Manuel Bellino - Poesie

Emozioni

 

 

Davanti a me l’ordinario

Dietro di te lo straordinario.

Alla mia destra il dovere

Alla tua sinistra il piacere.

Sopra di me la norma

Sotto di te l’orma.

Dentro di me l’ombra.

Fuori di te: sogna.

“Laddove si erge, marginale, un fusto

lontano da ogni tuo trambusto

un carrello ti ricorda, solitario e nebuloso,

una via discreta e silenziosa

ferma, immobile e perenne

come una montagna nella quale il suo bosco

fa diventare la realtà un fosso.

Rettangolare e squadrato è la tua bara, questo sembra, deposito di carbone e legna

che arde di sotto, che non divampa di sopra, e nel mezzo soffia e a difficoltà trasuda.

E’ pietra dura, è marmo, granito scolpito, porfido inghiottito

in ogni fessura, non lo vedo bene

come il cuore che il mondo ha obliato e che di te non si è dimenticato.

Cuore di minatore, polmone intossicato, laddove la terra una comunità fin dal suo

ventre ha innalzato;

ancora si vede il cerbiatto, la volpe e il tasso.

Comunità tranquilla, comunità vogliosa, comunità ossequiosa

un monumento ti hanno innalzato

un monumento sontuoso che mai è stato osservato

talmente è sconosciuto, piccolo e minuto.

Cinabro selvaggio, drappo nero e grigio, drappo blu con la croce, drappo rosso, abeti,

larici e pini

ormai sei spopolato e

per questo tanto tanto amato.

Insignificante: alla grande storia,

inutile: alla grande statistica,

sei più fecondo di ogni rivista.

Freddo e ghiacciato, ogni vento ha qui imperversato.

Caldo e infuocato, ogni bruciatura ha qui agonizzato.

Una scritta, memoriale di tempi perduti, ti ricorda così :

<Solo tre uomini..vi lavorarono piuttosto grattando che scavando la miniera, quando

vi fummo noi>. Era, sarà ed è ancora come se il 19 di agosto del 1789 fosse.

L’oscurità ti preserva e la quiete ti conserva,

nessuna rivoluzione sarà per te tanto sconvolgente

quanto avere ancora o non aver più della gente.”


 Progresso

 

Su di un palo dell’orto

è crocefissa la solitudine

con camini accesi

lungo il passaggio

che passi non apre

neppure più all’uccello rapace.

La tristezza aleggia

lungo strade

che il varco chiude,

per porti che non hanno odori

in cui il cambiamento boicotta il fermento

e gli animali assieme al vento danno ristoro e giovamento.

Mamma chiama il bambino, papà chiama il bambino

grazie nonna, grazie zia ma dov’è finita l’anima mia?

La filastrocca l’ha in eredità il fratello e la ricchezza la sorella

mentre nuova ignoranza si fa strada nella luccicanza.

Riuscirò a mantenere tutto? Lavorerò ed avrò una famiglia?

L’antica sapienza rusticana e la vera alchimia rurale

danno coraggio a chi non può permettersi di avanzare.

Un vecchio malato e sofferente per l’immobilità

perché ho perso la mia sensibilità?

A te che mi fai tenerezza dico:

prova a non sentirti in colpa perché ci sono ancora chiodi e vecchie foto

pur se ormai sulla carrozzabile sfrecciano le moto.

Il tempo dell’isolamento non esiste più:

addio vecchi dirupi, corde e teleferiche della nostra amata marginalità

la solitudine tra i ghiacci non più ci cullerà.


 Mare

 

Amare a mare il mare

A mare amare il mare

sembra un gioco di parole

laddove una barca viaggia

con istintuale calore.

Il desiderio del bambino è quello del gruppo

purtroppo oggi l’adolescenza è un rutto

tatuato e sin da subito violato.

Eccola la spiaggia

e se fossimo in montagna?

Cambia scenario

non cambia verso la lancetta del tuo orario.

Dottore l’onorario?

No, in pianura siamo con l’abbecedario.

Rumori

a Termini si vendono meloni a un euro:

la povertà che avanza

fa lustro alla mia fragranza

un nuovo arresto in flagranza

delinea la tua costanza.

Rumori

un sole cadente

una luce splendente

tarda a riposare

quel che non si vuole mostrare.

A mare amare il mare

lasciati trasportare dal luccichio delle onde

oggi ci siamo

domani non più

e se monta l’angoscia

sei vicino alla risposta.


 Gloria nichilista (S. & A.)

 

 

Due corpi smembrati

in una accademia di mai pacificati,

dove sono gli alcolizzati?

Dove sono i drogati?

Si domanda agli avvocati.

Nessuno risponde,

solo accampati.

Squarcio la tela,

mi butto dal locale:

fuori nevica e

tira maestrale.

Grido e alzo le mani

conto i nani,

la pozione non è pronta:

nessun rito

nessuna conta.

Ci siamo incarnati nell’ assenza di assoluto

e il nostro caos non era una stella danzante

e nemmeno una supernova luccicante,

ma il vuoto profondo di un nullo buco nero.

Da Da Da

noi siamo il meno per meno

Da Da Da

materia oscura

supposta esistente

in un focolaio che non conduce da sempre a niente.

Terribile onnipotenza

impenitente impotenza

squallida presenza.

Suona la sveglia

da un tempo mai continuo

ma perennemente vicino

e il letto divampa

in un quadrato a distanza.

Due occhi scrutano

il triangolo biforcuto

e un sole sorridente

ci riporta a niente.


 Crepitio

 

 

Crepitio

Crepitio

Crepitio

noi siamo i morti oltraggiati

di nuovo a nuovo destinati

senza che mai fossimo stati consultati

e quindi progressivamente dimenticati

senza che fossimo minimamente partecipati.

Troppe sono le domande rimaste inevase

perché non ancora nessuno le ha pensate.

A quale via le nostre case?

Cambia nome il nostro cimitero?

Non è più questo il viale giornaliero?

Cosa resta della nostra generazione?

Dov’è l’indirizzo della nostra tensione?

Guai a voi!

Pagherete con rivoluzione

questa vostra rinominazione.

Un nuovo sradicamento è in atto

ma veloce e distaccato come un gatto

interessato,

arriverà il prezzo di cotanto voto efferato, plagiato, deturpato

e contro la genia

usurpato.

Crepitio

Crepitio

Crepitio

di quattro paesi e non solo ne han fatti davvero uno solo.

E allora il vostro volo

sarà punito da un moro

che riporterà generazione,

laddove il progresso suadente

la cultura e la storia

ha reso perdente.

Una sola identità

per mille atrocità

non resisterà

al soffio di ciò che avverrà.

Sentiamo già un nuovo vento

che non ha il sapore marcio della vostra falsità

ma, dolce incubo,

testimonierà

attesterà

produrrà

nuova libertà.

Crepitio

Crepitio

Crepitio

già vediamo i nuovi nati

i futuri morti

tornare alla loro genia

fino a far finire questa nuova pazzia.

Uniti per unire

dividerete tutto.

Divisi per dividere

unirete tutto.

Questo è il nostro responso

fatene pure un ballottaggio

oramai non più c’interessa l’oltraggio.


 Ti osservo

 

 

Ti osservo:

la volontà si rivela nella tua tensione

cominciò tutto con un’ossessione

continuammo con una paziente elaborazione

e costruimmo un desiderio.

Ti osservo:

non è stato un percorso razionale

non è stato un cammino carnale

non è stato un inganno emozionale

è stato un delirio sentimentale.

Ti osservo:

capisco la tua vergogna

ghermisco la tua voglia

mentre insieme ci salviamo dall’asprezza

conoscendo la tenerezza.

Ti osservo:

rifletti le mie paure

sono lo specchio delle tue storture

e insieme ci opprimiamo di brutture.

Ti osservo:

superiamo l’impossibile

raccogliamo il possibile

ci dilettiamo nell’incerto

e non faremo mai solo sesso.

Ti osservo:

abbiamo la stessa concezione

proviamo la medesima oppressione

siamo un interessante compromesso.

Ti osservo:

domani ameremo un nuovo ricordo

Ti osservo:

non abbiamo mai tempo per compenetrare le emozioni

Ti osservo:

ci arrampichiamo nel nostro selciato,

un giovane mai amato

un fiore sbocciato

l’autunno è arrivato

e il nostro amore ha l’orizzonte spianato

mentre osserviamo quel che è stato tracciato

e io sono appagato.

Ti osservo:

molte improbabili esperienze

molte certe presenze.

Ti osservo:

la nostra diversità

la nostra frugalità

antropologica marginalità.

Ti osservo:

come naviganti ondeggiamo

in frequente benessere

che riempie il mio essere.

Abbondante avere

duro lavoro

e creativo coro.

Ti osservo:

sono rapito

e il mio orgoglio

diventa infinito.

Ti osservo:

umile e felice

come Dante con Beatrice.

Ti osservo e mi osservo mentre ci osserviamo:

quando mi osservi

tu mi preservi.


 Ornella

 

 

La vita ti conosce,

l’arte ti brama,

il canto è solo la tua sottana

in cui il tuo desiderio diventa immagine ed espressione

della tua intensa e mai doma emozione.

Chi sei tu,

se non una corda che non stride,

chi sei tu,

se non una corda che non suona

quando l’armonia e l’accordo

cedono il passo a un groviglio disadorno.

Ma sei tu quando soprattutto convinta

affermi che veramente è bella

la vita tortuosa,

senza l’inganno di una figura sontuosa

e l’immenso trova in te una comprensione

che nessuno può spiegare

se non s’inchina dentro il mare ad osservare

le sole stelle naufragare

ma mai affondare

come, invece, accade ovunque alla passione

se all’intenzione

si sostituisca il dovere

e la mercificazione.


 Donne curde

 

 

Un fucile, una borsa

un sogno, una fossa:

eccoli i popoli oppressi

ingannati, sfruttati

schiacciati, violati.

Quale diversa resistenza?

Quale presente sofferenza?

Ipocrita donna capitale

osserva le curde lottare.

Quale diversa resistenza?

Quale persistente assenza?

Amata donna leale

la non violenza potrà mai avanzare?

Guerrigliere, figlie, madri, amanti, nonne e spose

con i fieri colori nelle rocce

mentre le occidentali escono dalle docce

di palestre, piscine e centri estetici:

noi uomini eretici

noi uomini patetici.

Se nascevi curda?

Se non nascevi?

Boicotta la forca.

Tenera donna

cosa vuol dire

patire

subire

soffrire?

Cos’è questa sanguinosa violenza?

E perché il tuo sacrificio

deve essere così ardito?

Fiore reciso.

Profondo rispetto,

incommensurabile devozione

per la tua lotta

che ha già vinto contro ogni bigotta.

La vostra dignità

implica pietà,

la vostra dignità

esige profondità.


 Maschere sarde

 

 

Nel silenzio del cammino

ascolta il suono che è vicino

e rapito dall’ancestrale tintinnio,

osserva questo dondolio

mentre in fila dirigete

e qualcuno è lì per tirare la rete.

Antica sapienza

stessa effervescenza,

nuova fatica

vecchia vita.

Quel passo sacro e severo

traccia il massacro cavaliero

mentre le pelli, sudore e dolore,

ricordano l’esistenza senza tepore.

Frastuono ieratico di maschere orribili

per sempre assolvibili

risplende l’orrore

e si è testimoni d’amore.

Tuono sabbatico di ossa sanguinanti

alimenta felicemente l’ardore

che rende i fetori

scintillanti scrittori.

Artigiani e pittori

pastori e scannatori,

fuori da ogni nazionalità

ricordate l’adolescente età.

Eccole le corna

eccola la sbornia

in processione una parca,

stantia, affligge il bue

e da lassù mai una barca

violenterà i due.

Una folla reclama

lo stolto che brama,

due corna inzuppano

un duello che sviluppano,

tre bastoni

percuotono i cannoni

e dentro le pelli

l’uomo ritrova gli stessi fradici

gemelli.

La natura è cultura

la morte è struttura

e il bosco la incorona matura.

Un fuoco arde a cancellare

tale stortura

e consuma la legna,

mentre il nero

impiastra la faccia

che esiste nient’altro che per la caccia.

Urla gementi

risate piangenti

fanno nuovo il mesto coro:

da qui mai ci si cingerà d’alloro.

Sopra ogni cisto

una maschera abbraccia un imprevisto,

sotto ogni mirto

una maschera accoglie un rischio:

dentro ogni sughera

una maschera aizzerà

la triste pietà

e calorosa

sangue vorrà.

Nessuna morale

etica abissale

colma misura

per ogni sventura.

Albero avvelenato

in fondo a un monte gelato,

da un affascinante ruzzolio

viene fuori questo tramestio

e soffice, un mantello

orribilmente osanna tal secolare fardello.

Orrore orrore orrore

Clamore clamore clamore:

la storia di un fiore appassito

lo scandalo preferito

il ricco pervertito

il giovane arricchito

il vecchio incancrenito

l’odio incallito

diverte l’oppresso

striminzito e sbigottito.

Batti batti batti

Patti patti patti

tale rituale non è moderno

perché è eterno.

Stiamo a guardare ciò che non

si deve spiegare.

Stiamo a contemplare ciò che

si deve piegare.


 Valery

 

 

Gli anni 70’ non se ne sono mai andati

per chi vive la poesia da catturati.

Gli anni 70’ non se ne sono mai andati

per chi li ha censurati.

Gli anni 70’ non se ne sono mai andati

per chi sta sulla strada in vetrina

per chi osserva la vicina

per chi fissa già dalla prima mattina.

Gli anni 70’ non se ne sono mai andati

per chi si nasconde invecchiando

un lamento lontano, un sogno saporito, un benessere sfiorito

per chi cantando viaggia lodando

e dietro il muro prova l’avventura

di una riuscita insicura.

Gli anni 70’ non se ne sono mai andati

la solitudine è rimasta, il dio crudele

si è arricchito sulla pelle di mille muri di Babele.

Gli anni 70’ non se ne sono mai andati

nascosti, assopiti per chi la notte sogna incubi

rapiti e in divenire già sfiniti.

Gli anni 70’ non se ne sono mai andati

idolatrati, assuefatti e ricompatti

per chi, in mezzo ai gatti, trova insulti e ratti.

Gli anni 70’ viaggiano ancora

nel tempo della verità mistificata

su un attentato di un giovane pagato

per una donna arruolata e con la balalaika

sfregiata, sfregata e non ancora dimenticata,

nella sua mente avvinghiata

eppure ancora da se abbordata.

Gli anni 70’ non se ne sono andati il malessere è rimasto

con uno strano rimpasto,

il marciapiede diventa un luogo fasto

pieno del casto di ogni sasso,

mentre il boato di una transenna

ci ricorda a chi dobbiamo la nostra insegna.

E colpevoli non ci arrestiamo

al fluire di questa di questa immane violazione

di ogni diritto frutto della nostra azione.

Gli anni 70’ non se ne sono mai andati

maledizione il piano non è riuscito

ogni morto sarà censito, il responsabile trovato e in galera assicurato

se clandestino rimpatriato e benevolmente sfruttato.

Gli anni 70’ non se ne sono mai andati

fiumi di droga a buon mercato

fanno giusto ogni malato che può essere tacciato e con il biologico

cacciato.

Gli anni 70’ non se ne sono mai andati,

ascoltando le nostre canzoni, sono insulti queste missioni.

Gli anni 70’ non se ne sono mai andati,

tante frontiere, sottoterra pronte per essere rialzate le nostre bandiere.

Gli anni 70’ non se ne sono mai andati

è dolcissimo il tuo baciare

l’emozione è restare.