Maria Giuseppina Campagna - Poesie

DONNE

 

Angoscianti pensieri

danzano negli occhi

delle donne,

tessono vita.

Custodiscono lacrime

contro venti e intemperie.


ADAGIO SILENZIO

 

Infinita solitudine

…tiene il mio passo,

su rive di un

adagio silenzio.

Trasporti su cime più alte,

distruggi il rumore 

focoso dell’animo mio.

Distruggi l’ardore sublime

dell’arsura notorietà,

e risuscita in me

la quiete interiore

riscuotendo il taciturno sillogismo.

Oh silenzio!


ACERBO FRASTUONO

 

Acerbo frastuono

di inventar lieti gaudi

 per non udire 

la mente di immense afflizioni. 


IL CIMELIO

 

Entrar nelle paure

di segrete storie

ritrovo il cimelio!

Inizio a costruir

la marea delle mie radici.


ORME POETICHE

 

S’infrange il cinereo

delle orme

di fantasmi nascosti, 

si intrecciano voci

del gemito cantico.


ULTIMI BATTITI

 

Inchinarsi al sibilo

dei petali… e i miei occhi

ingoiati dal tramonto

e calpestati da un 

amaro desiderio.


UOMINI SOLITARI

 

Solitari cespugli,

arida palpebra

a osservar l’oppio

soffiato da orbite,

vagheggiano passi

di impetuose alghe.


LONTANO TEMPO

Nelle montagne velate di bianco

danzano i corpi di rugiada

a sentir l’urlo del vento.

Nudi pensieri 

rivoluzionano l’ebbrezza 

del mio cuore,

a veder il volto della saggezza.

Quei corpi freddi 

danzano come fiocchi di neve,

e io con il mio carme

scrivo note d’inverno.


ARTE

 

Finanche le stelle

osano guardar

il truculento poema

dei tuoi dipinti.


MARCO

 

Ho fuso la mia essenza

nel tuo mondo,

i miei frastuoni 

risuonano nel tuo cuore. 

L’osmosi dei nostri corpi

trovano rifugio in un nido

coperti d’amore. 

Respiro il vento dei tuoi richiami. 


Una donna

 

Quando mi baciava la sua era una stretta asfissiante; avrei già dovuto capire, ma ero una donna innamorata. Mi aspettavo carezze tenere, invece sentivo l’ostilità delle sue braccia che diventavano una rete di ferro attorno al mio corpo, al mio essere donna. L’idea di lui si infiltrava nella mia mente rivoluzionandola, non mi riconoscevo più, la mia volontà si contorceva dentro la morsa della sua, pian piano scivolavo in una coscienza assoggettata che mi faceva accettare di essere schiava del suo ‘amore malato’. Avevo bisogno di essere amata, e lui lo sapeva. Le sue mani le avrei volute portatrici di dolcezza, ma avevo imparato ad averne paura: erano strumenti violenti sul mio corpo: al  loro contatto si paralizzava nel gelo dell’angoscia. Faticavo a capire perché lui avesse bisogno di umiliarmi, corpo e sentimenti; mi sentivo rinchiusa in una gabbia di incertezze. Così la mia stessa paura diventò sua complice, e la prigione in cui mi teneva. Era la sua ambiguità a tenermi legata, mi vezzeggiava, mi chiamava “la sua principessa”, poi mi picchiava. Avevo il corpo colorato di lividi, mi guardavo e odiavo il mio stesso sguardo così spaventato. ‘Carota e bastone’, io  scivolavo nell’annullamento di me stessa, nell’alienazione di una solitudine il cui fossato è la violenza dell’uomo che ti è accanto. Mi era diventato difficile vivere la quotidianità, non riuscivo più ad ascoltare musica, bevevo vino per dimenticare e asciugavo lacrime con un fazzoletto sempre umido. Reagivo mortificando il mio corpo, mi strappavo i capelli, era il modo che mi davo per sopportare le sue vessazioni. Non riuscivo a muovermi, l’unico modo per poter sentire affetto era quello di poter abbracciarmi da sola, ma non riuscivo, non avevo nemmeno la forza di volermi bene. Ero lì, ad amarlo e odiarlo, a cullarlo sul mio seno, ma per lui io ero solo il bersaglio delle sue frustrazioni. Quella relazione mi gettò nel tunnel della disperazione. Era diventato la mia droga, non potevo fare a meno dei suoi schiaffi, delle sue sgrida e del suo cuore insensibile. Era sempre lì al mio fianco, controllore spasmodico delle mie giornate monotone: pensavo che fosse l’amore, ma ho capito poi che era la mia solitudine a rendermi prigioniera. Le sue parole, i suoi abbracci, dolci al mattino, poi violenti la sera, la sua gelosia che lo consumava, e me con lui, scandirono giorni, mesi, anni. Non avevo più sogni e speranze, non avevo più desideri e progetti, avevo solo paura di non riuscire a fuggire dalla gabbia di un ‘amore malato’. Non parlavo più, non piangevo più, odiavo la vita. I miei occhi spenti, il sorriso assente. Dovevo reagire. Io dovevo reagire. 


TEMPESTE DI RICORDI

 

 

 

La tempesta

sgrava flashback 

di smisurati attimi

passati insieme.

Logorati  dal tempo,

e spazzati via dalla bufera 

di dolci lacrime,

sono ancora ricordi che viaggiano 

nel mio mare più profondo.

Sono uragani di mielati ricordi,

che rimembrano ancora nei sogni notturni,

sono friabili  pezzi di cristallo della mia vita

che assaporano suoni iperbolici di richiami

verso il tuo amore più radiale.

Volano granelli di memorie,

e divorati dalle onde

sono avvolti ancora

dall’infinito dei miei pensieri .


ANGELI SMARRITI

 

Cammino sull’idrofobia,

del digiuno delle tue speranze.

Sogni iperbolici distrutti 

dalla tempesta dei rimpianti,

e coccolati solo da un ricordo amaro.


EURITMIA

 

 L’ armonia del flauto 

richiamava la  tua voce,

melodie memorabili

riscuotevano nel mio animo.


INFINITO AMORE

 

Cullami nel nido

di un amore mai avuto,

ripudiata da occhi paterni  

e accarezzata da falsi affetti,

cullami con le tue mani vellutate.



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