Marco Magnani - Poesie e Racconti

A volte vorrei fosse tutto un sogno,

vorrei avessimo sopravvalutato tutto quello che proviamo.

Vorrei sperare che ci siamo confusi, che abbiamo capito male.

Si, perché preferirei essere torturato fisicamente con metodi medioevali, preferirei essere torturato da un plotone di nazisti… Preferirei un dolore fisico immondo a ciò che sto sopportando.

Addormentarmi con la tua voce, ma senza i tuoi abbracci, senza il soffio del tuo respiro sul mio collo, senza una forte stretta tra i nostri corpi nudi dopo aver fatto l’amore, senza i tuoi occhi che guardano i miei come ultima visione prima di spegnersi.

Passare la giornata a chiedersi cosa stia facendo la mia metà, saltare un battito di cuore ogni volta. Così come saltare un respiro. Saltare un pasto.

Basterebbe trovare il coraggio dell’egoismo più sfrenato, fare ciò che si desidera senza pensare alle conseguenze. Lasciare che le nostre diversità ci leghino come edera indistruttibile e finalmente completarci in modo che il nostro cuore ricominci a battere all’impazzata senza vuoti, in modo che i nostri polmoni si riempino costantemente d’aria, in modo da tornare a fare tre pasti completi al giorno.


 

Emozioni di consapevolezza.

 

Sono il più geniale ed intenso pensiero di un balbuziente,

il silenzio mi porta a danzare con gli astri,

ma se esternato divento lento e privo di significato.

Sono una chiave d’oro incastonata di diamanti,

ma la giusta serratura mi è sconosciuta,

solo vecchi e diroccati portoni davanti a me.

Sono il più eroico romanzo mai stato scritto,

ma da una grafia incomprensibile per il lettore.

Sono la stella più radiosa del firmamento,

ma presente nel cielo solo di giorno

e quindi offuscata dall’immensa luce solare.

 

Eternamente incompleto e sbagliato,

questo è il mio tarlo.

 


 

Ho capito che l’amore è un bel vestito da festa 

che fatichi togliere.

Stanze anguste con odor di chiuso, di non vissuto;

monouso,

come le strette di mani sterili,

tra lo schioccare dei palmi una bolla di vuoto,

interazioni in disuso.

Covi per equilibrarsi, verande nascoste

o vie di non passaggio cariche di storia,

nel ventre della città,

dove c’è libertà nell’aria.

I tuoi passi sono passi veri 

Di chi la vita è stata un sasso immerso,

un universo di buchi neri.

E vaghi per strada

in vestaglia e ciabatte

E non te ne fotte, 

di chi riderà 

tanto da qui vuoi andar via  

vuoi che il mondo sia casa tua. 

Non hai paura di inciampare,

è già accaduto,

non senti nessun dolore

ormai non fa più male.

Sbatti le porte e stracci le carte

mascheri ad arte debolezze nascoste.

 

Madre e figlia con un maglione in due.

Ladri di biciclette impossibili da rubare.

stereo con volumi talmente alti che non puoi sentire…

Gli uccelli oramai passeggiano e non volano più.

 

Tutto questo ti fa da contorno

e forse pensi è meglio che torno

a crogiolarmi nel mio ricordo

ad essere sempre in disaccordo.


 

Lontano da tutti gli egoismi delle sofisticate persone,

io e la mia metà nel nostro nido con vista sul mare,

guardare abbracciati davanti a un fuoco la maestosità di un temporale,

leggere ad alta voce un libro condividendo il sapere,

basta un bacio, un soffio, una carezza 

s’accende il piacere,

bere vino ed esser sbronzi 

per raccontarsi i segreti più profondi.

 

Ehi dov’è la semplicità?

Quella che abbiam barattato con la comodità,

correre ci rende stanchi,

affannati perdiamo di vista i valori più importanti.


 

Notti di riflessioni a bocce ferme.

Notti dove puoi ferirmi

sono inerme.

Notti a fare strade senza lampioni.

Notti in cui ti vedo

ma nelle mie illusioni.

Notti di poesie, vino e canzoni.

Notti in cui il tuo sorriso 

ha forme, colori.

Notti di giorni stressanti

Notti dove per pochi istanti

da tutti gli altri siam distanti.

Notti dove ti veglio sperando che siano buone. 

Notti dove per raggiungerti

offrirei le suole

pelle, carne e polmoni.


 

Pioggia su sole

vestito più appropriato

per questa città,

con i suoi tetti, i suoi ponti e le sue torri,

tutto risalta di più.

Colori ad olio su tela,

tintinnio di moneta caduta tra i ciottoli.

L’aspro odore della storia e del suo sudore,

di terra e di fiume in bocca il sapore

che salda palato e gola, denti e lingua.

Ciononostante spesso si vergogna

e riesce a coprirsi tutta, 

di nebbia fitta.


 

Sei quel vento che soffia da ovest,

quello che vorrei catturare in un barattolo

e tenerlo nella valigia che è casa,

quando si fa un lungo viaggio.

Avventure tra il cemento ed il verde,

passioni tra la seta ed il buio,

giornate passate ad aspettare la luna, 

nottate a sperar che il sole non arrivi mai…


 

Tutto passa tranne te.

Passano giorni e mesi, 

un anno è passato ma tu no.

Non potrai mai passare,

Non potrò mai dimenticare.

Le tue risate insensate e gli abbracci annessi,

il sentire le tue piccole costole spostarsi,

per fare spazio a un cuore che esplode e fissarci 

mentre siamo una sola cosa con aria ispirata,

e sembrare come due bimbi che giocano a chi ride per primo.

Quando sembri posseduta e pronta a lasciarti andare ad ogni mio istinto,

bella da mozzare il fiato, 

sensuale da riscrivere il valore di tale pregio.

Quando mi sorprendi che ti accarezzo e mi guardi 

come se fosse tutto ciò che hai sempre voluto senza saperlo.

Tutto passa tranne te

Un grido che diventa eco ed infine canto. 

Un sasso che buttato nel mare calmo 

forma cerchi sul pelo dell’acqua e diventano onde ingovernabili, 

che mai troveranno una costa sulla quale infrangersi.

Tutto passa tranne te

 


 

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