Maria Francesca Mariano - Poesie e Racconti

Ulivo sacro

 

Ho poggiato la fronte sul tuo tronco bruno

per ascoltarti.

Sentivo il tuo respiro.

traballante tra foglie vivaci e scure.

Ti ho abbracciato,

per scaldare il mio cuore sul tuo cuore

e la tua linfa gemeva nel mio sangue.

Mi hai protetta e accolta e riscaldata,

mi hai nutrita.

Ho accarezzato i tuoi rami rugosi,

narravano il tempo

e ho sciolto i miei lunghi capelli tra le tue radici,

culla antica di storia.

Il tuo spirito voleva partire.

Gli ho detto di attendere,

gli ho detto di non lasciare la terra.

Lui mi ha chiesto dov’ero

quando lo hanno attaccato, colpito, ammalato

ed io ho pianto

perché correvo su strade trafficate,

correvo e non vedevo,

correvo e non sapevo.

Ogni tua ferita è la mia trafittura,

ogni tua piaga è la mia crocefissione,

e ad ogni angolo secco della tua vita

c’è la mia che combatte per farti rivivere.

Tocco con amore ogni tuo piccolo germoglio

e cerco sole e luna che ti portino vento.

Ti ho lasciato solo

e non ti potevi muovere,

non potevi fuggire

ed eri braccato.

Ma tu sei sacro

e se mano umana ha piagato

il tempio della tua vita

non avrà pace di focolare

dove godersi nessuna gioia.


 

Lo sbarco

Sto tendendo la mano verso di te

per tirati a riva.

Il tuo corpo magro e scuro

affaticato tra onde fangose

ansimanti

come la vita dura

che ti ha portato qui

quando hai venduto tutto

per un biglietto rubato

a trafficanti di speranze anonime.

E sei venuto

solo e affranto

da giorni e giorni sul mare

senza stelle e senza luna

tra gente soffocata in una stiva.

Sto tendendo la mano verso di te,

mano bianca e morbida

che ha sfogliato libri

e usato penne,

mentre tu ansimavi in un villaggio

in cerca di sorte.

Ti prendo per tirarti a riva

ed ecco

i miei occhi stanno nei tuoi occhi,

la tua fatica

è la mia fatica,

la tua ricerca di pane e amore

è la mia ricerca di pane e amore

e siamo stesi sulla riva

bagnati dalla stessa acqua

per la stessa salvezza.



Il veggente bambino

Dove sei,

bimbo triste cresciuto ai bordi della favela,

dov’è l’innocenza del tuo cuore?

Fammi entrare

nel segreto delle tue visioni,

nei tuoi occhi d’oro

che vedono dove nessuno vede,

nella tua paura di essere diverso

e di incutere paura.

Occhi che vedono tuo padre partire

senza soldi e senza sogni,

occhi che guardano la piccola sorella

sempre girata di spalle,

occhi che sentono

il pianto della madre sola

al pianoforte

suonare per dimenticare

la padella vuota sul fuoco.

E tu pensi

che da grande sarai grande

e così forte che le tue manine

porteranno oro.

E vedi dove nessuno vede

e tocchi e sani dove nessuno sa fare.

Fammi entrare,

bimbo triste,

nell’innocenza del tuo cuore

perché quando arriveranno le tenebre

del potere

io possa portarti in dono

quell’innocenza che avevi

da bimbo triste

ai bordi della favela.



Migrante

 

Non ho bisogno del tuo cibo,

ho fame di dignità.

Non mi serve il tuo sguardo pietoso,

cerco la tua amicizia.

Non voglio rubare il tuo lavoro,

desidero mostrarti

cosa posso fare io.

Vedo come mi guardi,

ma so che non mi vedi.

Ascolti la mia voce,

ma non sai quello che dico,

perché io sono straniero

e tu hai paura,

la mia vita sta in uno zaino

la tua in una grande casa.

Ma anche io ho lasciato laggiù

una madre, con occhi umidi immensi,

una moglie, esile e silenziosa,

e bambini impauriti

dal mio lungo viaggio.

Ed ora tu mi parli di frontiere

mentre io tendo la mano

per abbattere lo steccato del tuo cuore

indurito da troppe carte.

E tu mi chiedi

perché invado la tua terra,

senza sapere che la mia

gronda lacrime nel cuore,

ed io non starei qui

se avessi un altro andare.

Aspetta, non girare le spalle.

Fermati con me e parla.

In me troverai l’uomo che già conosci

perché io sono te stesso.



A Papà

 

Nel popolo delle ombre e delle luci

ti ho portato, padre mio.

Qui ho poggiato

la tua fragile stanchezza.

Corridoi bianchi

intorno ai tuoi occhi fissi,

al tuo respiro

di tronco accartocciato.

Sto cercando

il tracciato del tuo dolore

nel tuo silenzio di pietra.

Dimmi qual è il percorso

per trovare con te un contatto.

Dammi le parole per raggiungerti.

Sono andata a parlare di te con Dio,

a raccontargli del tuo estro e della tua forza,

schiacciate su di me nell’impronta.

Accanto al tuo letto

porto questo amore di speranza,

e resto impressa sul tuo volto

come immagine di vetro.



Tango

Prendi la mia mano

adesso,

adesso che le luci si assopiscono

e le note si elevano.

Il tuo tocco sia lieve e fermo

come il tuo passo

incrociato al mio.

Ti ho guardato da lontano

e sei venuto

tra il mormorio dei tavoli

nel respiro lento del bandoneon,

donna di tutte le terre

che chiama l’uomo

di ogni speranza.

Cammina nel mio dolore

adesso.

Ascolta nel canto

il pianto del mondo.

Ascolta nella mia fronte

poggiata alla tua tempia

l’affanno da dimenticare,

il rantolo del cuore

da guarire.

In ogni passo di danza

scivolato sul pavimento liscio

nel mio sandalo di camoscio turchese

ci sono le guerre insorte tra i popoli,

le onde sui barconi dei migranti,

le armi vendute sui confini,

insieme ai raccolti di droga.

Guida la mia schiena a pilada

lungo il bordo del salone,

perchè i miei occhi sono chiusi

e non vedo

oltre il mio baratro

posato sulla tua spalla

all’incrocio delle nostre braccia.

Ed ancora riparte la tanda

nella penombra della notte

e tu, ed io,

siamo il mondo che danza

in un leggero abbraccio

per sanare,

per capire,

per accendere

e dare voce ai silenzi

di chi non sa più parlare

e balla il tango argentino

per ricomporre l’armonia dell’anima.


 

Fuffy

Cosi mi guarda

e mi carezza

dove nessuna mano è giunta

ed entra piano nel cuore.

Così mi segue

passo su passo

nel sole giallo

lungo la spiaggia distesa

tra alberi e foglie

saltellando.

Mi guarda e capisce,

Mi guarda e ascolta.

Sente

ogni sussurro della mia anima.

Mi affianca senza rumore

Siede con me,

tra  margherite di prato.

Poggia la testa alla mia mano,

respira sul mio respiro.

Da lei ho imparato l’attesa.

Tutto ho imparato da lei

il buono del mondo.

Da tanto amore ho capito l’amore.

Temi chi cammina col cane accanto,

perchè conosce  attacco e difesa,

conosce la linea fine della fedeltà

in uno spazio sacro

dove la frettolosità umana

deve sostare a rilettere.


 

Il medico guaritore

Mi guarda e non so se mi vede.

Ha la mano destra sulla fronte del paziente sdraiato sul lettino nella penombra di una tenda rosa.

Com’è grande il sole fuori dalla finestra. Ha scalato piano piano le montagne ed ora brilla in cima sulla neve. Scivola sul fiume la mia anima nel braccio proteso nell’acqua per gettare il pane ai cigni.

Mi guarda e non mi vede.

In sala d’attesa tanta gente aspetta la speranza. Ciascuno scrive su un foglio l’elenco delle sue malattie, e quando viene chiamato balza in piedi ed entra con uno spasmo sul cuore. Fuori il gelo abbraccia i palazzi antichi, riempie le strade del vapore dei respiri, si impiglia sui vetri e li appanna.

« La guarigione non è un miracolo, è un lavoro » dice lui fissando la persona che ha di fronte.

« Lei crede che possa guarire ? » è la domanda che insegue ogni parola.

« Ci lavoriamo insieme » risponde lui mentre riflette sulla cura da prescrivere.

Adesso c’è un volo di uccelli sul fiume e il cielo si è schiarito. I suoi occhi sono oro puro. Vedono dove nessuno vede. Sono occhi che sentono. Le sue mani sprigionano fuoco, un calore buono che risana e piega il dolore, lo sottomette e lo riduce ad ubbidienza. Sto ancora osservando la sua mente, come governa l’energia, come apprende una cultura medica infinita, come scarta i dati superflui ed esclude i luoghi comuni. La sua mente è un punto di gioia dell’Universo, un istante dove Dio si è fermato sorridendo.

Hanno percorso tanta strada per raggiungerlo.

Anche lui ha camminato su tante strade, dove la malattia lo ha chiamato. Per questo ha imparato a parlare tante lingue, per ascoltare la voce della sofferenza da chi la portava in braccio.

« La guarigione è un percorso » diceva al paziente in gara con gli anni della sua vita.

« Dottore, lei mi seguirà ? » chiedevano in molti.

« Se vuole Dio » rispondeva lui, che camminava senza paura laddove il dolore incuteva terrore.

« Semplicemente sto morendo, dottore » disse in un soffio.

La donna era esile come un ramo di ciliegio fiorito, aveva lunghi capelli neri ed occhi brillanti e saggi.

« Cos’ha ? » domandò lui.

« Una lesione alla gamba sinistra dalla quale esce tanto liquido scuro. E’ entrato un batterio non identificato. Non c’è antibiotico che lo curi » spiegò lei.

« Vediamo la lesione » commentò il dottore.

La fece sdraiare sul lettino e sfasciò la gamba.

Che cos’è il dolore ? E’ il termine opposto della gioia ? E’ l’intreccio stretto della crescita, o la radice dell’ulivo malato che affonda nella terra alla ricerca di salvezza e vi si aggrappa con tenacia di elefante ? E il suo significato qual è ? Dicono tutti che dal dolore si impara perchè è la parte più densa della prova. Qualcuno dipinge il dolore, qualcuno lo canta e c’è chi lo danza. L’esistenza ne è inzuppata come un indumento bagnato appeso ad un balcone nella nebbia.

Lui fermava il dolore mentre toccava la gamba ferita della donna. Ma non rispondeva alla domanda.

« Non è importante la risposta, è importante ciò che chiedi » diceva sempre.

Dietro la domanda c’è il dubbio e quindi il nodo dell’esistenza.

La donna piangeva. Entravano le sue lacrime in quelle di ogni attesa nei corridoi degli ospedali del mondo, nei villaggi senza medici, in chi andava via per assenza di cura. E ancora tornava l’interrogativo sul senso del dolore, dove il bisogno di guarigione era quello primario di ogni essere vivente. Svaniva il denaro, franava il potere, la carriera era indifferente, gli affetti un mero sostegno. Perchè davanti al dolore si è soli. O prende il corpo o prende la mente, la sola verità è che il dolore prende, cattura la persona e azzera tutto il resto.

Chi andava da lui lo sapeva. Era conosciuto dappertutto perchè era abitato dagli Spiriti Guaritori. Lui, un medico, uno scienziato, scelto per portare tra la gente la luce che guarisce. Bastava un istante, chiudeva gli occhi e la sua competenza medica si arricchiva di tutta la scienza medica passata, presente e futura. In quell’istante era se stesso ed era altro insieme. E questa trasformazione era visibile. Il suo volto si infiammava e diventava austero; i suoi modi cortesi e amabili divenivano scontrosi e drastici. Non era una finzione, era la manifestazione della medianità applicata alla scienza medica, uno stato in cui la cura inesistente prendeva forma attraverso le proprietà delle erbe associate alle medicine e la guarigione impossibile si avverava. Se fosse stata una messa in scena, non avrebbe potuto ottenere in quello stato di trance ciò che da sveglio nessun medico avrebbe potuto ottenere.

« Perchè lo fai ? » gli chiese la donna un giorno « per i soldi, per la fama, perchè ? »

« Non lo so » rispose lui. In realtà era il suo solo modo di stare al mondo. Era il suo mandato.

La donna ritornò da lui un bel giorno di primavera. Zoppicava, si reggeva al braccio del marito, ma un sorriso illuminava il suo volto.

« Ho rifatto le analisi, dottore, e il batterio non c’è più. Ne è entrato un altro, però curabile con gli antibiotici in commercio. Il batterio sconosciuto è andato via. Lo specialista era stupito, e chiedeva come fosse possibile » riferì con la luce negli occhi.

« E lei cosa ha riferito al suo specialista ? » chiese lui.

« Solo che è accaduto, dopo il suo trattamento è accaduto. Non so come, ma questo è il risultato » disse la donna.

Mi guarda e non so se mi vede.

Il bisturi taglia la carne del giovane uomo. Ha quasi trent’anni e sta su una sedia a rotelle. Un atleta immobile ha perso la speranza della vita come un’aquila con l’ala spezzata. Il bisturi lavora nell’ala spezzata. Non c’è anestesia, nè versamento di sangue, non c’è dolore, c’è guarigione. C’è l’energia della vita che riprende possesso del corpo ferito e lo riporta al suo stato originario. Il giovane viene cucito, la chirurgia è terminata. Il dottore gli tende la mano e lo invita ad alzarsi. Non c’è tempo in quella stanza, che non è una sala operatoria, ma una sala di questo mondo. Non è sterile e le finestre sono aperte perchè entri il canto degli uccelli.

L’equipe medica guarda sbalordita: il giovane trema, tentenna, poi poggia il primo piede a terra, poggia il secondo piede, vi porta il peso, si regge, sposta il passo e cammina. Lì subito, perchè la medicina spirituale viaggia su altri sentieri e il medico spirituale raccoglie in sè tutta la sapienza del guaritore conosciuta dall’uomo comune e tutta quella sconosciuta dall’uomo comune.

Per questo mi guarda e non mi vede.

Finchè dura lo stato di trance.

Il medico e il guaritore camminano insieme sul ponte, l’uomo e lo Spirito proiettano una sola ombra. Lui mi prende per mano mentre scherza sulla bellezza delle montagne che si alzano forti come guardiani dell’orizzonte, Ma è lui la montagna che io percorro. E la montagna si percorre in silenzio e con rispetto.

« Quanto chiasso hanno fatto su di lei i media, dottore, e spesso non le hanno reso un buon servizio, hanno alterato la verità » diceva l’uomo dal lato opposto della scrivania.

« Forse non l’hanno alterata se lei è qui, professore » rispose lui togliendosi gli occhiali.

« Il cuore non mi assiste più. Ogni giorno della mia vita potrebbe essere l’ultimo. La mia cattedra universitaria nella mia prestigiosa sede rimarrà presto vacante a vantaggio di chi sta in fila in attesa che me ne vada » commentò l’uomo rattristandosi.

« Faremo in modo che attendano a lungo, professore. Ma la chirurgia che le farò è difficile. Dovrò aprirle in cuore » disse lui fissando da vicino gli esiti coronarici che l’uomo gli aveva portato.

« Sarà un intervento lungo, verò ? » chiese il paziente

« Secondo i parametri ordinari si, ma per lei saranno trascorsi pochi attimi. Il tempo non esiste. E’ una convenzione » rispose il dottore riponendo le carte sulla scrivania.

L’uomo si alzò in piedi per congedarsi: « sarò qui domattina puntuale. Debbo osservare qualche prescrizione particolare questa sera ? »

« Abbia fiducia in se stesso e preghi Dio. Basta questo » gli suggerì il medico.

I video riprendono un uomo con i capelli ricci neri e il volto affilato dalla pelle lucida e asciutta chino sul torace del paziente con i guanti di lattice alle mani e il bisturi nel suo cuore. C’è tanta gente intorno e quello che si vede supera ogni dire. Il mondo si è chiesto come sia possibile prendere in mano il cuore di un uomo senza averlo sedato fortemente, come sia possibile arginare il flusso imponente di sangue che un simile taglio toracico avrebbe potuto produrre, come è possibile esserci e non esserci nello stesso momento in cui la via della guarigione passa su un filo invisibile che sta tra terra e cielo, mentre lo Spirito guaritore muove le mani del dottore e le dirige verso la salvezza. Il mondo ha visto quel paziente tre giorni dopo entrare nella sua aula universitaria col volto sereno, lo ha visto sedersi dietro la cattedra, accennare un sorriso agli studenti, ed iniziare la lezione. Il mondo ha visto. E come puoi chiamare tutto questo inganno ? Se quell’uomo è vivo, ha un nome, una storia, ha una cultura che lo ha portato ad insegnare agli altri in un’università, ha una sensibilità che lo ha portato verso il guaritore. Come puoi descrivere tutto questo senza ammutolire in riverente ascolto.

« Sei felice perchè stai mangiando ? » mi chiese una sera scherzando mentre sedevamo in una trattoria rivestita di legno.

« Sono felice perchè mangiamo insieme. Hai visitato per dodici ore senza bere e senza mangiare. Per questo sono felice di dividere il cibo con te » gli risposi.

« Hai ragione » mi commentò.

« Dopo andiamo lungo il fiume a gettare il pane alle creature dell’acqua » gli dissi.

C’era aria pura lungo il fiume, margini verdi ricchi di erba e cespugli imbrigliati su ciottoli bagnati. L’odore dell’acqua mentre arriva la pioggia, intenso, puro, nel bagliore azzurrino delle stelle. La luna sbocciava in alto e schiudeva i suoi raggi.

« Tienimi per mano » disse.

Ed io presi quella mano.

« Non lasciarla finchè non arriviamo a casa ».

Mi guarda e non so se mi vede.

Sta prendendo il treno. Porta con sè due valigie troppo grandi. C’è una vita chiusa la dentro, il bagaglio di un uomo che va dal gelo del nord al tepore del sud e mette  in un fagotto tuto ciò che può servire per simulare una casa. Sale sul binario e cammina tra i vagoni da solo, con le sue valigie troppo grandi trascinate in mezzo ai sedili. Ha lo zaino nero in spalla. Inseparabile quello zaino da studente universitario. C’è dentro il computer pesantissimo ed i suoi studi. Quello zaino è il prolungamento della sua mente, è la gobba che accompagna la sua tristezza quando vaga di paese in paese perchè deve farlo. Lui è l’uomo che combatte la malattia ed è guidato dagli Spiriti Guaritori.

Scende dal treno e va verso un taxi per il più vicino aeroporto. Ora lo aspetta un aereo di lunga percorrenza, che andrà su mari e città, per la prossima destinazione, l’una legata all’altra, fino al viaggio più atteso, con quel biglietto guardato e riguardato, rigirato fra le mani e stroppiciato tutto, il viaggio verso i miei occhi.

Quando percorre gli scalini di casa penso che dovrò lavargli le scarpe. Lo faccio sempre appena arriva, come in un gesto di purificazione, come per buttare via tutte le strade andate. Indossa una felpa pesante e i suoi soliti jeans strappati, come un ragazzo americano in vacanza.

« Mi fermo qui. Chiamo qui i pazienti di tutto il mondo. Se sono giunto in questo luogo non è per caso, vuol dire che questo è il tempio della mia missione » mi dice sospirando.

Quante volte ho chiuso gli occhi ed ho visto il suo volto, inciso sulla pietra della foresta brasiliana, volto aguzzo di indigeno sapiente con occhi affilati e antichi. Quante volte ho sentito il canto del silenzio nelle attese di un filo telefonico di uno strano dove : non c’era nessuno che attivasse un video per guardarsi e ritrovarsi in una distanza infinita.

Tempo e spazio intrecciano uno strano dialogo sotto il calore della sua mano che si poggia sulla zona malata. Tanti parlano di energie, di terapie alternatie, di medicine olistiche, parlano di guarigioni e di miracoli, fondono medicina e mistero, abusano di parole. Io vedo il tocco fermo e sicuro del vero guaritore, sorride al suo paziente, è sereno perchè sa ciò che fa, non ha bisogno di discorsi, non usa teorie, impiega trent’anni di studi fusi al suo dono, e questo crea vera guarigione, nel corpo e nell’anima.

Per essere guaritori non occorrerebbe studiare. Quello è un talento naturale. Ci sono traguardi che si raggiungono dopo una lunga percorrenza sui libri ; ci sono traguardi innati, che promanano non si sa come. Ma nel suo caso c’era tutto: l’una cosa e l’altra. Lui aveva studiato per capire chi fosse, cosa fosse. Aveva cercato nella scienza la risposta al suo dono.

« Tu lo chiami dono. Io lo definisco un peso » mi disse un giorno.

« E’ un dono pesante » replicai io.

« Finchè ti presenti come un buon medico il contesto umano che ti circonda approva, ovunque tu sia, perchè è una categoria socialmente riconosciuta e condivisa in un giudizio positivo. Quando aggiungi la parola medianità o guaritore, inizi a camminare su un terreno minato. Molti sono gli approfittatori, tanti quelli che ti mettono alla prova, infinite le invidie che si confondono con i bisogni, l’ammirazione e l’incredulità sostano insieme davanti all’esito positivo della malattia. Io non prometto mai niente, non suggerisco mai di sospendere una terapia prescritta da altri. Lavoro soltanto sul piano materiale e sul piano spirituale insieme. I pazienti non sanno nemmeno che faccio e forse non gli importa. Ciò che conta è recuperare la salute perduta » osservò con lo sguardo perso in un calice di birra.

« A me sembra che tutti si rivolgano a te con gentilezza e rispetto e spesso con un largo sorriso » gli dissi.

« Diffida di chi sorride molto, come di chi sorride a fatica. Non ascoltare con le orecchie come fanno tutti, ascolta col sesto senso » replicò

« Come ? » gli chiesi

« Fai il vuoto nella mente e osserva » spiegò.

Il fuoco nel camino si trasformava in brace arancione, il colore dell’energia vitale, quello del saio dei monaci buddisti, il colore che avvolge il tramonto e l’aurora. Il pavimento era di legno e i plaid di pile foderavano il divano. Fuori fioccava la neve, soffice, silenziosa, bianchissima sui ciclamini rosso sangue del davanzale. Il gatto cercava di toccare i fiocchi battendo la zampina sul vetro della finestra, poi ci guardava deluso. Fuori era freddo. La cagnolina biondo oro si era avvolta a palla intorno ai nostri piedi. Cercava amore.

« E’ straordinario come tu offra la tua vita per guarire tanti corpi malati » gli dissi.

« Ma a me non interessa guarire i corpi malati » mi rispose.

« E cosa, allora ? » domandai.

« Mi interessa cambiare il pensiero delle persone. La malattia è solo un punto di passaggio. Un ponte verso Dio. Spesso è così » disse. Fissava il fuoco con occhi d’oro fino, occhi che avevano visto e previsto fenomeni mondiali prima ancora che i governati li pensassero e che i popoli li subissero. La luce dei suoi occhi non può stare nelle parole. Io l’ho vista e ne sono testimone.

« Una persona guarisce quando guarisce il suo cuore e la sua anima »

Mi guarda e non so se mi vede. Mi passa davanti come un’ombra e va verso la camera da letto. Si ferma e mi guarda.

« Posso scrivere di te ? » gli chiedo in piedi nell’ombra.

« Si ».

                                                              Maria Francesca Mariano