Marcello Signorini - Poesie e Racconti

GRAZIE…

 

Presto dovremo separarci…

Il Destino ci aspetta…

Grazie

di tutto quello

che mi hai dato…

dei tanti anni

passati insieme.

Lunghi anni,

tra alti e bassi,

ma sempre

accompagnati

dal dono dell’Amore.

La tua presenza

è sempre stata

regalo del Signore,

linfa dolcissima

in mezzo a tante gioie

e tanti affanni.

Grazie…

grazie in eterno…

Addio…e… forse,

arrivederci

in altre dimensioni:

quelle dello Spirito,

che sopravvive,

che non muore mai…


S I L E N Z I

 

 

Penso

 

A tutti quei silenzi

 

Che ci siam detti,

 

Mano nella mano,

 

Senza parlare.

 

Tu nei miei pensieri,

 

Io nella tua mente…


L’ ESSENZA  DELLA  VITA

 

Salto da una stella all’altra,

cercando l’origine del cosmo:

e mi dimentico

dei mali della Terra,

un puntino laggiù,

in fondo alla galassia.

Che cosa cerco?

Cerco l’essenza della vita:

perché viviamo,

perché soffriamo,

perché moriamo,

chi ci supporta.

Ma non c’è traccia,

dove io volo,

di una risposta,

di una conferma,

al senso della vita.

Ed esausto, così,

ritorno indietro

e mi accontento

di quello che posseggo:

il mio orticello,

piccolo e bello,

dove coltivo

i sogni del mio mondo.


VORREI…

 

Vorrei…non posso…

Sì che lo puoi…

forza, sù, coraggio,

alzati, reagisci…

Ti dico che non posso…

Puoi farcela…

sù, andiamo, tirati sù…

Le gambe non mi reggono…

la testa non mi segue…

Sento che è finita…

lasciami finire qui i miei giorni…

Non devi…non puoi…

pensa ai tuoi cari,

fallo per loro…

alzati, dai, tirati sù…

Vorrei…non posso…

lasciami chiudere qui

la mia esistenza…

Dì ai miei cari

di venire loro qui,

perché io possa

riabbracciarli un’ultima volta…

E finir così tra le loro braccia

il cammino della mia vita…


IL MIO GATTO

 

Odio i gatti …

ma il mio gatto

è un po’ speciale,

è diverso ,

non ha niente di normale…

il mio gatto…

Non è matto,

ma ha momenti di follia.

Corre, salta,

inciampa, impazza :

non ha freni.

Poi si ferma :

sì, ti fissa, ti riguarda,

come dire : beh, che fai ?

Non giochi ?

Allor sei matto !

Il mio gatto …

Vuole uscire, vuole entrare:

non sa mai dove restare.

Fa le fusa, poi ti lecca.

C’è una mosca : la rincorre.

Poi ti guarda esterrefatto …

Ma alla fine,

chi è il più matto ?

Io o il mio gatto ?


NEL BOSCO

 

Taci, ascolta :

un brusio…

Lo senti ?

Un alito di vento…

Zitto !

Cos’è ?

Stormir di fronde…

Si muove ?

No, tace…

Lo senti ora ?

Sì, come un fruscio…

E’ il vento ?

No, è  Dio !


DEDICA

 

Ti dedico la mia vita.

Gli anni passati con te

sono volati via

in un attimo,

in un baleno,

tra alti e bassi,

ma l’Amore

è rimasto sempre

limpido, cristallino,

profondo, eterno.

Ora che la fine

si avvicina,

permettimi di dirti

grazie, grazie di tutto…

grazie per tutto quello

che mi hai dato,

per tutto quello

che io ho potuto

dare a te,

per il sentimento

purissimo

che ha colorato

le pagine

della nostra vita.


 PANTA  REI

( tutto scorre )

Quell’angolo della piazzetta della mia amata cittadina natale, un angolo di paradiso, frequente nelle nostre città di provincia: le case sullo sfondo, che fanno da cornice  e che circondano dei giardinetti con le panchine, dove spicca di solito la statua dei  caduti per la patria.

In una di quelle casette, con i mattoni rosati, ci ero nato io: era il 1939.

Ancor oggi mi immagino mia madre, colma di gioia, che mi stringe tra le braccia: “E’ un maschio!” Allora le donne partorivano in casa, assistite dall’ostetrica del paese, e il sesso del nascituro non lo si sapeva, prima che nascesse: era una sorpresa, anche se si incrociavano le profezie delle comari: “Ma è senz’altro un maschio, non vedi come è grossa la pancia e alta…” oppure “Macché, è una femmina, lo si vede dalla pancia esposta e appuntita…”

In quell’angolo di piazza, appartato e discreto, alla fine degli anni quaranta, subito dopo la guerra mondiale, poi, ci andavano le coppiette che avevano da scambiarsi effusioni e baci.

Mario, il panettiere della zona, con la Giovanna, una ragazzona alta, ben fornita, con due occhi che sputavano salute, sempre pronta a scherzare con tutti, ma anche disposta a cambiare spesso il fidanzato di turno.

Dopo Mario c’era stato Giuseppe, il barbiere del paese, nel 1951 e poi Aldo, il cameriere, subito dopo, e un altro ancora, due anni dopo, il…il…non mi ricordo più il nome…ma quel giovanottone alto, con due spalle così, robusto, che quando era con la Giovanna li chiamavano tutti e due “ i corazzieri “…

E poi aveva flirtato, sempre sulle stesse panchine, Franco, il geometra, con la Rossana, la figlia dell’assessore allo sport: che poi, almeno loro, si erano sposati, in seguito; anche se, a dire il vero, si erano dovuti sposare, perché erano andati oltre i semplici bacetti e gli abbracci.

Purtroppo, anni prima, nel 1944, in quell’angolo di paradiso che era la piazzetta, non c’erano stati solo effusioni e baci d’amore. C’erano passati i nazisti, che nel mese di Aprile fecero una retata di partigiani: contro quei muri delle case circostanti ce ne fucilarono ben sette.

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Ragazzi giovani, sui 18-20 anni, alcuni ancora con delle facce da bambini, coi peli sulle guance,  al posto della barba.      

Mi ricordo i volti impauriti di quei ragazzi che andavano incontro alla morte, ma che cercavano, per orgoglio, di non darlo a vedere ai tedeschi che avevano paura.

E uno, un poco più anziano, che cercava di rincuorarli, ma si vedeva che lui aveva più paura di tutti.

E poi c’era la faccia dei tedeschi: imperterriti, algidi, austeri, si misero in fila e, senza trapelare la minima emozione, scaricarono i loro fucili contro quei poveri ragazzi inermi.

La gente tutt’attorno mormorava, ma non aveva il coraggio di intervenire.

Alcune donne svennero al momento degli spari, caddero a terra e mani pietose le aiutarono a rialzarsi e le trascinarono via, prima che i soldati tedeschi potessero accorgersi delle imprecazioni che dicevano mentre si rialzavano.

Sui muri delle case restarono i segni delle pallottole per alcuni anni: poi un giorno sparirono ed una lapide pietosa fu murata nel punto in cui Severino, Paolo, Ermanno, Nicola, Fedele, Gino e Carlo furono giustiziati.

Ci fu un tempo in cui anch’io presi a prestito quelle panchine della piazzetta per le mie effusioni amorose. Avevo 17 anni, era il 1956: gli anni della guerra erano ormai solo un ricordo, i tedeschi venivano ancora in Italia, ma come turisti, non come giustizieri.

Frequentavo Anna, una bella ragazza, molto riservata, ma anche molto sexy, e quelle soste sulla panchina erano per noi un supplizio, perché oltre certi limiti non si poteva andare, data la scarsa riservatezza del luogo: anche se alcuni tigli e qualche magnolia che erano stati piantati nelle aiuole, permettevano di nascondersi, almeno un poco, agli occhi indiscreti dei passanti, che facevano finta di non guardare, ma guardavano incuriositi i giovani che si baciavano.

In quegli anni, poi, si doveva tenere in considerazione il fatto che trovare una donna che si concedesse facilmente non era certo semplice come ai giorni nostri.

In seguito, in quell’angolo di paradiso mi appartai anche con Erminia, Federica e Paola, fintanto che, divenuto più adulto ed esperto, capii che quel luogo non era poi il massimo per i rapporti amorosi e scelsi luoghi più discreti ed appartati, dove l’effusione amorosa poteva avere ben altri sbocchi.  

 

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Ma un particolare di quel luogo non ho mai dimenticato: la lapide, che, ormai ingiallita, con i nomi di quei ragazzi difficili da leggere per il passar del tempo, attraeva ogni volta il mio sguardo e mi riportava indietro negli anni, a quel triste pomeriggio dell’Aprile 1944, quando quei poveri giovani andarono incontro ad una morte crudele.

Successivamente lasciai definitivamente quella piazzetta, a me così cara, e mi trasferii dalla mia città ad una città più grande, per correre la mia vita tra mille gioie, mille traversie, mille esaltazioni, mille inganni.

Ci ritornai però un giorno, negli anni ottanta: ero ormai un professionista affermato.

Ci venni con la famiglia e spiegai a mia moglie e ai miei figli la bellezza di quella piazzetta, con la sua discreta raffinatezza, con le ombre fresche che distribuivano gli alberi ormai rigogliosi: le coppiette erano state sostituite da turisti stravaccati sulle panchine, stanchi, con i piedi gonfi, qualcuno anche senza le scarpe, per far rifiatare i piedi.

Alcuni di questi turisti avevano tutta l’aria di essere tedeschi: li guardavo con un senso di rimprovero, non di odio. Pensavo: “I vostri padri hanno stroncato la vita a quei poveri giovani: oggi probabilmente avrebbero potuto essere qui, sarebbero ormai ultrasessantenni e avrebbero potuto essere seduti su una di quelle panchine, per aspettare che finisse il giorno e un giorno nuovo li accogliesse all’indomani..

I miei figli mi facevano tante domande e io li guardavo, orgoglioso di loro, felice, ma pensieroso, all’idea dei figli che avrebbero potuto allietare quei poveri giovani, a cui il destino crudele aveva negato la gioia più grande: essere padri.

Mia moglie inoltre volle visitare anche la casa d’angolo sulla piazzetta in cui io ero nato.

Chiedemmo il permesso di visitarla ad una famiglia di giovani con figli che l’avevano ereditata dai loro genitori, i quali a loro volta l’avevano comprata da mio padre, molti anni prima.

Ma non la riconobbi, rimasi deluso: alcuni muri erano stati spostati, altri erano sorti dove prima non c’erano; l’arredamento era cambiato, era in stile moderno, e l’atmosfera non era più quella di un tempo.

E chiusi lì i ricordi della mia piazzetta, commentando a voce alta: “Panta rei“…

I miei figli mi chiesero che cosa volesse dire: spiegai loro il significato di quella frase in greco attribuita ad Eraclito.

Ma ancor oggi mi chiedo se allora avessero capito appieno il senso profondo che esprimevano quelle parole.

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“ RICORDI “

Susanna, una bella signora sui 35 anni, con un abitino semplice, ma elegante, è seduta intorno ad un tavolo intenta a scrivere una lettera. La stanza è un ampio locale arredato con mobili moderni, ma di buon gusto. Un arco senza porta conduce alla spaziosa cucina.

“ Caro papà, ho finalmente trovato il tempo per scriverti questa mia lettera. Volevo farlo prima, ma, come sai, la mia vita, con due marmocchi da accudire, non ha molti momenti liberi. Abbiamo provato a spiegar loro che la nonna sarà sicuramente in Paradiso, ora; che la rivedremo di nuovo quando anche noi andremo lassù. Ma loro mi hanno risposto che in Paradiso adesso non ci vogliono andare; che è meglio telefonare alla nonna lassù perché sia lei a tornare indietro…”

Il padre di Susanna, Franco, un bell’uomo, non ancora sessantenne, capelli brizzolati, in vestaglia da camera, è seduto di fronte ad una scrivania e legge la lettera della figlia.

“…se li avessi dimenticati, ti allego una loro foto recente. Come vedi i bambini fanno presto a dimenticare le disgrazie…”

Franco prende in mano la foto, sorride con un velo di malinconia e si dilunga a guardare i nipoti sorridenti, ritratti mentre giocano con un pony in un’ampia radura in mezzo ai boschi. Poi continua a leggere la lettera.

“…sai come sono fatti i bambini. Riescono a farti sorridere anche di fronte alle tragedie. Ma tu come stai? Posso bene immaginare che la morte della mamma sia stato un duro colpo per te. Ma devi farti coraggio! La vita continua…D’altronde questo ci hai sempre insegnato: di fronte alle avversità bisogna reagire! Questo, noi figli, lo abbiamo imparato da te. La mamma non è morta, lei è ancora qui con noi con la sua anima…”

Gli occhi di Franco si velano di una lacrima. Lo sguardo si perde nel vuoto. Con il polso si asciuga la lacrima che gli solca il viso. Poi riprende a leggere.

“…e ci proteggerà tutti. Ti prego, fatti coraggio! Fallo per noi. Abbiamo ancora bisogno della tua presenza, del tuo sorriso, del tuo carattere gioviale! A presto. Un bacione. Susanna.”

Franco si ricompone. Si soffia il naso. Reagisce. Allunga la mano e afferra un foglio di carta da lettere e comincia a scrivere.

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“ Cara Susanna, ti ringrazio di cuore per la tua bella lettera e per la foto dei ragazzi.

Sono sempre più belli. D’altronde, se assomigliano a te…”

Susanna è ora seduta sul divano del suo salotto, intenta a leggere la lettera di risposta del padre. I suoi due figli, Tiziano e Caterina, di 4 e 6 anni, stanno giocando sul pavimento con delle macchinine di fronte a lei.

“…Ti sono grato per le belle parole di incoraggiamento. Cerco di reagire, ma purtroppo la mancanza della mamma mi pesa tanto. Non ho più voglia di vivere…Prego il Buon Dio di farmela rivedere al più presto. Mi manca troppo la sua presenza silenziosa , il suo sorriso, i suoi occhi. Un angelo…”

Susanna si ferma con la lettera in mano. Una lacrima le sgorga dagli occhi. La figlia Caterina se ne accorge. Ferma la macchinina con cui stava giocando e, rivolta alla mamma: “Mamma, perché piangi?”

Susanna prontamente si asciuga la lacrima con un dito e risponde: “Non è niente…è solo un bruscolino che mi è andato nell’occhio…” Caterina torna a giocare con il fratellino. Così Susanna riprende a leggere la lettera del padre.

“…Mi attacco a tutti i bei ricordi, ai momenti passati con lei…Ti ricordi il nostro viaggio in America, tu eri ancora una bambina…le cascate del Niagara, come le sono piaciute! E come rideva felice per gli spruzzi d’acqua che le bagnavano il viso…O quella volta a Capri nella Grotta Azzurra…tu eri più grandicella…era così incantata a guardare i riflessi dell’acqua sulle pareti della grotta, con quei suoi occhi estasiati, che quasi cadeva in acqua per il rullio della barca!”

Susanna si alza di scatto, lascia cadere la lettera sul divano e, passando accanto alla scrivania, prende un foglio di carta e si reca in cucina. Si siede al tavolo della cucina, prende una penna e si mette a scrivere di nuovo al padre.

“Papà, devi scuoterti. Non puoi vivere di soli ricordi. Capisco la tua angoscia. Anche a me la mamma manca molto, moltissimo. Ma la vita va avanti. Non voglio più sentirti dire frasi come “Non ho più voglia di vivere…” Tu devi vivere, come prima, più di prima. Devi solo distrarti, reagire…”

Franco questa volta è seduto ad un tavolino del suo giardino. Maglione scuro, pantaloni di flanella, mocassini ai piedi. Fuma e, di tanto in tanto sorseggia una bibita, mentre legge la lettera della figlia.

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“…Anzi, ti scrivo per farti una proposta: perché non vieni a stare qui da noi, definitivamente, intendo. Lo sai che abbiamo una camera libera tutta per te. Ne ho già parlato con Osvaldo. Anche lui è d’accordo. Potresti poi andare a pesca con lui. Fare dei picnic con i bambini. Stanno crescendo. Potresti fare il nonno a tempo pieno. Sei ancora troppo giovane e in salute per lasciarti andare. I ragazzi ti aspettano a braccia aperte. Potresti portarli a scuola, la mattina. Hanno esultato quando gliene ho parlato!”

Finito di leggere la lettera, Franco si ferma un attimo a riflettere. Poi, si decide a rispondere a Susanna.

“ Ho letto la tua lettera con molto piacere. E’ bello sapere che qualcuno si occupa di te. Ti ringrazio per la proposta di trasferirmi da voi. Ma purtroppo il mio mondo ormai è qui. Ho sempre vissuto in questa città. Qui ho i miei amici, le mie relazioni, i miei ricordi. Ho paura che non potrei vivere in un’altra città…”

Franco, con la coda dell’occhio, vede passare la vicina di casa, che entra nel giardino accanto al suo, spingendo una carrozzina e tenendo per mano il figlio maggiore. La saluta con un gesto della mano. La vicina risponde anche lei con un saluto. Quindi Franco abbassa lo sguardo sulla lettera. Fissa il foglio. Lo guarda di nuovo. Poi uno scatto. Afferra la lettera e l’accartoccia. Franco, mentre stringe la lettera in pugno, sbotta: “Ma sì, al diavolo gli amici! Al diavolo le abitudini! Non si può vivere di soli ricordi! Forse cambiare città mi farà bene. Occuparmi dei nipotini, vederli crescere giorno per giorno…”

Getta il foglio per terra. Prende dal blocco un nuovo foglio. Si mette a scrivere di nuovo alla figlia.

Susanna è seduta sul sofà intenta a leggere a voce alta la lettera del padre ai due figli seduti accanto a lei.

“…in fondo questo, ne sono sicuro, è quello che avrebbe voluto la mamma. Non struggermi nei ricordi, ma vivere con e per gli altri quello che mi resta ancora da vivere. In attesa di raggiungerla un giorno lassù in Paradiso…”

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SE AVESSI LE ALI

Se avessi le ali mi librerei nel cielo per vedere che cosa c’è lassù dietro le nuvole.

Dio, com’è bella la terra vista da quassù!

Mi avvicino alla prima nuvola, la sorpasso, guardo che cosa c’è dietro…

Un’anima?!

Come è possibile?

Sì, un’anima, trasparente come una medusa, ma con il volto umano, forse il suo ex-possessore.

Mi avvicino, mi accosto a lei che mi sorride.

“Salve” le dico “cosa fa quassù?”

“Cosa fa lei qui, piuttosto” mi risponde “Lei non è un’anima, ha le ali, ha un corpo…Non è mica un Angelo, per caso?”

Io la guardo esterrefatto.

Ma lei mi incalza: “Quassù, dietro le nuvole, ci sono solo anime: si guardi attorno!”

Infatti, allungo lo sguardo sulle altre nuvole e scorgo altre anime dietro ogni nuvola, a perdita d’occhio: “Oh, mio Dio, ma che cosa ci fate tutte quassù?”

“Aspettiamo…” mi risponde l’anima che ho a fianco.

“Aspettate? Ma aspettate che cosa?” le domando.

“Aspettiamo il nostro turno” mi confessa.

“Il vostro turno? Non capisco…ma per che cosa?”

“Per essere giudicati…”

“Senta, io sono nuovo di qui…è la prima volta che ci vengo…ma giudicati da chi? Per che cosa?” le chiedo incredulo.

“Ah, lei credeva che il Purgatorio non esistesse? Esiste, esiste, come vede…è qui, a metà strada tra il Cielo e gli Inferi, che sono laggiù, al centro della Terra…laggiù…un Inferno, in cui tutti qui abbiamo paura di precipitare un giorno!”

“Ma mi vuol dire che state tutte aspettando di sapere se dovete andare in Paradiso o all’Inferno? E’ questa l’anticamera per la Beatificazione o per la Condanna?”

“Proprio così: ogni tanto passa qualche Angelo, con le ali, come lei, ma senza corpo, che ci fa delle domande a cui dobbiamo rispondere: per vedere se siamo pentiti dei nostri peccati in terra, se abbiamo dimenticato le nostre brutte azioni, se abbiamo capito, insomma, che cos’è il Bene e che c’è Dio, e quindi se meritiamo di volare in Cielo.” mi precisa.

Io la guardo perplesso.

Penso tra me e me: “Ecco perché mi ha sorriso all’inizio…avrà pensato che fossi un Angelo che veniva ad interrogarla.”

E mi incuriosisco: “Ma come fanno a capire se voi dite la verità, se non mentite?”

“Lo capiscono, lo capiscono…devono avere una specie di radar e, se non dici la verità, se ne vanno inviperiti e rischi che ti condannino, spedendoti all’Inferno nel girone dei bugiardi.”

“E allora come fate voi a sapere come rispondere?”

“Dobbiamo dire la verità, non dobbiamo mentire…ma, a volte, saperla la verità…se la sapessi, probabilmente non sarei più qui, ma in Cielo. Voglio dire, a me è capitato un Angelo che mi fa sempre la stessa domanda: <<Credi nel Libero Arbitrio o nel Destino?>> Io francamente all’inizio non sapevo che cosa rispondere; poi un giorno ho pensato <<Meglio che mi decida: ne provo una, di risposte, ed ho 50% di probabilità di rispondere giusto, no?>>

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E così ho fatto. Quando è tornato alla carica con la stessa domanda, mi son buttata e gli ho risposto: <<Credo nel Destino!>> Lui ha scosso la testa ed ha aggiunto:<<Non ci siamo…se credi solo al Destino, se è già tutto scritto, che meriti o demeriti può avere l’essere umano in vita, se non può decidere nulla, tanto è già tutto scritto…>> Io sono rimasta come un allocco…non sapevo cosa rispondere.

“Ma non le ha dato nessuna spiegazione?” le chiedo.

“Nessuna: se ne è andato borbottando: <<Non ci siamo, non ci siamo…>> Devo confessare che ho avuto persino paura che mi punisse: per fortuna ha capito che ero in buona fede…ho solo provato ad indovinare, ho cercato una soluzione, ma non ho mentito,…”

“E non è più tornato?” le domando.

“Oh, sì, è tornato, dopo un paio di settimane e mi ha rivolto la stessa domanda. Io ho pensato: <<Questa volta dico Libero Arbitrio e così sarà certamente giusto.>> L’ho detto e lui ha scosso di nuovo la testa e…sa che cosa mi ha detto?”

Io le sorrido con aria inebetita.

“Mi ha risposto: <<E allora Dio che cosa ci sta a fare? Se fanno tutto gli uomini, Dio allora è inutile: o non c’è o non conta niente!>> E se ne è andato, anche questa volta, borbottando qualcosa che non ho afferrato. Ero più confusa di prima. Sono giorni che mi scervello per capire come sia possibile che, se ho due alternative, ne provo prima una, poi l’altra, e non va mai bene. E’ mai possibile?”

“E’ possibile, è possibile…” la interrompo io.

“Cosa? Lei ha la soluzione?” mi dice incredula.

“Sì, non è semplice, ma la soluzione c’è…”

“E allora che cosa aspetta a dirmela?” mi chiede con  ansia.

Io mi avvicino di più e le sussurro: “La soluzione sta nel fatto che i due concetti, apparentemente in antitesi, si compenetrano a vicenda, esistono tutti e due allo stesso tempo…”

“Tutti e due allo stesso tempo?” mi fa lei.

“Sì, mi segua attentamente: il Destino è come la Mente di Dio, il Libero Arbitrio è nell’Animo umano. L’essere umano può scegliere il proprio comportamento e agire di conseguenza; ma…c’è un ma: c’è anche una Forza Superiore in cui l’uomo è immerso, che lo trascina nonostante la sua volontà…”

“Non capisco…” mi confessa l’anima.

“Sì, comprendo che non è facile capire come possano conciliarsi due concetti opposti. Ma le faccio un esempio, per intendere meglio questa apparente contraddizione: si immagini un grande fiume che scorre…prenda il Rio delle Amazzoni…o il Danubio, il Volga…o anche il Po; scorrono da sempre e sempre nella stessa direzione…”

“Sarebbe quella la Mente di Dio? Il Destino?”

“In un certo senso…Poi ci sono gli uomini, con la loro Anima più limitata…praticamente voi tutte che siete qui, in un certo modo…che avete navigato in questo fiume con la vostra barca, il vostro corpo terreno, insomma…”

“Ma io non ho più un corpo, sono solo un’anima…” mi interrompe lei.

“Sì, certo” la rassicuro io “ma un corpo l’ha avuto, una volta, no?”

“Sì, ed era anche un bel corpo…ah, bei tempi!” ammette lei con un senso di nostalgia.

“Vede? Lo immagini come una barca che voi potevate guidare per navigare in questo fiume, quando eravate ancora in vita. Potevate spingervi dove volevate, remare a destra o a sinistra, con entrambi i remi, usando il timone o la vela, potevate percorrere l’alveo del fiume in lungo e in largo, manifestare la vostra volontà di muovervi, di cambiare, di

invertire la rotta, entrare nelle anse del fiume, spostarvi da una riva all’altra, anche risalire il fiume controcorrente, se volevate. Ma…”

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“Ma…?” mi interrompe lei titubante.

“Ma dovevate fare i conti con la corrente del fiume: voi potevate decidere di andare dove volevate, ma la corrente vi condizionava…voi cercavate di spingere la vostra barca in una certa direzione, ma a volte la corrente del fiume vi sospingeva da un’altra parte, vi deviava, vi opponeva resistenza…e, se non governavate bene la barca, la corrente vi portava inesorabilmente dove voleva lei…restavate senza controllo, in balia del fiume…”

“Vuole dire che la corrente sarebbe il Destino che scorre, il Fato ineluttabile, la Volontà Superiore, per chi crede, che ha un corso ben definito da compiere…non è così?” mi interrompe l’anima.

“Sì, ed è innegabile che in qualunque fiume esista, la corrente, anche se a volte non la si vede palesemente: non impedisce di navigare, di operare delle scelte diverse, di guidare la barca nella direzione che si decide di seguire…Ma entro certi limiti, i limiti della condizione umana. Perciò della corrente si deve sempre tenerne conto nelle scelte, in special modo quando la corrente è forte, quando ci sono le rapide nel fiume. In questi casi si scopre che la limitatezza è grande: se ci si intestardisce a voler andare controcorrente, non si riesce a proseguire nella direzione voluta: la corrente ci vuol dire che abbiamo intrapreso un cammino sbagliato, ci avverte che il voler proseguire a tutti i costi può portarci a conseguenze spiacevoli…”

“In effetti, anch’io, quando ero in vita, certe volte ho percepito come una forza che si opponeva alla mia  decisione di proseguire a tutti i costi in un percorso: tutto andava storto, continui ostacoli si frapponevano a quella decisione…non si riusciva mai ad andare avanti…un passo in avanti e due indietro…era la corrente del fiume allora che ci avvisava che stavamo sbagliando strada!” mi interrompe l’Anima.

“Già, vedo che incomincia a capire quello che le sto spiegando…” concludo io.

“E che succede se ci intestardiamo e vogliamo proseguire in quella direzione a tutti i costi?” mi chiede lei.

“Il rischio è che la corrente faccia capovolgere la barca, con grave rischio di affogare…”

“Vuol dire che non dobbiamo “sfidare il Destino”, come si dice comunemente…Ma cosa succede se cadiamo in acqua?”  mi domanda lei preoccupata.

“Se non abbiamo qualcosa o qualcuno a cui aggrapparci, per noi è finita: il fiume ci trascinerà a valle senza la nostra barca, senza la nostra vita…”

“E questo qualcosa può essere la Fede, la Speranza in Dio, se capisco bene…”

“Sì, anche se pure chi non crede si può salvare dal naufragio: con l’Amore, l’Amore per il prossimo…con la rettitudine, la bontà d’animo, con tutte quelle doti positive che possiede lo spirito umano…ma la Fede aiuta, aiuta moltissimo, soprattutto se accompagnata a quelle virtù: è un salvagente sicuro, perché ci preserva dalla disperazione nei momenti di difficoltà, oltre a renderci lieti nei momenti felici, ovviamente. Infatti, quando si cade in acqua dalla barca, ci prende la paura, il terrore di non farcela a risalire a bordo: e la disperazione ci fa fare gesti inconsulti, rischia di farci aggravare una situazione già difficile di per sé. E nella disperazione, se non troviamo conforto, ci lasciamo andare, non ci importa più di nulla, ci si spegne persino la voglia di continuare a vivere…”

“E se aggrappandoci a questi valori riusciamo a risalire in barca e venir fuori dalle rapide?” mi chiede lei.

“In tal caso dobbiamo far tesoro di questa esperienza per il futuro: questo scampato pericolo ci deve insegnare che la libertà di movimento è solo relativa, che è possibile

quando la corrente del fiume non è forte; ma se la corrente aumenta, se arrivano addirittura le rapide del fiume, dobbiamo capire che voler insistere nella direzione intrapresa ci può portare al naufragio della barca. Andando controcorrente possiamo

 

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forse resistere per un certo tempo, ma prima o poi, se le rapide non cessano, siamo destinati a far naufragio…non possiamo sfidare la corrente per sempre…potremo vincere qualche battaglia, ma la guerra alla lunga la vincerà sempre il fiume con i suoi flutti.”

“Sto incominciando a capire: lei dice quindi che noi, potendo remare liberamente nel fiume, possiamo manifestare il nostro Libero Arbitrio anche in presenza di un Destino, della corrente del fiume, appunto. Ma non possiamo andare oltre certi confini con il Libero Arbitrio, perché abbiamo dei limiti posti dalla nostra condizione umana: questi limiti sono la corrente del fiume che ci spinge a valle. E’ così?”

“Brava! Vedo che ha afferrato il significato della similitudine…e aggiungo un altro concetto nella nostra metafora, per farle capire meglio: noi abbiamo questo limite nella corrente che ci condiziona, ma abbiamo anche un altro limite importante: le sponde del fiume; oltre la riva, la barca non può navigare, non possiamo portarcela dietro…e chi si avventura oltre l’alveo del fiume, si perde, perché è sulle acque del fiume che siamo chiamati a navigare. Oltre le sponde, tutt’attorno, si estende una foresta fitta e insidiosa: chi lascia la propria barca sulla riva e si inoltra a piedi dentro la foresta, si spinge in un mondo sconosciuto, irreale, ingannevole, dove regna l’incognito, il virtuale, si direbbe oggi, un mondo senza legami con la realtà, che porta alla perdizione.”

“E’ il caso di chi imbruttisce a causa di una vita scellerata, immagino…o di chi impazzisce, andando oltre i confini della propria mente, cioè le sponde del fiume, o di chi rischia di perdere il proprio intelletto per gli effetti dell’alcol o della droga…” riflette lei.

“Esatto! Chi lo fa, si astrae dalla realtà, vive dei momenti di felicità illusoria, per ricadere poi nel nulla, nella disperazione, fino a non avere più nemmeno la forza di ritornare sulla riva del fiume, a riprendersi la propria barca che aveva abbandonata, a riprendersi la propria vita! La maggior parte di costoro si perde per sempre, senza fare più ritorno…”

L’anima mi guarda tra l’interessato e l’incredulo: “Ma lei come fa a sapere tutte queste cose? Chi è lei in verità?”

“Io sono un semplice frate missionario. Ho vissuto a lungo nella foresta dell’Amazzonia…per questo le ho citato il Rio delle Amazzoni, il fiume più maestoso e bello della terra…ci si perde quando ci si sofferma ad ammirarlo…”

“Ah, ora capisco…è un teologo, un gesuita, forse…?”

“No, sono un semplice frate francescano, che ha imparato molto dalla vita…dagli Indios, anche…”

“Ma anche un letterato, no?…O sbaglio? La sua descrizione è paragonabile ad un Inferno Dantesco, mi sembra?”

“Be’, sì, anch’io sono ricorso alle similitudini per farmi capire, come Dante…”

“Ma ho un’ altra curiosità: dove ci porta il fiume con la sua corrente?” mi chiede.

“Il fiume ci porta inesorabilmente verso la foce, che rappresenta la fine della nostra vita terrena: con la nostra volontà noi possiamo quindi ritardare questa conclusione, ostacolandola fino al limite delle nostre forze: ma alla fine tutti, alla lunga, dobbiamo cedere alla forza della corrente, che ci trascina fino allo sbocco finale.

Tutti, come si dice, dobbiamo morire, prima o poi…e di fronte a noi avremo il mare…qualcuno, chi non crede, vi vede solo la fine di tutto, gli abissi in cui sprofonderà; chi crede, invece, vi vede una grande opportunità, un allargamento della propria  condizione terrena: non ci sono più i confini limitanti come nel fiume, ma ampi spazi fino all’orizzonte, dove la nostra mente potrà spaziare e forse finalmente comprendere molte cose che prima non capiva…”

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“Siamo perciò tutti chiamati a percorrere il fiume fino in fondo?”

“Non tutti: c’è chi si è perso nella foresta, è scomparso, non vi arriverà mai; gli altri vi arriveranno in modo diverso: chi vi arriva già morto, perché è naufragato prima, cadendo dalla barca; chi vi arriva con la barca, ma in pessime condizioni, perché non ha saputo conservarla integra durante il percorso; chi, infine, vi arriva con la barca ancora in buono stato, perché ha saputo preservarla dai rischi delle forti correnti…questi ultimi, con la barca intatta, saranno in grado di navigare e spaziare in mare, mentre gli altri andranno a fondo, sprofonderanno negli abissi marini…”

“Dipenderà quindi dalla nostra avvedutezza nel saper conciliare il Libero Arbitrio con il Destino, per salvare fino alla foce l’integrità della nostra barca, che poi è la nostra stessa vita…non è così?” conclude lei.

“Certo, cercando di evitare gli scogli e assecondando la corrente del fiume, che identifichiamo con il Destino, il Fato…o la Volontà Superiore, per chi crede.”

“Volontà Superiore che possiamo solo intuire, percepire, ma non comprendere appieno, perché va al di là della nostra mente limitata…” prosegue lei.

“Sì, Volontà Superiore che esiste, anche se non riusciamo a vederla, a toccarla, per quanto ci sforziamo di darle dei contorni…”  completo io.

“…e questo erroneamente ci spingerebbe a dire: non la vedo, non la tocco, quindi non c’è, non esiste…” perfeziona lei.

“Come la corrente del fiume, che non vediamo, soprattutto   quando scorre sonnolento lungo le sue sponde…” preciso io.

“Zitto! Zitto! Si sta avvicinando il mio solito Angelo! Sta venendo verso di me.” mi interrompe l’Anima.

Allora io le faccio un cenno con il capo, per farle intendere  che ho capito, e mi affretto a salutarla.

“Mi raccomando!” aggiungo mentre mi allontano.

Lei mi ferma “Grazie, comunque, grazie per la lezione!”

Mi accomiato velocemente, ma rimango ad osservare a debita distanza.

L’Angelo la raggiunge e cominciano a conversare.

L’Anima inizia a discutere animatamente e con ampi gesti delle mani si infervora nella sua esposizione.

Temo quasi che si arrabbi.

L’Angelo ascolta impassibile.

Lei continua ad ostentare con forza le sue “convinzioni”.

Poi, dopo un certo lasso di tempo, si ferma.

Temo il peggio.

E invece no, l’Angelo pacatamente comincia ad esprimere il suo giudizio.

Non scuote il capo, e questo è già un buon segno: anzi, sembra quasi che annuisca.

Sono momenti decisivi.

Poi l’Angelo finalmente emette il suo verdetto: annuisce vistosamente e si complimenta con l’Anima.

La solleva dalla nuvola, la prende fra le braccia come fosse un bambino e fa per spiccare il volo.

L’Anima allora si volta per cercare il mio sguardo.

Mi fa un ampio cenno con la mano, quindi solleva l’indice e il medio a “ V “ in segno di vittoria: poi si porta la mano alla bocca e mi manda un bacio; infine si aggrappa stretta stretta all’Angelo per non cadere.

Questi si spinge sempre più verso l’alto, stringendola a sé e si dirige veloce con l’anima verso il Cielo.

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