Mara Albertini - Poesie e Racconti

Il regalo

Uno sguardo alle vetrine dei negozi affacciati su Piazza Peretti a Castelnovo Monti.
La scritta “JACK & JOE” stampata a grandi lettere su una vetrata attira la mia attenzione.
Rivedo lo studio fotografico com’era 50 anni fa: una decorosa vetrina con diverse macchine fotografiche esposte e cornici con visi sorridenti.
I miei genitori mi avevano regalato una macchina fotografica, una FERRANIA 3M ed ero impaziente di poterla usare. Frequentavo la II^ Superiore e la gita scolastica programmata a breve sarebbe stata l’occasione ideale.
Erano stati giorni bellissimi. Al rientro, scaricata la valigia, dopo i concitati saluti ancora un po’ frastornata, un pensiero mi aveva trafitto lo stomaco – la macchina fotografica era rimasta sul comodino dove, stanca e distratta, l’avevo appoggiata la sera prima -. E adesso?
Sentivo già le frasi lamentose di mia madre. E temevo quello sguardo stizzito da eterna vittima.
E se ne sarebbe lamentata ad ogni occasione per tanto tempo.
Detestavo quel film, l’avevo già visto e rivisto. Ma soprattutto mi faceva soffrire la delusione che avrei visto negli occhi di mio padre. Avrebbe detto solo poche parole concise e chiuso l’argomento.
Dovevo trovare una soluzione. Con rabbia mi chiedevo perché dovessi sempre affrontare continui
ostacoli e perché non ci fosse mai qualcuno al quale poter chiedere aiuto.
– “ Sì, era andato tutto bene…sì il tempo era stato bello….sì, certo, avevo scattato tante foto, doveva-
no essere senz’altro belle. sì, la macchina fotografica era pratica e semplice da usare, sarei andata dal fotografo al più presto per farle sviluppare.”-.
Avevo qualche giorno di tregua, qualche giorno per pensare.
I pensieri si accavallavano, si confondevano, mentre mi avvicinavo al negozio del fotografo.
Era un uomo alto, così mi sembrava, aveva un bel viso e un sorriso cordiale.
Elettra, sua figlia , era stata mia compagna di scuola alle elementari e alle medie, ma non eravamo mai state grandi amiche. Rivedevo i suoi occhi azzurri, i suoi riccioli biondi, il viso rigato di lacrime mentre l’insegnante leggeva la storia di Cosetta da “ I miserabili”; una delicata bambola di porcellana, ed aspettavo fiduciosa il momento in cui qualcosa si sarebbe incrinato in quella perfezione.
Perchéil mio aspetto, quando la guardavo, mi feriva ancora di più: carnagione olivastra, occhi scuri e anonimi, capelli lisci e castani, impacciata e timida, quasi selvatica.
Questi ricordi mi avevano aiutata a superare il disagio e decisa spinsi la porta.
Dritta davanti al banco, cercavo le parole giuste.
Il fotografo mi guardava con benevolenza -sì, si ricordava di me.
E parlai tutto d’un fiato.
– “Ricorda la macchina fotografica che mio padre mi ha regalato?
– Certo, una buona macchina, l’hai usata?
– Sì, ma l’ho dimenticata in albergo e non so come fare. Lei potrebbe procurarmene un’altra uguale? Io gliela pagherei un poco per volta con la paghetta settimanale” –
Ecco, era stato più facile di quanto immaginassi. E rigida, quasi sull’attenti, aspettavo, e riuscivo a deglutire e anche a respirare in modo quasi normale. Mi guardò con un’aria quasi divertita e sorridendo mi rispose che sì, era possibile, non era una cifra esagerata.
Erano trascorsi diversi mesi, anche quel sabato avevo portato la somma risparmiata.
Preso il denaro, mi aveva detto con semplicità che non dovevo più preoccuparmi, il mio debito era
saldato. Perplessa lo avevo guardato con un leggero disagio, ma il caldo sorriso di quel viso paterno aveva spento quel guizzo di orgoglio ferito e lo ringraziai, impacciata.
Forse ne aveva parlato con Elettra e gli pesava privarmi della mia paghetta settimanale.
Forse la bambola di porcellana non era solo porcellana, come avevo creduto, con sofferta invidia.
Tanti anni se ne sono andati, tanta vita è scivolata veloce, ma quel gesto mi commuove ancora e mi riporta a quel mondo piccolo dal quale me ne sono andata correndo e al quale ora vado chiedendo di
qualcosa che ho lasciato non so più dove, e non ha nome.

 


 

La Verità

Ha valore la fede, ha valore la speranza e anche la carità.
Tre, sempre insieme come i tre Magi e la Ss.Trinità.
Ha valore la poesia, sincera, struggente, audace ironia.
Ha valore un tailleur di nebbia, pura armonia.

Ha valore la dignità amica della lealtà,
rocce trasparenti beffate solo da labbra ingrate.
Ha valore un piatto da lavare, un frutto da assaporare,
l’incanto della vendemmia, il fragore di una bestemmia.

Ha valore una chiesa in attesa, una preghiera sincera.
Ha valore un desolato sconforto, un vecchio assorto.
Ha valore una foto sbiadita in una lapide scalfita.
Ha valore un profumo di caffè, una sala da the e un regalo per te.

Ha valore un sorriso stanco ed un foglio bianco,
ha valore un assillo su tacchi a spillo,
ma quando la neve mi avvolgerà
e un silenzio complice mi cullerà,

avrà valore solo la VERITA’.

 


 

Io, Agapanthus perenne

Te ne andasti un mattino di giugno,
in gola soffocavi un lungo digiuno,
e in un autunno di ruggine brillante
sei tornata, agapanthus perenne ed elegante.

Io benedirò con gocce di rugiada
i tuoi fiori blu e regalerò al vento,
intrecciati in leggiadre ghirlande
orgoglio ferito e sottile rimpianto.

Starò seduta accanto a te,
e se i ricordi si sfilacceranno nella mente,
berrò dal calice tutte le tue parole
e rideremo assaporando lacrime e miele.

Foto sbiadite accarezzate dalle tue dita,
mentre malinconiche rughe ti sorridono.
Non aver paura d’ invecchiare spettinata,
io levigherò gli affanni e tu il mattino.

Non curarti di stolti pregiudizi,
cammina vestita di poesia
e la silenziosa guerra di nasturzi
deporrà le armi, senza ipocrisia.

Ti ho promesso…nessuno sarà avaro.
Ho disperso il tuo risentimento amaro,
ho ricamato essenze sul tuo destino,
e sparso boccioli sul tuo leggero cappellino.

Ti ho presa per mano, bimba impaurita e sola,
e ho sospinto, piano, una ragazza appassionata e sola.
Ti ho consolata, già donna, con un filo di perle,
e ora sorrido, addolcita, con quel filo di perle.

Sono belli i tuoi fiori blu…
ed io avrò cura dei tuoi fiori blu.
Nel tempo, non saranno mai sciupati,
nel tempo, saranno solo amati.

 


 

Noi, le querce

Tu, alta, slanciata,
tondeggiante eppur affosolata.
I tuoi rami fiutano l’aria,
giocando con armonia.

Le foglie ti accarezzano,
poi, lentamente, ti spogliano.
Ma tu, severa e maestosa,
rimani in attesa.

Sei viva
senza rancori,
anche io sono viva,
in un silenzio urlato senza clamori.

Sei salda,
e ascolti il tronco ingrigire,
sei salda,
e si fa più lento lo stormire.

Anche io sono salda
e le narici bevono tutto il passato,
anche io sono salda,
e le mani sfiorano un viso spogliato.

Noi, schive, carezzevoli sguardi
in un eterno donare,
noi, generose, improvvisi slanci
in un muto domandare.

Noi, tu ed io,
determinate, uniche,
Noi, tu ed io,
per sempre amiche.

15 marzo 2017

 


 

O sogno

Vinco il Nobel
insieme all’autorevole Rita
– i capelli hanno la stessa onda –

Disquisisco di filosofia morale
con Lei, la Grancontessa Matilde
– ci capiamo –

Guardo negli occhi
una orgogliosa tigre bianca
– non abbiamo paura –

Declamo a memoria
versi della Divina Commedia
– nessuno si stupisce –

Mi piace il viso
che lo specchio riflette
– ancora scampoli di vivacità –

Vedo i cipressi tagliati
senza pietà, sono tornati
– abbracciano le tombe –

Volo con la grande aquila,
lo stesso sguardo acuto
– siamo sempre state amiche –

Ascolto i miei passi
nelle stanze vuote
– nitidi echi lontani mi abbracciano –

Mi guardano, uniti e in pace,
mamma e papà
– e finalmente piango –

 


 

ANAFORA

 

Lodata sia la LUCE -

e il suo armonioso calore.

 

Lodato sia il BUIO -

perchè mi fa vedere dentro.

 

Lodato sia il GIORNO -

mi permette di ricominciare

sempre e comunque.

 

Lodata sia la NOTTE -

che mi dona quiete.

 

Lodata sia la GUERRA -

che fa apprezzare la pace.

 

Lodata sia la PACE -

capace di rendere agli  uomini la dignità.

 

Lodato sia il VENTO -

con il suo messaggio di libertà.

 

Lodata sia la LIBERTA’ -

che mi permette di scegliere.

 

Lodata sia la MONTAGNA -

che abbraccia la mia salita 

fin lassù, in alto.

 

Lodato sia il MARE -

furioso o addormentato,

sempre meravigliosamente bello.

 

Lodata sia l’AMICIZIA -

capace di rendermi migliore.

 

Lodato sia il SORRISO -

solare e bello in ogni viso.

 

Lodato sia l’AMORE PER LA VITA -

così potente da farmi rialzare ad ogni caduta

più forte e più determinata.

 

Lodati siano i LIBRI -

che ad ogni pagina

mi prendono per mano.

 

Lodato sia il DESIDERIO DI CONOSCENZA -

potente, impetuoso, 

fonte di eterna giovinezza.

 

Lodata sia la LUC -

amorevole dispensatrice

delle ore trascorse insieme.

9 NOVEMBRE 2016


CASTA DIVA

Grandezza leggera,

forza, vigore,

tragedia, armonia.

Trema il labbro,

commozione infinita scorre,

lenisce, come un rivolo

lascia sedimenti.

 

Scivola via la paura,

resta uno struggente rimpianto.

Una malinconia sottile scolora,

forza e volontà restano,

posso guardare

e posso vedere, ora.

 

Domani sarà un pezzo di oggi

come ieri è stato un pugno di sabbia

insieme a tanti granelli di rabbia

sempre in fuga e sempre in attesa.

 

Questa preghiera alla luna

è anche la mia preghiera.

Sempre in alto ho guardato,

sempre in alto ho cercato.

 

Ho cercato la fede

e ho cercato la pace.

Ho urlato domande,

e non ho trovato risposte.

 

Dopo un lungo viaggio oggi

ho disceso la montagna

per trovare il mio approdo,

per incontrare un caldo abbraccio

dal quale non voglio più ritrarmi.

 

23 febbraio 2017


IL MIO PANE

 

Farina macinata a pietra, 

nobile e profumata.

Farina integrale scura, altera,

per anni scartata, ora

cercata e coccolata.

Le lascio scorrere 

tra le dita e ne provo 

un sottile piacere.

 

Lievito madre, sapore antico.

Semi di papavero, semi 

di girasole, semi di sesamo; 

respiro i diversi aromi.

Acqua tiepida,  latte un poco,

olio d’oliva, miele ambrato, 

sale, tutto si unisce, 

tutto si impasta.

 

Nella cucina, al tepore della 

stufa a legna, l’impasto piano

piano si gonfia, e scresce, cresce.

E ancora è lavorato, 

e ancora, e le mie mani sprofondano 

in questa morbida pasta 

e sul tagliere nascono 

rotonde pagnotte.

 

Incido un leggero taglio

incrociato tramandato

dalla tradizione, ancora 

si gonfia, lievita,

e finalmente entra nel caldo forno.

Un cesto di salici intrecciati 

a mano, un panno, una tovaglia,

sono in attesa.

 

Le  pagnotte caldissime,

con la crosta leggermente sbrecciata

vi scivolano dentro 

e le mie mani le avvolgono,

con amore.

Un tepore umido sale dal cesto,

un profumo arcaico, inconfondibile, 

si spande per la casa.

 

E’ il mio pane, e ne gioisco

ogni volta come una bambina.

 

23 novembre 2016


IL REGALO 

 

Uno sguardo alle vetrine dei negozi affacciati su Piazza Peretti a Castelnovo Monti.

La scritta “JACK & JOE” stampata a grandi lettere su una vetrata attira la mia attenzione.

Rivedo lo studio fotografico com’era 50 anni fa: una decorosa vetrina con diverse macchine fotografiche esposte e cornici con visi sorridenti.

I miei genitori mi avevano regalato una macchina fotografica, una FERRANIA 3M ed ero impa-

ziente di poterla usare. Frequentavo la II^ Superiore e la gita scolastica programmata a breve sarebbe stata l’occasione ideale.

Erano stati giorni bellissimi. Al rientro, scaricata la valigia, dopo i concitati saluti ancora un po’ frastornata, un pensiero mi aveva trafitto lo stomaco – la macchina fotografica era rimasta sul comodino dove, stanca e distratta, l’avevo appoggiata la sera prima -. E adesso?

Sentivo già le frasi lamentose di mia madre. E temevo quello sguardo stizzito da eterna vittima. 

E se ne sarebbe lamentata  ad ogni occasione per tanto tempo. 

Detestavo quel film, l’avevo già visto e rivisto. Ma soprattutto mi faceva soffrire la delusione che avrei visto negli occhi di mio padre. Avrebbe detto solo poche parole concise e chiuso l’argomento. 

Dovevo trovare una soluzione. Con  rabbia mi chiedevo perchè dovessi sempre affrontare continui

ostacoli e perchè non ci fosse mai qualcuno al quale poter chiedere aiuto.

- “ Sì, era andato tutto bene…sì il tempo era stato bello….sì, certo, avevo scattato tante foto, doveva-

no essere senz’altro belle. ….sì, la macchina fotografica era pratica e semplice da usare, sarei andata dal fotografo al più presto per farle sviluppare……”-.

Avevo qualche giorno di tregua, qualche giorno per pensare.

I pensieri si accavallavano, si confondevano, mentre mi avvicinavo al negozio del fotografo. 

Era un uomo alto, così mi sembrava, aveva un bel viso e un sorriso cordiale.

Elettra, sua figlia , era stata mia compagna di scuola alle elementari e alle medie, ma non eravamo mai state grandi amiche. Rivedevo i suoi occhi azzurri, i suoi riccioli biondi, il viso rigato di lacrime mentre l’insegnante leggeva la storia di Cosetta da “ I miserabili”; una delicata bambola di porcel-

lana, ed aspettavo fiduciosa il momento in cui qualcosa si sarebbe incrinato in quella  perfezione.

Perchè il mio aspetto, quando la guardavo, mi feriva ancora di più: carnagione olivastra, occhi scuri e anonimi, capelli lisci e castani, impacciata e timida, quasi selvatica.

Questi ricordi mi avevano aiutata a superare il disagio e decisa spinsi la porta. 

Dritta davanti al banco, cercavo le parole giuste. 

Il fotografo mi guardava con benevolenza -sì, si ricordava di me.

E parlai tutto d’un fiato.

- “Ricorda la macchina fotografica  che mio padre mi ha regalato? 

- Certo, una buona macchina, l’hai usata? 

- Sì, ma l’ho dimenticata in albergo e non so come fare. Lei potrebbe procurarmene un’altra uguale? Io gliela pagherei un poco per volta con la paghetta settimanale……” -

Ecco, era stato più facile di quanto immaginassi. E rigida, quasi sull’attenti, aspettavo, e riuscivo a deglutire e anche a respirare in modo quasi normale. Mi guardò con un’aria quasi divertita e sorri- dendo mi rispose che sì, era possibile, non era una cifra esagerata.

Erano trascorsi diversi mesi, anche quel sabato avevo portato la somma risparmiata.

Preso il denaro, mi aveva detto con semplicità che non dovevo più preoccuparmi, il mio debito era

saldato. Perplessa  lo avevo guardato con un leggero disagio, ma il caldo sorriso di quel viso paterno aveva spento quel guizzo di orgoglio ferito e lo ringraziai, impacciata.

Forse ne aveva parlato con Elettra e gli pesava privarmi della mia paghetta settimanale. 

Forse la bambola di porcellana non era solo porcellana, come avevo creduto, con sofferta invidia. 

Tanti anni se ne sono andati, tanta vita è scivolata veloce, ma quel gesto mi commuove ancora e mi riporta a quel mondo piccolo dal quale me ne sono andata correndo e al quale ora vado chiedendo di

qualcosa che ho lasciato non so più dove, e non ha nome. 

 

5 febbraio 2018


30 Novembre 2017

Personale Interpretazione  Poesia


Ed è subito sera

di Salvatore Quasimodo

 

Ognuno sta solo  sul cuor della terra

trafitto da un raggio di sole:

ed è subito sera.

 

C’è un momento, ogni giorno, in cui mi confronto con una Mara che non conosco,

un momento in cui mi guardo allo specchio e non sempre mi piaccio.

E’ un momento che vivo in silenzio, sola con le mie incertezze, con i miei dubbi,

con le mie paure. Spogliata di ogni orpello, tolta ogni maschera, con umiltà riprendo

in mano i fili della mia vita.

E attingo forza da questa nostra terra, dai suoi colori, dai suoi profumi, dai suoi silenzi.

Sento il suo cuore pulsare, sempre pronta a donare, e come una madre, generosa ed

eterna.

Lungo il mio cammino la luce calda del sole ha sciolto alcune durezze, ha accarezzato

tante ferite,  ha illuminato le mie speranze, e ha anche bruciato attimi importanti, mai

più ritrovati. Ma è sempre stato unico, irripetibile, il lacerante dono dell’amore, tanto

generoso e tanto egoista, tanto vulnerabile e tanto intrepido.

Ho camminato decisa fra luci abbaglianti e ombre improvvise e ho sempre guardato

lontano. Raggiunta una meta, ne ho rincorso un’altra subito dopo.

Ora il mio passo cerca di essere più lento e leggero; sono meno severa con me e con

gli altri, ma penso di avere ancora tanto da realizzare.

E proprio per questa certezza, ora, sto imparando a vedere più vicino.

Sto provando a vedere la mia sera con un sorriso più sereno.

Sì, vorrei poter dire, arrivata la mia sera, 

 – Ti ringrazio, Eccomi, Sono pronta……… -


LO SPECCHIO

Luci abbaglianti, un incrociarsi di saluti, un brusìo festoso in sottofondo.

Una voce dal timbro deciso ma amichevole racconta, spiega, ripete.

Dalla platea applausi, risa liberatorie. Poi un silenzio improvviso, come d’attesa.

Un timbro caldo, parole recitate, svelate, accarezzate.

Seduta, immobile, lei ascolta e lo stupore sale fino a stordirla.

Ma è la sua poesia…..la sua anima gliel’aveva dettata in una buia mattina di sole e lei

la custodiva gelosamente insieme ad un foulard con l’orlo sfilacciato.

Ora, una voce autorevole scandisce un nome, il suo nome…….

E’ come lo sentisse pronunciare per la prima volta…..

I suoi pensieri si sono fermati, nelle orecchie come il suono di un’onda, le sue mani sembrano

suonare la tastiera di un pianoforte.

Ora tutta la platea è in piedi, e tutti battono le mani e la guardano…..sì guardano proprio lei.

Emozionatissima, si alza per salire sul palco dove ….

Un rumore deciso mi fa sobbalzare. 

Un trattore sbuffa, tossisce e rotola nel viottolo in discesa.

E penso, con una punta d’ironia:  ”sì quello specchio va decisamente spostato”-

 

22 Febbraio 2018


MI GUARDO ALLO SPECCHIO

 

Mi guardo allo specchio.

Cosa c’è dietro l’immagine riflessa? 

Già, cosa c’è? Troppo difficile, troppo profondo, troppo pericoloso porsi questa domanda.

Molto pericoloso perché guardarsi dentro davvero vuol dire soffrire, vuol dire ascoltare finalmente quello che ci dicono gli occhi, il viso, il corpo.

Negli anni spesso mi sono osservata. 

Cercavo di capire chi ero veramente, se mistavo rispettando, ma le risposte sono sempre state vaghe, e comunque non avevoscelta. 

Indossata la giacca come un’armatura, mi sentivo parte di qualcosa e questomi permetteva di tacitare quel vuoto che affiorava. 

Ora gli occhi mi trasmettono forse determinazione, velati però da anni di compromessi che all’inizio

non sembrano tali, velati da uno spesso strato di perbenismo mascherato da apparente senso di correttezza e rispetto dei giusti valori. 

Gli occhi chiedono aiuto per poter sollevare quel velo che ha offuscato da sempre il mio sentire, i miei desideri. Se guardo bene anche quando la bocca ride gli occhi restano immobili, assenti, perché dentro niente fa ridere di vera, profonda felicità.

Le mie spalle sono sempre state erette e l’incedere quasi una sfida.

Una sfida, perché chi mi incontrava non doveva capire che quelle spalle reggevano un pesante fardello; nessuno lo poteva vedere, nessuno lo doveva sapere. 

Il mio viso ha sempre trasmesso l’immagine di una donna curata e giovanile. La mobilità della muscolatura risponde alla minima sollecitazione esterna ed il viso si contrae, ma un poco di matita

qua e un po’ di fondotinta là mascherano la sofferenza ed il respiro affannoso. 

Questo per gli altri, per le persone che mi vedono, mi incontrano, ma non mi conoscono davvero.

 E per me? Per me questo viso continua a parlare. E’ teso, tirato, grigio. Mi sta dicendo ….

- Basta, fermati un attimo e non farti più del male, ma, soprattutto, non permettere più che te ne

facciano gli altri. Vedi, quella ruga è nata quando hai pensato che se non eri riuscita a farti amare era senz’altro colpa tua. Poi, dall’altra parte, ne è nata un’altra più profonda quando hai accettato che gli altri te lo ripetessero. Poi quella riga profonda nella fronte è nata quando hai cominciato a chiederti perché era così difficile esprimere quello che sentivi, perché era così difficile farti capire. Ogni anno il solco è diventato più profondo perché hai abbandonato la lotta, rassegnandoti, tu che eri sempre pronta a difendere le scelte apparentemente controcorrente, a non condividere giudizi superficiali. -

Ora gli occhi sono meno spenti –  mi dicono – ma sono sofferenti. Vedono persone che mi

giudicano. Vedono persone che mi guardano ma non mi vedono, non mi conoscono.

Sono però decisa a guardare i miei occhi con più attenzione e leggere consapevolmente

quello che mi trasmettono.

Le spalle sono meno rigide ma ricordano i tanti anni trascorsi ad inviare messaggi precisi e non si

lasciano andare facilmente.

Ora mi guardo e cerco di non giudicarmi. 

Vedo una donna stanca di combattere per farsi accettare com’è da chi non può e non vuole farlo.

Vedo una donna che mi trasmette tanta amarezza per un mondo “piccolo” di cui ha fatto parte e che sta andando in frantumi. 

Vedo una donna che conquista ogni giorno più forza per resistere e convincersi che ha fatto una scelta giusta anche se devastante. 

Vedo una donna che mi sorride con profonda tristezza ma cerca di volersi bene e di accettarsi

nel bene e nel male senza vergognarsene.

 

Aprile 2015


ODE AL LIBRO

Così forte

Così fragile

Così cedevole

Così triste

Questo libro

Bello come un sogno

E cattivo come la realtà

Quando la realtà è cattiva

Questo libro così vero

Questo libro così bello

Così brillante

Così gaio

E così beffardo

Indifeso come un bambino al buio

E così sicuro di sé

Questo libro che impauriva qualcuno

Che faceva parlare

Questo libro sfogliato

Perchè noi lo sfogliavamo

Preso lasciato scarabocchiato dimenticato

Perchè noi lo abbiamo preso lasciato scarabocchiato dimenticato

Questo libro tutto intero

Ancora così vivo

E’ tuo

E’ mio

Questo libro sempre nuovo

E che non è mai cambiato

E’ nostro.

 

15 febbraio 2017


Prima che IO nascessi…

 

Ascolto, assorbo, non vorrei ascoltare……….             

Vorrei solo essere avvolta in un caldo amorevole abbraccio, invece sento già sulla mia pelle, così sottile, qualcosa che brucia e che porterò sempre con me. Non lo vedranno le persone che incontrerò, ma io lo sentirò, sempre.

Annaspo, cerco un po’ di tranquillità, ma non la trovo.

Quando nascerò, dovrò avere un’armatura per sopravvivere, sarà una lunga guerra .

Sono così piccola, così indifesa, ma a loro non interessa.

Oggi è un giorno di marzo, non so esattamente quale, e loro non me  lo diranno mai.

Sento agitazione, una gioia dura e amara; sorrisi, pochi.

Le foto ricorderanno una coppia bellissima.

Lei, tanti riccioli neri, alta, indossa un cappotto nero, un grosso bottone di madreperla come gioiello. E’ rigida e lo sarà sempre. 

Lui, magro, alto, elegante, stringe nervosamente una sigaretta tra le dita. Sembra lì per caso. 

Sono vicini ma non si toccano. 

Due anime tormentate unite in un frettoloso matrimonio riparatore da Don Giuseppe Sala,  zio

della sposa.

Un tormento  gettato con fredda indifferenza su di me.

Non mi conoscono ancora, sanno solo che io sono colpevole. 

Avrei potuto viaggiare ancora e andare oltre, dove mi aspettavano carezze e gioia, ma mi sono fermata perchè loro avevano bisogno di me, e non lo sapranno mai.

Sono stanca , non voglio sentire, lasciatemi sola ancora un po’…

Quando nascerò, femmina, il silenzioso rimprovero mi assalirà e mi farà male.

E sarà sempre colpa mia, di qualsiasi cosa possa accadere nell’universo.

Già c’era il peccato originale, cancellato sì dal S. Battesimo, mi diranno, ma fatto pesare così tanto…

Sarò ribelle  e accomodante, orgogliosa e vulnerabile, e anche amata,  ma mai capita.

Loro, i miei genitori,  sono figli di un tempo chiuso e povero, ed io trascinerò il mio peso ed il loro. E un giorno, non li giudicherò più e li onorerò.

La lettera scarlatta nel tempo si sbiadirà  ma io combatterò a lungo per esserne liberata. 

 

22 Marzo 2018


Un giardino fatato

Un giardino fatato, 

tanti posti vuoti,

e un perenne agaphantus

con sferici fiori blu.

 

Aspetta, con trepidazione,

aspetta, fiducioso,

chi tornerà a donare  

tempo e sorriso?

 

E arriva lei, Brunetta, 

una ginestra dai fiori giallo oro, 

umile ma luminosa, 

capace di portare il sole.

 

La segue Cesare, un tulipano nero

fatale, elegante, 

tollerante, giusto,

il fiore più amato al mondo.

 

Roberta sta sfilando 

con eleganza e fierezza, 

un amarillys 

dai grandi fiori colorati.

 

Silenziosa, ecco Marialuisa, 

una ortensia romantica e forte,

scenografica, 

capace di cambiare colore.

 

Un frusciante tappeto di piccoli

fiori blu indaco, mi rivela

l’arrivo della rondine dei fiori, 

una pervinca di nome Laura I.

 

Le si avvicina Francesca,

un ibisco immortale, 

dalla bellezza delicata

e dal sorriso birichino.

 

Sola, decisa, 

ecco Laura C.,

elegante calla

dal bianco imbuto rovesciato. 

Paola, glicine dalla coloratissima

e profumatissima cascata di fiori

viola, si piega verso Silvana,

orchidea raffinata ed armoniosa.

 

Savio, rosso geranio

un poco malinconico, 

si guarda attorno 

in cerca d’amicizia.

 

E’ arrivato anche Roberto, 

vivace girasole,  e ci guarda

con un sorriso che infonde

gioia ed allegria.

 

Tra l’ibisco e l’orchidea,

Maria Rosa, selvatica

e spinosa rosa canina, 

dalla delicata corolla rosata.

 

Marina, lussureggiante peonia, 

nobile d’animo, 

regina di tutti i fiori,

si avvicina all’agaphantus.

 

E anche Carmen è arrivata,

timida e gentile Crysantha,

dai piccolissimi e 

coloratissimi fiorellini.

 

Una profonda commozione,

gli amici sono tornati tutti,

il giardino fatato

si è risvegliato.

 

Possiamo continuare

il  nostro viaggio…

Gli sferici fiori blu 

oscillano, si agitano.

 

Un agaphantus perenne, 

poche gocce di acqua

e riprende la vita, il

suo nome è Mara. 


A Te, amica mia

 

 

La vita Ti aveva dato tanto,

Ti aveva permesso di salire in alto,

Ti aveva osannata..

E Tu, solida

come la grande e vecchia quercia,

oscillavi i tuoi lunghi rami, sicura.

 

Poi, un giorno

la vita Ti ha tolto tutto, troppo,

e Ti ha umiliata.

E Tu, ferita

come la grande e vecchia quercia,

osservi, immobile,

il mondo intorno minaccioso,

e speri.

 

Domani, la vita

Ti ripagherà per questi lunghi

giorni sofferti e cupi.

E Tu, ora un po’ meno solida

come la grande e vecchia quercia,

temprata dall’inclemenza del tempo

inesorabile, resisti,

in una lunga  attesa.

 

27 Novembre 2016


CICATRICE

 

 

Mani sprezzanti come gelidi artigli

Indifesa innocenza perduta

Un balenìo nel cielo lontano

 

Sale un crudele rossore,

una disperata vergogna

 

Poi buio

E poi freddo

In quell’assolato pomeriggio di giugno.

 

 

8 Marzo 2017


IL NOSTRO CASTAGNETO

 

 

Castagne lucide e panciute tra aghi pungenti,

bigia nebbia avvolgente, e una bimba timorosa.      

Un buon odore di ballotte e – Per Avàl –

riempiva le stanze della piccola casa.

 

Nitidi momenti svaniti. Anni fuggiti.

I grandi castagni hanno atteso invano

quella bimba bruna che camminava con passo      

sicuro in un mondo lontano.

 

E un giorno, un uomo e una donna,

ancor giovani, e tenaci, compravano

un castagneto. Gioia infantile e solenne,

profumi, colori, e i rimpianti svanivano.

 

Dare respiro a globose piante centenarie,

tagliare con rispetto le selvatiche,

svellere accesi rovi, innestare ceppaie.     

Tanta dedizione, e sudore, e fatiche.            

 

E i castagni, grati, crescevano rigogliosi,

e generosi di biondi e dolci marroni.

Con orgoglio accarezzavamo, rispettosi,

il frutto del lavoro di tanti umili giorni.

 

Golosi, assaporavamo bruciacchiate

e farinose caldarroste. Poi, una sorda

angoscia…..piante inermi e stremate,

non frutti, non fronda….

 

Solo livida cattiveria del nostro tempo

irriverente. Ma noi, ostinati, li abbiamo difesi,

e amati, e coccolati, e loro hanno resistito.              

Oggi, le belle foglie lanceolate si

 

rincorrono per ringraziarci,

sottili ameni decorano a mazzetti

i grandi rami, e ricci gelosi e sferici

spuntano qua e là intatti.

 

A Voi, leali custodi del tempo           

che scorre, affidiamo la nostra eredità.

Voi, nobili castagni, avete respirato

il nostro amore schivo e la lealtà.

 

E domani, quando Chiara

vi guarderà, ammirata e fiera,

fate che senta il nostro amore venirle incontro……

 

e allora, il ricordo si farà poesia

e una foglia volteggerà lieve nell’aria.


IO,  Agaphantus perenne

 

 

Te ne andasti un mattino di giugno

in gola soffocavi un lungo digiuno,

e in un autunno di ruggine brillante

sei ritornata, agaphantus perenne ed elegante.

 

Io benedirò con gocce di rugiada

i tuoi  fiori blu, e regalerò al vento

intrecciati in una leggiadra ghirlanda,     

orgoglio ferito e sottile rimpianto.

 

Starò seduta accanto a te,

e se i ricordi si sfilacceranno nella mente,

berrò dal calice tutte le tue parole,

e rideremo assaporando lacrime e miele.     

 

Foto sbiadite accarezzate dalle tue dita,  

mentre malinconiche rughe ti sorridono.

Non aver paura d’ invecchiare spettinata,

io levigherò gli affanni e tu il mattino.               

 

Non curarti di stolti pregiudizi,

cammina leggera vestita di malinconìa,

e la silenziosa guerra di nasturzi

deporrà le armi, senza ipocrisìa.

 

Ti ho promesso…nessuno sarà avaro.    

Ho disperso il tuo risentimento amaro,

ho disperso essenze sul tuo destino,   

e sparso briciole sul tuo candido cappellino.  

     

Ti ho presa per mano, bimba impaurita e sola,

e ho sospinto, piano, una ragazza  appassionata e sola.

Ti ho consolata,  già donna, con un filo di perle,  

e ora  sorrido, addolcita, con quel  filo di perle.

 

Sono belli i tuoi fiori blu…

avrò cura dei tuoi fiori blu.

Nel tempo, non saranno mai sciupati,

nel tempo, saranno solo amati.

 

 

15 marzo 2018


La miglior cosa da fare stamattina

 

 

La miglior cosa da fare stamattina

è accarezzare occhiaie profonde

con un velo di fondotinta,

è riconoscere il mio viso

e amare i segni che il tempo

ha disegnato con riguardo.

 

 

La miglior cosa da fare stamattina

è guardare, come in un quadro,

quel gelido candore che redime

ogni cosa, mentre guizzi di vento

irriverente già lo scolorano,

e rivedere perduti incanti.

 

 

La miglior cosa da fare stamattina

è godere, abbandonata, ad occhi

chiusi, del vivo palpitare del camino

acceso. E lasciare andare la zavorra

e vedere intarsi di madreperla

e sentire azzurre note di violino.

 

 

12 dicembre 2017


NOI, le querce

 

 

Tu, alta, slanciata,

tondeggiante eppur affosolata.

I tuoi rami fiutano l’aria,

e con armonia, giocano.                                                    

 

Le foglie ti accarezzano,

poi, lentamente, ti spogliano.

Ma tu, severa e maestosa,

rimani in attesa.

 

Sei viva,

senza rancori,

anche io sono viva,

in un silenzio urlato senza clamori.

 

Sei salda,

e ascolti il tronco ingrigire,

sei salda,

e si fa più lento lo stormire.

 

Anche io sono salda

e le narici bevono tutto il passato,

anche io sono salda,

e le mani sfiorano un viso spogliato.

 

Noi, schive, carezzevoli sguardi

in un eterno donare,

noi, generose, improvvisi slanci

in un muto domandare.

 

Noi, tu ed io,

determinate, uniche,

Noi, tu ed io,

per sempre amiche.


POESIA

 

 

Poesia, sottoveste di seta

morbida, sfumata,  

mi avvolgi, piano,

e leggera  volo lontano.

 

Poesia, sorriso

in un giorno uggioso,

accendi le mie narici              

con un falò di tamerici.

 

Poesia, un soffio di vento

accarezza l’ala ferita,

si placa il tormento,

e mi piace la vita.

 

Poesia, rosa canina

perfetta e seducente,

grazia divina

spinosa e sfuggente.

 

Poesia, dolce malinconia,

sottile armonia,

frizzante ironia,

e palpitante leggiadrìa.

 

Poesia, sorgente pura e trasparente…

si dissolve la mediocrità,

si vergogna la vanità,

arrossisce la banalità.


SINESTESIA

 

 

V vento caldo, improvviso abbraccio sfuggente,

amico amato, balenìo irriverente,

B brontolìo impetuoso, soffio pungente.

 

P pianta orgogliosa, ferita grigiastra, fiochi lamenti,

R rami nera pece bruciacchiati, solenni, sfregiati,

V verdi anni esuberanti, lentamente fuggiti.

 

S stagioni odorose, frutti già colti,

G giorni perlacei confusi, accarezzati

da un cielo sgombro di nubi,

A anni intensi arrossati, anni celesti levigati.

 

D domani ancora in sfumata attesa

limpido crepuscolo color d’oro

domani sempre in pacata attesa

B il blu mirtillo scolora in un bianco respiro.

 

 

8 MARZO 2017


Il Regalo

 

 

Uno sguardo alle vetrine dei negozi affacciati su Piazza Peretti a Castelnovo Monti.

La scritta “JACK & JOE” stampata a grandi lettere su una vetrata attira la mia attenzione.

Rivedo lo studio fotografico com’era 50 anni fa: una decorosa vetrina con diverse macchine fotografiche esposte e cornici con visi sorridenti.

I miei genitori mi avevano regalato una macchina fotografica, una FERRANIA 3M ed ero impa-

ziente di poterla usare. Frequentavo la II^ Superiore e la gita scolastica programmata a breve sarebbe stata l’occasione ideale.

Erano stati giorni bellissimi. Al rientro, scaricate le valigie, dopo i concitati saluti, ancora un po’ frastornata, un pensiero mi aveva trafitto lo stomaco – la macchina fotografica era rimasta sul comodino dove, stanca e distratta, l’avevo appoggiata la sera prima -. E adesso?

Sentivo già le frasi lamentose e stizzite di mia madre. E temevo quello sguardo furente da eterna vittima. E se ne sarebbe lamentata  ad ogni occasione per tanto tempo. Detestavo quel film…..

l’avevo già visto e rivisto. Ma soprattutto mi faceva soffrire la delusione che avrei visto negli occhi di mio padre. Avrebbe detto solo poche parole concise e chiuso l’argomento.

Dovevo trovare una soluzione……..con rabbia mi chiedevo perchè dovessi sempre affrontare osta-

coli e perchè non ci fosse mai qualcuno al quale chiedere aiuto…….

- “ Sì, era andato tutto bene…sì il tempo era stato bello….sì, certo, avevo scattato tante foto, doveva-

no essere senz’altro belle. ….sì, la macchina fotografica era pratica e semplice da usare, sarei andata dal fotografo al più presto per farle sviluppare……”-.

Avevo qualche giorno di tregua, qualche giorno per pensare.

I pensieri si accavallavano, si confondevano, mentre mi avvicinavo al negozio del fotografo.

Era un uomo alto, così mi sembrava, aveva un bel viso e un sorriso cordiale.

Elettra, sua figlia , era stata mia compagna di scuola, alle elementari e alle medie, ma non eravamo mai state amiche. Rivedevo i suoi occhi azzurri, i suoi riccioli biondi, il viso rigato di lacrime mentre l’insegnante leggeva la storia di Cosetta da “ I miserabili”. Vedevo una delicata bambola di porcellana, ed aspettavo fiduciosa il momento in cui qualcosa si sarebbe incrinato in quella perfezione.

Questi ricordi mi avevano aiutata a superare il disagio e decisa spinsi la porta. Dritta davanti al banco, cercavo le parole giuste. Il fotografo mi guardava con benevolenza, certo si ricordava di me.

E parlai tutto d’un fiato.

- “Ricorda la macchina fotografica  che mio padre mi ha regalato?

Certo, una buona macchina, l’hai usata?

Sì, ma l’ho dimenticata in albergo e non so come fare. Lei potrebbe procurarmene un’altra uguale? Io gliela pagherei un poco per volta con la paghetta settimanale……” -

Ecco, era stato più facile di quanto immaginassi. E aspettavo, e riuscivo a deglutire e anche a

respirare in modo quasi normale. Mi guardò con un’aria quasi divertita e sorridendo mi rispose che sì, era possibile, non era una cifra esagerata.

Erano trascorsi diversi mesi, anche quel giorno avevo portato la somma risparmiata.

Preso il denaro, mi aveva detto con semplicità che non dovevo più preoccuparmi, il mio debito era

saldato. Perplessa  lo avevo guardato con un leggero disagio, ma il caldo sorriso di quel viso paterno aveva spento quel guizzo di orgoglio ferito e lo ringraziai, impacciata.

Forse ne aveva parlato con Elettra e gli pesava privarmi della mia paghetta settimanale.

Forse la bambola di porcellana non era solo porcellana, come avevo creduto, con sofferta invidia.

Tanti anni se ne sono andati, tanta vita è scivolata veloce, ma quel gesto mi commuove ancora e mi riporta a quel mondo piccolo dal quale me ne sono andata correndo e al quale ora vado chiedendo di

qualcosa che ho lasciato non so più dove, e non ha nome.

 

5 febbraio 2018


Prima che IO nascessi…

 

 

Ascolto, assorbo, non vorrei ascoltare……….             

Vorrei solo essere avvolta in un caldo amorevole, invece sento già sulla mia pelle, così sottile,

qualcosa che brucia e che porterò sempre con me. Non lo vedranno le persone che incontrerò,

ma io lo sentirò, sempre.

Annaspo, cerco un po’ di tranquillità, ma non la trovo.

Quando nascerò, dovrò avere un’armatura per sopravvivere, sarà una lunga guerra .

Sono così piccola, così indifesa, ma a loro non interessa.

Oggi è un giorno di marzo, non so esattamente quale, e loro non me  lo diranno mai.

Sento agitazione, una gioia dura e amara, sorrisi, pochi.

Le foto ricorderanno una coppia bellissima.

Lei, tanti riccioli neri, alta, indossa un cappotto nero, un grosso bottone di madreperla come gioiello. E’ rigida e lo sarà sempre.

Lui, magro, alto, elegante, stringe nervosamente una sigaretta tra le dita. Sembra lì per caso.

Sono vicini ma non si toccano.

Due anime tormentate unite in un frettoloso matrimonio riparatore da Don Giuseppe Sala,  zio

della sposa.

Un tormento  gettato con fredda indifferenza su di me.

Non mi conoscono ancora, sanno solo che io sono colpevole.

Avrei potuto viaggiare ancora e andare oltre, dove mi aspettavano carezze e gioia, ma mi sono fermata perchè loro avevano bisogno di me, e non lo sapranno mai.

Sono stanca , non voglio sentire, lasciatemi sola ancora un po’…

Quando nascerò, femmina, il silenzioso rimprovero mi assalirà e mi farà male.

E sarà sempre colpa mia, di qualsiasi cosa possa accadere nell’universo.

Già c’era il peccato originale, cancellato sì dal S. Battesimo, mi diranno, ma fatto pesare così tanto…

Sarò ribelle  e accomodante, orgogliosa e vulnerabile, e anche amata, ma mai capita…

Loro, i miei genitori,  sono figli di un tempo chiuso e povero, ed io trascinerò il mio peso ed il loro. E un giorno, non li giudicherò più e li onorerò.

La lettera scarlatta nel tempo si sbiadirà  ma io combatterò a lungo per esserne liberata.

 

 

22 Marzo 2018