Marzia Polidoro - Poesie

Sovrano

 

Aveva mani grandi che terminavano arti piccoli,

le libellule alla sera

erano crogiolo delle sue mani,

di tutte quelle impronte

lasciate a impalare 

all’occhio del raggio.

 

Aveva sangue lacerato,

il suo bicchiere alla sera

era trafitto dal rosso della polpa,

il sangue picchettava

come il tamburo asservito

alla gravità del bicchiere che cade.

 

Era tiranno più il povero innocente

che il sovrano stanco.


 

Rosa bianca

 

Chiudi i pensieri

nel pensiero chiuso,

stipato lì da qualche parte.

Riapri il pugno

per cedere rose,

han preso la forma del pugno.

Danzavi da fermo

sulle ripetizioni

che non sono produzioni

di autentica bellezza.

Attendevi

un alito di vento o d’allegria

mentre le bollicine 

salivano con i pensieri,

raggiungendo il cielo,

lì da qualche parte.



Film

 

Di soppiatto

il sospetto 

chiude e schiude

il bisogno d’altro.

Allora si tagliano i capezzoli

come si recidono gli steli…

 

Ero il terrore

sulle tue ginocchia

che raccoglievano capezzoli di seta.

 

Ero il terrore

lungo le tue mani lunghe

che raccoglievano capezzoli di seta.

 

Ero capezzoli di seta su se stessi, 

ansimanti,

nel bisogno d’altro,

nell’altro bisogno.



Infinitamente di più

 

Infinitamente di più

del mestolo che s’aggira nella brodaglia:

vischioso cumulo d’insieme

rigettato sul pavimento freddo.

Infinitamente di più

degli aghi che pungono le carni:

giaciglio di voci

riferite a gente senza orecchie.

Infinitamente di più

del buio stretto-stretto tra gli spazi:

interstizi che non videro la luce

fra le cose.

Infinitamente di più

della sedia senza seduta:

sagoma abbandonata 

a flettere su se stessa.

Infinitamente di più

sei tu. 



Diabete

 

Scopriva la pelle

esposta com’era

al dovere dell’ago.

Ficcava la paura

Indulgente.

Le vecchie pubblicità

sono memoria collettiva,

quelle nuove

solo un ago ficcato.

“Voglio tornare a casa mia”

Andava dai mari alle ande.



Grazia

 

Nulla è delicato

come un gesto di grazia:

il suo dovere non è umiliare,

il suo diritto non è essere ricambiato,

il suo fine non è imporsi.

Esso è semplicemente così:

immutabile nella sua compostezza

e altrove nel suo affetto senza pretese.

Nulla è meno improvvisato di un gesto di grazia.


 

Baby

 

Quando quel giorno ti vidi piangere:

ogni lacrima era diamante, 

ogni lacrima un ricordo serbato,

retto dal tempo interrotto.

 

Ogni lacrima eri tu colma di te stessa,

rilasciata e concessa

nella penombra di chi ha donato.

 

Ogni lacrima era la riprova

che una scelta per essere tale, per essere sentita, comporta quasi sempre una perdita.

 

Ogni lacrima ero io che ti piangevo,

senza maschere ormai,

perché il tempo lo scorsi andar via

e non devo più esser forte per entrambe.

 

E non potranno mai dirmi chi tu sia stata o

chi tu sia ad oggi perché ti conosco come il mio palmo: 

nel sempre tentativo di afferrati la mano e salvarti, tu salvasti me.



Mistero

 

Inquietante 

Il tratto

D’uno sguardo

Che si rivela.


Prosa

La tazza fredda

 

Ho stretto tra le mani un bicchiere e ho bevuto una cosa, non ci ho fatto cascare dentro le lacrime, Dio aveva chiuso i rubinetti.

Mi sono ricordata allora quella storia deprimente, quella del latte versato: certo può capitare di bagnarsi anche le scarpe ma che tu sappia fermarti in tempo per non essere in ritardo con la vita, per non corromperla troppo quella vita… C’è gente che con la teoria del latte versato è andata lontano

e al ritorno la tazza era già bella che fredda. Quella gente cammina a posteriori e riflette a posteriori e si spinge a posteriori

e quasi ride pure delle battute a posteriori. Il guaio è che anche piange a posteriori quando poi la precedenza non l’ha mai data.

Penso che certe cose viaggino solo nel prima e mai nel dopo, come se avessero un posto esclusivo, di prima fila. Il rispetto in primis,

il sentimento al di sopra e persino la fine alla prima occhiata. Allora mi contemplo il bicchiere di consapevolezze, che sembrano

troppe giuste per essere state sbagliate, un pò come le vecchie storie d’amore.


 

Nana

 

C’è un momento preciso, affilato come la lama che verticalizza una necessità: è il momento del bisogno, quello che apre le narici, respira forte e disvela.
Con le mani unite, come in preghiera, affida tutta l’attesa al momento preciso traboccante di verità. Accade che quel dettaglio di precisione diventi ad un tratto generico, opaco

come lo specchio che orizzontalizza un dubbio: è l’incubo della colpevolezza di aver osato troppo. Le mani allora si slegano dal moto dell’unione e tornano a scivolare sole lungo il corpo.

Colei che fu amica ricordò sempre quel momento preciso e rimase sempre vicino a quell’Altra. Da lontano.