20 Marzo 2020
La mattina presto, al buio,
apro gli occhi e il nero dell’animo si fonde col nero circostante.
Attendo immobile sotto le coperte che un filo di luce cominci a filtrare dalle tapparelle.
Non serve orologio, si comincia a fare cose,
non propriamente le stesse di un tempo ormai apparentemente lontano:
lavo e poi mi rilavo, ho paura di me stessa;
potrebbe essere una parte di me a contagiare tutta me.
Poi, in questo inizio di primavera, il sole inonda di colore e di calore la mia cucina,
esco sul balcone, vedo la campagna che inizia il suo risveglio,
pronta per un’altra avventura;
gli uccelli svolazzano cinguettanti, avviando la prossima nidiata;
il cielo è terso e la montagna ferma al suo solito posto,
bella, grigia, regale e allora penso,
CALMA,
è tutto a posto e tutto rimmarrà al suo posto,
UOMO!
Dita
Dita ossute, deformi e stanche
afferrano ancora, ancora scampoli di vita.
Smisurati carrelli traboccanti, multicolori,
su nastri volanti, perigliosamente
ghermiti da dita artigliate.
Scaglie di vita adese tra resti di unghie laccate,
brillantate, dorate,
speroni.
Vita superba e tenace,
strappa ancora viziosamente la vita.
La vita
La vita,
un filo di canapa che scorre invano
tra mani ingrigite;
le carezze, un lontano ricordo.
Artigli perforano le mie fibre,
urla di dolore nel lungo giorno,
solitudine nella notte.
La vita, un filo che a fatica
tenta di sottrarsi all’artiglio.
Abbandono
Quattro mura di pietra, terra e paglia.
Una vuota stalla, attanagliata già dalle sterpaglie;
una scalinata smessa e azzoppata
si schiude sull’ampio vano dove siede il focolare;
il tavolo di quercia, robusto, ancora altero,
patriarca tra sedie sbilenche, finestre cariate,
cadute come denti stanchi e invecchiati.
La camera si nasconde, pudica,
dietro l’unica porta ancora chiusa.
Casa.
Natura quasi morta
Deboli raggi di sole obliqui
entrano a stento
in una stanza di monili vocianti,
nomi ed esistenze passate.
Deboli raggi di sole
sembrano ancora riscaldare
tracce di vita addensate
in polverosi spazi.
Stanchi raggi di sole
incontro alla notte
corrono ad ammantare di oscuro
forme e colori.
Semino d’autunno
Semino d’autunno,
moscerino dell’uva,
formichina tardiva,
senza paura abbracciasti l’inverno oscuro.
No smania, no lamento,
non conoscevi null’altro che il vento.
No richieste, no sgomento,
era quello il momento.
Quando la primavera timida si mostrò,
il tuo faccino non la ringraziò.
Orgoglio
Vidi una nuvola nel cielo,
minacciosa si avvicinò all’orizzonte,
corse dritta verso il sole,
senza timore l’agguantò,
lo coprì, lo spense per un po’;
poi si lacerò, si pentì
e pianse.
Spa. Te
( Ovvero la chiusura lampo )
Spazio e tempo
indissolubilmente legati dai miei passi.
Trovassi un pertugio infilerei il mio ago
e come paziente ricamatrice
disferei punti difformi e stonati
e vi porrei nuova trama.
Trovassi un velo di discontinuità,
con unghie affilate, staccherei
il pezzo di affresco non amato,
come francobollo usato,
e sopra adagerei un ritratto inventato;
ma i miei passi, trascinati o danzati,
hanno per sempre legato cielo e mare
sulla linea della lampo
che mi fu donata .
Vista e non vista
Sole,
una cesta in testa,
piedi scuri nella sabbia.
Una cesta in cammino
per raccontare il cammino
di un’esistenza.
Luce,
pensieri profondi e suoni,
tremano chiusi nelle ossa,
lontani dalla cesta,
dalla sabbia, dal sole.
Vita
Quante parole per spiegarla,
quanti discorsi per comprenderla,
quanti disegni per interpretarla,
quante idee per inventarla.
solo un nome,
Vita
e finché io ti chiamerò Vita,
tu mi sei addosso,
Vita.