Marika Ascolese - Poesie

Mezzanotte.

Mezzanotte.
Diventano giorni, diventa tutto puro, al tuo fianco: amabilissimamente puro.
Il mondo che non vorrei continuare a perdere.
Amabilmente, amabilissimamente puro.
Mezzanotte.

 

 

 

Fermiamo.

Fermiamoci.
Sono in pendenza.
Tutto è in pendìo.
Cerco di muovermi per capire se sto perdendo il controllo.
Ci sei tu che mi parli, abbassi la testa per pensare; mi guardi e sorridi.
Riguardo un’ultima volta quei piccoli quadratini marroni.
*Ci sono io.
Ti parlo io.*
*Vieni da me. Vieni da me.*
Noi abbiamo fatto canestro!
Ritorno a guardarti: noi abbiamo già palleggiato.
Siamo noi i nostri palleggiatori.

 

 

 

Avrei poggiato

E avrei poggiato i piedi a terra per spostarti da quell’invasione, ché andare a sbattere violentemente e non accorgendosene senza neanche scusarsi contro due cerchi di ferro equivale a farti male sulla pelle, fossero stati qualsiasi cosa.
Non solo: gli occhi, le mani e il cuore.
Una portiera era aperta!
Li avrei poggiati come quando li poggio per sollevarmi da qualsiasi problema senza chiedere aiuto a nessuno, perché sto per scivolare. Sto per cadere. Sto cadendo, soprattutto credendo…
Devi andare a casa? Devi studiare? Fa freddo?
“Tanto…”
Questo conta.
È già nero il cielo, poggiati.
L’abbiamo visto: è nero, ma sono poggiati i nostri brividi.
Calanti.
Calàti.

 

 

 

“Non mi conosci”, potresti dirmi.

È vero, ma come dice Haruki Murakami «Sono uno di quelli che per capire le cose ha assolutamente bisogno di scriverle».
Ne ho scritte tante di lettere, e per alcune di esse mi pento di averlo fatto, perché nel momento in cui scrivo uno scritto dedicandolo a qualcuno è come se ci fosse inciso il mio nome sul foglio e sulle parole.
Ma se dovessi rendermi conto in tempo che questa persona è priva di un’anima, cosa succederebbe? Se non accettasse questa mia lettera, ciò che penso ed una parte di chi sono? L’incisione, in quel caso, sarebbe nulla!
Non so ancora chi tu sia, ma credimi: non sono mai stata così felice di conoscere un ragazzo come in questo momento.
Conoscere la tua mente; le tue paure, i tuoi sogni, gli ostacoli che hai dovuto affrontare e che stai affrontando tutt’ora, le speranze nelle quali hai riposto fiducia…tutto ciò che hai bisogno di raccontare.
Quando mi hanno parlato di te, sono rimasta stupita dalla tua determinazione, coraggio e tenacia con la quale vivi; adoro le persone testarde, che sanno ciò che vogliono, e non mi meraviglia la grande frustrazione di determinati esseri umani — vorrei tanto dire che loro escono, ma restano insoddisfatti, non solo riguardo i problemi —, – li definisco in questo modo per non sembrare troppo insensibile -.
Ansia ne ho avuta, ma non ho avuto paura di accettare, pensando “Chissà cosa penserà di me”, per la prima volta, e sono felicissima che tu abbia accettato.
Vivo anch’io questa triste realtà tutti i giorni, ma questo mondo non ci ha sottratto niente: sorrisi, occhi brillanti…la Vita!
Non ci ha sottratto la Vita!
Dico sempre che se siamo qui, nonostante tutto, un motivo ci sarà. Non sono stati i muscoli a darci il consenso di esistere!
Le nostre problematiche non hanno i nostri nomi, chi ci circonda ama noi, non le nostre sedie.
Sappiamo chi e come siamo, conosciamo le nostre Vittorie e dovremo tenerle al nostro fianco per sempre.
Ti ho raccontato poco di me, lo so: lo farò non appena ti incontrerò.

 

 

 

Gli manca un braccio.

Qualcuno a cui manca un braccio non so come si possa sentire. Felice? Triste? Avvantaggiato pur non avendolo? Non lo so.
Non ha la protesi.
A me “mancano due gambe” (non le ho gettate nel cestino, sia chiaro! Manca solo che mandi a quel paese anche loro. In un certo senso non hanno colpe) – e mi va bene così, non ho bisogno di due pezzi di ferro per vivere.
Lo stesso: resto affascinata da chi non ha un braccio. Per vivere, sognare, amare, giocare e ridere, per propria scelta, non ha bisogno di un pezzo di ferro o metallo!

 

 

 

Mi direste qualcosa?

Se poteste, mi direste qualcosa?
Non ci siete, non potete vedermi, non so se vi rivedrò. E mi mancate.
Cosa mi direste?
Io non lo so cosa mi direste.
Aprireste il mio dolore? Ché in realtà dolore non è, perché sto bene. Sto bene.
Sto bene davvero: credetemi.
Ma ci sono determinate cose che non si possono strappare, far morire.
Ci sono determinate cose che ti restano non sulla pelle, non nell’anima.
Restano, senza sapere dove. Cos’avevate provato?
Ditemelo, cos’avete provato? Cos’avevate negli occhi?
Non potrò mai saperlo, e vi sto pensando.
Vi sto pensando.
Vi sto pensando.
Siete mai stati bene?
Vi conosco, so se siete mai stati bene, ma ho bisogno di chiedervelo.
Come siete stati? Starete bene? Cosa proverete?
Sarò con voi?
Sarà ancora con voi il dolore?
Non posso vedervi. E mi mancate.
Cos’avevate?

 

 

 

Ripiego non riparatore.

Mi…mi si è buttato addosso, il sole e lui, abbracciandomi.
Mi si sono buttati addosso entrambi; ho provato un’emozione istantanea e fulminea, ma non ho percepito alcun ritaglio di felicità attaccarmisi sul cuore.
Ho poggiato la mano sulla sua maglietta. Ho provato ad aprirmi dinanzi a quel piccolo momento e mondo come avresti voluto, desiderato, cercando di stringerlo senza riuscirci, ma la mia volontà si è fermata di colpo lasciandomi in disparte, sapeva che, se mi avesse ascoltata, la bellezza dei sorrisi vivi l’avrei avuta dentro.
Ho sorriso smorfiosamente, eh, ho sorriso; ma mi ha lasciata in disparte.
Ché prima che arrivasse si sono riparate anche le parole morte, poggiandosi sulle gambe e proteggendosi dalle mie smorfie colme di strazio.
Il loro riparo ero io.
Lui non c’è, perché dovremmo vivere?
Tu non ci sei, perché dovrei non morire?
Ero un ripiego non riparatore;
ripiegata.

 

 

 

Quale riparazione?

La pioggia non si può tagliare per farla cessare, e questo è un dato ovvio. Ma di quale riparazione si tratta, esattamente?
Si è squarciato il cielo al solo udire il tuo nome per l’ennesima volta.
Mi sono frantumata io.
Ché quella signora l’ha vista la morte mia, la pietà negli occhi.
Talmente le ha guardate, che si è voltata dalla parte opposta per non guardarmi.
E sì: avrei voluto piangere, avrei voluto piangere!
La gabbia era anche lì…
-“hai freddo? Vuoi entrare?”
No, tanto sono già bagnata; insanguinata.
Il coltello intriso di sangue, l’ho visto ed afferrato troppe volte.
Non potevo più sopportarlo;
-“Sì. Grazie…”.
-“Che bella!”.
Chi, cosa? La mia anima? No.
Le anime non riparate non possono possedere alcuna bellezza, alcun riparo.
Quale riparazione?

 

 

 

A Cristina

Cristina,
voglio che sia tutto storto: le labbra, il cuore, il sorriso, la mente, le lacrime, il suo vivere… che lo sia tutto quello che possiedo; all’infuori delle sue labbra, del suo cuore, del suo sorriso, della sua mente e le sue lacrime, il suo vissuto.
Tutto ciò che gli appartiene dovrebbe essere sparso ordinatamente, ma non lo è: lo è solo l’amore che proviamo, ciò che stiamo facendo, creando e vivendo e che continueremo a vivere.
Li osservi i suoi occhi? Quelli, i suoi occhi: li osservi? Si può non far caso a cose e sentimenti banali, non ad occhi che urlano e fanno di tutto per non farsi notare.
Li stai osservando? Perché…perché io li osservo e li ho osservati in questo nostro tempo, e continuerò a farlo anche quando non sarà in grado di guardarsi e dirmi come stanno, cosa sentono.
Avrei voluto farlo capire a chiunque…
ho voluto iniziare a scriverti in questo modo: inizio sempre così, quando sento scendere fortemente il getto del mio inchiostro.
Cristina, ritorno a scriverti in modo differente dal principio; quel Principio che mi manca come alla notte il sole, la Luce; osservando la sfera della penna risanguinare, fluire ancora più prepotentemente, gli occhi scavati dalle lacrime e dalla morte, il cielo diventare scuro anche quando vorrebbe brillare ed i pensieri che faticano a ricomporsi, non perché non sia più in grado di scrivere: la scrittura è l’unica Persona che non verrà mai distrutta da nessuno, neppure da te — ma bensì perché, semplicemente, non riescono a ricomporsi.
Ti scrivo essendo nuovamente piena di rabbia, esiste solo essa in questa sopravvivenza, in me.
Piena di rabbia nei tuoi confronti e del mondo, perché mi ha tolto tutto. E non mi riferisco alla problematica, oramai le ho installato una determinata e privata giustificazione non osservandola controbattere.
Da quando lui non è più nella mia vita tutto fatica a trovare una ricomposizione, e suppongo che tu ne sia abbastanza entusiasta, se non felice.
Cos’altro vorresti dirmi?
Dovrei parlarti di altri sentimenti, quelli veri, che sto provando scavalcando momentaneamente il dolore, ma non lo faccio…sai, se dovessi distruggere anch’essi non so cosa farei.
Ricordarti il motivo sarebbe superfluo.
Non ho niente d’importante da dirti: il mio parlare di bellezza e della sua importanza lo riservo solo a
chi merita.
Non sono felice.
Non sono felice, io.
Non sono più felice, ma non di certo per colpa mia.
Sostanzialmente per colpa tua
Non so più niente.
Sorride? Si innervosisce?
Cosa sta facendo?
Piange? Scrive? Mangia? Si diverte? Ascolta musica? (La nostra)? Dedica frasi d’amore? Canzoni? Amavo ed amo da impazzire il suo essere bambino… arrossisce? Pensa?
Mi pensa? Ama?
Mi ama?
È ridiventato la rosa che ho fatto appassire, hai detto? Cosa significa?
Fra tutti gli avvenimenti che mi hanno fatto e mi fanno ridere fintamente e sguaiatamente, questa confessione sale in prima posizione.
È ridiventato la rosa che ho fatto appassire…
ne sei sicura? Sì? Bene.
Vorresti farmi intendere che tutto è ritornato al proprio posto, che è “tornato”.
E se ti dicessi che non è così?
Se ti dicessi che è rimasto qui? In ogni parte della mente e del corpo?
Se ti dicessi che non andrà mai via, cosa faresti?
Vorrei tanto constatare (non “vedere”) una tua reazione, pur sapendo che non l’avrai, che non riuscirai ad agire, perché ciò che gli ho donato non glielo donerà nessun altro, o meglio, nessun’altra. Sei stata la sola a riconoscerlo.
Se non l’hai compreso in tutto questo tempo sprecato essendotene improvvisamente dimenticata, lo comprenderai e ricorderai leggendomi ora: sta’ tranquilla.
Ché quel mazzo di rose bianche ed in mezzo una rosa rossa l’hai visto…piangeva per mancanza: piangevo e piango tutt’ora.
L’hai tenuto stretto tra le mani?
Non faccio altro che piangere.
Ho il respiro corto e affannato.
Anche se all’apparenza regolare.
Cos’altro avrei potuto fare? Cosa?
Cosa potrebbe mettere in atto una persona avendo al proprio fianco persone finte che fingono insistente interesse per poi rinchiuderti nella stessa bara nella quale ti hanno già rinchiusa mille volte, impedendoti di vivere?
Cosa potrebbe mettere in atto una persona, in questo caso, per liberarsi?
Dimmelo, e sarò ancora una volta libera.
Non credo riceverai una proposta di riconciliazione, ma semmai deciderai di riceverla, accetterò ad una condizione: dovrai rammentargli quest’assoluta verità: “Sarai per sempre la sua Liberazione che sanguina ed il suo Azzurro che brilla.
Ecco perché ha voluto lasciare quello stralcio di lettera.
Sei il suo Azzurro. Marika

 

 

 

Gli uomini e la morte.

Gli uomini e la morte mi si avvicinano piano non appena cammini allontanandoti il più cautamente possibile sorridendomi, tenendo lo sguardo inchiodato nella mia paura.
Un’insolita paura.
Mi si avvicinano ma non li vedo, guardo; tutto diventa nitido ed irriconoscibile.
Le catene riprendono a far rumore, a riprodurre quel luccichio che solo esse sono convinte di saper emanare.
Mi volto per ammirarle sorridendo, mentre la morte sorride a sua volta accarezzandomi il viso e provando pietà nei confronti della mente e degli arti motori.
-“Dove pensate di poter scappare!”.
Lascio che si diverti ammanettandomi ed intanto, con una forza più che sovrumana, alzo lo sguardo verso il tuo ciuffo ondulato – te l’avrei aggiustato solo per l’insaziabile voglia che ho di dirti “È ugualmente bello” – e i tuoi occhiali neri, e le lenti…così trasparenti da potermici specchiare.
Nessuna lacrima: cerco di muovermi freneticamente cercando di portare il bacino in avanti e poter scendere dalla mia postazione, ma la cinta della sedia me lo impedisce.
Quante cose mi ha impedito di fare questa vita?
M’abbandono al volere di quest’ossessione, liberando le lacrime e, vedendo un’ultima volta i due Nemici ridere sguaiatamente di me, penso che per te ho lasciato al sole incollata l’anima.
Al sole…
vanno via.
Gli uomini e la morte.