Marco Marulli - Poesie e Racconti

S.’ s hug


E l’ abraccio suadente 
e lo sollevato sorriso, 
del padre allietato 
dell’uomo allettato, 
dal suicidio sottratto, 
da un angel’ sorretto, 
la famiglia intera
abbracciando, 
dopo aver scoperto, 
lo valor della vita, 
dopo essers’ accorto, 
che:
“La vita è meravigliosa” ! 
ch’ ogni vita ha ‘l suo scopo! 
Ed un messaggio, 
così bello ed essenziale, 
ch’ io vi consegno, 
o miei lettori, 
contenuto
nella suddetta pellicola, 
nello cult suddetto, 
datomi dall’attor
in questione:
James Stewart


Estratta da silloge poetica “Chronos”, che uscirà prossimamente
scritta a 21 anni


 

Selva oscura

 

Qualora morissi,

in esta notte,

convien ch’io dissi,

della mia sorte;

della mia crisi

vi vol parlar,

d’animi contrisi

e di menti da sanar, 

verte il mio racconto

che non è di poco conto;

ahi quanto a dir qual era! 

è cosa dura, 

esta crisi selvaggia 

e aspra e forte! 

che nell’animo mio

era in mala sorte.

Ma ‘l Padre mio

non vol

lasciarmi a quel modo

 e tirò fuori ‘l me

ahimè: ridotto a brodo. 

E ad allegria e verità

mi condusse

e pascoli erbosi

la mia mente produsse! 

Carpita la verità

 sulla mente mia, 

rendo gloria al Signor

che m’ha fatto onor;

a nuova vita 

m’ha condotto ‘l mio Dio, 

l’anima mia fu colpita, 

dal Padre mio:

per quel che m’ha fatto

e per il mio cervello donato, 

che per anni fu condanna

a dolori e malanni, 

ma che ora è manna

evviva star nei miei panni. 

 

Scritta a 21 anni

Estratta dalla silloge poetica “Chronos” che uscirà prossimamente 


 

Lucretia

 

O mia bella a me svanisci,

o meraviglia a me scompari, 

e come un sogno si dissipa

al risvegliarsi,

in ugual maniera, 

tu, ti volatizzi;

o straziante lama,

ch’ al mio cor s’infila,

ordigno di dolor,

nel mio cor s’innesca,

o tremenda agonia,

che lo mio corpo

squote;

perché le nostre strade

debbono dividersi,

e lo mio cor spaccarsi?

Tu mandata dal Divisore fosti,

per far sì che scegliendoti,

la chiamata persi,

ma per rimaner fedele,

alla mia vocazion,

a te dovetti rinunciar;

o me tapino,

sull’altar t’avrei condotta, 

ed una prole da te, 

avrei desiderato.

Ed affogo in ‘esto mar,

di sofferenza,

che a causa della mia, 

allessitimia,

non so definir;

ahimè, c’ amor affanna,

in una mesta agonia.

 

Scritta a 21 anni

Estratta dalla silloge poetica “Chronos” che uscirà prossimame


 

 

Chrotemtus

(Chronos autem conflictus) 

 

Per me giunto è il tempo, 

di lasciar esta vita,

per me il tempo che fu,

della vita mia,

come un soffio passò,

e in un freddo e soffocato sospiro,

rammento li tempi miei:

oh cotanta amarezza,

lo tempo mio già s’ è concluso. 

Ad impersonificar Matusalemme, 

mai aspirato ho,

ma viver di più,

‘l me ha agoniato;

se il Kairos ho sfruttato, 

solo Kyrios può dirlo

e a Lui ‘l giudizio rimetto,

riguardo la mia entità d’ anima e corpo,

 

oh imbellum io fui,

così’ l me dolente sospira,

e’ l dolor s’ accresce,

nel ricordar,

il tempo felice,

e l’animo mio s’addolor di più, 

nel rimembrar lo tempo che fu;

 

e passato lo sottil confine,

che separa la terrena vita,

dalla celeste al di là,

m’ incontro col sommo Kyrios,

e nello scrutar codesta infinita meraviglia 

e nell’osservar cotanta bellezza,

sussultó ‘l mio cuor,

e la mente mia rimembró, 

che lo Signor mio m’ ama, 

e che di me, pietà avrà, 

ed il cuor mio il sentier

della gioia andò solcando,

al pensier,

di viver con l’eterno,

lo resto infinito dell’eternità;

e il trapasso avvenuto fu, 

poiché l’anima il corpo lassó.

 

Alchè la gioia mia parea piena,

un suono udì, che sussultar mi fece:

dietro a me venì quel fatidico rumor,

così lesto mi volsi a retro

a rimirar lo passo da cui venni,

ed ombra, od omo certo! già vidi:

per metà bello quasi quanto Kyrios, 

per metà atroce e torrido m’ apparve! 

codesta ignota e tanto ambigua e strana figura,

dapprima non seppi chi fu,

ed ella, parea che contro a me venisse! 

con mano tesa, e bramosa bocca,

con fatidico sguardo

e gravoso passo! 

Dinnanzi allo sconforto io fui,

quando m’accorsi chi fu, costui:

il Maligno, il traditor, 

l’oppositor, lo divisore,

l’eterno nemico, il primo vinto! 

ed altri epiteti esta orrida figura, 

di odio morboso, 

si meritò,

ma in mente non mi vennero

se non bastardo, colui che sè stesso snaturó, 

e che dell’infinito amore si privó;

or dunque, tale al contrario scimmia

contro a me si volse,

e con invitante fare

volle a sé condurmi, 

finché, non m’accorsi

che ‘l Padre mio

tra me e ‘l Demonio

si trasse, 

e subito, gli dissi:

“Aiutami da lui, oh divino celebre! che la torbida creatura, l’ottusa bestia, insomma ella, mi fa tremar le labbra, mi fa sudar le tempie, ribollir le viscere, di sorda rabbia e di rinnovato disgusto!” 

Ed Egli a me:

“Convien che dietro a me tu resti, 

finché sconfitto l’ eterno mio nemico

io non abbia;

ma non temer, 

o mia giunta al Paradiso creatura,

sèguita la speranza,

e che il cor tuo, 

per l’orrore

non cessi di camminar!

abbi fede ordunque,

che già una volta

lo mio nemico vinsi,

e dalla vita

lo trassi, 

e alla morte lo affidai, 

ma ahimè,

con ella scese a patti,

ed a me guerra dichiaró”

Ed io a Lui:

“Non che non mi fidi,

oh mio maestro, 

ma non sarebbe più opportuno, 

se lo mio piede e lo mio passo, 

il cammino potessero continuar, 

fino a giunger li cancelli, 

del sommo di luce regno” 

Ma subito volsi a retro la mia intenzione:

“Oh me tapino, oh me indigente, 

oh meschino miscredente, 

possa scontar la colpa mia, 

per aver dubitato della tua divina protezion, 

tanto da volger lo mio pie’

e lo mio passo, 

alla via della fuga” 

Ma egli a me:

“Non temer oh mio protetto,

già lo predissi

e ‘l perdono ti concessi,

ora seguita ‘l cammino, 

volli io permetter, 

che tu difidassi, 

e dalla mia protezion ti trassi, 

per mostrarti la tua debolezza, 

ed ora va: penso e discerno, 

che il kairos per parlare, 

sia ormai finito, 

il Demonio fino a me fu giunto, 

et continuar a parlar m’ è recluso, 

tempo di conflictus per me è giunto”

E come un sapor premonitore, 

sangue sulla lingua io sentì, 

e con amaro pentimento

per il mio comportamento 

e per la mia vita che fu, 

mi mossi

e ‘l mio cor scossi

al pensier che bene e male, 

retro a me, s’infiamman. 


 

“Polaris”

 

Nell’ oscuro baratro,
d’ angoscia e dolore,

sferzavo il mio cuor,

come un terren sotto l’ aratro;

il blu divenne il mio color, 

peché dell’ animo mio era il colore.

Ma poi qui fui,

alla sera giunto,

la crisi cessò,

e il malanno passò,

poiché Gesù: costui,

prese il mio cor compunto

e dalla fossa di morte,

mi trasse.


 

Into The Forest
Black Beast


Sentii l’odore della terra bagnata che si infiltrava nelle mie narici
Osservai gli uccelli che solcavano i cieli 
Fissai lo sguardo su una mandria di animali infuriati che attraversavano la foschia, i loro boati e i loro passi affannati facevano tremare la terra.
I miei piedi quasi affondarono, nelle pozze di fango e acqua, che avevo sotto di me
Poggiai la mano su una delle moltissime querce che stazionavano imponenti nella sconfinata foresta, ebbi la sensazione di percepire l’essenza della natura che si propagava dalla mia mano fino al resto del corpo…fu una sensazione sconvolgente, mi sentii come un tutt’uno con la foresta stessa.
D’un tratto percepii qualcosa che mi costrinse all’ ansia…
sentii dei passi…da dietro di me, udii uno strano suono pesante…come il respiro di un grosso animale;
mi voltai di scatto: vidi qualcosa di cui avevo letto in passato…qualcosa che non credevo neppure che esistesse, ne rimasi sbigottito: si trattò di un leone nero…un raro, rarissimo errore genetico che rese un leone…completamente nero
Il suo manto era pura pece, la sua criniera sembrava fatta di funi di ferro…felino maestoso era quello, assolutamente maestoso, ma assai pericoloso e letale.
Avevo un arma con me: un primordiale pugnale fatto con una roccia affilata ed un pezzo di legno, mi ero dilettato a uomo primitivo. Lentamente la estrassi dalla mia sacca, il leone mi guardava fisso negli occhi. 
Avevo il pugnale in mano, ma aspettavo che fosse il leone a fare la prima mossa, non volevo attaccarlo per primo: se lui non era intenzionato ad assalirmi, avrei rischiato la mia vita la per nulla. 
La belva alzò il muso di scatto e ruggí, quasi volesse sfidarmi. Riprese a fissarmi senza battere ciglio, la tensione mi stava uccidendo, ancor più della paura.
Quella bestia era in grado, di uccidermi in un solo balzo, ed io, come armi avevo solo i miei ottimi riflessi ed un arcano pugnale…
Lo scontro era imminente 
Gli sguardi, mio e della bestia, erano serrati l’ uno sull’ altro.
Prima che la bestia apparve alla mia schiena, avevo scrutato bene l’ ambiente, che per me era diventato…un autentico campo di battaglia
Il leone fece un passo avanti. Sapevo che c’era un albero ad un metro da me, con un grosso ramo sporgente, pensai di tentare di aggrapparmi con un balzo, sperando…che era in grado di reggermi.
Ecco! Il leone si lanciò contro di me, ad una rapidità spaventosa, io ero molto più vicino al ramo di quanto il leone non lo fosse a me: riuscii ad aggrapparmi, ma la mia gamba sporgeva, la belva saltò nell’intento di staccarmela, e per poco non ci riuscì…
Tempo 1…forse 2 secondi, ed accadde il peggio: il ramo si cui ero salito, spezzò, ma non prima di scricchiolare…caratteristico suono che mi avvertí dell’incombente disastro: così balzai su un altro ramo, un istante prima che quello sui cui stavo, si spezzò; cadde sulla testa del leone, che era proprio là sotto pronto ad azzannarmi in caso di una mia caduta. La belva era stordita: chili di legno li erano caduti in testa. 
Approfittai dell’ occasione: li balzai sul collo, e lo pugnalai. Il leone, preso dal dolore, infuriato e temente per la sua vita, si agitó con velocità e forza inaudita: finii a terra. Mi volsi verso di lui ed in un lampo mi fiondò addosso: i miei arti inferiori erano la parte del mio corpo più vicina alla belva omicida, misi d’istinto una gamba addosso al leone per proteggere il resto del corpo; il leone mi azzannó una caviglia…era un incontro all’ ultimo sangue. Urlai, straziato dal dolore, con l’ altro piede diedi una raffica di calci sul muso del bestione: lo presi all’occhio e sulla fronte, disorientandolo. Riuscii a sottrarre la mia caviglia sanguinolenta dalle fauci della bestia. Mentre la belva si preparò ad un altro attacco, volsi il pugnale contro di lui…mi saltò addosso, finí pugnalato alla base del collo.
Non potevo tornare indietro: ormai era morente e sofferente, dovevo finirlo, non meritava di subire così a lungo una simil piaga; e allora, lo finii: li sferzai l’ addome con un’ altra pugnalata, li lacerai le carni per terminare il suo dolore, fiumi di sangue sgorgarono da quell’ immenso corpo, ora privo di vita.
Non c’ era onore, né gloria, in ciò che avevo fatto, ma avevo salva la vita…nonostante ciò, un senso di amarezza, e di abbattimento, si annidó nell’ animo mio. Prima di questo giorno, un maestoso ed elegante leone, attraversava la foresta, ed ora, quello stesso leone, così fiero e risoluto, era steso sul terreno a grondare di sangue.
Mai più la terra verrà sferzata dalle sue zampe possenti, mai più le creature della foresta tremeranno a causa di un suono così unico e potente, mai più il mondo, vedrà regnare una simil creatura, mai più…a causa mia.

 

Scritto da adolescente, più o meno a 16/17 anni

Estratto dalla raccolta di racconti “Chrotemtus” che uscirà prossimamente 


 

Olimpus


Scritto che narra la scalata dell’ Olimpo da parte dei giganti, i quali intrapresero l’ intrepida e pericolosissima impresa, di dar battaglia al dio Giove.
“Aspettammo 9 anni, finchè non arrivò il momento propizio”, il suo immenso corpo seminudo, si arrampicava sul monte Olimpo; “Pianificammo la salita, e ci preparammo ad essa”, fece altri metri di arrampicata, con sguardo grave in volto; “Pregustammo, il sapore della vittoria, il sapore del sangue” il gigante era ormai vicino alla cima del monte…”Il sangue, del nostro nemico, di Giove, Padre degli dei” il colosso era ad un metro dalla vetta.
“Prodi! Siamo giunti ormai” Disse il gigante, ai suoi alleati…infatti, i colossali uomini erano ben 4, e Giove, era uno ed uno soltanto, egli era ignaro, mentre i colossi ghignavano perversi, al pensiero di lui, sommo padre che grondava di sangue
“Dannazione!” Sussurrò il primo gigante ai suoi compagni; “Il dio solo, non è poi così solo…” aggiunse con una punta di amarezza e di rabbia: infatti, c’ erano dei guerrieri divini a guardia dell’ Olimpo. Ma i giganti non si persero d’ animo: sfondarono il cancello ed aggredirono le guardie. Giove si accorse della minaccia, ma fu colto alla sprovvista: uno dei giganti si scagliò contro di lui; essi combatterono, elevando le loro possenti braccia, ed emettendo brutali versi di fatica. Il gigante era ad un passo dall’ essere buttato a terra, quando i suoi alleati intervennero, scagliandosi contro il malcapitato dio, che allarmato ed indignato allo stesso tempo, combattè duramente, per salvare la sua vita; gettò il suo corpo in aria di modo da colpire con le ginocchia un gigante, e con le braccia un altro di loro; finirono tutti al suolo; ma Giove si alzò subito, e nell’ immediato istante seguente, colpì al petto ed ai fianchi, uno dei giganti, facendoli perdere il fiato; con una ginocchiata al volto lo fece finir per terra, l’ aggressore era quasi privo di sensi, fiumi di sangue sgorgavano dal suo naso, mentre Giove menava una delle sue enormi gambe contro il quarto gigante; quest’ ultimo, piegato dal dolore fece un balzo  all’ indietro, cercando di allontanarsi dalla mira del dio furioso, ma egli subito lo raggiunse, e lo colpì forte col dorso della mano, dritto sullo zigomo, il gigante barcollò per un istante, unì le mani e le gettò con violenza verso Giove, ma egli con prontezza evitò il colpo, suscitando lo stupore del gigante, che si sbilanciò per il mancato colpo. Giove non gettò questa occasione, scagliò un calcio laterale dritto sul grugno del gigante, che precipitò a terra con disonore. Il gigante che aveva perso il fiato nello scontro con Giove cercò a stento di tirarsi su, mentre i primi due colossi si erano rialzati, e puntarono di corsa contro l’ ormai stanco Giove; i due aggressori erano riposati e furibondi, mentre Giove era ad un passo dal finire le energie: non aveva speranze. Quando da lontano apparve una figura a Giove tanto nota ed amata: Giunone, sovrana dell’ Olimpo, nonché sposa di Giove. Tale visione diede speranza al dio re, che, colmo di rinnovato vigore fisico, si scagliò pronto sui suoi aggressori; quest’ ultimi ricoprirono Giove di pugni, egli alzò le braccia al volto per proteggersi, in quel momento sentì la voce di Giunone che disse: “Marito mio, confida in me: apri le tue leggiadre mani e portale lontane dal tuo solare volto”
Giove, colpito da ciò che la sua consorte disse, decise di compiere questo folle atto di fede, e spalancò le braccia, scoprendosi il volto; un bagliore accecò quasi i giganti, che indietreggiarono, tale luce, era invece innocua per gli occhi di Giove, il quale si trovò tra le mani, un lucentissimo fulmine, egli lo scagliò contro i suoi aggressori, ed essi balzarono folgorati lontano, contro il bordo dell’ Olimpo.
Giove gridò colmo di gloria, credeva di aver vinto, quando gli altri 2 giganti, benchè storditi e barcollanti si alzarono, e vennero raggiunti dagli altri 2 giganti, che avevano pelle e carni bruciate, ma che avevano ostinazione e sete di sangue da vendere: avevano accettato l’ idea di morire, già prima di scalare l’ Olimpo: in condizioni normali i giganti sarebbero stati sconfitti, sopraffatti dalla forza e dalla potenza di Giove, ma non questa volta: quei giganti si stavano spingendo oltre i loro stessi limiti, oltre la loro stessa resistenza fisica, per dare il tutto e per tutto, in questa straordinaria sommossa contro il dio re.
“Vulcano!” urlò Giove, “Dammene un’ altra!”
Alzò la mano possente ed una folgore saettò in essa; la scagliò sui giganti: l’ onda d’ urto ne schizzó 2 oltre il confine dell’ Olimpo, giù dal cielo, un altro fece quasi la stessa fine ma si resse, disgraziatamente per lui, Giove lo colpì con un calcio frontale, facendo volare giù anche lui. Il quarto gigante fece per alzarsi, ma Giove lo afferró lesto e li diede una testata: egli precipitò giù come i suoi compagni…ed essi, si infransero al suolo, all’unisono.
Vulcano, che era alla destra di Giunone, era fiero dei fulmini da lui forgiati, Giunone invece, era sollevata ma al tempo stesso commossa; suo marito aveva sconfitto ben 4 giganti, temprati dall’ odio, fortificati dalla sete di sangue; morte volevano, e morte hanno trovato, ora i loro corpi, giacevano inermi dentro vastissimi solchi, i quali divennero, le loro tombe. 

 

Scritto a 17 anni circa

Estratto dalla raccolta di racconti “Chrotemtus” che uscirà prossimamente 


 

Nel grande giardino

 

Beegby Braxon, un ragazzo scozzese di appena 17 anni, che vive in Irlanda, si era organizzato con il suo gruppo di amici, per andare a visitare una delle tante zone verdi della loro nazione. La Hidden Valley, un nome un programma. Essa era il più remoto di tutti quei paradisi verdi irlandesi, ed era il meno visitato fra tutti. A saputa di Beegby e dei suoi amici nessuno c’ andava mai, e non erano riusciti a sapere il perché, i ragazzi dopo averne discusso per tempo, avevano concordato che era perché per la gente non aveva senso andare in un posto così fuori portata quando magari c’è di meglio a due passi da casa. Plausibile. 

Ma era proprio questo che li aveva spinti ad andare, così lontano verso l’ ignoto, verso dei territori “inesplorati” se vogliamo, vedere il verde non visto, assaporare il gusto dell’ esplorazione, giungere là, dove praticamente nessun uomo, era giunto prima; tutto ciò affascinava da morire Beegby ed i suoi amici. Lui era il più piccolo del gruppo, una comitiva che contava 30 ragazzi, lui compreso. Si trattava dell’ unione di gruppi di scuola compresi dai 4 ai 6 membri, presi da più classi della loro scuola superiore, più qualche acquisto nei loro paraggi e qualche vecchia amicizia d’ infanzia. 

Ormai i ragazzi erano pronti a partire, presero i mezzi dovuti finchè non arrivarono all’ ultimo autobus che dovevano usare per raggiungere la fantomatica meta…su esso, incontrarono un tipo un davvero macabro…
“Dove andate così numerosi, ragazzi?”
“Nella ‘Hidden Valley’” rispose Beegby
Il conducente trasalì
“State scherzando spero?”
Uno del gruppo lo guardò inorridito, un altro di loro chiese: “Perché dice questo?”
“Ma come, non lo sapete?” fece il conducente con aria allarmata
“Sapere cosa!” fu la risposta di uno di noi

“Ah…già, ineffetti la storia non è che sia proprio di dominio pubblico…”
“Quale storia?” Esplose Berry Hoocker, uno dei membri più attivi del gruppo
“Ci dica la prego!” Sbottò Carry Brixtol, una della ragazze più piccole fra noi
“Non amo parlare di questi fatti…francamente mi fanno raggelare il sangue”
“Non faccia così! Ci dica!!” ribattè Carry sempre più tesa e preoccupata
“Bhe…se siete davvero decisi ad andare là è giusto che sappiate” cambiò finalmente idea il conducente
“Il fatto è…che un uomo, un viaggiatore venuto dall’ Australia, è voluto andare alla vostra dannata ‘Hidden Valley’”

“E allora?” Fece Billy “Sequoia” il più alto del gruppo

“Il problema è che non si hanno più sue notizie da 6 mesi.”

Qualcuno del gruppo trasalì

“E’ tutto qui?” Se ne uscì Bobby la Branda, il più grosso del gruppo
“Lei vuole solo spaventarci” aggiunse con un tono ammiccante
“No…è vero, e c’è dell’altro”

I ragazzi erano tutti in silenzio, in attesa, di ascoltare la fine del misterioso racconto

“Qualcuno andò a cercarlo, mesi fa, una donna, ben più giovane di lui, forse sua parente”

“Eh allora?” fece Berry
“Allora al suo ritorno, ella giura di aver trovato il corpo del viaggiatore, steso al centro di un enorme giardino…morto stecchito!”
Carry deglutì
“Non è tutto, l’uomo era anche in una posa che la donna stessa ha definito ‘contorta e orribile’, e aveva anche gli occhi sgranati e la bocca anch’essa contorta…”

I ragazzi erano inorriditi, nessuno osava dire niente

Il conducente concluse: “Ucciso magari, chissà da chi, o da cosa…”
“E come!? E poi perché?”
Chiese Billy titubante
“Non lo so, è tutto” concluse calmo il conducente
Il gruppo era senza parole
“Allora…siete ancora intenzionati ad andare in quella dannata zona?” chiese il controllore con aria di rimprovero e serietà
Rimasero tutti in silenzio per qualche secondo
Poi prese parola Beegby:
“Bhe, se sono venuti dall’ Australia per andarlo a vedere, un motivo ci sarà!”
“Sììì non lasciamoci intimorire da una storiella di paese”
“Giusto”

“Ma voi siete pazzi! Non avete sentito cosa vi ho appena detto!”
“Certo mio caro conducente, ma chi ci assicura che sia vero?” Ammiccò Bobby la Branda
“Infatti!”
“Eeh!”

“Ma…chiedetelo a chiunque! Vi confermeranno che ciò che vi ho raccontato è vero” 

“Ma andiamo anche fosse?” Prese parola uno dei ragazzi che finora era rimasto in silenzio:

“Chi ci dice che ci imbatteremo nello stesso punto dove è morto quell’ uomo? La zona è grande…” aggiunse, il suo nome era Claton Fouleman
Qualche minuto più tardi, la comitiva era scesa dall’ autobus, del quale il conducente, atterrito, li guardò con aria afflitta e rammaricata; debolmente, iniziò a farsi il segno della croce: nel nome del Padre, del Figlio e dello…

“Ma la smetta” sbottò Jim Joyce, il più turbolento del gruppo “Staremo benissimo.” Concluse lanciando uno sguardo di rimprovero allo stizzito conducente.

Camminando camminando, i ragazzi giunsero ad un immenso giardino, in esso vi era qualcosa, che nessuno dei trenta ragazzi aveva mai visto né sentito parlare: vi erano dodici piccoli gruppi di luce, formate da tre luci ciascuno; essi erano lì sospesi nel nulla e roteavano persino. Sembrava impossibile, eppure eccoli là, girando fra loro, come in un’ armoniosa ed eterna danza. Inspiegabile. I ragazzi presero a guardarsi con un misto di incredulità e sgomento.

Quei dodici gruppi di piccole luce roteanti, formato da tre lucette ciascuno, cominciarono a roteare più in fretta, e si trasformarono in 12 ragazze, tutte uguali e dall’ aspetto affascinante e sorridente;

uno dei ragazzi, Alex Ferman, il più curioso ed avventato del gruppo, ammaliato, si avvicinò ad una di esse, ma Beegby tentò di fermarlo, chiamandolo (aveva intuito che qualcosa non andava…), il ragazzo non lo ascoltò e continuò imperterrito la sua camminata verso la ragazza, non immaginando neanche lontanamente che sarebbe stata la sua ultima camminata; la ragazza alzò le braccia verso di lui, e non appena si avvicinò, li attraversò il corpo con gli arti superiori, come per magia, un’ oscura magia, lui urlò di dolore e terrore, poi cadde, aveva gli occhi spalancati, la camminata della morte si era appena conclusa.

Gli altri ragazzi gridarono, anch’ essi per l’orrore, di ciò che i loro occhi avevano appena visto, e per il dolore, per la morte, per l’ orribile morte, che aveva fatto il loro amico. Ora venne il terrore: le ragazze si avvicinarono ai ragazzi, i quali, giustamente, non volevano fare la stessa, atroce, fine. 

Una mano protesa e tesa verso i malcapitati giovani, altre undici mani si levarono in alto, tutte quante dall’ aria spettrale; lo sguardo delle fanciulle, da caldo ed ammaliante che era alla loro comparsa, si fece sbarrato e perso nel vuoto, come se le fanciulle non guardassero; eppure avevano un’ idea precisamente letale sul dove dovessero volgere il loro passo, infatti, sempre con la mano stesa in aria, iniziarono una camminata sbilenca e instabile, che divenne una corsa, puntando ad uno ad uno tutti quei poveri malcapitati ragazzi.
Seguì un urlo straziante, ed una vita si spezzò: la piccola Carry Brixtol, fu la seconda anima a lasciare la terra, in quell’ oscuro giardino degli orrori.
Gli istanti che seguirono quell’ atroce misfatto, sono costellati da orrori inenarrabili e composti da disumana follia; una mano di dita nodose si fece strada trai tracciati neurali e oculari della testa di uno dei ragazzi, che gli fu impossibile anche emetter un ultimo gelido grido. 

Uno ad uno i ragazzi iniziarono a cadere, in tutti i sensi, incapaci di difendersi da un simile attacco. Un ragazzo iniziò a pregare, qualche istante dopo si vide una mano bianca come un osso attraversargli il petto passando dalla schiena; un urlo strozzato, e morì, accasciandosi debolmente al prato, mentre la ragazza con aria assorta e malinconica, estraeva il suo micidiale arto superiore, come un assassino estrae la sua lama dalle fredda membra, d’ una vittima, e lo sguardo fisso nel vuoto dell’ inumana omicida si volse a guardarsi intorno, come un instancabile terminator setaccia la zona per individuare un nuovo bersaglio.

Mentre Dorian Wilde, uno degli ultimi disgraziati rimasti, fece ciò che nessuno dei ragazzi, e che nessun altro avrebbe mai fatto, o per paura o per il semplice fatto di non averci pensato: andò verso il punto dove è iniziato tutto, dove erano comparse quelle luci…superò quel punto, ora più che un guardino, sembrava una valle; una spaventosa, sconfinata valle, la valle della morte; si accorse che a pochi passi da lui, c’ era un infossatura, un qualcosa che chiunque non ci avrebbe fatto caso, ma lui era una vita che si buttava in pozze piene di fango, in buchi di ville pubbliche, e anche private, e una fossa come quella, non l’ aveva mai vista…così decise di spostare la terra per farsi spazio, e di buttarsi in quella fossa, mentre ci si infilò, qualcosa si mosse, come se lo tirasse in basso, lentamente; d’ istinto si tirò sù, e ci riuscì con estrema facilità. Era una trappola pensò, doveva dare l’ impressione che in fondo ci fossero sabbie mobili, ma se lo fossero state, non sarebbe potuto saltar fuori così, come se ci fosse latte in polvere, anzicchè  paludi.
Così, il suddetto intrepido fanciullo, si fece coraggio e balenò nella fossa.  Dentro finì come in una piccola grotta, dove vi fece un’ulteriore scoperta: vi erano dodici buche concentriche, vicino ad altrettanti dodici levigate grossi massi; il ragazzo, repentino riflettè: “dodici fosse…dodici massi…dodici ragazze!”
Sopra di sé qualcuno urlò.

“Devo sbrigarmi” pensò il ragazzo

Svelto si mise a spingere quei massi sulle rispettive buche; erano pesanti, accidenti se lo erano, ma il suo istinto di autoconservazione, misto alla disperazione, gli diedero una forza, mai provata prima, come il soldato in battaglia, se messo alle strette, si scaglia al nemico di rinnovato slancio innescatogli dalla paura. Così uno ad uno i massi stazionarono sulle fosse, allo stesso tempo, sopra di sé, s’ alleviarono anche i rumori di passi, e le grida cessarono. Fino a quando, l’ultima buca, non fu colmata, ugual cosa non si potè dire del vuoto nel cuor del fanciullo. Il quale riprese fiato un momento, poi ripercorse a ritroso il sentiero da qual entrò, e tornato sopra, vide un traumatico scenario, che lo cambiò per sempre: una distesa di corpi, di suoi amici, morti. Essi erano in pose innaturali, con gli occhi sbarrati e con la bocca in un’ espressione contorta. Ma c’ era dell’ altro: le dodici ragazze, erano sparite.

Distrutto, traumatizzato e addolorato, Dorian passò in rassegna con lo sguardo tutti i suoi amici morti: Billy Sequoia, Berry Hoocker, Claton Fouleman, Bobby la Branda, Jim Joice, Brad Barbery, Roger Bonam, Clark Hutson, Beegby Braxon, Carry Brixtol e tutti gli altri. 

Trenta fra ragazzi e ragazze, dodici ignote figure dalle seducenti ed ammalianti femminili sembianze, un solo sopravvissuto. 

Scritto a 17 anni.

Estratto dalla raccolta “Chrotemtus”, che uscirà prossimamente


 

Molfer

 

E’ tra gli sconfinati paesaggi montanari, che iniziò la tormentata e disturbante storia, di un ragazzo, al quale fu stravolta la vita in appena 4 secondi, in una tenebrosa notte, nell’ estate passata col padre in Trentino Alto Adige. Era il 1990, ed era buio, era buio pesto. Il panorama era oltre ogni sogno più sfrenato, ma faceva troppo freddo, per cui il suddetto ragazzo rientrò in macchina, chinò la testa strofinandosela con le mani, per riscaldarsela. Quando si rimise sú, vide una figura orribile, seduta sul sedile del padre, guardava verso di lui, aveva la bocca spalancata; sia dai denti, che dai tratti somatici, si vedeva perfettamente, che quella, non era una creatura umana…
Il ragazzo rimase impietrito, terrorizzato, ma pochi attimi successivi, vedendo che la creatura contorceva la faccia, in un disumano ghigno, il ragazzo scoppiò ad urlare, con tutta la forza dei suoi polmoni, come se la sua vita dipendesse da quel gelido urlo disperato, poi si catapultò fuori dalla vettura, e all’ esterno…con suo sommo terrore, vide il padre steso a terra. Prima era balenato in macchina e col buio pesto non aveva potuto notarlo, ma uscendo dall’ auto, quasi inciampò sul corpo suo, e quindi non poté fare a meno di accorgersi della sua inerme e spettrale presenza… non fece in tempo ad urlare “papà!” Che una moto con un gran rombo, sgommò fermandosi vicino al malcapitato; “Vieni con me se vuoi vivere!”  urlò il motociclista. Il ragazzo, confuso e a dir poco spaventato, guardò l’ uomo misterioso sulla moto, poi scrutò la bestia, dalla natura, ancor più misteriosa, ora essa ringhiava, stava uscendo rabbiosa dalla vettura, “Sali!” Gridò l’ uomo in sella alla moto, il ragazzo riposò lo sguardo di panico sul suo salvatore, e fu allora che finalmente, salì sul quel mezzo, che di ruote ne aveva solo due, ma era ben più sicuro, dell’ auto in cui il ragazzo era seduto poco prima …
Ora la moto era in corsa, e che corsa: andavano già a 150 all’ ora. Il ragazzo, che ormai era quasi certo di essere al sicuro da quell’ orrida creatura, anziché ringraziare l’ eroico motociclista che gli aveva appena salvato la vita, chiese: “Chi sei?”
“Non ha importanza chi sono!” fu la risposta, che con voce penetrante, si contrappose all’inesorabile e incostante soffio del vento,  “E non ha importanza nemmeno chi sei tu”, continuò, “La cosa importante è che ti devo proteggere”
“Sei stato mandato per questo? Per proteggermi?” Chiese il ragazzo con innata sorpresa
“Sì ma non solo tu, quindi non montarti la testa. Ho il compito di salvare e proteggere tutti quelli in pericolo dai molfer “
“molfer?” Cioè quella creatura che mi ha quasi…che voleva farmi? “
“Di certo non invitarti a cena”
“Già…” fece il ragazzo guardando alle sue spalle, poi scrutando la terra che scorreva velocissima sotto di loro
riprese: “Come ti chiami?” 

“Kile Red” rispose l’ uomo
“Io sono Malcom” fece il ragazzo guardando le ruote in movimento
“Bene Malcolm, ora resta calmo e rilassati” fece Kile in tono di guida turistica
“Rilassarmi?” Sbottó Malcom
“Mio padre è stato…cosa è successo a mio padre?” 
“È morto” disse l’ uomo, senza scomporsi
“M-morto?” Fece il ragazzo, sconcertato
“È molto probabile”
Il ragazzo rimase in silenzio, atterrito; era in fuga su un’ improbabile moto, portata da un uomo di cui non sapeva praticamente nulla, se non il nome (ammesso che fosse veramente quello) e la sua fantomatica missione, in più fuggiva da un orrida bestia dalla natura ignota, e aveva appena sentito che suo padre era morto! Al ragazzo, Malcom, sembrò un incubo, un terribile abnorme incubo orrendo…anche se non era certo della morte del padre, e ciò che stava vivendo li sembrava troppo “concreto”; cose come il vento che li sferzava la faccia e il frastuono della moto. Decise comunque di mettere in discussione le parole del suo apparente “salvatore”, mostrando ancora una volta, di non conoscere la parola “gratitudine”.
“Chi diavolo sei tu?” sbottò d’improvviso il ragazzo
“Te l’ ho già detto. Soffri di perdita temporanea della memoria?” Chiese allora al ragazzo, e si mise con voce cantilenosa a dire: “Io sono Kile, ti sto salvando il culo da…”
“Sì sì le so queste cose, non ho problemi alla memoria, almeno non grossi…avevo solo dubbi sulla storia che mi hai raccontato” disse con decisione…
“Credi che sia venuto fin qui, su queste montagne, per raccontarti stronzate? Fino qua per questo? Io abito pure sulla costa maledizione!”
I due interlocutori osservarono un religioso silenzio per qualche secondo, infranto unicamente dal rombo del motore della moto; dopodiché con un fil di voce il ragazzo prese parola:
“Se quello che mi dici è vero…”

“Parla forte, non ti sento!”

“Se mi stai raccontando la verità… “

“Mi hai stancato” lo interruppe l’ altro
“Adesso mi fermo e te la fai a piedi!” sbottò

“No ok scusa! Volevo solo sapere da che cosa mi stai salvando…voglio tutta la verità, che diavolo sta succedendo?”
“E va bene.” Rispose lui solenne
“Hai diritto a conoscere i fatti. Ora saprai tutto”
Attraverso il racconto del motociclista, Malcom, scoprì che: il governo americano era entrato a conoscenza di una notizia sconvolgente, ovvero che l’Unione Sovietica era entrata in possesso di un’ arma, che avrebbe radicalmente cambiato le sorti della Guerra Fredda, ponendo fine al conflitto stesso. Le bombe nucleari erano state proibite dal 1989, e avevano bisogno di qualcosa di più furtivo che l’ assalto di un esercito, gli americani escugitarono un sistema: un insorgimento di forze superiori nel cuore dell’ Unione Sovietica. Criminali, prigionieri di guerra, assassini e attentatori di presidenti, vennero tutti prelevati dai loro ergastoli per essere sottoposti a degli esperimenti, che avrebbero mutando il loro genoma praticamente a comando…e che avrebbe dato loro la capacità di parlare russo come se fossero vissuti nell’ Unione Sovietica per una vita; essi vi sarebbero stati infiltrati, fatti passare come gente del posto, e, a tempo debito, sarebbero stati trasformati in una forma di vita superiore, in creature mostruose, “molfer”, capaci di resistere contro qualsiasi arma conosciuta, e dotati di una forza incredibile. 
Più tardi, dopo che gli americani infiltrati si sono trasformati in molfer, all’ interno del territorio sovietico, e dopo aver iniziato l’ assedio, uccidendo e disgregando, le forze sovietiche, queste creature sfuggirono al controllo americano, e iniziarono a fare tutt’ altro che la loro missione (integrata nel loro genoma), gli americani pensarono subito a un errore, in realtà era solo la specie che faceva il suo corso. 

Gli informatori che avevano rivelato l’esistenza dell’arma al governo statunitense e che si erano dichiarati “europei” senza specificare il Paese, in realtà erano anch’essi molfer, tornati indietro nel tempo per convincere gli americani dell’ attacco dei sovietici, così avrebbero dato inizio alla loro razza (paradosso). In quanto: questi molfer venivano da un altro pianeta, si stavano estinguendo a causa della fine delle risorse sul loro pianeta. Per scampare all’estinzione, sì sono diretti sulla Terra (il pianeta poi vicino a quello dei molfer) e, sfruttando la situazione politica e conflittuale del pianeta terrestre si sono camuffati e hanno archestrato la loro rinascita. 

La nuova razza impose il suo dominio sugli uomini, i quali dovettero abbandonare molte delle loro nazioni, perché scacciati dalla nuova specie che affermava la propria supremazia. Infatti, questa specie monosessuale era in grado di riprodursi per scissione, ad una velocità tale da generare 16 molfer al minuto, che raggiungevano l’età adulta in appena sei giorni.

La specie alteró il corso della Guerra Fredda, e della stessa storia. L’Unione Sovietica spese tutte le sue risorse a combattere questo nuovo nemico, cosa che provocò il suo crollo. La nuova Russia quindi si allea con gli Stati Uniti per contrastare all’unisono il loro nemico comune. Così, esattamente nel 1991, col crollo dell’Unione Sovietica, e con la conseguente fine della Guerra Fredda, fu la pace.

Gli Stati Uniti, e la Russia, combinati assieme, non furono abbastanza per contrastare le nuove forze nemiche, per cui le due potenze, umane e aliene, si limitarono semplicemente a convivere.

Finita l’esposizione del salvatore, il ragazzo prese la parola e osservò: “Perciò, se due razze diverse, sono riuscite a convivere, possiamo farlo anche noi della stessa specie. Se umani e molfer convivono in pace, possiamo riuscirci anche noi esseri umani.

 

Scritta all’età di 17 anni