CERCANDOMI
Amo la parola chiara
che risplende come
il marmo levigato da mano di uomo
Amo il sì e il no
il giorno e la notte
le luci che accecano e
le tenebre che tutto celano.
Eppure sono ombra
che cerca ancora
la definizione netta
del proprio contorno.
E se mi discosto dal
mio passo titubante
inciampo e mi sento
sciocca.
GIOVANE DONNA
Non sempre le mimose saranno in fiore,
non sempre sarà la luce
delle candele a rischiarare il buio della sera.
Giovane donna,
quante sono le maschere che
dovrai svelare?
L’inganno sa di miele
e non basta il sale delle
lacrime per ritrovare
se stessi.
Oggi siedi felice
sulla poltrona che ti è stata offerta,
ma non dimenticare
che il servitore talvolta
mente.
ILLUSIONE
Delusione è un silenzio che non muore
un telefono che non canta
una mano che non accarezza
Delusione è un viso che svanisce
nella nebbia dei “ci sono”
nella stanca attesa di un gesto
che mente a se stesso
e tarda a venire.
INVERNO
Tra fili d’erba incapsulati dal ghiaccio
scorgo gli indizi di un autunno appena trascorso.
E’ la foglia che,
ripiegata su se stessa,
consola il riccio, orfano
della sua castagna.
LE PORTE DEL CUORE
Sai quante sono le porte del cuore?
Contale per me
che io mi ci perdo dietro ai numeri.
So solo che sono così tante
da non saper leggere la cifra.
Sono così tante
che sommando l’amore dentro ciascuna
potremmo dirci infiniti.
TI RESTITUISCO LA TU MANCANZA
Ecco, ti restituisco la tua mancanza.
Le ho dedicato attenzione e amore,
l’ho riempita di frammenti, di sguardi rubati,
sorrisi intravisti, mani sfiorate.
Con la tenace pazienza dell’artista che
realizza il suo più bel mosaico
ho scelto tra i ricordi le tessere più lucenti.
Giorno dopo giorno, bevendo attimo dopo attimo,
ho tessuto l’immagine e adesso, che è terminata,
te la rendo.
Ecco, ti restituisco la tua mancanza,
abbine cura, rassicurala, perché
a me, pur con dolore, ha fatto compagnia
e ora tanto mi è cara.
VALIGIA
Tu parli
io sento le tue parole,
le sento, sì, ma non ti ascolto,
già lontana nel mio mondo
sconfinato.
Mi accomodo sull’accento della tua voce.
Ti sento, ti sento e non ti ascolto,
accoccolata in una piccola valigia
che sempre porto con me.
E parli e dici cose,
e io sorrido ai tuoi occhi,
specchio del mio essere già altrove,
distesa tra una vecchia maglia in lana
e il libro che un tempo
ho sognato di scrivere.
SE VORRAI VENIRE A TROVARMI
Se vorrai venire a trovarmi,
non giungere col sole del mezzogiorno che
incide le cime dei monti,
come lo scultore la creta.
Se vorrai venire a trovarmi,
io ti spetterò nella calda luce
di un tardo pomeriggio d’estate,
quando i monti si imbellettano
con pennellate di prezioso lapislazzulo e
le cicale tacciono.
Mi troverai accoccolata nel mio divano,
intrecciato di fili di prato,
col mio cestino di stupore.
Non saranno necessarie le parole
per raccontarci i giorni dell’assenza.
Basteranno le nostre dita a sfiorare le pagine
dei nostri perché.
Basterà la rugiada della sera
a lavare i nostri forse.
Se vorrai venire a trovarmi,
non usare né bussola né mappe,
segui solo il timido impigrirsi dei raggi del sole
prima dello sfacciato tramonto.
SONO
Ti guardo: fermo e stabile,
i piedi bene poggiati a terra.
Ti guardo, mentre il vento della vita
ti attraversa, e tu non barcolli.
Vorrei essere come te,
ma io sono altalena.
Oscillo sospinta ora da brezza leggera,
ora da vento impetuoso che schiaffeggia .
Resta il mio corpo attraversato da brividi,
immobile, solo per pochi istanti.
Poi riprende la folle corsa dove non sa.
Provo a cavalcare e a domare la vita che
mi disarciona, ridendo del mio
mettere in scena me stessa.
Le braccia a cingere le gambe che si raccolgono al petto:
bambino nell’utero materno.
Sussurro lentamente a me stessa che
il vento a volte fa male,
occorre sedersi e pensare.
Ma il richiamo del vento e dell’altalena,
forti, mi riportano indietro
e io risalgo e continuo il mio sfiorare le vette
senza mai toccarle.
MONOLOGO DI UNA DONNA CHE SI CERCA DENTRO AD UN ARMADIO
Una e quaranta: il sonno sembra essersi dimenticato di me.
Escolzia e melatonina non hanno fatto il loro dovere e neppure il romanzo che sto leggendo. Non riesco ad allontanare da me questo sciame di pensieri che mi ronza nella testa e non dà tregua.
Ho letteralmente bisogno di vomitare fuori tutti questi spettri che si aggirano nella mia mente e mi danno il
tormento.
E’ capitato. Potrebbe capitare ancora. Nessuna garanzia né in uscita né in entrata.
Un giorno come un altro ti svegli, ti alzi, metti insieme i soliti rituali del mattino: doccia, colazione. Lo
sguardo che si perde nel vuoto a cercare i confini della tuo quotidiano.
Tutto è identico a sempre: oggetti, mobili, odori, colori.
Poi l’esplosione: quella deflagrazione improvvisa e inattesa capace di frantumare un per sempre dato per
conquistato. Lo squarcio nella tela che fa appena intravedere l’ossatura del dipinto della nostra scontata
esistenza.
Tutto muta, così, in un niente.
Impossibile tornare indietro, ricucire lo strappo, restaurare l’immagine.
Una sola parola di cinque lettere capace di cancellare minuti, ore, giorni, interi anni: basta.
Basta.
Allora ti chiedi stordita se quell’insieme di consonati e vocali sia frutto della tua immaginazione, un rimasuglio dei sogni della notte che ancora tardano a staccarsi dalla tua pelle.
Ma è tutto vero.
Di fronte a te lui, il compagno della vita. Quello con cui hai condiviso la metà del tuo letto, il tubetto del
dentifricio, la microscopica porzione di divano, acciambellati per guardare un film.
Basta.
Basta a chi, a cosa?
Di fronte a te un estraneo. Un estraneo che ha i suoi stessi occhi, bocca, attaccatura di capelli. Persino la
voce è identica. Eppure non è più lui.
In una frazione di secondo, tanto durano cinque maledettissime lettere, dieci, vent’anni si sgonfiano come
un palloncino.
Chi sei allora, tu, tu col quale ho riso, pianto, progettato fino a ieri un avvenire che sembrava solido come
questo tavolo sul quale appoggi stanco le braccia.
Ti ho mai conosciuto davvero? Mi hai mai conosciuto davvero?
Mi hai sempre mentito o sono stata io che mi sono ostinata a vedere ciò che non era?
Non conta nulla, allora, tanto tempo trascorso insieme, non fa curricolo.
Troppe sono le domande a cui non c’è risposta.
Ora io sono il perno intorno al quale ruota la tua vita, e poi,
in un niente, fai la valigia e te ne vai. Fuggi, in silenzio: le uniche parole sono il cigolio della porta che a poco
a poco si chiude. Poi più nulla.
Resta l’eco delle tue accuse e l’ombra del tuo indice contro di me puntato.
Esci dalla mia vita che fino a ieri era in parte anche la tua, quella vita che giorno dopo giorno avevo imparato
a plasmare sulla tua, raccogliendo i tuoi cocci quando, a terra, non sapevi incollarli, sostenendoti quando le
tue gambe traballavano, gioendo con te quando ti sentivi in alto, arrivato.
Mezze verità, bugie, cos’è stata la nostra storia.
Mi rimane di te un fantoccio senza struttura, senza identità.
E adesso io qui, a dover ricostruire un quotidiano che non c’è più, a dover riempire gli spazi vuoti che hai
lasciato dentro gli armadi e dentro la mia vita.
A dover trovare quelle risposte che tu mi hai taciuto perché troppe, perché poche, perché
vane, perché pesanti. Perché?
Forse non le conosci neppure tu. Io le avrei cercate insieme a te. Tu hai preferito chiudere la porta e
scendere quelle scale, gradino dopo gradino, quelle scale che ti allontanano da me. Per ora, per sempre,
non so.
Sento solo una immensa stanchezza.
Devo ricominciare tutto. Rovistare tra i cassetti alla ricerca di ciò che ero prima di te. Per ripartire da lì,
cercando di far coincidere i margini del mio passato con quelli sfilacciati di questo presente che mi sembra
non appartenermi più.
Come si fa a girare pagina. Come si fa a ricominciare se non sai neppure come è finita.
Se non sei stata in grado di capire, prevenire, intuire quello scricchiolio che in un basta è diventato frana
che travolge e ricopre.
Sarò più in grado di credere nell’essere umano, cogliere il fiore intero? O, cinica, coglierò solo la corolla e
getterò a terra lo stelo.
Sento di aver sbagliato, ma non so dove, né come né quando.
Chi dei due ha fallito? Chi dei due ha tradito se stesso?
Tu, col tuo voler costruire una realtà preconfezionata e rassicurante, o io a voler tenere insieme i mille
pezzi delle nostre esistenze che spingevano per andare ciascuno nella propria direzione.
Quanto potere di seduzione racchiudono le parole, capaci di disegnare mondi perfetti. Un per sempre di
rassicurazioni.
E mentre la bocca fiorisce illusioni, già qualcosa dentro scalpita per andare lontano.
Sarebbe così naturale e bello potersi parlare, dire un semplice sì o no, senza sovrastrutture o impalcature
Nudi, finalmente, l’uno di fronte all’altra, capaci di guardarci senza ferirci.
Nudi, immuni dal giudizio dell’altro, spinti solo dal bisogno di liberarsi di quegli abiti che ci siamo cuciti
addosso, che ci hanno cuciti addosso, che ci siamo lasciati cucire addosso.
E così, ciascuno con le proprie fragilità e imperfezioni, nel silenzio parlarci. Muti.
Invece mille parole non sono servite a squarciare questo buio che adesso mi pare sconfinato.
E io ancora qui a farmi domande, a formulare quesiti e a cercare soluzioni per me, per te, per un noi che
non esiste più o forse non è mai esistito o forse era vero solo per me.