Il papavero rosso
Lontano da fertili campi
sfidando luoghi aridi e sassosi
ecco sbocciare un timido papavero
alto il suo verde stelo
rossa la sua bocca
felice sogna quel che sarà
Poi
una leggera brezza
ruba un petalo
un’altro
un’altro ancora
pochi petali
ha il papavero rosso
troppo breve la sua vita
Marcella Cherchi
LA PIAZZA
In un villaggio piccino piccio’
ho messo la piazza più grande che ho
una chiesa col suo campanile
un comune
una vecchia fontana con quattro leoni
Orgogliosa la piazza del suo vicinato
il bimbo giocoso
il vecchietto incazzato
un omino in divisa che scruta curioso
È come una mamma
che ascolta e consiglia
amori e rancori sommessa bisbiglia
Le fresche vocine
gli occhi furbetti
inondano l’aria di sogni proibiti
Anziani curvi dal peso degli anni
narran di grandi avventure
e di piccoli affanni
di vino buono
di pomodori maturi
ingannano il tempo
tra ricordi e rimpianti
Muta la piazza ascolta e sospira
il bimbo di ieri
vede ora al tramonto
un rivolo bagna le guance rugose
ma un sole vivace
e un vento furbetto
asciugano in fretta
il momento imperfetto
inventano un ballo
con foglie leggiadre
intonano un canto
gli uccelli assonnati
riempiono l’aria di note svariate
Arriva la sera
si accendon le luci
i verdi gendarmi la stringono stretta
il buio è calato
ancora un rintocco
gli occhi socchiude …..
aspetta il domani.
Marcella Cherchi
A TE
Era una fredda notte d’inverno
nelle strade buie e silenziose
echeggiava il forte ululato
di un gelido vento
In silenzio ascoltavo impaurita
in silenzio aspettavo e speravo
sdraiata su un letto
di una gelida stanza
strozzavo dolori e sospiri
poi
un pianto impaurito
un dolce tepore scaldo’
il corpo ancora dolente
e mentre incredule lacrime
rigavano il viso
il battito di un cuore innocente inondo’ armonioso l’ambiente
TU
fra le mie braccia tremanti
TU
l’immenso.
Marcella Cherchi
Autunno
Sottili figure
danzanti di nebbia
circondano la montagna
Lambiscono
sotto gli alberi
trapunte di foglie
Velano
foschi
viali di cartapesta
Danzano
con dita di luce
tra nudi rami
e gocce di rugiada
La quercia
sulla rupe
disegna
declivi di cobalto
È mia
questa figura di spalle
che apre le braccia sotto la pioggia
e lentamente
si perde
oltre la nebbia
Svanisce
Marcella Cherchi
ENIGMA
Svanita la stagione sognante
il mondo si tinge di grigio
batte lento il cuore
e mentre la mente invoca verità
occhi spenti
si nutrono ancora di esili speranze
china su un davanzale
aspetto tra opachi vetri
il violento temporale di primavera
gocce impazzite pizzicano il mondo
si infiltrano nelle membra assettate
lo graffiano
lo amano
improvvisa un’illusione
un pentagramma con sette note
con sette colori
immenso appare all’orizzonte
li si nasconde il mistero
cerco di afferrarlo
di trattenerlo
di capire
svanito in un lampo
mi ritrovo a mani vuote
con le braccia ancora tese
sobbalzo
cado ancora una volta
su pagine impolverate
tra grovigli di parole
che verità non danno
MARCELLA CHERCHI
Il mattino
Mi perdo
nel fiume dei pensieri
mi immergo
nelle acque che corrono alla foce della vita
Mi appare
nella sua grandezza l’immenso,
il suo mistero.
Mi danzano intorno
le anime della mia infanzia,
accompagnano i miei pensieri
si confondono tra le nebbie
di questo giorno di pioggia
Mi veste
la luce incerta dell’alba
scaccia i fantasmi della notte
Filtra
Tra le nuvole un raggio di sole
Sento la vita che corre nelle vene,
m’avvolge l’immensità divina
un nuovo giorno
un inno alla vita
Marcella Cherchi
Passata di pomodoro
Rossa
corposa
profumata
cade nel tino
la passata
bollente d’estate
Rapidi
giri di manovella
del rosso pomodoro
catturano il sole
Nell’orto
paziente
come i suoi avi
chino
sotto il peso
dei secoli
zappetta la terra
mio padre
Falce e martello
incudine
simboli sbiaditi
di tempi andati
all’ombra del noce
sfidano il tempo
per altri
malinconici raccolti.
Marcella Cherchi
LENTAMENTE SCORRE
Lenti
Indolenti
scorrono i giorni
Il mutar del vento
piega le fronde
Lenta
cade una foglia
ondeggia
lezzera in su entu
Stanca
sezzida mi paso
All’ombra del bagolaro
si allunga la sera
Guardo
l’orizzonte lontano
infiniti giorni
oltre si perdono
dimentichi svaniscono
Lenta
la neve cade
fredda
brùsgiada sa pedde arada
imbianca le cime
svanisco
è tardi…
imbezzo
Marcella Cherchi
Preghiera
Scorre nelle vene il dolore
come una morsa attanaglia le membra
segna ogni singolo battito di cuore
solo un supplichevole pensiero
corre sulle nacchere di un vecchio rosario
si apre agli spazi eterni
Ti cerco
Ti chiamo
un desolato eco risuona nel silenzio dell’infinito
ancora una carezza
una parola ancora
credevo d’esser madre
un cordone mai reciso
mi tiene eternamente figlia
e ancora
con amore di bimba
Ti chiamo
Ti cerco
MARCELLA CHERCHI
Si chiamava Olga – Di Marcella Cherchi
Per voi
Che siete una parte indelebile della mia vita,
gelosamente custodite nel cuore e nella mente
affinché l’amore che ci ha tenute unite
nel dolore e nella gioia
nell’arduo cammino della nostra vita
possa continuare ad ardere e guidarci
per tutti i giorni che ancora restano da scrivere
sino al raggiungimento della nostra meta
oltre l’orizzonte.
Marcella Cherchi
Si chiamava Olga
Figlia femmina nata dopo 4 deliziosi fratellini. Voluta e desiderata, coccolata e viziata da tutti .
Protetta da due meravigliosi genitori la cui ricchezza erano quei figli
Olga era minuta e, nonostante la carnagione scura e i lineamenti ben marcati, stranamente aveva cappelli color oro. Era vivace, sorridente e spensierata… il giocattolo dei fratellini, la “cosa” delicata e fragile per la sua mamma chioccia che dedicava tutto il suo tempo a quelle splendide creature. Era una donna altissima, magra, i cappelli ben raccolti e un sorriso che le illuminava il viso.
Era anche la maestra che guidava i suoi cuccioli nello studio, era la compagna di giochi spensierati, l’infermiera che curava le ginocchia “sbucciate” la confidente preziosa alla quale tutto si raccontava. La sua dolcezza infinita nascondeva un carattere da regina del deserto, da guerriero avvezzo alla battaglia ……era il personaggio principale di quella bella favola, la colonna intorno alla quale ruotava la famiglia.
I giorni scorrevano felici in quella piccola e modesta casetta: cucina e camera da letto divisi da uno spazioso corridoio dal quale avevano ritagliato un angolo per il bagno . La giornata Iniziava presto: il pranzo da preparare per quel marito che andava a lavorare senza che il giorno si fosse levato, un uomo, un padre dolcissimo e misterioso che soffocava di tenerezze quei cuccioli nei ritagli di tempo, a volte solo un bacio, una carezza quando gli occhietti furbi erano già stati rapiti dal sonno.
Poi veniva il turno dei figli: mentre LEI preparava la colazione, il più grande le dava una mano con i più piccoli, puntuali e ben puliti seduti intorno al tavolo……. chi mangiava come un lupo, chi come Olga faceva i capricci: “il latte non mi piace, mi dà il vomito”. Ogni mattina la stessa nenia e ogni mattina la stessa risposta: “mangia, il latte ti fa diventare grande e forte” . Finita questa prima battaglia, una sistematina al grembiulino, un bacio, mille raccomandazioni e tutti fuori, chi a scuola, chi all’asilo, solo Olga rimaneva a casa perché “popa piccola” diceva lei.
2
Intanto la famiglia si era allargata. Non più cinque marmocchi ma sette…….. Due splendide bimbe contribuivano a rallegrare il quadro con tonalità diverse.
Quando Olga iniziò la prima elementare , la mamma con orgoglio l’accompagnò a scuola. Era il suo primo ingresso in società………quanta gente, quanti bambini , quanta confusione per lei che, fino a quel momento, conosceva solo il suo piccolo e fatato mondo. Quando una signora le venne incontro, lei si nascose timorosa dietro le gonne della mamma quasi volesse essere protetta ……..”Giuannamarì, custa este fizza tua? Coro ite minoredda ch’este, e ue mi la ponzo? Mi l’appo a devere sezzere a fiancu de sa cattedra”. (E’ tua figlia domandò ? Com’è piccola, dovrò metterla al mio fianco……). Quello era il suo primo incontro con la maestra ma ancora non poteva saperlo, non poteva neanche immaginare quanto, da quel momento in poi, quella distinta e paffuta signora sarebbe divenuta importante nel proseguo del suo cammino verso la vita.
Poi la prima campana, tutti dentro di corsa, urla, schiamazzi, risate, uno sciame che, come un fiume in piena, invase il corridoio. Via dentro quel nuovo mondo da scoprire, dentro quella che da allora in poi avrebbe chiamato “classe”, tutte nei loro rispettivi banchi……..lei….sola nella scrivania al fianco di quella maestra, di quella paffuta signora che non sapeva dove “collocarla”. Lei che, intimorita, almeno per allora non prese parte allo sciamare di quel fiume in piena. Quel primo giorno mostrò ad Olga un aspetto nuovo della sua vita, una nuova dimensione della quale, da allora in poi e suo malgrado, avrebbe dovuto far parte. Non era una bella sensazione, era come se, di colpo, avesse scoperto che il suo orizzonte si era infranto, erano caduti i muri della sua dorata dimora, almeno in quelle ore non c’era più la mamma a proteggerla, a rassicurarla.
Dal posto dove la maestra paffuta l’aveva “collocata”, vedeva tutta la scolaresca , tutta al femminile dove, effettivamente Olga era la più minuta. Si guardava attorno: l’aula era enorme e luminosa. Appesi alle pareti tanti cartelloni colorati. Impaurita, di sottecchi, scrutava gli sguardi, provava ad abbozzare qualche timido sorriso nella flebile speranza di un riscontro, di un ricambio, di un’intesa. Un turbinio di immagini, di pensieri, di paure per quella nuova realtà che prepotentemente e contro la sua volontà, era entrata a far parte della sua vita, una realtà che l’aveva estromessa dal guscio protettivo e rassicurante della famiglia e l’aveva scaraventata nel mezzo della società della quale, da allora in poi e suo malgrado , avrebbe dovuto far parte e nella quale avrebbe dovuto ritagliare i suoi spazi e costruire la sua identità. Mentre i pensieri continuavano a turbinare nella sua mente, come un lampo la voce suadente della signora maestra la richiamò alla realtà:
“Tutte in piedi per la preghiera” …..Padre Nostro, Ave Maria…………..La preghiera, un rito che da quel giorno si sarebbe perpetuato per tutti i giorni a venire che avrebbe vissuto dentro quella scuola.
“prendete ora il quaderno e la matita”… Educata e diligente come le era stato insegnato, Olga ascoltava attenta, cercava di mettere in atto quanto la maestra chiedeva. Così impegnata a fare aste orizzontali, verticali, oblique, sedie, righe, segni più e segni meno, osservando ogni tanto le compagne per trovare qualche forma di rassicurazione, le ore corsero via veloci, a tratti leggere, a tratti velate da quella nuova sensazione.
La campanella che già al mattino aveva sentito, suonò nuovamente: era il segnale che per quel giorno la lezione era terminata. Quasi immeditatamente seguì un frastuono assordante e di nuovo quel fiume in piena attraversò in senso contrario e verso l’uscita il corridoio. Olga si strinse verso il muro, aveva paura d’essere travolta, timidamente a piccoli passi si diresse verso il portone……..la sua mamma era li che paziente l’aspettava. La piccola corse verso quelle braccia tese, felice e logorroica iniziò a raccontare delle altre bimbe, delle aste, della preghiera. A dispetto delle ansie e delle paure che sino a poco prima l’avevano turbata, si scoprì felice della nuova esperienza. Di quel nuovo mondo che si accingeva a scoprire.
Dopo qualche giorno dall’inizio della scuola la maestra disse:
“Oggi iniziamo l’alfabeto” e con una lunga bacchetta indicava le lettere, in coro le bimbe ripetevano “A,B,C,D,E……” Che gioia immensa quando la combinazione di quelle lettere iniziò ad avere un senso e, come per magia, apparve il suo nome: Olga …..”Questa sono io” Pensò.
3
Passarono i mesi e la piccola Olga ormai andava a scuola da sola…..non c’era niente da sbagliare e poi, anche le altre bimbe andavano sole . Era brava Olga, apprendeva in fretta. Il fratello maggiore con orgoglio diceva: “mamma, Olga la facciamo studiare e, costi quel che costi, diventerà un’ insegnante.
Poi arrivò giugno, gli ultimi giorni di scuola.
Subito dopo pranzo la mamma di Olga era solita mettere a letto i marmocchi per il riposino pomeridiano………Toc, toc…… chi può bussare a quest’ora? uno dei fratellini disse scherzoso “sa mama de su sole” (lo spauracchio per i bambini capricciosi) No, era la zia, sorella della madre…….”Strano” pensò Olga, “perchè la zia arriva a quest’ora insolita? perchè quel viso triste? Perchè sta piangendo e abbraccia la mamma e la stringe forte senza lasciarla andare? perchè la mamma urla e scappa via ? Perchè ci stanno portando via dalla nostra casetta? Quanti altri perchè e quante sotterranee domande nella mente della piccola Olga che in quel momento non trovano alcuna plausibile risposta .
4
Nella casa della zia Luisa , dove erano stati portati, Olga e i fratellini stavano bene ma nessuno di loro riusciva a spiegarsi perché la mamma e il babbo non c’erano. Passarono i giorni, poi finalmente si rientrò a casa. Erano felici, allegri, scherzavano, nuovamente nel loro nido, il solo posto dove si sentivano veramente al sicuro . Varcata la soglia di casa Olga rimase come impietrita, non riusciva a credere ai suoi occhi;
“chi è quella donna tutta vestita di nero?”
Tra sbigottimento , paura, confusione, turbinio di pensieri che correvano veloci alla ricerca di una qualche spiegazione , sbalordita realizzò che quella era la mamma, la sua mamma, Il papà le stava accanto:
“Perché questo freddo” pensò Olga “perché questo buio? perché la mamma non viene ad abbracciarmi?” Quante domande senza risposta correvano mute nella sua testa di bambina. In silenzio, educata e diligente come le era stato insegnato si sedette accanto ai genitori, con dentro l’improvvisa consapevolezza che qualcosa di brutto doveva essere successo, qualcosa di troppo più grande di lei, qualcosa che, all’improvviso, aveva cambiato radicalmente il suo mondo.
Fu il papà che, presa la piccolina di casa (sa caganidoso) nelle ginocchia, con voce lieve e tremante raccontò che il primogenito era volato in cielo, era diventato un angelo.
“Quando rientra” domandò Olga?
Improvvisamente, quella donna nera, che fino a pochi minuti prima era sua madre, scoppiò in un pianto dirotto e con voce rotta riuscì ad emettere un gemito, una frase quasi incomprensibile; “è morto, non torna più”
Olga ancora non capiva, cercava disperatamente di mettere insieme le parole del padre e la disperazione della madre: “Il cielo è bello, gli angeli sono sempre felici e belli, perchè allora la mamma piange? Cosa vuol dire morto?”
Nessuno provò a chiarire i suoi pensieri, a diradare quella nebbia che improvvisamente la stava avvolgendo, neanche la donna nera che forse non era la sua mamma altrimenti, come sempre aveva fatto in passato, l’avrebbe presa in braccio e con pazienza l’avrebbe rassicurata, le avrebbe fugato ogni dubbio, cacciato via tutte le paure che mai prima aveva conosciuto. Non poteva capire, Olga, che per un genitore è innaturale e devastante sopravvivere ad un figlio e che nessuno ha in tasca le parole per far capire il senso della morte ad un bimbo.
5
La mamma di Olga era trasformata, non era più la maestrina, la compagna, l’infermiera, era la donna nera che preparava la colazione, il pranzo, la merenda, che lavava i panni sempre con la stessa espressione triste, sempre in silenzio. Dov’è la mia vera mamma, quella che rideva con noi, quella che ci stringeva forte forte, si domandava sempre Olga . “VOGLIO LA MIA MAMMA” gridava nel silenzio dei suoi confusi pensieri.
Il tempo passava lento in quella casetta divenuta ormai buia e fredda. Non c’erano più le risa di bimbi festanti, non c’era più la magia dei colori del giorno, anche i raggi del sole si mostravano titubanti ad entrare fra gli spazi degli infissi . pareva quel buio troppo forte per essere vinto dalla luce.
Olga silenziosa e triste aspettava, sperava che un mago venuto da chissà dove, sciogliesse quell’incantesimo, che con un tocco di magia la riportasse indietro nel suo favoloso mondo. Ogni sera si addormentava sperando che le sue preghiere venissero accolte, ogni mattina apriva gli occhi pieni di speranza ma nulla era cambiato, le forze dell’oscurità erano sempre lì a tingere tutto di nero, un nero che si era impossessato della sua mamma, che prepotente soffocava i suoi pianti, le sue risa, quel maledetto nero che aveva mangiato in un sol boccone i caldi colori: l’azzurro del cielo, il verde dei prati, il giallo del sole, il bianco, il rosa, tutti, tutti li aveva mangiati, per la prima volta detestava qualcosa con tutte le sue forze …..IL NERO.
Olga pensava: “se faccio da brava, se non faccio più capricci, la mia mamma torna ad essere quella di prima” . Non più capricci quindi. Da quel momento in poi cercò di fare tutte quelle cose che pensava potessero far contenta la mamma, iniziò persino a bere il latte a colazione senza fare storie. Scrutava poi soddisfatta la mamma cercando di strapparle un sorriso ma niente. Cercava allora di aiutarla ad accudire le sorelline come faceva il primogenito , ma anche questo serviva poco, al massimo strappava qualche sommesso “brava” .
6
Un giorno, subito dopo pranzo, la donna vestita di nero prese per mano la piccola e s’incamminarono: “dove andiamo” avrebbe voluto chiedere Olga, ma le sue labbra rimasero chiuse, non un suono uscì dalla sua bocca, ormai pensava soltanto. Dopo aver percorso un tratto di strada che sino ad allora le era completamente sconosciuta, arrivarono davanti ad un cancello: ”Cos’è questo brutto posto” pensò Olga, “non voglio entrare, mi fa paura”. Pensava, avrebbe voluto scappare lontano ma, diligente e obbediente come sempre, in silenzio seguiva la sua mamma stringendole forte la mano, nel suo cuore pensava che anche se vestita di nero, anche se non la stringeva più fra le sue calde braccia quella donna era la sua mamma che sempre e comunque l’avrebbe protetta.
L’ingresso dava su una scalinata a cui faceva seguito un piccolo viale alberato e tante casette ad entrambi i lati, Notò con stupore che vi erano un’infinità di fotografie e tanti, tantissimi occhi che la guardavano. “Vedi Olga, questa è la casetta di Giacomo, sarà nostro compito tenerla pulita, controllare che ci siano sempre i fiori freschi, che ci sia sempre il lume acceso”, disse la mamma . Poi, si sedette su quella enorme pietra e iniziò a pregare . Olga non capiva, il suo papà aveva detto che Giacomo era volato in cielo. Il pianto improvviso e disperato della mamma bloccò i suoi pensieri. La piccola si avvicinò, le accarezzò il volto e con le sue manine le asciugò le lacrime. Tra loro era caduto il silenzio, stavano lì senza dire una parola.
Nella testa di Olga solo pensieri confusi e da quel giorno quel brutto posto diventò la loro tappa quotidiana ed anche il solo momento dove Olga ritrovava la sua mamma.
7
Passarono quattro anni nella totale disarmonia, quando un giorno, un bellissimo giorno, quando tutta la famigliola era riunita, il papà disse sorridendo: “che ne dite se compriamo un fratellino?”. Nessuno ben bene riuscì a capire cosa stesse succedendo, era però intuitivo che senz’altro doveva trattarsi di una buonissima notizia. La cosa divenne chiara a tutti quando, alcuni mesi dopo, un bel pupone roseo entrò in quella casa a rallegrare le giornate, la mamma non aveva più calze e fazzoletto nero, i suoi capelli ben raccolti le incorniciavano il viso, gli occhi erano nuovamente sorridenti come una volta , nuovamente sapeva dosare baci e abbracci, sorrisi e carezze, evviva:
“LA MIA MAMMA E’ TORNATA” pensò felice Olga.
Quel mago che dimorava nelle sue più recondite fantasie, l’aveva finalmente ascoltata, il suo desiderio più grande era stato esaudito, aveva chiesto la luna e gli fu donata. La sua casetta si era nuovamente riempita di mille colori, le risa dei bimbi echeggiavano e risuonavano in ogni anfratto e, nonostante fosse inverno, i raggi del sole entrarono prepotenti a squarciare l’oscurità che diveniva ormai solo un ricordo, o forse non c’era mai stata.
Al bimbo fu dato il nome di Giacomo, proprio come il primogenito. Forse la mamma ed il papà volevano ancora udire il suono di quel nome o forse volevano far tornare indietro le lancette del tempo e cancellare il tragico evento che li aveva così pesantemente devastati .
Nessuno però lo chiamava per nome, per tutti era semplicemente “pupo”. Erano per lui tutte le attenzioni e Olga in cuor suo pensava che fosse lui quel misterioso mago che aveva fatto il miracolo.
Che giorni felici, che bel quadro: la MAMMA, il papà, i fratellini, le sorelline ed il gatto Bartolomeo.
8
È risaputo che i giorni lieti corrono veloci e non si riesce ad afferrarli.
Al rientro dalla scuola, come ogni giorno, Olga passava a salutare i nonni anche perchè la loro casa veniva a trovarsi lungo il tragitto. I nonni ormai da tempo vivevano soli: alto, magro e dal colorito scuro lui, bassa, tondetta e rosa come una fragola lei.
La casa era piccolissima e strutturata su due piani: il bagno era stato ricavato dal sottoscala, il cucinotto era debolmente illuminato da una piccola finestrella, una stretta scala di legno portava alla stanza da letto al piano di sopra. L’arredo era costituito da un lettone alto al centro della stanza, due comodini, alti anch’essi, un comò, un armadio e sa “toeletta”, tutto estremamente povero, essenziale ma quanto piaceva ad Olga, aveva un nonsoché di misterioso e quanto le piaceva controllare ogni spazio.
Quel giorno però la nonna non era lì ad aspettarla, solo il nonno seduto a testa bassa la salutò a mala pena. “Dov’è la nonna?” domandò allegramente Olga. Non rispose. “vabbè, l’aspetto, tanto torna subito”. Improvvisamente la porta si spalancò, ”Eccola” pensò….”, si girò per abbracciarla come faceva sempre ma stupita vide che non era lei, era uno dei suoi fratellini che, in evidente stato di agitazione e senza neanche salutare, disse: “Nonno, ha detto la nonna che devi venire subito”.
“Aaaah “ disse Olga rivolgendosi a sua volta al nonno, ”potevi dirmelo che la nonna è a casa mia”. Prese la sua cartella e insieme al fratellino s’incamminò verso casa. Dopo alcuni passi un pauroso dubbio le avvolse la mente, non era normale che, a quell’ora, la nonna fosse a casa sua: “come mai la nonna si trova a casa a quest’ora?” Domandò Olga.
“pupo sta male” fu la risposta. Improvvisamente Olga sentì qualcosa esplodergli dentro, nuovamente quel turbinio di pensieri confusi che la tormentarono quando morì il fratello maggiore, tornarono prepotenti ma questa volta non si lasciò sopraffare e con una forza che fino ad allora le era sconosciuta, afferrò il braccio del fratellino e con voce ferma chiese: “sta male o è morto”, “non lo so, non lo so, non so niente” fu la risposta tremolante ed impaurita del fratellino. Si presero per mano e corsero veloci verso casa, quella strada sembrava non dovesse finire mai, non si era mai accorta di quanto fosse lunga.
Giunta a casa trovò la porta socchiusa , in silenzio entrò a passi lenti, le sembrava di essere in un film, dentro vi erano tante persone, i vicini, qualche parente, altre persone che neanche conosceva. Immediatamente notò che il buio, quello che sperava avesse vinto per sempre, era tornato e col buio era tornato anche quel freddo che le entrava nelle ossa. In un angolo della stanza da letto la mamma era seduta accanto a “pupo” ancora adagiato sulla culla, pallido, immobile, piangeva disperata.
Di nuovo, ancora una volta, era protagonista di una scena di un brutto film e fu avulsa da sensazioni devastanti che credeva aver dimenticato. Poggiò la cartella al solito posto e, sempre educata e diligente come le era stato insegnato, in silenzio si sedette vicino alla sua mamma . Ora aveva colto e fatto proprio il significato di “morte”, aveva capito che era uno stato dal quale nessuno poteva tornare indietro. Così anche quel piccolo tesoro di Giacomo, quel piccolo mago che le aveva restituito la felicità era andato via e non sarebbe mai più tornato, non l’avrebbe mai più rivisto. Col capo chino, gli occhi socchiusi e la bocca serrata come una morsa, stette lì, ferma, il fiato le si era fatto flebile, il cuore sembrava impazzito. Non un gesto, non una parola, con le manine poggiate sulle sue esile gambe, sentì dentro un urlo disperato che nessun altro avrebbe mai potuto udire perchè imprigionato nella sua mente :
“MAMMA NON LASCIARMI UN’ALTRA VOLTA, NON PERMETTERE CHE IL BUIO CI RAPISCA DI NUOVO”.
Per voi, per noi………..
Marcella Cherchi