tu permetti che ci sia ovunque guerra?
Trova un rimedio ed anche alla svelta,
hai lasciato, purtroppo, troppa libera scelta.
A me in fondo che importa della vita là sotto,
spiccando un bel volo tra un po’ io mi butto.
Cerca di provvedere e anche velocemente,
che distruggerà tutto, molto presto, ‘sta gente!

 


 

Il cacciatore

Domenica mattina, molto presto,
quando la gente è ancora addormentata,
convinto, si alza il cacciatore,
certo che la giornata sarà assai fortunata.
Sicuramente, il suo carniere, pieno farà
di molte prede che sua moglie, poi cucinerà.
Prende il fucile lucidato
che il giorno prima aveva preparato.
Nel cinturone inserisce le cartucce in fretta
e parte verso il lago che l’aspetta.
Su nel cielo, guardando verso l’alto,
nel mirino, vede la sua preda.
Prende la mira ed il grilletto preme,
ma subito svanisce la sua speme.
L’uccello vola via senza alcun danno,
noncurante dei pallini che tutt’intorno vanno.
Continua la sua corsa spensierata
e lui l’osserva con aria frastornata.
Non perde il cacciatore la speranza
e si sposta a cento metri di distanza.
Su nel cielo, da lui poco distante,
vede un‘altra preda svolazzante.
“Questa volta, ti prendo, stai a vedere,
di sicuro ti infilo nel carniere!”
Dalla canna parte la cartuccia
che lascia illesa e viva la beccaccia.
Un cacciatore che sta accucciato accanto
ed ha sentito le sue parole, intanto,
ridendo lo beffeggia a crepapelle!
”Non ti sei accorto che ridono anche quelle?
Dai retta a me e non fartene un cruccio!
Lascia il fucile e stattene al calduccio!”.
Deriso, lui dice basta e a casa fa ritorno,
con molto malumore e delusione.
Non è stato proficuo questo giorno
ma pensa nuovamente, cosa strana,
che andrà di certo meglio,
quest’altra settimana.

 


 

L’emigrante

Lasciò il suo paese con una valigia,
una valigia piena di speranze e di sogni.
Lasciò sua madre, suo padre, gli amici.
“Cercate di non dimenticarmi, tornerò!”
Il treno correva, correva, chissà dove,
mille pensieri invadevano la sua mente.
Lacrime amare scendevano per il sofferto addio.
Aveva lasciato le viuzze del suo piccolo paese
che avevano guidato i suoi primi passi,
i gradini che lo avevano visto tante volte cadere,
quei calci ad un pallone, con gli amici,
che, forse, non avrebbe rivisto mai più.
Lo stridere delle rotaie del treno, rendevano
ancora più amaro il distacco dalla sua terra natia.
Si guardo indietro, alzò la mano, cercò qualcosa.
Forse voleva solo afferrare il tempo, voleva fermarlo.
Il controllore del treno gli venne incontro,
lui gli mostrò il biglietto, biglietto di solo andata.
I suoi occhi caddero sulla sua valigia,
era l’unica cosa che gli era rimasta.
Compagna di viaggio, compagna d’avventura, fedele amica.
Quella valigia, piena di sogni, di speranze e solitudine!

 


 

Mondo

Non è colpa tua se, spesso,
sei ruvido e mi accarezzi la mano,
graffiandomi come carta vetrata.
Non so come
ma mi hai fatto dimenticare
le note del mio pianoforte
e ho dimenticato come si fa a piangere.
Non è colpa mia
se i sentimenti si sfumano
come il cielo stellato nell’aurora.
Situazioni intime, che sono fuggite,
che non vedo più, non tocco più
ma mi mancano così tanto
da perdere il fiato.
Stai zitto, non svegliarmi,
sto sognando di volare lontano,
di vivere, più intensamente,
Non è colpa mia, non è colpa tua,
tu, Mondo, sei fatto così ;
sei crudele, ostile, difficile
ma io ti amo ugualmente e ti perdono.

 


 

Il venditore di palloncini

In una piazza, un pover’uomo
stava mangiando un panino.
Con gusto consumava quel pasto mattutino.
Legati ad una pietra, accanto a lui,
in vendita, c’erano i suoi palloncini colorati.
Su un gradino, davanti alla chiesa sedeva,
e il tepore del sole si godeva.
Ad un tratto un pallone,
tirato da una piccola monella,
colpì il panino e cadde la mortadella.
Lui ci rimase male ma con un bel sorriso disse;
“Vai a ricomprarmelo, per favore, non ho più soldi
ed ho una gamba zoppa, fatico a camminare”.
“ Sai che ti dico nonnetto? Facciamo una cosa,
compro due palloncini, te li pago e la finiamo qui”.
Tagliò corto il grosso padre, strafottente, della bimba,
“E, se l’offerta non ti piace,
neanche quelli ti do, vuol dire che starai digiuno!!”
L’ometto si alzò lento, senza fretta,
staccò due palloncini, li dette alla bimbetta.
“Eccoli, sono tuoi, non voglio soldi.
E’ vero, quando ho fortuna,
posso mangiare pane e mortadella a colazione,
ma certa gente dovrebbe metter nel panino
una massiccia fetta di buona educazione…”

 


 

Arte

Il musicista, ispirato, la crea,
come se fosse in un’altra dimensione.
Non curante del tempo, o di un copione,
dona il suo omaggio alla sacra Dea,
L’attore, indossa i suoi mille volti,
oggi triste, domani felice,
ha il cuore a pezzi ma non lo dice,
regala emozioni per sé e per molti,
Il pittore, trasforma la realtà,
con i colori e le sfumature,
dipinge bellezza, vince le paure,
regala al mondo la sua immensità,
Il poeta, riscopre nascoste parole,
con eleganza trasforma i pensieri,
sapiente, gioca coi sentimenti veri,
colora il buio di ogni colore,
Lo scultore, maneggia la materia,
scalfisce il marmo con forza e vigore,
è spesso sporco d’argilla e sudore,
meraviglie fa nascere dalla maceria,
La ballerina, si muove con grazia,
elegante e leggera danza sulle punte,
colleziona, gelosa, vittorie raggiunte,
con il suo inchino alla fine ringrazia.
Tutte le arti fanno esultare,
toccano il cuore con mani tremanti,
poco amate dai bruti e ignoranti,
sublime dono per chi sa apprezzare.

 


 

Ricordi

Ricordo ancora quando andavo a scuola,
un libro, due quaderni e il grembiulino
con attaccato al collo il fiocco blu.
Per strada, il mio buongiorno a ogni persona,
faceva si di farmi sentir grande alla risposta.
A scuola, compagna mia nel banco al primo posto
c’era una bimba con lunghe trecce bionde
che adesso più non ne ricordo il nome.
Nel pomeriggio, nel mio piccolo giardino,
mi immaginavo esploratore nella giungla,
fantasticavo su dinosauri e mostri
vedendo una lucertola scappare.
Seduta, nella mia grande cucina,
guardavo mamma e nonna cucinare,
con quegli odori buoni, mi venia gran fame
e non vedevo l’ora di mangiare
Vorrei non perder mai quei bei ricordi,
gioie infinite dell’infanzia mia,
vorrei poter riavvolgere su un nastro
la vita mia, per rivederla ancora mille volte

 


 

Quella era stata la sua vita

Quella era stata la sua vita,
come una nave sbattuta da un’improvvisa tempesta,
un vascello fantasma con lo scafo piegato dalla forza delle onde,
e le vele ridotte a brandelli dal soffio impetuoso dei venti.
Quel vascello, senza più timone,
procedeva senza avere più paura degli scogli,
aveva visto sogni e speranze svanire alle luci dell’alba
e nulla aveva più da perdere e nessuno aveva più da amare.
Così, stancamente, si lasciava trascinare via dalla corrente,
come un gabbiano ormai morente che vola disperato,
trasportato dal vento, alla ricerca di tutto o di niente.
Come un vascello fantasma, senza più tempo ne speranze,
vagava senza meta tra mille ricordi,
unici frammenti di una vita ormai finita.
Finché, con la prua rivolta verso un sole immerso,
nella luce di un rosso tramonto,
s’inabissò silenzioso, nelle acque gelide
per spiegare, anche al mare più buio e profondo,
i suoi infiniti tormenti e la sua disperata voglia d’amare.

 


 

Dio

Dio, un giorno, dopo averci ben pensato,
si sentì solo e volle fare il creato.
Creò prima di tutto, il sole,
lo mise in mezzo al cielo
per riscaldare e illuminare il buio.
Abbagliato poi, da troppa luce,
creò la notte, ma la imbellì, mettendoci le stelle,
facendole brillare a mille a mille.
In mezzo a quelle, ci infilò la luna,
color argento o rossa quando è piena.
Poi, mise la terra e fece i continenti,
in mezzo a questi, per cambiar colore,
ci versò tanta acqua e fece il mare.
Infine guardò tutto ma gli sembrò incompleto.
Pertanto, a popolar la terra,
aggiunse piante e animali,
nelle acque, si sbizzarrì coi pesci.
nel cielo le farfalle, insetti e uccelli vari.
Si mise poi seduto a guardare tutto:
– “Ci manca qualche cosa? che ci metto?”-
Senza pensarci tanto, si mise a crear l’uomo
e poi la donna, per fare una famiglia.
– ” Ecco, ora ho finito, è tutto bello,
cercate adesso voi di mantenerlo:” –
Adesso, che molto tempo è già passato,
l’uomo è cresciuto e si è moltiplicato,
va avanti sempre e non si ferma mai,
certo, però, li ha combinati un po’ di guai!

 


 

Una notte d’estate

Una notte d’estate mentre passeggiavo in un parco,
vidi un vecchio, seduto su una panchina
ed i suoi occhi azzurri si incrociano con i miei.
Aveva lo sguardo dolce, perso nel tempo,
e, con un cenno, mi invito a sedermi accanto a lui.
Con voce rauca e pacata, mi chiese:
“Cosa fai tutta sola? parlami di te.”
Ero molto triste e non avevo sonno,
così passai tutta la notte, seduta sulla panchina,
in un susseguirsi di parole, rimpianti e ricordi,
mentre lui, vestito con una candida camicia,
stava ad ascoltarmi in silenzio.
“Adesso è l’ora che vai”, mi disse, alle prime luci dell’alba.
Guardai il cielo che stava perdendo la notte,
La tristezza era scomparsa, mi sentivo leggera,
mi voltai verso di lui e, con stupore,
vidi solo una bellissima piuma bianca,
sulla panchina accanto a me!
Corsero voci in paese, che, in una notte stellata,
una pazza avesse parlato, per ore, da sola,
su una panchina del parco.

 


 

Tendo i fili del tempo

Tendo il filo del tempo sotto i miei piedi
che ci passeggiano sopra, in perfetto equilibrio,
leggiadri e leggeri tra il passato e il futuro.
In questo momento poso il piede esattamente
al centro del filo e gli occhi mi brillano.
Finalmente! Salto, piroetto, ballo.
Intorno a me non c’è nulla,
Intorno a me non c’è nessuno.
Ci sono solo io, piccolissima come non mai,
in equilibrio perfetto sopra la gente,
in equilibrio perfetto tra la mente e il cuore.
Guardate bene, sono una farfalla o una falena?
Sono l’una e l’altra, perché ho le ali
e posso volare sia di giorno che di notte.
Questo tempo, che è passato, troppo in fretta,
mi ha regalato tutti i meravigliosi colori
da mostrare al mondo.

 


 

Un’infanzia spensierata

Un’infanzia spensierata, a rincorrere il vento
in quella terra antica di una volta
dove correvo nei campi, tra il rosso dei papaveri,
e con le braccia aperte per abbracciare il mondo.
Erano verdi le mie avventure,
quando il tempo era fermo a una stagione
e le lucciole sembravano stelle
da prendere con le mani.
Erano d’oro i campi di grano
con concerti di cicale sotto il sole
e canti di grilli nella notte.
La terra profumata, l’acqua fresca alla sorgente,
le vigne, gli ulivi millenari in mezzo ai sassi,
le ombre lunghe nei tramonti infuocati,
dentro le tasche tanti segreti da scoprire,
in fondo agli occhi silenzi immensi da salvare.
Infanzia bella, che porta ancora
linfa vitale e antica al mio presente,
adesso che gli ulivi si sono tinti d’argento,
in questo autunno che mi viene incontro,
sei dolce come i ricordi che mi porto dentro.

 


 

Le mamme non dovrebbero mai morire

Le mamme non dovrebbero mai morire,
per la legge dell’amore,
dovrebbero ricomparire, ogni tanto.
Quando un figlio ha bisogno di una carezza,
quando ha bisogno di una certezza.
Le mamme dovrebbero esserci sempre
con il loro cuore che cammina con il mondo,
distanti sì, ma non sparire.
Sarebbe bello se ci fosse un filo da tirare
tutte le volte che un figlio
ha bisogno della sua mamma,
quando lo smarrimento gli attanaglia la mente,
quando la notte è più nera del buio.

 


 

Rosso, verde ed arancione

Rosso, verde ed arancione,
e poi un tocco di marrone.
Con quest’aria un po’ freddina
ci vuol già una giacchettina!
Un po’ di giallo per continuare
e le strade illuminare.
Quel signore sulla soglia,
serio, serio, guarda cadere una foglia
poi mi saluta e guarda in su. . . .
ecco che manca! Un po’ di blu!
Ma ad un tratto piove forte,
è l’autunno, è già alle porte!
Con in mano il mio pennello,
dipingo allora un grosso ombrello.
Passa poi una ragazzina,
che con un’aria sbarazzina,
mi sorride e scappa via
È così che l’estate se ne va,
con colori e nostalgia.

 


 

Dietro a una nuvola

Dietro a una nuvola ho cercato il sole,
sotto la cenere un poco di calore,
nei miei ricordi quelle tue parole,
nei sogni un bacio pieno di amore.
Ed ho inseguito invano quei pensieri
quegli ideali fatti di illusioni
e il tempo ha corso troppo, sembra ieri
nella mia mente tanti, troppi suoni.
Ed ho imparato solamente adesso
a non amare senza una ragione,
a non confonder l’amore con il sesso
a non dar credito ad un’illusione.
La vita è scuola ma dopo, sul più bello,
quando hai imparato tutta la lezione,
è già finito il tempo e suona il campanello
è troppo tardi per l’applicazione.
E io provo ancora ad inseguir farfalle,
in quel giardino in cui non crescono i fiori
e scendo, scendo giù per questa valle
lasciando indietro i giorni miei migliori.

 


 

Ora sono di luce

Ora sono di Luce e vivo solo d’amore.
Non cercarmi nel pianto ma in ogni sorriso,
non cercarmi nella pioggia ma solo nel sole.
Sono una goccia di mare che al mare è tornata,
un albero alto che fino al cielo, finalmente, è arrivato.
Sono una nuvola bianca nel cielo grigio, in tempesta,
un raggio si sole nell’inverno gelato.
Non confondere il tramonto con l’alba,
non confondere il vento con una mia carezza.
Sono l’ombra nel tuo riposo,
sono ogni passo nel tuo cammino,
sono una lacrima nei tuoi occhi,
sono un sorriso sulle tue labbra.
Luce, sono luce soltanto, adesso.

 


 

Nel piccolo paese

Nel piccolo paese,
ancora prima che il gallo veda luce,
la gente si riversa silenziosa,
su quel sentiero che in campagna conduce.
Le donne con la cesta sulla testa,
gli uomini con i somari e con le zappe
scendono tutti quanti giù dal colle
per arrivar nei campi a rivoltar le zolle.
Intanto il vecchio ciabattino,
apre la bottega, si stiracchia, sbadiglia,
e per un pezzo di pane e un poco di vino,
stancamente ogni giorno il lavoro ripiglia.
E’ giorno, il sole alto si erge
e diffonde la calura al paesino,
la gente ha caldo e dopo pranzo si riposa
concedendosi al fresco, un pisolino.
Solo la rondine e il passero,
nel giorno, che pian piano fugge via,
continuano a lottare per il nido sul fico,
rompendo la pace che regna nella via,

 


 

Ali vellutate

Ali vellutate, morbide, fragili,
leggiadre e delicate dopo lunga prigionia
si muovono lentamente sembrano,
aver compreso, la meraviglia della vita
Si spiegano al vento accogliendo,
il nuovo giorno, con l’immensa sua bellezza,
baciate da un caldo e avvolgente
raggio di sole quasi a spronarle
nel suo tentennante slancio in avanti.
Incantata, ad ammirare, sorpresa,
quanto poi sia facile, lasciare quel punto
e spiccare il volo, nel vuoto,
fluttuando con tanta maestria.
Libera dalle catene del suo bozzolo,
nella stravolgente e inquietante
vastità del cielo, inconsapevole,
del suo mutamento da piccolo bruco
a splendida farfalla, regina del cielo e dei prati!

 


 

Di tanto in tanto

Di tanto in tanto mi capita di pensarti.
Di tanto in tanto, ma adesso meno spesso.
Lo faccio quando imbratto di inchiostro ogni pagina bianca,
quando mangio pane e nostalgia,
quando perdo la pazienza e devo dimostrarmi forte,
quando vedo un aquilone volare, quando scende la neve,
quando guardo un tramonto, mentre il mio tempo fugge via.
Ma ti penso moltissimo quando piove,
e guardo il mare agitato e il cielo che piange per te.
Faccio finta di averti dimenticato
e racconto che non esisti più.

 


 

Il giorno inizia

Il giorno inizia tristemente e senza sole,
qualcuno se ne andato con la Morte
che afferra sempre tutto ciò che vuole.
Oggi, solo lacrime come pioggia,
che incessante scende goccia a goccia.
Chi or più non sente, adesso si riposa,
perché ha lasciato ‘sta vita preziosa.
La morte ride ed inganna la gente,
che crede di sapere tutto e non sa niente.
Così stende la sua mano su chi, in un secondo,
ha salutato questo nostro mondo.
Illuso è chi crede di ingannare,
colei che toglie il fiato e tutto può afferrare.
Poiché la morte uguaglia tutto e tutti
e non gli importa sé siamo belli o brutti
giovani o vecchi oppur poveri o ricchi.
Toglie il dolore a chi sta soffrendo
la vita stessa a chi sta morendo.
e l’ultima parola è sempre sua,
in questa vita che credi che sia tua.

 


 

Erano cioccolatini e caramelle

Erano cioccolatini e caramelle,
corse per strade sterrate
e la sera a contare le stelle.
Era la paura del lupo nero
e chiedere ai genitori di dormire con loro.
Erano album di figurine stropicciate,
erano ginocchia sbucciate,
e le corse nei prati fioriti a perdifiato,
e pattini ai piedi e giochi con la palla.
Adesso è; chiudere gli occhi ogni sera
per poi riaprirli al mattino
entusiasti di essersi svegliati ancora.
Fare una passeggiata al tramonto,
a guardare il sole che si tuffa nel mare
e avere gli occhi che sembrano più grandi
e nel cuore ancora tanta voglia di amare.
Sono purtroppo passati tanti anni
ma vorrei poter nuovamente ricominciare.

 


 

Ti ricordo ancora tra questi palazzi popolari

Ti ricordo ancora tra questi palazzi popolari
tra i pini piangenti di aghi e di polline giallo
passare fugace nelle vie del quartiere sempre
guardingo, solitario ma in cerca di me.
Mi affaccio e mi sembra di vederti
ancora con lo sguardo rivolto verso la mia finestra.
Ti ritrovavo seduto sul muretto mentre facendo l’indifferente
pazientemente aspettavi il mio ritorno.
Ti ricordo adesso, con infinita tenerezza,
con la maglietta bianca ed i pantaloni blu,
intento e serioso, a raccontarmi la noiosa giornata
con un filo d’erba tra le dita per dimostrare
la casualità di quel voluto incontro.
Ti accontentavi di così poco per costruire
immaginari castelli in aria: avvicinarmi,
parlarmi, accompagnarmi alla porta di casa.
Piccolo scocciatore, ti avevo così classificato,
ma alla tua presenza mi ero abituata e mi faceva tenerezza.
Poi un giorno non ti ho più veduto, la tua finestra chiusa, la tua
tenace ed educata timida presenza si è dissolta nel nulla.
Ti ho ritrovato di nuovo un giorno mentre camminavo
al cimitero ho visto su una tomba il tuo nome e la tua foto.
Ho capito perché non mi cercavi più.

 


 

Nell’aere lunare

Nell’aere lunare mi perdo e mi distendo,
la fresca brezza un po’ carezza e bacia
e luce bianca rende immortale il mondo.
Prati e colline si tingono d’azzurro,
e luce, tanta luce intorno a me che riesco
a veder tutto; insetti fiori e fili d’erba.
E la mia mente evade in altro mondo
condotta dal silenzio della notte.
Un grillo canta la solita canzone,
la lucciola lampeggia un po’ più in là,
un cane abbaia lontano…..e lì vicino, si molto vicino
c’è ancor la bella luna ad aspettare, a farmi compagnia,
farmi sognare, la luna bianca madre di poesia.
L’ eterna luna che non si stanca mai di veder da lassù
noi poveri mortali sempre di corsa per arrivare a sera,
sempre di corsa per combinare guai
e ci riflette meravigliosamente la sua luce di perla
facendoci sognare ad occhi aperti,
illuminando il mare, i monti, il mondo intero,
quasi a lavarlo dalla malvagità.

 


 

Le vecchie mamme hanno rughe sulle mani e sul viso

Le vecchie mamme hanno rughe sulle mani e sul viso,
bianchi capelli e un dolce sorriso,
segni del tempo che veloce corre,
pilastri delle case dove ogni figlio accorre.
Camminano dondolando e il corpo appoggiando.
Sorridono a ogni figlio, pur ingrato esso sia
e cercano costantemente la loro compagnia.
Raccontano di un tempo che ora non c’è più,
Ti parlano di guerra, di una vita passata che non ritorna più.
Le vedi assorte e pensierose a sognar del loro amore
che un giorno se ne è andato e le ha lasciate sole
e non vogliono che ci si accorga della pena del loro cuore,
quello di vecchie mamme ancor piene d’amore.

 


 

I nonni parlano

I nonni parlano con rimpianto del passato ma sono padroni del presente e lo affrontano a spada tratta. I nonni guardano al futuro con molta cautela ma con i nipoti si schierano davanti al domani con grinta come supereroi. I nonni donano calde carezze, parole dolci, rimproveri amorosi, consigli saggi ed a volte noiosi, ma i nipoti non se ne hanno a male. I nonni sono il rifugio del quotidiano vivere, il calore nell’indifferenza della società, la stabilità in un mondo in orbita nel buio universo. I nonni capiscono i problemi ma devono astenersi a non troppo capire, a non troppo dire, a non troppo fare. I nonni, da saggi, devono essere senza essere, capire e non giudicare, amare senza troppe effusioni, accogliere ma accettare di essere esclusi, parlare quando è il momento. I nonni sanno solo dare perché la sola cosa che li fa felici è dare, non gli interessa avere perché di niente hanno bisogno. Un giorno, un’ ora , un minuto vissuto con il sorriso gaio di un nipote è il premio più bello di una vita trascorsa con amore e sempre con la gioia di vivere. I nonni, proprio perché sono nonni, ed hanno già vissuto molte primavere, durano poco e quando vanno via anche se piangi non tornano più.

 


 

Cantano le cicale tutte in coro

Cantano le cicale tutte in coro,
le chiome muove lieve il vento,
le foglie schiamazzano fra loro,
dell’usignolo si ode il dolce canto.
Il sole in cielo splende,
un raggio lieve mi accarezza il viso,
di musica soave ho pieno il cuore,
sul mio volto è impresso un gran sorriso.
Poi all’improvviso arriva da bufera,
rapisce il sole, il ciel lampeggia e tuona,
scende la pioggia a fiotti. e intanto vien la sera.
Il temporale estivo rinfresca mari e monti
ma domattina il sole nascerà,
e tutto tornerà di nuovo a splendere
con i colori accesi ancor meglio di prima.

 


 

La nebbia

Un po’ di nebbia intorno a noi
e poi ancora e poi sempre di più.
Nel bianco brancoliamo,
senza sapere più a che punto siamo.
Ma rido perché pur stretta da cotanto bianco,
tu pur mi stringi e so che non cadrò.
E poi ti guardo e vedo
che pure tu sorridi
perché ti reggi a me.
E continuiamo a camminare piano
con la certezza che poi
la nebbia svanirà.

 


 

Lo vidi

Lo vidi,
strisciava come un verme
su selciato, era ferito.
Il sangue le usciva dal petto
trascinando con se la vita.
Con le mani annaspava il terreno
alla ricerca di una presa, un appiglio.
Un gemito usciva dalle sue labbra
chiedeva aiuto, chiedeva perdono,
voleva vivere ma nessuno poteva sentirlo.
La notte avvolgeva il suo corpo
con un velo mortale.
Solo io, per caso, lo vidi,
ero li, poco distante da lui,
ma ebbi paura,
e, ,dopo l’indugio di un attimo,
tirai avanti con l’indifferenza di un vile

 


 

Quando nasce il sole nel rosa

Quando nasce il sole nel rosa
del cielo che tramuta da scuro,
quando la luna splende di luce
argentea nel mare e tutto tace.
Quando cade una foglia gialla,
spunta una primula di primavera,
cade la neve, o risplende il solleone,
passano gli anni, uguali, veloci,
scappano via come comete nel cielo,
e a noi solo ricordi e speranze lasciano.
In quest’infinito passiamo, chiunque siamo.
Quando non ci saremo più,
il sole indifferentemente sorgerà,
la luna ancora salirà nel cielo a illuminare la
notte, le stagioni si succederanno,
sbocceranno altre vite.
Noi svaniremo nel tempo,
a poco a poco il nostro ricordo
apparirà sempre più lieve fino a scomparire.
Agitando la mano saluteremo la realtà
per inabissarci nel mondo del silenzio.

 


 

La Follia decise di invitare i suoi amici  a prendere un caffè da lei

La Follia decise di invitare i suoi amici a prendere un caffè da lei.
Dopo il caffè propose a tutti di giocare a nascondino.
Spiegò: io conto fino a cento e voi vi nascondete,
quando avrò terminato la conta, vi cercherò.
Accettarono di giocare tutti ad eccezione della
Paura e della Pigrizia.
“1 2 3″la Follia cominciò a contare.
La Fretta si nascose per prima dove le capitò.
La Timidezza si nascose tra gli alberi.
La Gioia corse saltando in mezzo al giardino fiorito.
La Tristezza cominciò a piangere perché non sapeva
dove nascondersi.
L’Invidia si unì al Trionfo e si nascose accanto a lui
dietro ad una grossa pietra.
La Follia continuava a contare.
La Disperazione era disperata sentendo che la
Follia era già a novantanove.
“Cento!” gridò la Follia “Comincerò a cercare”.
La prima ad essere trovata fu la Curiosità perché non
aveva potuto fare a meno di fare capolino.
Guardando da una parte la Follia vide il Dubbio
sopra un muro di cinta, indeciso da quale parte stare,
così di seguito scoprì anche
la Gioia, la Tristezza e la Timidezza.
Quando tutti erano riuniti, la Curiosità domandò:
“Dov’è l’Amore?” Nessuno l’aveva visto!
La Follia cominciò a cercarlo e a chiamarlo.
Lo cercò da tutte le parti ma non lo trovò, infine
vide un folto rosaio prese un pezzo di legno e cominciò
a smuovere i rami..
Ad un tratto si sentì un urlo. Era l’amore che gridava perché
una spina gli aveva forato un occhio.
La Follia non sapeva più che cosa fare, si scusò, implorò
l’Amore di perdonarla e gli promise di seguirlo per sempre.
L’Amore accettò le scuse perciò, da allora, l’Amore è
cieco a la Follia lo accompagna.

 


 

È di nuovo giorno

È di nuovo giorno,
tiepidi raggi di sole, rompono il buio nella stanza.
Mi alzo dal letto e ascolto il silenzio,
fedele compagno di troppi momenti.
E’ un giorno di festa ma tu non ci sei.
Quando il silenzio, pian piano si dissolve;
voci di bimbi per strada,
donne che stendono i panni cantando,
il suono di festose campane
e una mosca, che mi ronza sul naso,
mi fanno capire che ancora son viva
e che regalo, ogni giorno, la luce ai miei occhi.
Appoggio la fronte al vetro della finestra,
lo sguardo è perso nel vuoto, ritorno bambina,
tracciando disegni con l’alito e il dito.
Scrivo il tuo nome e mi fermo a guardarlo
ma ben presto svanisce, e tu non ci sei.
Un’ape si posa su un fiore,
nel prato, ondulato dal vento,
un merlo che vola sopra quel lampione,
che, freddo, sovrasta la strada.
La scia di un aereo, incide l’azzurro
e un passero, vispo, saltella tra i sassi.
Ma nuvole scure, abbuiano il sole
e l’ombra, con un velo, ricopre il mio viso.
Tuoni rombanti, mi turban la mente,
quel cielo, che prima era azzurro,
ogni sua rabbia, ora sfoga, ed io non so farlo.
E, mentre la pioggia, mitraglia sui vetri,
due gocce di pianto, mi solcano il viso.

 


 

La mia Mamma

Lei già supera i novanta
ma è contenta e se ne vanta.
Dagli acciacchi e dai dolori
non riesce a starne fuori.
Prova a fare una passeggiata
ma già al muro, sta appoggiata.
Fa tre passi ed è già stanca,
chiede allora: “Quanto manca?”
Ha di bello quel sorriso,
che è stampato sul suo viso
e nemmeno col dolore,
si dissolve il buonumore.
Lei è sempre fiduciosa,
molto spesso, capricciosa,
cocciutissima e tenace,
tutto ottiene, o non ha pace.
Molto sorda ma curiosa,
vuol saperne di ogni cosa
e così, come un verdetto,
chiede sempre “Cosa hai detto?”.
Ma il cuore mi si affanna,
se non vedo la mia mamma,
certo che ci vuol pazienza,
ma di lei, non so star senza!

 


 

Una storia d’amore

Lui, quel giorno, quando pioveva forte,
si riparò sotto la pensilina del bus.
Grosse gocce cadevano sull’asfalto,
ad un tratto, lei sbucò, senza l’ombrello,
da una nuvola d’acqua
ed entrò in quel nido protetto,
sotto la pensilina.
Grondava come il bucato
messo ad asciugare,
i capelli, incollati sul suo viso,
incorniciavano una incantevole bellezza.
Lui, prese dalla tasca il fazzoletto
ed asciugò quel volto, come meglio poteva,
lei lo guardò stupita e sorridente,
sapendo di assomigliare ad un pulcino bagnato
e suscitare una tenerezza immane.
“ Piove parecchio, come sono ridotta! “.
Accompagnò quelle parole con una gran risata.
alla quale, con entusiasmo, lui fece eco.
Nell’attesa del bus, parlarono di lavoro,
di musica, di danza, di calcio e di vacanze.
Il tempo volò via, e Intanto, non pioveva più
ma era l’ora di pranzo e insieme, si imbucarono
in una trattoria di altri tempi e di vecchi sapori.
Il resto è storia, una storia d’amore,
scritta con quattro mani e un solo cuore.

 


 

Voglio scendere

Mamma, perché questo treno
non è come quello
di cui mi avevi parlato?
Non ha le carrozze,
non ha le poltrone che si affacciano
ai finestrini, dove si vede fuori.
Mamma, perché quando è partito
non ho sentito il capostazione
che diceva: “Tutti in carrozza”
e, sorridente, alzava la paletta
ma c’erano solo quegli uomini
che urlavano, arrabbiati,
con i fucili puntati
come quando si fa la guerra?
Mamma, ti prego, scendiamo!
Non mi piace questo treno,
qui, sono tutti in piedi,
su questa buia carrozza,
con quell’unico finestrino, piccolo, lassù,
che niente ci fa vedere.
Ho paura, qui nessuno parla,
sento solo persone che si lamentano,
quell’uomo, seduto per terra,
ha le mani sul viso e piange.
Ha forse paura del buio?
Mamma, sai che ti dico?
Anch’io ho paura
e non mi piace questo treno,
non è come me lo avevi descritto!
Mamma, adesso basta!
Alla prossima fermata,
non cercare di convincermi,
sono deciso, voglio scendere!

 


 

Se fossi vento

Se fossi vento,
correrei verso il mare
e, soffiando, incresperei le onde,
lambirei le loro creste spumeggianti
e poi, senza bisogno di ali,
salirei lassù, dove volano i gabbiani.
Percorrerei, in volo, grandi distanze,
contemplerei il mare,
m’incanterei guardando il sole
che tramonta all’orizzonte
e, lì… t’incontrerei.
E poi, d’un tratto, giù in picchiata,
fino al cuore della gente.
Spazzerei via l’ipocrisia,
soffierei sul dolore,
asciugherei le lacrime,
scompiglierei i capelli.
Se fossi vento,
sarei un vortice di emozioni,
di pensieri… di foglie.
Se fossi vento,
ma non lo sono… ancora.

 


 

L’alba

Ancora sveglia, osservo.
L’orizzonte sempre più marcato,
si distingue dal buio della notte.
È finita l’ora della veglia e del riposo,
ancora un’ondata di silenzio,
prima del trambusto quotidiano.
Il freddo della notte
cede il posto alla freschezza della brina,
che, come polvere di diamante,
fa brillare ogni colore.
Odore di erba bagnata,
i primi raggi del sole, creano pennellate di luce,
un rosa pallido, misto al giallo,
fanno del cielo una splendida tavolozza.
La luce, pian piano pervade gli angoli della notte,
con la forza della vita che vince su tutti gli eventi.
Un miracolo sottile, ma che puntualmente,
arriva ogni giorno a infondere grandezza e speranza.
Mi alzo, mi fermo e guardo le piccole cose,
tutto mi parla di rinascita.
La vita, così fragile e coraggiosa,
l’alba il principio che da la forza
per vivere ancora un nuovo giorno.

 


 

Il vino

Frutto di vita e di pazienza
nasce da un sogno,
e dell’amore ne è l’essenza.
L’acino tondo, biondo o colorato,
a fine estate, viene vendemmiato,
quindi coi piedi viene calpestato,
schiacciato, e il succo esce caldo e profumato.
Infine divien mosto, zucchero si fa allegro,
spiritoso, cambia di gradazione e si fa tosto,
diviene ambito nettare, gustoso.
Lui sta in cantina, il sole non gli piace,
merita proprio d’essere riposato.
Ama il silenzio, il fresco e molta pace
ed è un tesoro, se è millesimato.
Del Bel Paese è frutto d’eccellenza,
sulla tavola, nel bicchiere si mesce,
rosato, bianco, rosso, dolce o asciutto,
a pasta, pane, carne e pure a pesce
con bollicine, o senza, sta bene con tutto.
Ma attenti, se spinti dalla voglia,
abbassate la guardia, in quell’istante
e senza volere, si supera la soglia,
la sbornia vien fuori, ed è pesante!
Io provo per l’astemio gran tristezza,
si priva, ignaro, di una squisitezza.
Sogni, goduria ed arte in un bicchiere,
dolcezza, amore e incontri, e lui, sempre vicino.
Sa di amicizia, di brindisi e piacere,
semplicemente, noi lo chiamiamo vino.

 


 

Preludio

Nel silenzio della notte,
quando il sole è ancora oltre la collina
e la luna illumina ogni cosa,
con la sua luce d’argento,
questo è il momento delle domande
che non trovano mai una risposta.
E mi ritrovo a contare le stelle,
a parlare in silenzio con la luna
mentre un cane abbaia da lontano
ed un gattino miagola, chissà da dove,
forse si è perso e io provo gran pena.
Gli uccellini, poi, cominciano a cantare
tra le fronde di un albero fiorito,
per salutare il giorno che è in arrivo.
Le case, hanno ancora gli occhi chiusi,
la luna, sta calando all’orizzonte,
le stelle si stanno spegnendo
nella luce, pallida, dell’alba.
Ed io sono ancora qui, a chiedermi perché,
di come sono arrivata a questa età,
quale ‘è il vero senso della vita,
della luce, del buio, di tutto ciò
che nasce, cresce e muore.
Sono sempre rimasta la bambina
che si chiedeva il perché per ogni cosa.

 


 

Quelli come me

Quelli come me,
vagano furtivi rasenti ai muri
delle fredde vie dell’abbandono
e hanno le mani sporche
dell’immondizia della vita.
Hanno voci roche
che biascicano ballate da osteria,
e si ubriacano con il vino dell’oblio.
Quelli come me,
abitano in umidi cartoni,
nelle stazioni dell’indifferenza
e hanno gli occhi lucidi,
bagnati dall’acqua dei fiumi
in cui lavano la loro vergogna,
in silenzio, nascosti al resto del mondo.
Sono scherniti, offesi e umiliati,
subiscono il giudizio
che va oltre a quello di Dio.
I loro luridi panni odorano di fogna
e sono ricuciti col filo della sofferenza.
Quelli come me,
la santità se la sono guadagnata in abbondanza
e il loro inferno lo scontano ogni giorno, vivendo.

 


 

Tu nel mare

Sei andato dove le onde
si infrangono sul molo.
Hai portato via con te
un po’ di sabbia fredda nella mano
e una conchiglia bianca.
Ritorna, da lontano,
la tua voce, come un eco di mare
e il grido di un gabbiano.
Tu stai la, in piedi, stagliato contro il cielo,
hai catturato il sole.
Le onde nei tuoi capelli biondi
mossi dal vento.
Hai camminato solo,
lungo la spiaggia, d’inverno.
Hai tenuto il mare dentro,
chissà se ancora lo senti soffiare,
quel vento, se ti porta la mia voce,
chissà se ancora ricordi
tutto l’azzurro passato nei tuoi occhi!
Quel mare azzurro che,
una volta che entra in te, non va più via
e te lo porti dentro, per sempre,
e tu, per sempre, dentro al mare.