Abbassando, abbassando.
Abbassando, abbassando la voce
per farsi sentire di più;
abbassando, abbassando lo sguardo
per poter vedere di più;
abbassando, abbassando le voglie
per poter godere di più;
abbassando, abbassando le ali
per poter volare più su.
Ma poi per caso
disperso tra la gente
mi sono accorto che
adesso è più importante
tentare di capirsi
senza tante frustrazioni
tentare di volersi
senza più complicazioni.
E poi mi dico
a che serve innamorarsi
se abbassando il sentimento
siamo solo cieli persi,
solo il fuoco di un tormento.
E poi mi dico
che da quando
è nato quest’amore
ho capito che abbassando
troppo voci, ali e cuore
si fa prima ad amare,
giusto poi per non morire.
Abbassando, abbassando il volume
per poter sentire di più
la tua voce sospesa nel cuore
che non mi parla più.
Libero mercato
La notte mi sveglio col cuore in tumulto,
Mi sento uno straccio, ho perso l’orgoglio.
Mia moglie mi dice che devo reagire,
Che abbiamo tre figli da mantenere,
ma in banca mi chiedono fideiussioni
a me che ho le toppe sui pantaloni.
Libero mercato in libero Stato,
io non sapevo che ci sarei cascato,
Precarietà e disoccupazione,
Sempre rinunce e disperazione.
Libero mercato in libero Stato,
anche mio figlio è disoccupato,
disuguaglianze e divieti d’accesso,
non meritavo un lento decesso.
La dignità di uomo e animale
Non te la da l’idea liberale,
rate scadute, faccio querela!
Se non lo Stato, chi mi tutela?
La notte mi sveglio e parlo allo specchio,
che a quarant’anni mi sento già vecchio.
In piazza reclamo il neosocialismo
Ma tutti mi tacciano di populismo.
Io ho imparato che è proprio indecenza
Vivere a stento, sopravvivenza.
Libero mercato in libero Stato,
io lo sapevo che ci sarei cascato,
Senza un aiuto, senza risorse,
poche speranze e troppi “forse”.
Libero mercato in libero Stato,
solo mio nonno è pensionato,
la povertà non è privilegio,
è il risultato di un sortilegio.
La dignità di uomo e animale
Non te la da l’idea liberale,
rate scadute, faccio querela!
Ma poi lo Stato non mi tutela.
Uomo di pezza
Lì, dietro l’angolo
c’è uno stagno di lacrime
che tu, uomo,
non riesci ad asciugare.
Lì, sulla strada del nulla
ci sono cavalli alati
che impazzano feriti,
e tu, uomo,
non riseci a domarli.
Giù in fondo al vico,
fuochi d’artificio
bruciano assolate spiagge
ed una vecchia megera
dispensa dolori,
che tu, uomo,
non sai assaporare.
Qui, davanti a te
cumuli di spine
trafiggono l’anima
e nell’oblìo del carnevale
tu, uomo di pezza,
non sai chi c’è affianco,
non sai chi vien dopo.
Il canto della memoria
Alberi di ulivo
dai tronchi nodosi
e rami intensi
che narrano la storia
al tramonto stanno
come una gemma di rimembranze
come il canto sempiterno
dell’ umano affanno.
Nel superiore anelito
d’imperitura impronta,
un muretto a secco
illumina la via
e l’anima si nutre,
pingue ed attonita,
del nettare della storia,
del canto della memoria.
Ho camminato
Sui cocci di bottiglia
verde mare e blu cobalto,
sui rovi spinosi
tenaci e bastardi,
sugli scogli bagnati,
e sui prati fangosi,
sulle verdi praterie
odorose di viole,
ho camminato incredulo e fiducioso.
Sugli oceani in tempesta
e sulle lastre di cielo,
sui feretri spogli
e sugli aculei del tempo,
sulla sconfinata montagna
dominata dal vento,
sulla nera lavagna
e sui banchi di scuola,
ho camminato mesto e pauroso.
Sull’acqua del fiume,
sul torrido amplesso,
sul ciglio di un letto
e sui sogni recisi,
sui petali rossi
del fuoco e del sangue,
sui campi dorati
di antiche speranze,
cammino contento e sempre bramoso.
Lirica d’inverno
(A mia sorella)
Come piuma al vento,
aleggi giuliva,
lungo i pendii
e piena d’amore
accarezzi i sorrisi
di chi non si arrende,
di chi si tormenta.
Ti sento da sempre,
mia dolce, imponderabile
essenza
e nell’inverno dolente
costante è per me
la tua vibrazione
di trascendente dolore.
Come un martello
batte bruciante
ormai da quel giorno
distante nel tempo
questo mio inesorabile
fare a meno di te.
Lettera a mio figlio
E domani potrò darti
tutto quell’amore
di cui non sono pronto,
di cui non son capace.
Potrò spiegarti
il buio e anche la luce,
potrò asciugarti
le lacrime rabbiose,
sarò capace
di ogni presunzione,
di non farti sfuggire
neppure un’emozione.
E domani sarò pronto
a tessere fortune,
ad ascoltare muto
la tua disperazione.
Potrò donarti
il mare più grande,
dove affogare
i grigi tuoi affanni,
sarò anche capace
di farti capire
che a te rinunciare
è il prezzo più alto
che ho dovuto pagare.
Buio
Sulle are di gloria
sui tetti di pietra
sui canti d’autunno
il buio sarà.
Sulle foglie di inchiostro
sugli affreschi di vento
sui muri di gesso
Il buio verrà.
Sulle trepide attese
sui sogni traditi
sui cieli di latta
il buio cadrà.
Ma sui tramonti degli anni
sui calici santi
su questa mia penna
la luce vivrà.
Angeli
Talvolta lo sento
il sospiro fremente
di angeli infranti
a metà del percorso.
Raccontano storie
di vita e di ansie,
di fiabe incantate,
di giochi e speranze.
E chi non s’acceca
di vino e d’ambrosia,
li vede oltremare
sulle punte danzare,
li sente dal cuore
una nenia cantare.
Il mio mare
Scaglie di sole
accarezzate dal vento,
mentre un respiro
è il tuo lento ondeggiare.
Corre una vela,
vibrante asceta,
se pigra e assonnata
percore la strada
di infinito stupore.
Ed io qui disteso
sulla rupe salmastra,
di te mi compenetro,
accecato e voglioso,
azzurra sorgente
di linfa e di vita
Gli occhi di Luca
Annichilito e stanco,
vago sempre a piedi nudi
nei sentieri dell’ignoto,
mentre un afflato di vita
taglia in due il buio più pesto.
Non c’è orizzonte, non c’è confine
se il battito del mio cuore
si innalza fiero sulle lacrime,
se affannato come naufrago
protendo le bianche mani adunche
verso il sole, verso il cerchio della vita.
Rivendico fiero ognora
le spine del mio cielo
che, come lame taglienti,
hanno graffiato l’anima
e ancora stracciano il mio cuore,
ma fiero vado per esser sempre buono
di perpetuare il mio tenace canto,
come dolce e generosa vibrazione
che accarezza piano questo mondo
e lo riempie di soave calore.
Aduso sempre a sostenere
il moto eterno dell’umana gioia,
anelo impavido un respiro d’infinito,
tremulo calice di antiche speranze
che si specchia compiaciuto
in questi occhi lucidi e puliti,
sinceri palpiti di universo d’amore.
Il canto della memoria secondo Kevin
Alberi di ulivo
dai tronchi nodosi
e rami intensi
che narrano il tempo
al tramonto stanno
come una gemma di rimembranze,
come il canto sempiterno
dell’umano affanno.
Nel superiore anelito
d’imperitura impronta,
un muretto a secco
illumina la via
e l’anima si nutre,
pingue ed attonita,
del nettare della storia,
del canto della memoria.
Francesco, il tempo e il mare
Scaglie di sole
accarezzate dal vento,
mentre un respiro,
melodioso e struggente,
è il tuo lento ondeggiare.
Corre una vela,
silente clessidra,
che pigra e assonnata
percorre la strada
di infinito stupore.
Ed io qui disteso
sulla rupe salmastra
ruggisco al maestrale
che a tratti beffardo
mi trafigge le membra,
lasciandomi esanime
a lenire il tumulto.
Poi schiudo i miei sensi,
remiganti distesi,
e di te mi compenetro,
in picchiata voglioso,
azzurra sorgente
di linfa e di vita.
La danza di Stefano
Ho danzato sul cuore,
sulle note del tempo,
ho cosparso di petali
i sentieri del canto.
Ho danzato pauroso
sulle lande scoscese,
sull’ardente dirupo
di infinita passione.
Sui ritmi incessanti
dell’umano tumulto,
ho danzato suadente
come neve sul fuoco.
Inabile sempre
a ferire di spada,
ho allietato danzando
ogni trepido senso.
Sulle spine dei giorni,
con le piaghe sul corpo
macilento, io danzo
e sono eco nel vento.
Giuseppe: la voglia, la follia
Come in cima a un’emozione,
aspetto trepido il momento,
impaziente vago intorno
e il respiro si comprime,
mentre l’anima si vende
all’inferno che si apre
quando le tue spoglie membra
accarezzano il mio corpo,
calpestato e martoriato
per la voglia che ho di te.
Come lava mi tormento
sotto il peso del tuo cuore,
la ragione si disperde
tra sentieri di passione;
poi un lamento mi sorprende
perché amo con trasporto
ogni graffio sulla pelle,
perché sento ormai impotente
che non sono mai abbastanza
queste spine, dolci lame.
Come affranto nella notte,
resto fiacco e ammutolito
e mi arrendo ormai incosciente
alla dolce sensazione
di voler morire dentro,
di guaire e soffocare,
di confondere nel vento
la follia dei sensi obliqui,
mentre esplodo di piacere
se il mio petto puoi tediare.
Tommaso e le sirene
Ho percorso a passi svelti
ogni strada dissestata,
ho stracciato il cielo al tempo
e ne ho fatto il mio timone.
Contro il fiele della gente,
sopra i monti abbarbicato,
ho ammirato compiaciuto
i trofei da gladiatore.
Ho risposto forsennato
con le spade ai traditori,
con carezze di velluto
all’effigi perse e smunte.
Ma quel canto di sirene,
sempre puro ed armonioso,
scioglie squallidi livori,
ogni plumbea percezione.
Sento il cuore traboccare,
per questi occhi trasalire,
e mi sciolgo scompigliato,
figlie mie, al nostro amore.
Le mani di Giorgio
Ad ogni naufrago del cuore
tendo sempre le mie mani,
conscio e certo che un sorriso
scalda l’anima affranta e gelida
sotto coltri di neve e di cupi destini.
Perché il mio soffio caldo di vita
schiarisce i volti e disseta labbra protese
come alberi avvizziti dall’arsura,
dall’attesa logorante di una lacrima d’amore.
Sotto i cieli di novembre,
nei meandri bui dell’esistenza,
le mie mani accarezzano leggere
ogni dolce fremito d’armonia
e l’emozione in stella fulgida trasmutano.
Ad ogni anelito di slancio d’infinito
le mie mani non si fiaccano al sostegno
e sempre sogliono, fratello mio, inneggiare
il tuo mirabile volo di gioia e di immenso clamore.
Danilo si arrende
Percosso ed affranto,
vago in cerca di ragioni,
perch’è arduo intendimento
di questo lembo d’esistenza,
che amara scorre
su giorni arruffati,
su lacrime stanche
di volti innocenti,
su spiagge assolate
di antiche disfatte.
Alle grida sorde di misericordia,
al sangue riverso d’altrui misfatto,
all’acciaro infido dell’umana frode,
che lacera turpe l’anima mia bianca,
al mondo malato e di bisunto satollo,
agli inverni ventosi di mesti rimpianti,
ai seni feriti da squallidi artigli -
ciechi e sospinti dalla turgida sete -,
io rifuggo e sconfitto mi arrendo,
accorato e sprovvisto di buoni perché.
Nell’intimo supplico
la mia pronta risalita,
che prode io accetti
l’altrui folle distorsione,
che torni avido a cantare
primavere di magnolie,
ma esausto m’inabisso
al cospetto di brutture
e nascondo malcelato
quest’insano viver gramo.
Nel cortile, da Paolo
Ci ritroviamo ad ogni sera
e divaghiamo di bandiera,
della stortura liberale,
dell’uguaglianza sostanziale.
Ma come han fatto a calpestare
la rossa falce, a rinnegare
il senso stretto e l’ideale
di carità, d’equità sociale?
Vieppiù delusi da certa gente
che il capitale ha sol in mente,
e dentro brucia il risentimento
della bugia, del tradimento.
E poi si parla della memoria
che pare han perso di nostra storia,
dei nostri padri che han patito
tribolazioni per quel Partito.
Qualcuno dice: “E’ evoluzione!
Il socialismo è pia invenzione”,
ma che disgusto per quel diritto
di perseguir sol il profitto!
Ai governanti ed ai banchieri
che a impoverir van tutti fieri,
la storia amica darà giustizia
e dal disprezzo trarrem letizia.
Amici miei
In un mondo che gira sbagliato,
tra gli squali di oceani in tempesta,
navighiamo paurosi ed affranti
e celiamo i diamanti del cuore.
Noi lecchiamo silenti ferite
e lo abbiamo col tempo capito:
affonderemmo ad un altro sopruso,
alla beffa molesta del fato infedele.
Ma in silenzio ho scostato la tenda
e ho goduto di immensa beltade,
della vostra mirabile essenza
la mia penna ne ha tratto vantaggio.
E’ la fiaba di piccola gente,
che non trovi sui libri di storia:
amici avvezzi a speranze tradite,
per voi il mio canto è atto d’amore.