Marco Sardone - Poesie

EGLOGA MEDITERRANEA

 

Siamo quelle barche capovolte

come mostri marini spiaggiati

in coma, in porticcioli bianchi

senza più remi, coi nomi sbiaditi

e i colori scrostati dalla salsedine

sotto una luce greca e un alloro secco,

Dio solo sa cosa abbiamo pescato

e in quali acque!

E adesso per sempre assetati

siamo reduci di guerre buffe

in visita ai campi di battaglia

a distillare il silenzio di ora

a commemorare approdi

invasioni di noi fantasmi.

Qui ormeggiava la nostra nave

di cui eravamo le viscere,

qui giace sotto la superficie

o come sempre riemergerà

per navigare via stanotte.

Noi da questa tenera taverna

solleticata da minuscole onde

ci specchieremo, ci rivedremo

in quei lumini in alto mare,

chissà che isole erano?

Quelle che sfioravamo al tramonto

che avevano già il faro acceso

oh quanto ne invidiavo i guardiani!

Non eravamo che arance

appese nei viali d’un pueblo rovente

cadute in un chiostro di Clarisse

o vendute su carretti nella Medina

mentre cantano forte i minareti.

Non eravamo che anime

su un vascello a spasso nel nulla

banale vaso di metallo

ora reliquiario gigante

che galleggia chissà dove,

messaggio in una bottiglia

che nessuno poi ha trovato.

Meraviglia di precipizi

nell’assoluto azzurro

affacciati senza vertigine

con quei temerari fiori gialli,

labirinto di tetti rossi

dove correre in equilibrio

tra campane a festa e d’allarme.

Io almeno me ne scappo

sul promontorio sacro

nelle contrade costiere

so camminare all’indietro nella notte

tra gli uliveti verso la spiaggia

in quel profumo verde e fresco

ed un fumo di fuochi buoni

vado a perdermi sdraiato

travolto in una valanga

di sassi e costellazioni

e più avanti nelle altre baie

come Fontana delle Rose

che sembra un presepe

o in quelle calette desolate

in una pace lunare e mortale

e finalmente è mio il mare

come un cucciolo

che mi dorme sulle gambe.

Ma resto agrodolce

come quei bar dei lidi

già aperti ad Aprile

per comprare un gelato

in attesa dell’estate.

E resto sacrilego

come quelle chiesette

sempre candide e chiuse

appoggiate su uno scoglio

a sorvegliare questa fame

a serbare tutto quell’amore

Mediterraneo.


 

TI SCRIVERO’ DAL MARE

 

Ti scriverò dal mare

da sperduti cantieri sull’Atlantico

dove soldati contro il tempo

con elmi giocattolo

costruiscono sogni altrui

e forse come me inviano

lettere d’amore disperate

come di chi può morire domani.

 

Ti scriverò dal mare

con la scia che lascio

con questa nave

gigantesco scarabocchio

sorriso bianco e gelido 

nello specchio azzurro,

che poi affonda dentro sé stesso.

 

Ti scriverò dal mare

dalle pinete profumate

tra le spiagge e i campeggi

dove gli amanti appena nati

nascondono i fuochi e i baci 

mentre si posa la sera

Sgombra da ogni pensiero.

 

Ti scriverò dal mare

nel pomeriggio arancione

dalle auto bloccate

in fila sulla litoranea

con le dita di sabbia e di sale

messaggi leggeri di sole

che leggerai nuda e di fretta.

 

Ti scriverò dal mare

parole pesanti come balene

e seducenti come sirene

ma aggrovigliate

e intrappolate

nelle reti dei pescatori,

che lascerai a seccare

sugli scogli tormentati dalle onde

sulle barche appese nel tuo porto.

 

Ti scriverò dal mare

molto più in là delle lampare

molto vicino al cielo

dove anche satana si sente solo

in lingue di terre lontane

impossibili per te

da tradurre

ma chiarissime e soavi

proprio come l’estate.


A QUALUNQUE SAFFO

 

In che mito ti specchi?

Oh no, cara, fermati!

Chiudi il libro e gli occhi

ogni giorno tu sorgi per dipingere

la tua preda e le tue preghiere.

E non rivelare mai la tua ispirazione

quella è tua intima precipitazione

osceno organo della tua arte,

e non specificare la destinazione

né l’albero a cui ti appoggi.

Ecco, il tuo amore si comporta

come un antico esercito.

Perché scateni un incendio?

Il tuo canto è già giunto.


ABBRACCIO DI VITTORIA

 

Bocciolo di donna

mi sovrasti

mi stai dinanzi

come grata di confessionale

come finestra su un mare in burrasca

a te spalanco il sipario

e muto e devoto

brillo

mi metto a respirare.


LA LEZIONE DEL MARE

 

Quanto tempo dovrei restare

a studiarti da quest’orlo?

lunghi snervanti capitoli

di silenzio da tradurre.

 

E qual è la grande verità

da pescare fuori da questo blu?

un vecchio re irresoluto

Fiero e sicuro di vincere sempre.

 

Tu neppure senti il nostro peso

sei la somma di tutte le distanze,

coi colori di un’attesa infinita

e questi suoni che non si armonizzano.

 

E cosa mai si può imparare

a largo, dove nascono le onde?

A loro neanche importa che strada fanno

se vanno a casa o a perdersi.

 

Perché non scriviamo noi, amore

una pagina tutta nostra su queste acque?

una storia che possiamo ricordare

raccontare al mondo o riderci su.

 

Siamo noi troppo piccoli per capire?

O solo troppo incantati dal dramma

quando ti cambi d’abito e ti presenti

senza fretta e senza memoria.


NOTTE SU TUTTO

 

Io, costantemente avido

di abitare la tua pelle,

stanotte da solo mi ritrovo

non appena ti addormenti

sul mio petto dove si aprono

queste miglia di silenzio vivente,

tanto soave come tutte le valli

di cielo e terra vanno a baciarsi

nell’inganno dell’orizzonte,

così città e costellazioni

mi diventano oscure.

Dunque, definitivamente triste

di questi vuoti celestiali

e dei nostri amati cortili

traditi e inselvaggiti,

io non mi opporrò più

alla misera seduzione di agosto

perché semplici e ridicoli

imitiamo sempre ogni stagione

e struggenti lettere d’amore

che sbocciano coraggiose sul cuscino

mai inviate, abortiranno

domani nella tempesta di anime,

e così folle di questa

poesia perdente

al rifugio delle tue labbra

segretamente mi arrampico.


OCCHI COLOR MARE

 

Il mare ed io

abbiamo firmato una pace nei tuoi occhi

nostro comune specchio

di colore sconfinato

irrequieto di vita

e pagine da riempire.

 

Il mare ed io

Abbiamo trovato pace nei tuoi occhi,

quindi ora lasciatemi qui

a mancare ogni battito e respiro

e sorridere in dolce attesa

a cantare come l’estate

ferisce e sbiadisce.

 

Ma non c’è mai davvero

un porto di arrivo

perché tu sei orizzonte

nuove terre da scoprire

e noi cavalchiamo incantati

la melodia del tuo tempo.

 

E poi appoggiato su questi abissi

Mi sentirò a casa ora che

il mare ed io

Siamo un pezzetto dei tuoi occhi.

 

(a mia figlia Vittoria)


PULCHERRIMA

 

T’immagino

nuda nella neve

che allatti il mio bambino.

 

T’immagino

che non appartieni a nessuno

e visiti luoghi selvaggi.

 

Ma aldilà di tutto

io e te siamo cerchio;

ho parlato di te a Dio, amore

ci sposiamo in una nebulosa

stanotte

come ogni notte

dal profondo i nostri relitti

risalgono e si uniscono

in questo sacratissimo scontro

per coprire di eternità

l’oscura certezza.


IO NON SONO UN MARINAIO

 

Io? Io non sono un marinaio

dunque, vi prego, non chiamatemi così!

le mie radici sono in strade e case

anche se ho costruito il mio nido con il sale

il mio corpo non è fatto per galleggiare.

 

No, io non sono un marinaio

ho ristretto tutto il mare in una cartolina

da indossare come medaglia sul cuore,

ho estratto ogni goccia di poesia

dall’orizzonte fino alle mie lacrime.

 

Cara, io non sono un marinaio

l’amore a largo si ammala e si storpia

il tempo invece è una nebbia troppo fitta,

compagni di cella divenuti famiglia

tutti dimenticati una volta liberati.

 

Vedi, io non sono un marinaio

ho romanzato il mio conto alla rovescia

mi son riempito le tasche, ho mantenuto l’equilibrio

le mie ferite sono arrugginite fino a polverizzarsi

e ora volano via ad ogni colpo di vento.

 

Eppure io non sono un marinaio

forse solo un navigatore

impaziente di toccare nuove terre,

non leggo nient’altro nelle stelle

che le mie fantasie di bambino.

 

Ascoltate! Io non sono un marinaio

Ponte! Non so calcolare la rotta

quindi dirotto tutti via da questa follia

toccate la banchina, gettate l’ancora

e lasciatemi andare nel mio porto di casa.


CANTICO CONTRO LE CREATURE

 

E quando l’impaziente sole di giugno

accenderà tutte le ciliegie

sulle tue guance e nella tua mente

sarà allora che inizierà la caduta.

 

E stelle, qual è la vostra opera?

il vostro incantesimo non è mai caldo,

lavative lampare fuggite in volo

puttane di marinai gettati via

 

Prime gocce di pioggia che toccano terra,

come dita che deflorano un pianoforte nuovo

e iniziano a suonare la cupa musica

dell’infinito settembre in cui viviamo.

 

Ora, compagna di viaggio, spalanca il tuo buio

la gloria che inseguiamo è un fuoco d’artificio;

veniamo mossi come nuvole o pezzi di scacchi

con un’apocalisse caricata sulle labbra.

 

E le luci che hai creduto di vedere

ci hanno dato il diritto di svoltare,

dunque dolce è la scena del crimine

e ogni pagina che scegliamo di bruciare.

 

Oh, amore! Tu sei nostra creatura

poi ci conduci dove vuoi tu

vali davvero ogni battaglia?

Fragile croce da portare a casa.