Martina Sandionigi - Poesie

Buco nero nel torace

le costole l’ orizzonte degli eventi

Un ipotetico infinito ma un sicuro nulla oltre la spina dorsale

Il restante corpo è universo primordiale
aspetta la collisione di due galassie per creare un po’ di movimento, un po’ di stelle, di pianeti,             magari anche un po’ di vita

Di che colore sei?
Di che colore ti vedi?
Di che colore ti senti?

Io sono blu, davvero, guardami. Non sembro un lontano parente del mare?
Lontano, perché solo in lontananza il mare è davvero blu
talmente blu, che se potessi assaggiarlo saprebbe sicuramente di collutorio, uno di quelli fortissimi,     che ti fanno perdere un po’ di mare dagli occhi

Non sei convinto, si capisce, eppure la prova è proprio davanti ai tuoi occhi, anche loro blu

Ma ovvio, ora ho capito


Tu li tieni al guinzaglio i tuoi occhi, e a sua volta la tua vita tiene al guinzaglio te
non ti permetti di passeggiare nel blu della notte, al massimo la guardi da dietro una finestra                   e allora i tuoi occhi si colorano un po’ di blu

Dovresti fuggire per una vacanza nel blu, sai?
Ti sentiresti notte fonda e mare lontano

E butteresti per strada i tuoi guinzagli.


Vino rosso

pasta al pesto
una tovaglia condannata a macchiarsi
piatti di plastica destinati al rogo
il fuoco che ipnotizza
la cenere che bisbiglia
il legno che si immola
il freddo del pavimento che serpeggia
il tabacco che da materia si fa fumo
e scappa
fugge via dalla finestra aperta

Quattro giovani corpi
ognuno un’ apparente singola unità ben distinta

Ma guarda meglio

Sono ridotti a due anime
ognuna composta da due indescrivibili spettri metafisici
che si fondono
senza confondersi

Si sta bene

Talmente bene che vorresti che la vita si riducesse a questo momento

Le scale che portano al piano superiore ci invitano a calpestarle
le lenzuola del letto cominciano a chiamarci
nei cuscini echeggiano morbidamente i nostri nomi

La conversazione rallenta
le parole si estinguono progressivamente
le frasi rimangono sospese nell’ ebbrezza dovuta al vino
che spinge dolcemente le anime a bussare alla porta dell’ amore

La Luna la vedremo sorgere un’ altra volta.


La sigaretta respira piano nella notte, ogni tanto sembra morire, ma il fuoco le dà vita.


Il fumo sembra voler andare al mare e ne imita le onde, perché pieno di nostalgia di quel momento di gloria in cui, paradossalmente, fu imprigionato in parallelepipedi di luce creati dall’ indiscrezione del Sole che allungava le sue dita tra una trave e l’ altra di una cabina di legno circondata da granelli di sabbia, come sentinelle apparentemente infinite e alcune traditrici, testimoni del nostro amare.

Le vedo arrossire, come il Sole che comincia a svegliare i colori del girasole, del giglio, del glicine e degli occhi di Maria.
Questi si fanno strada tra le nuvole, sfumandole, e colano, si sciolgono nel mare e si insidiano sulla superficie dell’ acqua, corrono svelti, cavalcano abusivamente le onde, prendono la rincorsa, si fanno aghi e si iniettano nei tuoi occhi.

Il cielo, il mare e le tue iridi sono una cosa sola e tutto è così indeducibilmente bello che non so cosa guardare.

Alla fine scelgo lo specchio più bello che riflette l’ arte di questo momento: te.

Hai l’ aspetto della vita che vorrei.


Casa.


Io non ho casa.

Sono un esploratore, casa è ovunque e chiunque.

Sono un ricercatore, casa è in tutto e in tutti.

Un tetto sopra la testa è la cosa peggiore se instabile e minaccia pericolosamente di crollare.

Vivi con l’ ansia che scava incessantemente nello stomaco, i tuoi occhi pranzano e cenano con precarietà accompagnata da crepe, la tua schiena è soggetta a forti terremoti, le tue labbra sono l’ ambiente più ostile all’ uomo e le tue mani sono gusci senza paguro.

Si dovrebbe evacuare prima che il tetto crolli, ma il tuo piede è incatenato direttamente alla parte di tetto più precaria.
Se cede, tutto cade, e non sei solo, hai le persone più importanti con te e loro senza di te non se ne vanno.

La soluzione arriverà.

Intanto ripetiti che casa è ovunque e chiunque, in tutto e tutti.

Il mondo intero è meglio di dove sei ora.


Fiore d’ ibisco

fiore di pesco

Un caffè macchiato di fronte a te
un caffè amaro davanti a me

Il biondo dei miei capelli si riflette nel tuo, indugiando sulle punte rosa

Il tuo sguardo di mare inonda i miei occhi di montagne

Due filtri, due cartine, un po’ di tabacco
due parole, due risate, un po’ di bene

Creature divergenti dalla folla
che convergono nel diverso

Aspettiamo la chiamata dal nostro pianeta
una navicella che ci porti lontane anni luce

Intanto
lasciamo conversare le anime
colmiamo con qualcosa di meravigliosamente sconosciuto i grazie
limiamo i contorni grezzi di concetti difficili da esprimere
addolciamo le curve spigolose delle limitazioni di questo mondo
raccogliamo felicità dalle piccole cose sbricioliamola e seminiamola in occhi bui per far fiorire

fiori d’ ibisco
fiori di pesco.


Tante ragazze da sogno

io no
io sono da realtà

Bacio tagli
che non si nascondono più
che hanno voglia di vento e di luce

Bacio tagli
abbelliti dall’ inchiostro
diventati parte di un disegno
a cui danno significato

Lascio capelli liberi
da elastici e da criteri

Capelli liberi di esprimersi
non addomesticati da una piastra
non districati da una spazzola

Lascio occhi liberi
non distorti da linee
non confusi da pigmenti

Occhi liberi
di essere stropicciati
liberi di innaffiare le guance
su cui fioriscono papaveri

Lascio labbra libere

Libere di scegliere il cielo o la terra
libere di tagliarsi per il freddo
o andare a fuoco per il caldo

Libere di esplorare il corpo scelto
di autografarlo
libere di essere morse
libere di assorbire passione

Mi lascio libera
come sono
accetto il com’ ero
accolgo il come sarò
perché arriverà il giorno
in cui la realtà

sarà migliore del sogno.


Vento gonfio di ego

pizzichi incessantemente il lago
mescoli vorticosamente i ricordi

Le dighe degli occhi si aprono
e distillano mare

Palpebre a ritmo di batticuore
spalmano acqua salata
idratano quel velo di poesia
attraverso il quale guardo il mondo

Mentre la pelle si secca
sorgono piccoli segmenti rosso pastello
e minuscole briciole di pane bianco

Vento egocentrico
che pensi sempre a soffiare
mai ad inspirare

Prenditi una bella boccata ogni tanto

Non di te stesso
ma degli sguardi di noi diversi
che sfidiamo le tue danze
con la traiettoria dei nostri occhi
che tagliano i tuoi passi

Svuotati di te stesso
e riempiti di diversi

Tutti ad occhi aperti


Inspira

espira

concentrati su quella piccola frazione di silenzio nel petto tra un battito e l’ altro

è il cuore che si riposa

per battere un’ altra volta

 

Tira

lascia

non mollare la presa finchè ne vale la pena

poi apri la mano

lascia andare quello stelo pieno di spine

nonostante la bellezza dei petali di quella rosa

 

Anche le mani necessitano riposo

lascia marginare i tagli sui palmi

risparmia tensione ai tendini

baciati i dorsi

ripeti loro che sono state brave a non mollare

ancora di più a lasciare andare

 

E’ pericoloso essere attratti da una rosa

è un’ ammaliatrice

è la Maga Circe della botanica

ma è anche impossibile resisterle

fa parte del suo gioco

 

Magari

la prossima volta

prima di afferrarne ancora una

conta dieci silenzi nel petto

e fai visita alle tue mani

 

Ti racconteranno di quant’ era dura la vita in tempo di guerra

di quanto il nemico fosse più stratega che soldato

di quante volte la trincea fu attaccata da quelle spine sotto l’ ombra di una corolla rosso sangue

 

Perché proprio le rose?

 

Andate nei prati

regalate alle vostre mani

fiori di campo.


Non voglio andare al mare, voglio andare nel mare

costruiamo una zattera

rubiamo due remi da una bagnarola di pescatori

sicuramente di spezzeranno

non sono acque tranquille quelle in cui voglio remare

fa niente, useremo le mani

 

Andiamo nel mare

dove ci sarà solo il cielo che si specchia nel mare

io che mi specchio in te

e l’ orizzonte che replica il tutto

 

Spero ci siano i cavalloni

sarà più divertente

e soprattutto

ameremo ancora di più la calma che verrà

 

Ora è il momento di acque tempestose

è ora di amare fortissimo

è ora di rischiare

di ingoiare un po’ di acqua salata

di aver paura degli squali

ma tuffarsi lo stesso

 

E’ ora di una zattera con remi che si spezzeranno.


Voglio il bianco del filtro

tra le tue labbra
punto luce in un sorriso
diamante tra due rubini

Voglio le punte delle tue dita
che pizzicano il tabacco
e lo ponderano a loro piacimento
piccole cicale
suonano silenzio

Voglio la sicurezza
di quel movimento antico
e consolidato
con cui modelli il sottile cilindro
minuscola pergamena
che racchiude una profezia
di fumo e cenere

Voglio i secondi di quella pausa forzata della tua voce
mentre passi la lingua sulla cartina
e sigilli quella lettera
indirizzata al signor Accendino
via Tasca Sinistra
n. ho perso il conto

Voglio le mani
che assaporano la piccola creazione
per così pochi istanti
che il tatto percepisce
l’ imminente separazione
e la cede
all’ insensibilità del vuoto
tra l’ indice e il medio

Voglio la ricongiunzione
della piccola opera
con il suo luogo di nascita
il viaggio si conclude
bacia le sponde della sua madrepatria
e la profezia si avvera

Voglio la danza dei miei occhi
biografi che documentano l’ avventura
scribani innamorati del loro committente
illustratori ammaliati dal loro mecenate

incuranti
dell’ esalazione degli ultimi respiri
di quell’ Ulisse
dall’ anima di fumo

e dal corpo di cenere.