La leggenda del Pungitopo
Nella tana, un topolino, una sera si svegliò
ed in preda a una gran fame, a cercare cibo andò.
Là nel campo seminato, dove tutto era ghiacciato,
niente riuscì a trovare, perciò non poté mangiare.
Non un chiccolin di grano e neppure un nocciolino,
niente, zero, proprio niente, per il povero topino.
Per tornare alla sua tana, perse poi l’orientamento,
buio, grandine, neve e gelo diventarono un tormento.
Certamente non sapeva che cos’era il freddo inverno
mai avrebbe immaginato si trattasse di un inferno.
Già convinto di morire, vide la, nel mezzo al bianco,
un cespuglio, piccolino che lo attraeva tanto.
Gli si avvicinò e gli chiese, quasi a raccomandarsi,
di potere, tra i suoi arbusti, dal gran gelo, ripararsi.
Lui lo accolse assai ospitale,
invitandolo, però, a temere le sue spine
che feriscono e fan male.
Molto bello fu entrare tra le foglie, anche pungenti,
riparandosi dal freddo e non battere più i denti.
Mossa dal quel forte vento, la piantina si agitava,
perciò qualche spina entrava, nella carne
del topino, che, ferita, sanguinava.
Qualche bucatura ancora ed infine fu l’aurora,
quella notte era finita e, lui era ancora in vita!
Per la notte di paura, la gran fame, era cessata
e la strada, con il giorno, era stata ritrovata.
Così, lui per ben finire, ritornò nella sua tana,
e ferito e molto stanco, dormì una settimana.
Nacque Il sole e illuminò le gocce di sangue,
congelate, del topino, che formavano, sulle foglie,
un diadema di rubino.
Mago Gelo, affascinato dalla grande meraviglia,
sulla pianta, sempre verde, quelle gocce immortalò
e dopo aver pensato un poco,
giusto la ribattezzò, con il nome Pungitopo.
Il cieco
A causa di una terribile malattia,
da bella donna, quale lei era,
ogni giorno, più brutta diventava,
si sentiva perduta, perciò si disperava.
La voglia di morire, la voglia di sparire,
nascondere il suo volto, la testa incappucciata,
e la paura folle di non essere più amata.
Lui la rassicurava, dimostrandole il suo amore, ogni momento
ma lo sconforto, faceva da padrone ed era il suo tormento.
Un brutto giorno tornando dal lavoro, lui ebbe un incidente,
perciò perse la vista, disgraziatamente.
Divenne lei, l’unico suo sostegno,
la luce dei suoi occhi, la sua benedizione
ai suoi gravi problemi, non fece più attenzione.
Lui non avrebbe più potuto osservare
l’ultima bellezza, del suo amore, tramontare,
l’avrebbe amata come sempre e anche di più,
e a lei, di essere brutta, non importava più.
Tutti gli specchi, da ogni parete, andò a levare
per non vedere la sua brutta immagine, nel passare.
Trascorsero gli anni, il male della donna progredì
e un freddo mattino, purtroppo morì.
E lui rimase solo, senza il suo grande amore.
Un giorno, passeggiando su un viale,
incontrò un amico che lo guardò e gli disse, stupito:
“Ma tu ci vedi, allora sei guarito!”
“Ci ho sempre visto” Rispose lui, “Soltanto per amore
per anni, ho finto di essere cieco e non vedere.
Lei non sopportava di non esser più bella,
ma io, ci vedevo ancora, ed era la mia stella.
Fingevo di essere cieco ed, in silenzio, la guardavo
evitandole sensazioni di disagio e timidezza
e lei, pensando che fossi triste per la mia cecità,
mi dava spesso un bacio e una carezza.
Il lupo sono io
Cammino nel bosco,
il verso dei gufi echeggia nella notte,
Il mio cuore batte al ritmo di quei passi
che mi seguono da quando ero bambina.
Ero padrona di un castello fatato
ma avevo paura di fare la regina!
Sognavo lucciole e uscivo di nascosto,
amante del pericolo, senza saper perché,
e nella notte, speravo di poterle catturare
ma poi, sono state loro a catturare me!
A piedi nudi, cammino in mezzo al bosco
e questa terra, sa di libertà,
Il muschio, sotto i piedi, è come seta,
senza rimorsi, io volto la schiena
a chi ha cercato di rendermi incompleta.
Son fragile o son forte? Non lo so!
Quando sarò faccia a faccia con la morte
e inferno e paradiso saranno scarabocchi,
non saprò distinguere un angelo da un diavolo
perché avranno ambedue gli stessi occhi.
Indecisa nella dura scelta e spaventata,
continuerò a camminare in mezzo al bosco,
come un agnello, pronta ad essere sbranata.
Ora, giunta alla riva di un limpido ruscello
il mio respiro è diventato un ringhio cupo,
infine stanca mi sono inginocchiata,
riflessa nell’acqua, ho visto la mia immagine di lupo!
Sognavo lucciole e uscivo di nascosto,
impaurita, pregavo sempre Dio,
credevo di esser pecora e son lupo
ma adesso sono libera e mi è chiaro:
la forza per difendermi, l’ho sempre avuta io.