Maila Gufoni - Orizzonti

La giusta via

 
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All’improvviso,
si trovò di fronte ad un bivio,
la rotta divenne incerta.
Non c’era più tempo da perdere
per lasciarsi andare, per non pensare.
Doveva scegliere,
ragione o sentimento,
testa o cuore.
Intanto, si fermò il vento
che soffiava sulla vela.
Sentì il gravame del silenzio
udiva solo il rumore del suo respiro.
Era li, in mezzo al mare,
solo come quando si nasce
o come quando si muore.
Smarrito, guardò il sole all’orizzonte,
protagonista del bel tramonto rosso,
in quella sera di primavera.
Mentre calava la notte
e si alzava una brezza leggera,
pensò a quello che sarebbe stato
del suo futuro, della sua vita
ed attese il sorgere di una stella amica
che gli indicasse la giusta via.

 


 

Mio padre

 
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All’alba di quel giorno tanto amaro,
io percepivo un gemito lontano,
si risvegliava il mio babbino caro
e, nel silenzio, mi parlava piano.
La nuova alba ci dava il buongiorno,
mentre la luna ci diceva “addio”,
stava nascendo, intanto, il triste giorno,
che toglieva la vita al padre mio.
Ed io, guardavo l’amato viso spento;
stava perdendo la sua ultima partita,
col cuore dilaniato, in quel momento,
compresi il gran valore della vita.
All’improvviso il tempo si spezzò
e, certo, non riprese più il suo moto,
pensai allora a quanto è delicato
quel filo che ci dondola nel vuoto.
Quel giorno, lui se ne andò senza ritorno,
sta adesso fluttuando in fondo al mare,
sento la sua presenza a me d’intorno,
so che mio padre, mi continua a amare.

 


 

Ci incontreremo

 
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Ci incontreremo di nuovo un giorno,
con le mani alzate,
come se volessimo arrenderci
dopo aver fatto la guerra.
Ci incontreremo, su quella panchina
dove ci sedevamo in autunno
tra miriadi di foglie cadenti
e ci baciavamo con passione.
Ti confesso, ci vado ancora
e mi sembra qualche volta di vederti.
Ma, poi mi accorgo che non sei tu,
mai è solo la tua immagine
che vive nei miei pensieri.
Un giorno, quando finirà il mio tempo,
noi due, ci ritroveremo lì
dove esiste ancora il nostro respiro.
Vedrò ancora il tuo bel viso
nell’ imminente giungere del freddo,
la tua figura che si fa spazio nella nebbia,
per venirmi incontro, per portarmi con te
e non lasciarmi più.

 


 

La voce del cuore

 
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Da piccola era una bambina
che sapeva amare, ridere
e risplendere di luce propria.
Poi crescendo, le dissero
che, se voleva fare fortuna,
doveva smettere di ridere
perché la vita è una cosa seria.
Così lei, a malincuore, smise di ridere.
Le dissero che doveva stare attenta ad amare
essere diffidente e fare molta attenzione
se non voleva ritrovarsi, presto,
con il cuore spezzato.
Così, con le lacrime agli occhi, smise di amare.
Le dissero che non doveva essere
sempre gioiosa e raggiante di luce
per non risplendere troppo
e non attirare attenzione.
Così smise di splendere,
divenne cupa, triste, appassì e morì.
Solamente dopo essere morta,
capì di avere sbagliato tutto.
Nella vita, quello che contava,
era amare, ridere, splendere
e vivere seguendo con fiducia
la voce del cuore!

 


 

Tutto era bello

 
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Le sere d’estate, sull’aia,
rincorrevamo le lucciole
per poi tenerle,
delicatamente, in mano
e seguivamo, tra l’erba, nella notte,
il canto del grillo mariano.
Le sere di maggio,
andavamo alla chiesetta
per recitare il rosario.
Inni alla Madonna, cantavamo
e le nostre voci, giungevano
fino al casolare più lontano.
E le sere d ‘inverno?
Tutti noi, intorno al fuoco,
seduti su sedie e panche.
I più piccoli sulle
ginocchia dei grandi.
Con gesti e parole,
ci incantava il narratore,
con racconti e favole
e noi bambini, rapiti, ascoltavamo.
Tutto era bello allora
ma noi non lo sapevamo!

 


 

La casa

 
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Quando i genitori muoiono,
resta la loro casa piena
di mobili, nuovi e vecchi,
vestiti, tovaglie che ci ricordano
date e momenti di festa in famiglia.
Oggetti, che amiamo,
altri che non ci piacciono,
alcuni che vorremmo conservare,
altri che non useremo mai.
Quando i genitori se ne vanno,
resta di loro, una casa piena
di angoli che conosciamo,
di orologi che continuano,
indifferenti, a scandire il tempo,
di ricordi, di scatole piene di foto.
Una casa piena di odori ed ombre,
di tradizioni, conversazioni, espressioni,
echi di canti, voci e risate.
Una casa piena di affetti,
di sguardi, di sentimenti,
di parole non dette, di mancanze, di rimorsi.
Quando i genitori se ne vanno,
abbiamo ereditato una casa piena
di fantasmi, di tristezza e di silenzio.

 


 

L’oziosa

 
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Se sorride lei è una festa,
bei capelli ha sulla testa,
sono biondi, un po’ rossicci,
spettinati e con i ricci
Con le sue piccole orecchie,
ama le canzoni vecchie.
Occhi azzurri sul suo viso
sulla bocca un bel sorriso.
Pure un naso ha come tanti,
ma non come gli elefanti,
è grazioso e piccolino
come quello di un bambino.
Bocca e denti per mangiare,
con piacere, per gustare,
pane, pasta e cioccolata,
poche volte l’insalata.
Nel suo petto, un caldo cuore
per donare tanto amore.
Ozia spesso con diletto,
su poltrone, sedie o letto.
con le gambe rilassate
lei trascorre le giornate.

 


 

Lo scemo sa volare

 
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Sperava di volare nel cielo, tra le stelle,
sognava ad occhi aperti, mangiando caramelle.
E tutti i suoi giocattoli vedeva camminare,
stavano tutti in cerchio, sembravano ballare.
Amava con il cuore, con piena convinzione
ed abbracciava il mondo con grande adorazione.
Confezionava sogni su panche di granito,
guardava l’orologio che girava all’infinito.
Poi prese un gran bastone e ci fece una spada
da usare contro i mostri, da esser tenuti a bada.
Li sconfiggeva sempre, al centro delle arene
e dava per scontato vincesse sempre il bene.
Ma un giorno ci fu un tale, gli puntò il dito contro
lo spinse a terra e disse “ora sei un uomo morto”
Ma un uomo lui non era, era solo un bambino,
urlava tutto il male piangendo sul cuscino.
Gridava: adesso basta ma senza disturbare,
e stava a testa bassa, con sguardi da evitare.
Quel tale lo oltraggiava, lui non faceva niente
e tutti lo chiamavano, ridendo, “deficiente!”
Quel perfido gli disse con faccia strafottente:
“Ti voglio far provare, una cosa divertente”
E lo portò su in alto, più in alto che poteva,
era pericoloso, ma lui non lo sapeva.
L’uomo cattivo e forte, il braccio gli stringeva,
“Vieni con me su in alto e non ti preoccupare”
lui scivolò di sotto e lo lasciò cascare
dicendo “Su venite, venite qui a guardare!”
Ridete tutti quanti, lo scemo sa volare!”

 


 

Nata di Maggio

 
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Stupore le prese quel giorno di Maggio
a scoprire che stava nascendo
ed infine che stava a giocare, sul prato,
colorato di verde smeraldo
e dall’oro del sole, macchiato.
Sul cappello lei aveva dei fiori
di un bel rosso e di un blu così blu
che il cielo, geloso, arrossì nel vederli.
Tra le labbra un sospiro, pacato, leggero,
profumato di brezza marina
che i bei fiori sfiorò ma non li danneggiò.
Prese forza e si accese quel fragile fiore,
che il tramonto di nuovo arrossì,
e lei rise, e coi capelli di rame,
alla brezza della sua alba d’oro, fiorì.

 


 

Crono

 

Una notte sommando i miei anni e i mesi,
andai da Crono assonnato e titubante gli chiesi:
“Ti lascio dormire fino a che il gallo canta
ma quando vien l’alba, me ne togli cinquanta?”
Cinquant’anni sono tanti, mi gravano
addosso, son molto pesanti,
se tu me li togli, mi sento leggera.
I capelli son rossi, la pancia svanisce,
la vista è perfetta, il passo sveltisce,
il fegato è sano, la pelle più rosa,
la mente funziona, ricordo ogni cosa,
mi sento in gran forma, felice e scattante
ho il mondo nel pugno, sono affascinante.
E’ bella la vita con 50 anni di meno
ma ecco l’inganno, di questo mio gioco,
d’un tratto mi manca, lo chiamo, lo invoco,
urlo forte il suo nome, nessun risultato,
è un grido nel vuoto, è fiato sprecato.
Di lui non c’è traccia, mi sento smarrita,
è uscito per sempre dalla mia vita.
Mi fermo a pensare: che cosa è successo
e di colpo capisco, lui, allora non c’era,
ancora era un sogno, una dolce chimera.
In quegli anni, io ancora, non lo conoscevo,
cosa fosse l’amore neanche sapevo.
Ora, che un salto indietro ho compiuto,
m’accorgo di quello che purtroppo ho perduto.
Con la voglia insensata di ringiovanire,
in un solo istante, l’ho visto svanire.
Ci penso impaurita. Cos’ho combinato?
Insieme con gli anni ho perduto il passato.
Ritorno di corsa, da Crono, piangendo lo imploro:
“ridammi i miei anni e l’uomo che adoro”.
Lui mi guarda allarmato, gli sembro impazzita.
“Che cosa ti manca?” mi chiede stupito
“Sei tornata d’un tratto a far la ragazza
e adesso non vuoi? Devi essere pazza!”
Rivoglio il passato, la vita vissuta
perché senza quella, mi sento perduta.
Meglio avere gli acciacchi, i pensieri, la pancia,
la voce che trema, la demenza che avanza ma una cosa è sicura,
c’è una gran differenza, tra viver con lui e dover stare senza.