Mario Piazzai - Poesie

Copenaghen

 

Ti sei dichiarata come fa il freddo

quando scolpisce l’acqua d’una fontana

ed io

rimasi di ghiaccio.

Ricordo…Copenaghen.


Cuore

 

Crudele carezza

Caotico canto

Cigolio continuo

Ciarlatano compiuto

Congedati.


 

Eroi

 

Eravate eroi

Evasioni.

Eterni esempi,

Ed eccovi esangui…

Erosi.


 

E’ il tempo

 

Non si contavano più i passi nel buio pesto di Roma,

inciampavamo tra le macerie di bottiglie scolate

e urla sbronze, moleste.

Roma era scura come un racconto di Poe,

troppo scura per i miei occhiali e per il tuo cuore

pallido e freddo che sentirlo battere era sempre per caso.

Guardavamo la notte che non diventava mai sole,

come noi,

esposti al gelo di quelle parole rapite,

cosi precari

che giurammo addio a quel vuoto fatale.

Ma dove siamo ora?

Adagiati nella certezza dell’ovunque, beffati

dalla difficile bellezza di esserci scambiati amore.

Vaghiamo su tram diversi

con i vetri appannati e gli occhi annegati.

Prenoteremo le nostre fermate

cosi distanti, cosi diverse e scenderemo

da questo ferroso addio.

E’ il tempo che non ci ha trattenuto.


 

Giudice

 

Vergine voce

inebria e ferisci,

incolpa questi corpi

senza ragione

che

ambiscono grazia

dal reato.

Soccorri il destino

dal cuore iena

che tallona la moda.

Feconda i vulcani

spenti

e colaci tra le menti.

Ingrassaci di cenere

che d’inverno nutre i campi

e poi se vuoi

concedi la giusta pietà

o condannaci

all’eternità.


 

Il Pianista

 

Volteggiano le dita sull’avorio pregiato

funicelle intonate palpitano

in un capogiro di note

e nella lunga coda

il concilio.

Sono io,

l’eremo curvo dell’evasione

che affidaste al canto d’un piano.

Col prestigio d’accordi stregati

trabocca il teatro di occhi sospesi.

L’ultima nota

e dalla quinta rubina

l’inchino

a tender le mani

ad uno scroscio di mani.


 

Il regalo

 

E’ nel tratto obliquo d’una biro

che i miei pensieri si combinano.

Steso

tra i bordi perfetti della bianca voragine

sta lì

come una goccia scorre

sulla schiena della foglia

e poi non l’abbandona.

Sigilla la china nera

ciò che sono

nel tempio degli echi riordina il travaglio.

Spoglia il respiro allo straniero

e poi si fa voce.

Su questo diario che t’ho permesso

troverai comoda la mia testa

fra gli spigoli del mare

e le spalle dell’amore.


 

La vanità

 

Son io,

faziosa donna che non teme rivale

nell’uomo dimoro

e del sesso risalto lo stile.

Ti guardo mutare ed io son là

nel brivido freddo di un metallo indossato

negli occhi che cambian colore.

Sarai fiuto per il naso accurato

lo sfarzo d’un corpo

nel desiderio celato

- nello specchio leziosa l’immagine mia -

Guarda chi non viene a cercarmi

ha i capelli disfatti dal vento

la pelle sciupata degli anni

e l’accento mancato in quel sorriso sbiadito.

Cosi, nudi di me,

nell’ostinata voglia di purezza

ombre taciute, distanze tra stelle

mio è il mistero, l‘incertezza.


 

Ossido

 

…e quegli occhi affidati al congedo

divennero calore

nel gelo concepito di quel teatrale istante,

e il calore divenne alito e turbamento

dettando spasmi inconsulti,

ed eccolo!

Il delirio anelato,

tragitto dell’ossessione

mi portò in platea

dove la sua fuga armoniosa s’arrestò

ed io distratto in poltrona

d’una seconda fila.


 

Vendetta

 

Nel bigio speco della mente

va bollendo,

gendarme d’una ferita.

Incede con veemenza,

come fa il vino

quando invade la gola,

estasia il giudizio.

Bizzarro

come tutto sia insolito

con occhi addomesticati

e d’un tratto

attraversa la vena

e ti fa ostaggio.

Finché, matura,

cade il lampo

e d’incognita s’aggrava il pensiero.

Se non foste cosi sciocchi

di pensare

che l’empietà non fecondi

vendetta,

sapreste quale esito meriterebbe

il dispetto.

Voi,

che mani pentite mi offrite,

dinanzi al mio tormento

ginocchia indulgenti piegate

in questo teatro non prenderò posto.

Dal vostro pianto berrò

saziando, chissà, questa passione

mentre dilagherà il sorriso

sentendovi il rimorso.

Piansi anch’io quella volta.