Maria Matani - Poesie

20 Marzo 2020

 

La mattina presto, al buio,

apro gli occhi e il nero dell’animo si fonde col nero circostante.

Attendo immobile sotto le coperte che un filo di luce cominci a filtrare dalle tapparelle.

Non serve orologio, si comincia a fare cose,

 non propriamente le stesse di un tempo ormai apparentemente lontano:

lavo e poi mi rilavo, ho paura di me stessa;

potrebbe essere una parte di me a contagiare tutta me.

Poi, in questo inizio di primavera, il sole inonda di colore e di calore la mia cucina,

esco sul balcone, vedo la campagna che inizia il suo risveglio,

pronta per un’altra avventura;

gli uccelli svolazzano cinguettanti, avviando la prossima nidiata;

il cielo è terso e la montagna ferma al suo solito posto,

bella, grigia, regale e allora penso,

CALMA,

è tutto a posto e tutto rimmarrà al suo posto,

UOMO! 


 

 

Dita

 

Dita ossute, deformi e stanche

afferrano ancora, ancora scampoli di vita.

 

Smisurati carrelli traboccanti, multicolori,

su nastri volanti, perigliosamente

ghermiti da dita artigliate.

 

Scaglie di vita adese tra resti di unghie laccate,

brillantate, dorate,

speroni.

 

Vita superba e tenace,

strappa ancora viziosamente la vita. 


 

La vita

 

La vita, 

un filo di canapa che scorre invano

tra mani ingrigite;

le carezze, un lontano ricordo.

Artigli perforano le mie fibre,

urla di dolore nel lungo giorno,

solitudine nella notte.

La vita, un filo che a fatica

tenta di sottrarsi all’artiglio.


 

Abbandono

 

Quattro mura di pietra, terra e paglia.

Una vuota stalla, attanagliata già dalle sterpaglie;

una scalinata smessa e azzoppata

si schiude sull’ampio vano dove siede il focolare;

il tavolo di quercia, robusto, ancora altero,

patriarca tra sedie sbilenche, finestre cariate,

cadute come denti stanchi e invecchiati.

La camera si nasconde, pudica, 

dietro l’unica porta ancora chiusa.

Casa.


 

Natura quasi morta

 

Deboli raggi di sole obliqui

entrano a stento

in una stanza di monili vocianti,

nomi ed esistenze passate.

Deboli raggi di sole

sembrano ancora riscaldare

tracce di vita addensate

in polverosi spazi.

Stanchi raggi di sole 

incontro alla notte

corrono ad ammantare di oscuro

forme e colori.


 

Semino d’autunno

 

Semino d’autunno,

moscerino dell’uva,

formichina tardiva,

senza paura abbracciasti l’inverno oscuro.

 

No smania, no lamento,

non conoscevi null’altro che il vento.

No richieste, no sgomento,

era quello il momento.

 

Quando la primavera timida si mostrò,

il tuo faccino non la ringraziò.


 

Orgoglio

 

Vidi una nuvola nel cielo,

minacciosa si avvicinò all’orizzonte,

corse dritta verso il sole,

senza timore l’agguantò,

lo coprì, lo spense per un po’;

poi si lacerò, si pentì 

e pianse.



Spa. Te

( Ovvero la chiusura lampo )

 

Spazio e tempo

indissolubilmente legati dai miei passi. 

 

Trovassi un pertugio infilerei il mio ago

e come paziente ricamatrice

disferei punti difformi e stonati

e vi porrei nuova trama.

 

Trovassi un velo di discontinuità,

con unghie affilate, staccherei

il pezzo di affresco non amato,

come francobollo usato,

e sopra adagerei un ritratto inventato;

 

ma i miei passi, trascinati o danzati,

hanno per sempre legato cielo e mare

sulla linea della lampo

che mi fu donata .


 

Vista e non vista

 

Sole,

una cesta in testa,

piedi scuri nella sabbia.

Una cesta in cammino

per raccontare il cammino

 di un’esistenza.

 

Luce,

pensieri profondi e suoni,

tremano chiusi nelle ossa,

lontani dalla cesta, 

dalla sabbia, dal sole.


 

Vita

 

Quante parole per spiegarla,

quanti discorsi per comprenderla,

quanti disegni per interpretarla,

quante idee per inventarla.

solo un nome,

Vita

e finché io ti chiamerò Vita,

tu mi sei addosso,

Vita.