A passi leggeri lambiti dal mare
Con lo sguardo fisso sul borgo antico
Che come arcobaleno si erge dal promontorio
Lascio il vento scompormi i capelli
Mentre trasporta seco gli odori dolciastri
Dell’estate e dell’acqua salata.
Voci confuse e grida cristalline si ergono tutt’intorno
A celebrare la spensieratezza e lo svago tanto agognato
A quelle voci si confonde il mio pensiero
Privo di leggerezza e gonfio di paura e affanno.
Gli occhi si spostano dalle casupole irte in lontananza
Per posarsi come farfalle sulle figure d’intorno.
Una donna sorride ancheggiando leggera
Un bimbo corre striando profluvi di gocce e schizzi
Una mamma stringe al petto il suo bambino
Sorridendo e cantando
Uomini di lontano si appisolano al sole
Mentre ingombranti e rumorosi gli adolescenti si prendono la scena
Come primi attori consumati che non tollerano alcun gobbo.
Ognuna di queste immagini mi entra dentro e con esse mi confondo
Diventando io la donna, io la mamma, io l’uomo, il bambino, l’adolescente
E mentre sono tutti e nessuno, divento tutto.
Divento mare che bagna i miei piedi
Vento che mi tocca i capelli
Vociare d’intorno che rapisce l’udito
Caldo del sole che mi scalda la pelle.
Per un attimo mi perdo nel tutto e lascio i miei pesanti pensieri al vento
Le mie contrastanti emozioni al vociare della gente
Il mio dolore leggero e tuttavia assordante alle onde del mare
Affinchè lo trascini via lontano nelle profondità marine.
Mi perdo nel tutto e tutto perdo
Ritrovandomi poi me stessa a camminare leggera
Non più sola ma con la parte migliore di me
Vicina e consolante, presente e avvolgente
Guida i miei passi standomi accanto e tenendomi per mano
Rassicurante e forte
Sorridente e profonda
Mi guarda accarezzandomi e non lasciandomi più andare
Amandomi e lasciandosi amare
E poi chiuse la porta dietro di sé
Andava via, via dalle sue paure
Via dall’incessante ripetizione della medesima scena
Di un film troppe volte rivisto e vissuto.
Andava via rifuggendo la responsabilità,
Scappando dalla probabile possibilità di dover soffrire ancora,
Di dover pagare a lungo il breve istante di felicità mai portato a compimento.
Chiuse la porta senza chiedersi cosa aveva provocato
Quali emozioni suscitato
Cosa aveva abbandonato
Quale senso di vuoto aveva lasciato.
Ma a lui non importava. Nulla importava, innanzi al baratro che vedeva davanti a sé
non ammetteva altra strada che la fuga.
Troppo a lungo aveva accolto la leggiadra possibilità
di attraversare il tunnel, di vedere la luce dall’altra parte
ma era rimasto sempre nel buio e mai, mai era riuscito ad uscirne
così ora nemmeno ci provava e batteva in ritirata.
Forse era giusto così.
Forse l’unica felicità era la fuga, l’unica strada per porre riparo ai suoi numerosi sbagli.
E non si curò di lei.
Lei rimase ferma dietro la porta ormai chiusa;
Non mosse un passo, non battè ciglio, non lo implorò, non lo seguì, non sperò.
Rimase a guardare la porta chiusa, stordita dal tonfo, incredula per il repentino abbandono
Stringendo le unghie ai pugni
Giurando a se stessa che non avrebbe versato una sola lacrima
Che non avrebbe lasciato al suo cuore dettare alcuna azione
Che sarebbe rimasta a fissare quella porta chiusa per giorni se necessario
Ma non avrebbe mosso un passo.
Ecco; la danza dell’immobilità che si oppone all’immagine della fuga
Il cuore contro il cuore.
Due anime che si erano cercate, inverosimilmente si erano trovate e nel tempo di un tramonto, si erano abbandonate.
Mamma era bellissima!
Esclama la piccina….
E poi alla seconda si rattrista;
Era un po’ bruttina!
Perché era così triste mamma?
Perché io ero triste mentre la scrivevo,
Figlia…
E perché eri triste mamma?
Perché ero persa nei ricordi,
Perché ero spaventata dall’avvenire.
Allora rimani qui mamma!
Non andare indietro nel passato,
Non viaggiare nel futuro…
Rimani qui con me
E sogneremo insieme
Sogneremo di cose belle e profumate
Con tanti colori e magia e cose inventate
E sarai felice…
E scriverai parole felici…
E così vincerai!
Dalla raccolta “Il mondo di Erice”
Amami, banalmente e semplicemente
Non sono fuggita dalla folla per ritrovarmela in camera da letto
Ho visto una strada maestra e l’ho seguita
La mia meta era l’amore
La totale estasi nella noia e nella monogamia
Termini troppo opposti, non ha funzionato
La mia rosa si è sottratta alle api
Per essere infestata dagli afidi
Ho lasciato che il fiume rompesse gli argini
E mi trascinasse nell’impetuosità della corrente
Abbandonandomi
Sono giunta alla foce
Mi sono lasciata cullare dalle onde del mare
Infine mi sono ritrovata alla deriva
Avevo chiesto amore, banale e unico
Mi sono ritrovata al buio ad udire rumori di baccanali
Rappresentazioni orgiastiche dell’amore
E mentre bramavo la purezza mai conosciuta
Ho piegato il capo al profluvio di inganni e abiure
Impotente risalgo come carpa la corrente
Ritorno alla sorgente
Riprendo a navigare
Stavolta seguirò il moto naturale placido e lento
Assecondando i vortici ed aggirando le rocce
Calma, Lenta
Sentirò il sole illuminarmi il viso
E l’acqua tiepida lambire le mie dita
Accoglierò la vita
Dalla raccolta “La resa”
Ed infine la neve
Cade calda e veloce
Brucia come lava
Eppure è fatta di ghiaccio
Avvolgente e morbida
Eppure sterile
Portatrice sana di vita
Eppure senza frutti
Non c’è nulla che segua
Nulla che nasca
Si scioglie e muore
E solo alla morte avviene la trasformazione
E la trasformazione diviene vita
Dalla Raccolta “La Resa”
Domanda: Io sarei l’errore?
Risposta: Si Tu lo sei…
L’errore di aver frainteso
L’errore di non aver capito chi eri
E cosa volevi
Sei l’errore che non emerge palesemente
Ma c’è
Che si insinua intollerante nelle tue scelte
Pretendendo di vivere la tua vita
Di combattere le tue battaglie
Solo per affondarti un po’ di più
L’errore di aver voluto accettare
Di non aver voluto vedere
Sei l’errore che si compie quando si sbaglia strada
Sicuri tuttavia di percorrere quella giusta
E ritrovarsi poi nel nulla.
Io ti ho cercato
Inverosimilmente ti ho trovato
Follemente ti ho amato
E mi hai amato
E rapito
Poi non sono stata più me stessa
Nulla è stato vero.
Tu sei l’errore cercato e trovato
L’errore che mi ha rinnegato
L’errore che mi ha perso
Ed ora debbo riparare
Dalla raccolta “La resa”
Le parole che ti avrei voluto scrivere
Non sono stata in grado di sussurrartele
Ho tentato di gridartele in faccia
Ma dalla gola non usciva suono
Lentamente le ho riconosciute
Si sono spente
Le mie parole soffocate
Le mie idee calpestate
Non hanno preso forma
Si sono raggrinzite
E poi morte
Le parole che invece ti ho detto sapevano di odio
E rancore
Di dolciastro e ferro
Di amaro e soffocante
Sapevano di melma
E ci hanno ingoiato
Dalla raccolta “La resa”
Era una sera d’inverno, una come tante, sorniona, noiosa. Lei ancora il cuore a pezzi, tentava di riemergere dalle profondità che l’avevano ingoiata e reagiva affidandosi alla più banale forma di passatempo, quella che privilegia il movimento, spesso insensato e incontrollato, in un locale ampio ed umido dove gli specchi che rivestivano le pareti, rinviavano riflessi di una gioventù confusa ed annaspante.
Ma in quell’ambiente umido ed estraneo, uno di quegli specchi le rimandò come una folgore, uno sguardo diverso dagli altri, estraneo alla massa, spaesato ed annoiato da un’attività che non rispondeva in alcun modo all’indole della persona. Uno sguardo intenso e profondo ma spaventato, di chi ancora giovane uomo che si affaccia alla vita, cercava per tentativo di emulare i coetanei, ma a quanto pare senza avere alcun successo.
Lei lo notò e cercò di incrociare quello sguardo, incuriosita, attirata dalla similitudine di un’anima che viveva dentro e non badava al fuori, seppure più addentrata di quanto lo fosse lei, nelle pareti della mente, avvolta nelle grotte del pensiero che solo a tratti permettevano un’occhiata fuori, poiché in quel giovane uomo, tutto pareva passare per gli occhi della mente e non certo per osservare le donne. Eppure era lì e stante la stanchezza e la trasandatezza con cui affrontava le lezioni, l’unico motivo poteva essere unicamente la voglia risvegliata di conoscere l’universo opposto, la curiosità di sbirciare in qualcosa che non fossero menti, il desiderio che si affacciava alla vita di chi, lasciata la maturità, si apprestava a scegliere chi essere, chi diventare.
In questa ricerca esteriore eppure introspettiva, lui si lasciò catturare dallo sguardo di lei, attraverso lo specchio, e per un lungo attimo lo trattenne. Lei da donna già più matura seppure ingenua ed fondamentalmente inesperta, si travestì da pantera predatrice, attratta e rapita da una possibilità nuova, sconosciuta, dove poteva e voleva dominare.
E lo fece. Non gli lasciò scampo. Forte della sua bellezza e dell’attenzione che aveva risvegliato in lui, in un unico sguardo non gli lasciò scampo. Aveva scelto.
E lo attirò lentamente in una conoscenza apparentemente innocente, fatta di piccole frasi pronunciate fra i sorrisi, e piccoli gesti, fatti di attese.
Lui la seguì docile. Senza intendere porre alcuna opposizione, si lasciò catturare, seguì le briciole di desiderio che lei disseminava lungo il sentiero che portava al suo cuore, ed al suo corpo.
Lei divenne l’uomo. Lo corteggiò, lo invitò ad uscire, passò a prenderlo sotto casa, portandolo ad addentrarsi nel viaggio della conoscenza, svelando nuovi aspetti di lei che lui non si lasciò sfuggire, intercettando l’elemento comune della diversità, vissuta su piani difformi, più mentale l’uno, più corporea l’altra, ma pur sempre diversità. Quella diversità che distingue chi si appresta alla vita osservando, con curiosità e dolore, cercando il lato profondo delle cose, immergendosi nei tentativi di comprendere e dare un volto all’esistenza, una comprensione che tuttavia sfugge alle più brillanti menti e che in due cuccioli osservanti non poteva lasciare ancora segno. Lo avrebbe fatto in seguito, col tempo, ed a costo di enormi ferite dell’anima. Poiché la vita, solo attraverso gli squarci dello spirito, sembra penetrare nei corpi e nelle menti allungando in quei passaggi, i suoi tentacoli per brandire i più reconditi pensieri, le più sfuggenti immagini, le più latenti emozioni, che attendono indi di irrompere in superficie acquistando ampiezza e potenza, modificando inesorabilmente e per sempre l’uomo o la donna che ne sono trafitti.
E le ferite ci sarebbero state. Quell’incontro breve e spensierato era solo preludio di una crescita ed un’evoluzione che avrebbe segnato entrambi e contribuito come pietra miliare a formare l’uomo e la donna che sarebbero diventati.
E venne il giorno dell’amore. Si presentò in una sera di febbraio imbiancata dalla neve, che leggera scendeva a coprire le rovine di una vecchia rocca, in un vecchio piccolo borgo circondato da pini e rocce, e abbandonato nella solitudine.
Le loro anime si lasciarono stordire dagli odori di terra e acqua, da quelli trasportati dal vento e da quelli sprigionati dalle fiamme dei loro corpi. Furono prima i baci, preludi di mille promesse, esplorandosi e stordendosi, mentre lui lasciava fare, lasciandosi guidare.
Fu dolce e lento, tenero e potente e si consumò in un abbandono fatto di tenerezza e leggerezza e presenza.
Furono così i giorni che seguirono, fatti di attimi e lunghe presenze, di incontri rubati e giornate trascorse in casa ad ascoltare musica ed a parlare a lungo, di mille argomenti, a volte leggeri, spesso pesanti, troppo per lei, poiché richiedevano conoscenze che non possedeva. Eppure si lasciarono educare ed istruire, l’un l’altro uno ai piaceri dell’amore nuovo, maturo, l’altra alla visione profonda e dolorosa del mondo e delle sue sfaccettature.
Emersono mondi diversi, spaccati di vita opposti, ricerca sempre più distante della vita. Lei col suo dolore dentro, cercava leggerezza e spensieratezza per superare i fantasmi che si portava dentro. Lui nella ricerca spasmodica delle verità del mondo, della società in tutti i suoi aspetti, una conoscenza ragionata e studiata che lo portò sempre più ad incupirsi ed arrabbiarsi. Anche con lei. Lei divergeva sempre più dal suo mondo esterno di spettri e menzogne, che cercò di accogliere senza riuscire ad entrarvi. Il suo bisogno di leggerezza contrastava sempre più dall’opposta necessità di capire ed approfondire di lui.
Ed in questo divergere si persero. L’amore tenero e sensuale divenne spietato e superficiale. Lui non riuscì a piegarsi alla leggerezza e si indurì. Lei non accettò catene ma non riuscì a volare via.
Si legarono l’uno a l’altra, in un rapporto perverso dove l’unico punto di contatto furono i loro corpi. Ma non bastò. La divergenza fu lenta ma inesorabile. Affrontò gli anni in cui, i loro cuori, pur separati dalle vite di ciascuno e dagli amori, rimasero legati in sorta di limbo da cui non riuscirono più ad emergere o così sembrava. Una lotta continua ed un riavvicinarsi che li portò a crescere insieme e separati, ognuno perso nelle proprie battaglie eppure sconfitto.
Dieci anni. Lui ormai uomo era in cerca di una risposta definitiva al suo emergente bisogno di amare, di un amore esclusivo, e di essere amato di un amore esclusivo, che lei non aveva saputo donare. Lei ormai indipendente e libera barattò la libertà raggiunta con sacrifici e dolore, con una parvenza di sicurezza fra le braccia di un altro uomo.
Rimase il ricordo, incrollabile per lei e l’accarezzare teneramente con la mente quei primi tempi in cui tutto sembrava possibile, in cui tutto era apparso chiaro. Lui tornò nella sua mente e nei suoi pensieri negli anni a venire, in cui lei lo cercava senza mai trovarlo.
Lui con le sue radici nodose, era altrove libero, forse da se stesso e dal passato.
Lei con le sue ali leggere si era lasciata relegare in una gabbia ed a lungo non ne poté più uscire.
Quando un uomo ed una donna si incontrano non è mai chiaro lo scopo che perseguono le loro anime.
Lui aveva 28 anni, e lei si sentì ebbra di vanità per il potere di piacergli nonostante la sua ovvia maturità.
Lui le aveva detto che la comprendeva, capiva cosa stesse passando, poiché da una separazione era venuto via, quella dei suoi genitori.
Lui le aveva detto che aveva vissuto nell’abbandono per tutta la sua vita e…..….
No; in effetti non lo aveva detto, ma lei lo aveva capito, ed aveva intuito cosa cercasse da lei: l’abbandono.
Per poter rivivere ancora e poi ancora lo stesso dolore, senza interruzione senza soluzione di continuità.
Ma lei non intendeva stare al gioco, non intendeva essere pedina della storia che l’anima di lui aveva già disegnato.
E rimase con lui; lo cercò, lo ammirò, lo comprese, lo amò, certo a modo suo. Ma la differenza c’era ed era evidente. Ma lei scelse di non lasciarsi atterrire o spaventare e lo riprese. Ogni volta che lui cercava in una qualsiasi scelta l’avveramento del suo dramma, lei correva a riprenderlo, ancora e ancora.
Ma poi accadde quello che lei non pensava, nemmeno si aspettava, e mai immaginava.
Accadde che si innamorò, ma di un altro.
Ed ecco che il dramma sfuggì al suo controllo. Lei perse la scelta e si lasciò trasportare lontano, per poco, ma andò via.
Fu sufficiente. Lui realizzò il suo disegno e venne nuovamente abbandonato.
Lei ritornò. Lo accarezzò con le sue parole, lo abbracciò con la sua dolcezza, gli si offrì nella sua fierezza, lasciando che parlassero i desideri. E lui le si avvicinò.
Ma non per riprenderla…… no. Solo per schernirla, deridere il suo tentativo, punirla del suo abbandono, sbeffeggiando il suo ritorno. Non le lasciò scelta. Lui aveva già scelto.
Lei sapeva e si arrese, lasciando che lui riproponesse alla sua esistenza il suo proprio dramma.
Cercò di fargli capire che poteva scegliere, poteva accogliere, poteva concedere una seconda possibilità.
Ma non ce ne furono. Ci furono solo due cuori l’uno contro l’altro, che voltandosi scelsero di seguire le strade che stavano percorrendo prima del fatale incontro.
Lui avrebbe cercato un’altra come lei per ricominciare la farsa.
Lei avrebbe cercato di non innamorarsi più.
Poiché quello che aveva trovato le aveva fatto perdere non solo un’illusione, seppure attraente.
Le aveva fatto perdere se stessa. Di nuovo. Ancora.