Emozioni
Davanti a me l’ordinario
Dietro di te lo straordinario.
Alla mia destra il dovere
Alla tua sinistra il piacere.
Sopra di me la norma
Sotto di te l’orma.
Dentro di me l’ombra.
Fuori di te: sogna.
“Laddove si erge, marginale, un fusto
lontano da ogni tuo trambusto
un carrello ti ricorda, solitario e nebuloso,
una via discreta e silenziosa
ferma, immobile e perenne
come una montagna nella quale il suo bosco
fa diventare la realtà un fosso.
Rettangolare e squadrato è la tua bara, questo sembra, deposito di carbone e legna
che arde di sotto, che non divampa di sopra, e nel mezzo soffia e a difficoltà trasuda.
E’ pietra dura, è marmo, granito scolpito, porfido inghiottito
in ogni fessura, non lo vedo bene
come il cuore che il mondo ha obliato e che di te non si è dimenticato.
Cuore di minatore, polmone intossicato, laddove la terra una comunità fin dal suo
ventre ha innalzato;
ancora si vede il cerbiatto, la volpe e il tasso.
Comunità tranquilla, comunità vogliosa, comunità ossequiosa
un monumento ti hanno innalzato
un monumento sontuoso che mai è stato osservato
talmente è sconosciuto, piccolo e minuto.
Cinabro selvaggio, drappo nero e grigio, drappo blu con la croce, drappo rosso, abeti,
larici e pini
ormai sei spopolato e
per questo tanto tanto amato.
Insignificante: alla grande storia,
inutile: alla grande statistica,
sei più fecondo di ogni rivista.
Freddo e ghiacciato, ogni vento ha qui imperversato.
Caldo e infuocato, ogni bruciatura ha qui agonizzato.
Una scritta, memoriale di tempi perduti, ti ricorda così :
<Solo tre uomini..vi lavorarono piuttosto grattando che scavando la miniera, quando
vi fummo noi>. Era, sarà ed è ancora come se il 19 di agosto del 1789 fosse.
L’oscurità ti preserva e la quiete ti conserva,
nessuna rivoluzione sarà per te tanto sconvolgente
quanto avere ancora o non aver più della gente.”
Progresso
Su di un palo dell’orto
è crocefissa la solitudine
con camini accesi
lungo il passaggio
che passi non apre
neppure più all’uccello rapace.
La tristezza aleggia
lungo strade
che il varco chiude,
per porti che non hanno odori
in cui il cambiamento boicotta il fermento
e gli animali assieme al vento danno ristoro e giovamento.
Mamma chiama il bambino, papà chiama il bambino
grazie nonna, grazie zia ma dov’è finita l’anima mia?
La filastrocca l’ha in eredità il fratello e la ricchezza la sorella
mentre nuova ignoranza si fa strada nella luccicanza.
Riuscirò a mantenere tutto? Lavorerò ed avrò una famiglia?
L’antica sapienza rusticana e la vera alchimia rurale
danno coraggio a chi non può permettersi di avanzare.
Un vecchio malato e sofferente per l’immobilità
perché ho perso la mia sensibilità?
A te che mi fai tenerezza dico:
prova a non sentirti in colpa perché ci sono ancora chiodi e vecchie foto
pur se ormai sulla carrozzabile sfrecciano le moto.
Il tempo dell’isolamento non esiste più:
addio vecchi dirupi, corde e teleferiche della nostra amata marginalità
la solitudine tra i ghiacci non più ci cullerà.
Mare
Amare a mare il mare
A mare amare il mare
sembra un gioco di parole
laddove una barca viaggia
con istintuale calore.
Il desiderio del bambino è quello del gruppo
purtroppo oggi l’adolescenza è un rutto
tatuato e sin da subito violato.
Eccola la spiaggia
e se fossimo in montagna?
Cambia scenario
non cambia verso la lancetta del tuo orario.
Dottore l’onorario?
No, in pianura siamo con l’abbecedario.
Rumori
a Termini si vendono meloni a un euro:
la povertà che avanza
fa lustro alla mia fragranza
un nuovo arresto in flagranza
delinea la tua costanza.
Rumori
un sole cadente
una luce splendente
tarda a riposare
quel che non si vuole mostrare.
A mare amare il mare
lasciati trasportare dal luccichio delle onde
oggi ci siamo
domani non più
e se monta l’angoscia
sei vicino alla risposta.
Gloria nichilista (S. & A.)
Due corpi smembrati
in una accademia di mai pacificati,
dove sono gli alcolizzati?
Dove sono i drogati?
Si domanda agli avvocati.
Nessuno risponde,
solo accampati.
Squarcio la tela,
mi butto dal locale:
fuori nevica e
tira maestrale.
Grido e alzo le mani
conto i nani,
la pozione non è pronta:
nessun rito
nessuna conta.
Ci siamo incarnati nell’ assenza di assoluto
e il nostro caos non era una stella danzante
e nemmeno una supernova luccicante,
ma il vuoto profondo di un nullo buco nero.
Da Da Da
noi siamo il meno per meno
Da Da Da
materia oscura
supposta esistente
in un focolaio che non conduce da sempre a niente.
Terribile onnipotenza
impenitente impotenza
squallida presenza.
Suona la sveglia
da un tempo mai continuo
ma perennemente vicino
e il letto divampa
in un quadrato a distanza.
Due occhi scrutano
il triangolo biforcuto
e un sole sorridente
ci riporta a niente.
Crepitio
Crepitio
Crepitio
Crepitio
noi siamo i morti oltraggiati
di nuovo a nuovo destinati
senza che mai fossimo stati consultati
e quindi progressivamente dimenticati
senza che fossimo minimamente partecipati.
Troppe sono le domande rimaste inevase
perché non ancora nessuno le ha pensate.
A quale via le nostre case?
Cambia nome il nostro cimitero?
Non è più questo il viale giornaliero?
Cosa resta della nostra generazione?
Dov’è l’indirizzo della nostra tensione?
Guai a voi!
Pagherete con rivoluzione
questa vostra rinominazione.
Un nuovo sradicamento è in atto
ma veloce e distaccato come un gatto
interessato,
arriverà il prezzo di cotanto voto efferato, plagiato, deturpato
e contro la genia
usurpato.
Crepitio
Crepitio
Crepitio
di quattro paesi e non solo ne han fatti davvero uno solo.
E allora il vostro volo
sarà punito da un moro
che riporterà generazione,
laddove il progresso suadente
la cultura e la storia
ha reso perdente.
Una sola identità
per mille atrocità
non resisterà
al soffio di ciò che avverrà.
Sentiamo già un nuovo vento
che non ha il sapore marcio della vostra falsità
ma, dolce incubo,
testimonierà
attesterà
produrrà
nuova libertà.
Crepitio
Crepitio
Crepitio
già vediamo i nuovi nati
i futuri morti
tornare alla loro genia
fino a far finire questa nuova pazzia.
Uniti per unire
dividerete tutto.
Divisi per dividere
unirete tutto.
Questo è il nostro responso
fatene pure un ballottaggio
oramai non più c’interessa l’oltraggio.
Ti osservo
Ti osservo:
la volontà si rivela nella tua tensione
cominciò tutto con un’ossessione
continuammo con una paziente elaborazione
e costruimmo un desiderio.
Ti osservo:
non è stato un percorso razionale
non è stato un cammino carnale
non è stato un inganno emozionale
è stato un delirio sentimentale.
Ti osservo:
capisco la tua vergogna
ghermisco la tua voglia
mentre insieme ci salviamo dall’asprezza
conoscendo la tenerezza.
Ti osservo:
rifletti le mie paure
sono lo specchio delle tue storture
e insieme ci opprimiamo di brutture.
Ti osservo:
superiamo l’impossibile
raccogliamo il possibile
ci dilettiamo nell’incerto
e non faremo mai solo sesso.
Ti osservo:
abbiamo la stessa concezione
proviamo la medesima oppressione
siamo un interessante compromesso.
Ti osservo:
domani ameremo un nuovo ricordo
Ti osservo:
non abbiamo mai tempo per compenetrare le emozioni
Ti osservo:
ci arrampichiamo nel nostro selciato,
un giovane mai amato
un fiore sbocciato
l’autunno è arrivato
e il nostro amore ha l’orizzonte spianato
mentre osserviamo quel che è stato tracciato
e io sono appagato.
Ti osservo:
molte improbabili esperienze
molte certe presenze.
Ti osservo:
la nostra diversità
la nostra frugalità
antropologica marginalità.
Ti osservo:
come naviganti ondeggiamo
in frequente benessere
che riempie il mio essere.
Abbondante avere
duro lavoro
e creativo coro.
Ti osservo:
sono rapito
e il mio orgoglio
diventa infinito.
Ti osservo:
umile e felice
come Dante con Beatrice.
Ti osservo e mi osservo mentre ci osserviamo:
quando mi osservi
tu mi preservi.
Ornella
La vita ti conosce,
l’arte ti brama,
il canto è solo la tua sottana
in cui il tuo desiderio diventa immagine ed espressione
della tua intensa e mai doma emozione.
Chi sei tu,
se non una corda che non stride,
chi sei tu,
se non una corda che non suona
quando l’armonia e l’accordo
cedono il passo a un groviglio disadorno.
Ma sei tu quando soprattutto convinta
affermi che veramente è bella
la vita tortuosa,
senza l’inganno di una figura sontuosa
e l’immenso trova in te una comprensione
che nessuno può spiegare
se non s’inchina dentro il mare ad osservare
le sole stelle naufragare
ma mai affondare
come, invece, accade ovunque alla passione
se all’intenzione
si sostituisca il dovere
e la mercificazione.
Donne curde
Un fucile, una borsa
un sogno, una fossa:
eccoli i popoli oppressi
ingannati, sfruttati
schiacciati, violati.
Quale diversa resistenza?
Quale presente sofferenza?
Ipocrita donna capitale
osserva le curde lottare.
Quale diversa resistenza?
Quale persistente assenza?
Amata donna leale
la non violenza potrà mai avanzare?
Guerrigliere, figlie, madri, amanti, nonne e spose
con i fieri colori nelle rocce
mentre le occidentali escono dalle docce
di palestre, piscine e centri estetici:
noi uomini eretici
noi uomini patetici.
Se nascevi curda?
Se non nascevi?
Boicotta la forca.
Tenera donna
cosa vuol dire
patire
subire
soffrire?
Cos’è questa sanguinosa violenza?
E perché il tuo sacrificio
deve essere così ardito?
Fiore reciso.
Profondo rispetto,
incommensurabile devozione
per la tua lotta
che ha già vinto contro ogni bigotta.
La vostra dignità
implica pietà,
la vostra dignità
esige profondità.
Maschere sarde
Nel silenzio del cammino
ascolta il suono che è vicino
e rapito dall’ancestrale tintinnio,
osserva questo dondolio
mentre in fila dirigete
e qualcuno è lì per tirare la rete.
Antica sapienza
stessa effervescenza,
nuova fatica
vecchia vita.
Quel passo sacro e severo
traccia il massacro cavaliero
mentre le pelli, sudore e dolore,
ricordano l’esistenza senza tepore.
Frastuono ieratico di maschere orribili
per sempre assolvibili
risplende l’orrore
e si è testimoni d’amore.
Tuono sabbatico di ossa sanguinanti
alimenta felicemente l’ardore
che rende i fetori
scintillanti scrittori.
Artigiani e pittori
pastori e scannatori,
fuori da ogni nazionalità
ricordate l’adolescente età.
Eccole le corna
eccola la sbornia
in processione una parca,
stantia, affligge il bue
e da lassù mai una barca
violenterà i due.
Una folla reclama
lo stolto che brama,
due corna inzuppano
un duello che sviluppano,
tre bastoni
percuotono i cannoni
e dentro le pelli
l’uomo ritrova gli stessi fradici
gemelli.
La natura è cultura
la morte è struttura
e il bosco la incorona matura.
Un fuoco arde a cancellare
tale stortura
e consuma la legna,
mentre il nero
impiastra la faccia
che esiste nient’altro che per la caccia.
Urla gementi
risate piangenti
fanno nuovo il mesto coro:
da qui mai ci si cingerà d’alloro.
Sopra ogni cisto
una maschera abbraccia un imprevisto,
sotto ogni mirto
una maschera accoglie un rischio:
dentro ogni sughera
una maschera aizzerà
la triste pietà
e calorosa
sangue vorrà.
Nessuna morale
etica abissale
colma misura
per ogni sventura.
Albero avvelenato
in fondo a un monte gelato,
da un affascinante ruzzolio
viene fuori questo tramestio
e soffice, un mantello
orribilmente osanna tal secolare fardello.
Orrore orrore orrore
Clamore clamore clamore:
la storia di un fiore appassito
lo scandalo preferito
il ricco pervertito
il giovane arricchito
il vecchio incancrenito
l’odio incallito
diverte l’oppresso
striminzito e sbigottito.
Batti batti batti
Patti patti patti
tale rituale non è moderno
perché è eterno.
Stiamo a guardare ciò che non
si deve spiegare.
Stiamo a contemplare ciò che
si deve piegare.
Valery
Gli anni 70’ non se ne sono mai andati
per chi vive la poesia da catturati.
Gli anni 70’ non se ne sono mai andati
per chi li ha censurati.
Gli anni 70’ non se ne sono mai andati
per chi sta sulla strada in vetrina
per chi osserva la vicina
per chi fissa già dalla prima mattina.
Gli anni 70’ non se ne sono mai andati
per chi si nasconde invecchiando
un lamento lontano, un sogno saporito, un benessere sfiorito
per chi cantando viaggia lodando
e dietro il muro prova l’avventura
di una riuscita insicura.
Gli anni 70’ non se ne sono mai andati
la solitudine è rimasta, il dio crudele
si è arricchito sulla pelle di mille muri di Babele.
Gli anni 70’ non se ne sono mai andati
nascosti, assopiti per chi la notte sogna incubi
rapiti e in divenire già sfiniti.
Gli anni 70’ non se ne sono mai andati
idolatrati, assuefatti e ricompatti
per chi, in mezzo ai gatti, trova insulti e ratti.
Gli anni 70’ viaggiano ancora
nel tempo della verità mistificata
su un attentato di un giovane pagato
per una donna arruolata e con la balalaika
sfregiata, sfregata e non ancora dimenticata,
nella sua mente avvinghiata
eppure ancora da se abbordata.
Gli anni 70’ non se ne sono andati il malessere è rimasto
con uno strano rimpasto,
il marciapiede diventa un luogo fasto
pieno del casto di ogni sasso,
mentre il boato di una transenna
ci ricorda a chi dobbiamo la nostra insegna.
E colpevoli non ci arrestiamo
al fluire di questa di questa immane violazione
di ogni diritto frutto della nostra azione.
Gli anni 70’ non se ne sono mai andati
maledizione il piano non è riuscito
ogni morto sarà censito, il responsabile trovato e in galera assicurato
se clandestino rimpatriato e benevolmente sfruttato.
Gli anni 70’ non se ne sono mai andati
fiumi di droga a buon mercato
fanno giusto ogni malato che può essere tacciato e con il biologico
cacciato.
Gli anni 70’ non se ne sono mai andati,
ascoltando le nostre canzoni, sono insulti queste missioni.
Gli anni 70’ non se ne sono mai andati,
tante frontiere, sottoterra pronte per essere rialzate le nostre bandiere.
Gli anni 70’ non se ne sono mai andati
è dolcissimo il tuo baciare
l’emozione è restare.