Titolo raccolta: SCORRE
dedica: …per ALMARCO
SEMPRE
Sono Kaos
ciò che E’,
madre l’ antica Notte
Luce il padre
m’ ingenerarono.
Spaventi
della mia possanza
vollero
l’ ordine di Kosmos
di Kronos
l’ eterna finitezza.
Nulla possono
poiché li contengo,
sino a quando
l’ omogeneo disordine
sarà compiuto
a reiniziare.
OSPITI
Siamo
paguri bernardi,
abitiamo
una spirale di vita sospesa
nel nulla
come fosse nostra.
Alghe e denti di cane
malcelano
dai nemici,
ma
non possiamo cambiare conchiglia.
RATTI
Verde il semaforo,
una pantegana sul marciapiede
mi fece rallentare.
La schiena spezzata,
con dignità
trascinava i posteriori,
lenta e calma.
Venne il rosso.
Si voltò
mi guardò negli occhi
poi attraversò
sulle strisce,
controllandomi.
Passata che fu
prese un viottolo
verso le campagne.
Attendeva l’ autobus
un’ anziana signora.
Ci guardò
si voltò
mi sorrise
dolcemente incredula.
SERENAD
Kurda,
un padre con dieci anni alle spalle,
PKK e l’amore per l’ Opera,
giovane sposa d’ un ricercato,
italiano,
fuggito a combattere in Caucaso.
Esule in Svizzera,
Adàm
l’ ha lasciata bambina
giocare col cucciolo lupo,
regalo di X.
Poi giunse l’ Italia.
La sera che venne
ancheggiando nervosa ninfa,
una casacca turchese di casa sua
su shorts ariosi come un pareo,
il parco
vibrò attorno a me.
Volle che fosse lì
sul prato sotto le stelle.
Cantò
per me attonito
un verso soldato.
Pochi giorni.Raggiunse il padre.
Serenad
LUNA ROSSA
La mia esistenza
è
un mare più di altri salato
pervaso da venti fiumi ghiaie
su cui scogliere precipiti
sudano chiare fonti
tra i ciottoli della riva e le corse dei branzini.
Costellata da teorie d’ orci di vino
da cui Morfeo si prestò a incidermi sulla pelle
la mappa delle stelle.
L’ acre afrore
di sudore di scimmia
mi mondai con l’aria tra i larici
per vent’ anni a osservare le foglie
d’ un isola in collina
come una donna amata e tralasciata
come tutto ciò che mi scivola tra le dita.
Sola,
una giovane donna bambina
figlia di uno tsunami
nata di Luna rossa
mi colse e mi volse vecchio ragazzo padre
bramato anche nei sogni del sonno al mattino.
Così,
chiesi a me stesso il privilegio
di vederla ormai grande ascoltarci
di tutto ridendo
DE SIDERIO
Ieri Libeccio, inasprito dal Tirreno,
trottava a consolare un sole rassegnato, presago.
Una stringa d’alba rosa incoerente
mostra Bora incunearsi ventre a terra
rabbiosa scompigliare opposti nembi,
ventagli di Medusa da Ostro
grevi sopra banchi di mobili foschie giallastre
di sabbia dal Magreb, rocciosa.
Mi scuote dal nulla il rollio dei marosi
sfranti da murate avvezze.
Il ronzio sordo delle macchine al minimo, pronte.
Controlla il timone la vela da Palo a darci la spinta,
velacci ridotti a garantire la rotta,
il resto lo fanno i cinghiaggi da branda.
La luce di cortesia giallocalda
l’ oblò chiuso l’ aura e il dondolio
rimandano a disperse sere lontane,
di madri, di nenie, a conforto.
Nè più m’ è dolce solcare questi mari,
se la vita lo è stata.
Viaggiare si deve, anche la notte, la mente libera,
ma sopravvissuto tra tempeste e qualche naufragio,
sogno una cala protetta, un paese, le scuole,
uscire a mare di rado, nasse traino e palamiti,
dipingermi il tramonto negli occhi, prima di cena.
Allora, ascoltandomi il respiro
cogliere al volo le bolle dal profondo
per giocare a tradurle in umane parole
SPAZIO
Oggi vorrei
spento
far tacere Pensiero.
Parlare
nutre e consuma.
Bastano le mie mani
a graffiare
un foglio bianco.
Anelito
è un travaglio lungo una vita.
D’ una figlia sana
un vascello chiamato casa.
Oltre il muretto
orti e campi fra case sparse.
Un prato
un frutteto
una spalliera d’ uva da tavola
sul terrazzo
un giardino d’ inverno
spazio
per ospitare chi passa
LEI
Bastò salire.
S’una bolla complice.
Per sfiorare Lei.
PIOVEVA
Sola l’anima.
Il corpo in congedo.
Naviga via.
SOSPESA
Attorno a lei.
Risuonava un vespro.
Già ansimante.