Manola Viti - Poesie

Emozioni a passeggio fra ricordi racconti lettere pensieri dubbi

Verbo volant scripta manent.

Ci vuole coraggio. Audacia per far leggere i tuoi scritti, fegato per far scorrere nelle vene le tue lucubrazioni, i progetti, le paure, le fantasie.

Necessita essere intrepidi per farti ascoltare nel muto discorrere delle parole scritte.

Mentre frullano in testa personaggi femminile che ho amato, Elisabeth, Jo, Jane Eyre, Virginia Woolf, Alda Merini viaggio con l’immaginazione in mondi che costruisco, come in sogni che poi svaniscono.

Donne forti nella fragilità di corpi, nella forza dei pensieri, eroine dalla penna appuntita e dalle intense idee, persone capaci di far riflettere come la straordinaria Badessa che fu Ildegarda di Bingen.

A chi assomigliare viene voglia di chiedersi leggendo “La fiera della vanità” a Rebecca detta Becky o all’ingenua Amelia, o forse, potremo optare per una terza scelta.

A quale delle due donne, che di fronte al trono di Re Salomone si contendono un figlio, credere.

Il tempo scorre e le incombenze chiamano, devo andare, cose ne faccio di queste righe le cestino come le altre volte o inizio a raccoglierle. 



Dal Racconto “Ai miei tempi” di Manola Viti

Ai miei tempi non esisteva la parola femminicidio, è stata coniata solo nel 1992 ma quante povere disgraziate sono morte per le ferite riportate da mariti gelosi e violenti, uomini mansueti come l’acqua racchiusa in un bicchiere, solo che bastava poco o niente per renderli, vigliaccamente, delle bestie inferocite.



Dal Racconto “Ai miei tempi” di Manola Viti

Ricordi da custodire a iosa trasmessi da Ada e affidati a Caterina, che per questo motivo non avrebbe mai dimenticato due occhi teneri, generosi e briosi che si illuminavano quando si posavano sul suo volto, due mani che racchiudevano come un guscio le sue, e un quesito che Ada, per gioco, le aveva proposto: <<Ma se cadesse una pioggia di zafferano e tingesse il mondo intero di giallo, riusciremmo a essere felici?>>



Dal Racconto “Parole di creta e raggi d’inchiostro” di Manola Viti

La stanza era illuminata da un susseguirsi di lampade, appese ad un filo sopra la tavola, il profumo del pollo appena sfornato fluttuava nell’aria.

Rallegrava quel silenzio il frinire dei grilli, quando Alice lo violò.

Alice era la piccola di famiglia, aveva una fronte spaziosa su cui si posava una frangetta ribelle, degli occhi neri dallo sguardo magnetico, a cui era difficile negare qualcosa.



Dal Racconto “Parole di creta e raggi d’inchiostro” di Manola Viti

 

<<Vorrei descrivere il buongiorno silenzioso del sole, il suo arrivederci rosso di passione, nei tramonti che a volte mi incanto a guardare, là in fondo, oltre la collina. Vorrei permettere alla voce della scrittura di narrare il pittoresco rumore della pioggia, l’aitante richiamo del vento, lo scricchiolio dell’autunno, lo sgorgare sempre nuovo della primavera.

Vorrei distrarre divertire intrattenere i lettori, catturarli con le parole. 

Le parole, sono per me ginestre, ginestre fiorite fra i cespugli del bosco, sono pennellate di oro tra le ciglia bagnate, sono le colonne dell’Umanità.>> 


 

Quanto possono modificarmi i giudizi degli altri?

Quanto le affermazioni di chi sostiene di conoscermi, sono veritiere?

Mi guardo allo specchio e vedo milioni di volti, quale fra i tanti è il mio,  quale di questi volti, in questo momento, mi assomiglia?


 

Giro per casa adesso che la scuola è terminata, come un’orsa un po’ spelacchiata in cerca di cibo, almeno è così che mi descrive la mamma.

Chissà se sarà vero!  

Sono distesa sul letto e il dubbio mi assale mentre mangio cioccolata,  accanto a me il libro di storia è chiuso, ancora intonso. Sono solo una adolescente in cerca di crescere cara signora madre, vorrei urlare, oppure, mi dico, un abitante in cerca di solitudine, per riflettere e per riuscire ad accontentarmi.



“Il Genio Pasqualino”

La nonna non sapeva nè leggere nè scrivere, ma iniziamo dall’inizio.

In un paese di campagna meta di villeggiatura per i vicini cittadini, abitava in una casa colonica fuori dal centro popolato, una famiglia di contadini.

La nonna Chiara, nonostante gli acciacchi era ancora ammaliata dalla natura e dall’umanità a cui riconosceva il dono di poter pensare.

Se guardava fuori dalla finestra, in quei campi arati o  fitti di viti, in quel suo piccolo e vasto mondo, sorrideva.

Un boccio di rosa, il fiore del pesco, gli stormi, la pioggia che rende tutto lucente, la rallegravano.

Luna, la nipotina abituata ai ritmi lenti e alle parole silenziose della nonna, in estate era la sua ombra.

In quei pomeriggi quando il sole bruciava la pelle e appensativa il respiro, Chiara e Luna obbedivano ad un rituale.

Dopo pranzo si dirigevano per un sonnellino verso la camera della nonna, meta il suo lettone.   

Luna ogni volta che entrava in quell’alloggio era stregata dal profumo di lavanda che la nonna  raccoglieva e chiudeva in sacchettini di stoffa e poi sparpagliava lungo la camera, nei cassetti, nell’armadio.

Osservava meravigliata i pochi oggetti che la completavano e si smarriva ogni volta dietro un particolare, la cornice di una vecchia fotografia di stoffa, l’arazzo appeso dietro il lettone di nonna che mostrava una Madonna sorridente con il suo piccolo bambino, la borsa della nonna posata sopra la cassapanca e da lei realizzata all’uncinetto o quel piccolo rotondo portagioie di legno che raccoglieva nastri colorati.

Qualche minuto e correva ad aiutare nonna Chiara a togliere la coperta bianca dal letto, poi vi si sdraiavano.

Nel silenzio afoso della stanza, in quella luce che filtrava dalle persiane chiuse, la piccola Luna allungava la sua mano per prendere quella della nonna e chiedeva:

<<Nonna mi racconti la storia del Genio Pasqualino>>

Alla dolce compagna brillavano gli occhi alla richiesta e ruotando in corpo verso la bambina, iniziava  a narrare.

La voce pacata e il lento mormorio delle parole davano al racconto l’illusione che la nonna stesse leggendo. 

<<Un giorno di tanto tempo fa, era il 7 di marzo, e quell’anno la neve aveva da poco abbandonato le strade, la mamma mi mandò da sola in paese a fare la spesa.

Mentre ritornavo verso casa e camminavo a capo chino per non sporcarmi le scarpe e per non scivolare andai inavvertitamente a battere contro qualcosa.

Indispettita alzai lo sguardo, di fronte a me c’era un ragazzone alto e moro che sghignazzava divertito.

Aveva delle spalle così grandi che ti invitavano a riposarti a riscaldarti ad addomertarti, tranquilla.

Farfugliai parole sconnesse, non riuscivo a distogliere i miei occhi dai suoi, mi sentivo imbarazzata.

Come trasportato da una lieve brezza arrivò il Genio Pasqualino e ci sospinse ambedue in avanti , i nostri corpi quasi a sfiorarsi, le nostre mani si unirono.

Passò del tempo, poi il nonno Piero disse:

- Ciao sono Piero piacere di conoscerti.

- Ciao mi chiamo Chiara risposi arrossendo.

Il tempo, questo sconosciuto personaggio che percepiamo attraverso il tic tac dell’orologio, continuò a scorrere, ma noi continuavamo a guardarci, in silenzio parlavamo e ci raccontavamo le sofferenze e i dolori di questa nostra esistenza, i progetti futuri.

Le campane della chiesa batterono dodici colpi, dovevo rientrare.

Ci salutammo e concordammo di ritrovarci il giorno successivo, su quel marcipiede.

Passò così un mese, un mese di sguardi, di risate, di mani che si incontrvano capricciose, eravamo felici.

Un giorno però, rientrata in casa, trovai mio padre ad aspettarmi con la cinghia dei pantaloni in mano.

Mi obbligò a chiedere a nonno Piero un incontro, doveva chiedere la mia mano, doveva sposarmi.

Il giorno successivo raccontai al nonno l’accaduto, era felicissimo di incontrare la mia famiglia, lui era orfano mi disse, ed era contentissimo di sposarmi.

Per la prima volta di fronte alla chiesa, su quel marciapiede, ci abbracciammo.

Il Genio Pasqualino da quel giorno non ci ha abbandonati, con la grandine o col sole io e il nonno abbiamo continuato a condividere insieme la vita a volte il mare era in burrasca altre le nuvole ci pungolavano e altre ancora, appariva il solicino tiepido delle grandi occasioni.>>

La nonna terminato di raccontare si asciugava con il dorso della mano le lacrime e fiera terminava:

<<Ora zitta e ferma, facciamo a chi si addormenta prima!>> e chiudeva gli occhi.

Luna abbassava le palpebre e bisbigliava piano:

<< Genio Pasqualino ricorda, quando sarò grande, di venirmi a cercare.>>

Intanto nella stanza si udiva il ronfare della nonna e la piccola si apprestava a seguirne l’esempio. 


 

Stasera la luna ha un aspetto inconsueto.

Sulla fronte, lungo la guancia, una nera e lunga e compatta frangia.

Un pensiero, un ricordo, una memoria mi catturano come a spronarmi  a incitarmi a suggerirmi di togliere dai chiodi arrugginiti, le buone azioni, a incoraggiarmi a sorridere. Un ritornello…..i buoni pensieri…..

E se un giorno mi ritrovassi senza pensieri, sarei un mostro, un sasso travestito da uomo?

Potrebbe accadere?

Zombi senza pensieri che non sanno dove andare, cosa cercare, cosa fare….

Inquietante pensiero!


 

“Lettera agli zii”

Cari zii

in questo primo giorno di primavera per me speciale, il pensiero corre a voi, perché educandomi siete riusciti a far nascere in me la scintilla della speranza , sono diventata mamma a quarant’anni,.

Il sentimento e la volontà di non arrendermi,  la curiosità di imparare che conservo curo e proteggo, sono un vostro dono.

Il parto, come senz’ altro saprete, è anadato bene, Ettore mi è stato vicino, sto meravigliosamente e così pure Alessandro ed Emanuele.

Adesso loro dormono, nella nurse, sulla parete di fronte a me, ci divide una vetrata, posso osservarli anche stando a  letto: due culle vicine, due minuscoli fagotti che lasciano intravedere da sotto le coperte due tonde testoline di una fine e rada peluria bionda. Ambedue tengono le braccine piegate, in alto i gomiti all’altezza degli occhi, e le piccole e pallide mani chiuse a pugno.

Prima di iniziare a scrivervi, mi sono alzata e in silenzio, sono andata ad annusarli. Profumano di latte. Profumano di buono.

Non so giudicare a chi assomigliano, ma posso garantirvi, sono bellissimi.

Vi invierò delle foto quanto prima. Sono stanca e spossata, i gemelli si attaccano alle mie tette con una voracità incredibile per le loro dimensioni e succhiano con forza ogni goccia  di latte che trovano.

Come un pescatore dopo un’abbondante pesca, anche io tiro in alto la rete e appeso vi trovo il passato e dall’acqua immaginaria che cade e mi bagna, estraggo i ricordi migliori, ed ecco che appare come in un fotogramma il tuo dolce sorriso zia Margherita, le tue profonde rughe, i tuoi brillanti e a volte beffardi occhi, sempre curiosi, i tutoi lenti gesti, la tua adorabile voce, la tua infinita pazienza, quel tuo dire e ripetere senza mai stancarti, quel seguirmi senza assillarmi, quel correggermi senza brontolarmi, quell’insegnarmi con il silenzio dei fatti.

A te caro zio che mi hai mostrato l’importanza del gioco e delle buone parole, tu che mi hai educato a sorridere anche quando gli avvenimenti sono avversi; a te che mi hai informato e indirizzato al risparmio, al valore incommensurabile dell’onestà una dote <<oggi un po’ in disuso>> osavi affermare.

Tu zio Bruno che mi hai insegnato l’importanza di ascoltare il nostro cuore e le nostre coscienze più pure e, mi ha dimostrato quanto sia necessario e indispensabile lavorare.

Tasto dolente il lavoro, perchè proprio questo è stato il motivo per cui mi sono dovuta allontanare da voi e traslocare in un’altra città, adorati zii.

Queste doti che mi avete elargito mi hanno resa umile  e sicura e vi ringrazio dal profondo del cuore.

In questo momento, per questo evento gioioso non posso dimenticare l’affetto che mi avete trasmesso, una seconda pelle si è cucita sulla mia permettendomi ogni volta, di riflettere di esaminare perché all’unisono esclamavate <<Fai ragionare il cervello piccola!>>

Con il vostro esempio mi avete contagiata, sono stata da voi ascoltata e compresa, amata,  tanto da sentirmi unica e bella. 

Mi auguro di poter trasmettere ai gemelli , come un fiume in piena che scorre tranquillo nel suo letto, tutto ciò che posseggo, tutto ciò che mi avete insegnato con le parole e col cuore. 

Per le vacanze estive abbiamo deciso con Ettore , se ci vorrete, saremo vostri ospiti.

Un abbraccio, vi amo..