Massimiliano Ivagnes - Poesie

Abbassando, abbassando.

 

Abbassando, abbassando la voce

per farsi sentire di più;

abbassando, abbassando lo sguardo

per poter vedere di più;

abbassando, abbassando le voglie

per poter godere di più;

abbassando, abbassando le ali

per poter volare più su.

 

Ma poi per caso

disperso tra la gente

mi sono accorto che

adesso è più importante

tentare di capirsi

senza tante frustrazioni

tentare di volersi

senza più complicazioni.

E poi mi dico

a che serve innamorarsi

se abbassando il sentimento

siamo solo cieli persi,

solo il fuoco di un tormento.

E poi mi dico

che da quando

è nato quest’amore

ho capito che abbassando

troppo voci, ali e cuore

si fa prima ad amare,

giusto poi per non morire.

 

Abbassando, abbassando il volume

per poter sentire di più

la tua voce sospesa nel cuore

che non mi parla più.


Libero mercato

 

La notte mi sveglio col cuore in tumulto,

Mi sento uno straccio, ho perso l’orgoglio.

Mia moglie mi dice che devo reagire,

Che abbiamo tre figli da mantenere,

ma in banca mi chiedono fideiussioni

a me che ho le toppe sui pantaloni.

 

Libero mercato in libero Stato,

io non sapevo che ci sarei cascato,

Precarietà e disoccupazione,

Sempre rinunce e disperazione.

Libero mercato in libero Stato,

anche mio figlio è disoccupato,

disuguaglianze e divieti d’accesso,

non meritavo un lento decesso.

La dignità di uomo e animale

Non te la da l’idea liberale,

rate scadute, faccio querela!

Se non lo Stato, chi mi tutela?

 

La notte mi sveglio e parlo allo specchio,

che a quarant’anni mi sento già vecchio.

In piazza reclamo il neosocialismo

Ma tutti mi tacciano di populismo.

Io ho imparato che è proprio indecenza

Vivere a stento, sopravvivenza.

 

Libero mercato in libero Stato,

io lo sapevo che ci sarei cascato,

Senza un aiuto, senza risorse,

poche speranze e troppi “forse”.

Libero mercato in libero Stato,

solo mio nonno è pensionato,

la povertà non è privilegio,

è il risultato di un sortilegio.

La dignità di uomo e animale

Non te la da l’idea liberale,

rate scadute, faccio querela!

Ma poi lo Stato non mi tutela.


Uomo di pezza

 

Lì, dietro l’angolo

c’è uno stagno di lacrime

che tu, uomo,

non riesci ad asciugare.

 

Lì, sulla strada del nulla

ci sono cavalli alati

che impazzano feriti,

e tu, uomo,

non riseci a domarli.

 

Giù in fondo al vico,

fuochi d’artificio

bruciano assolate spiagge

ed una vecchia megera

dispensa dolori,

che tu, uomo,

non sai assaporare.

 

Qui, davanti a te

cumuli di spine

trafiggono l’anima

e nell’oblìo del carnevale

tu, uomo di pezza,

non sai chi c’è affianco,

non sai chi vien dopo.


Il canto della memoria

 

Alberi di ulivo

dai tronchi nodosi

e rami intensi

che narrano la storia

al tramonto stanno

come una gemma di rimembranze

come il canto sempiterno

dell’ umano affanno.

 

Nel superiore anelito

d’imperitura impronta,

un muretto a secco

illumina la via

e l’anima si nutre,

pingue ed attonita,

del nettare della storia,

del canto della memoria.


Ho camminato

 

Sui cocci di bottiglia

verde mare e blu cobalto,

sui rovi spinosi

tenaci e bastardi,

sugli scogli bagnati,

e sui prati fangosi,

sulle verdi praterie

odorose di viole,

ho camminato incredulo e fiducioso.

 

Sugli oceani in tempesta

e sulle lastre di cielo,

sui feretri spogli

e sugli aculei del tempo,

sulla sconfinata  montagna

dominata dal vento,

sulla nera lavagna

e sui banchi di scuola,

ho camminato mesto e pauroso.

 

Sull’acqua del fiume,

sul torrido amplesso,

sul ciglio di un letto

e sui sogni recisi,

sui petali rossi

del fuoco e del sangue,

sui campi dorati

di antiche speranze,

cammino contento e sempre bramoso.


Lirica d’inverno

(A mia sorella)

 

Come piuma al vento,

aleggi giuliva,

lungo i pendii

e piena d’amore

accarezzi i sorrisi

di chi non si arrende,

di chi si tormenta.

 

Ti sento da sempre,

mia dolce, imponderabile

essenza

e nell’inverno dolente

costante è per me

la tua vibrazione

di trascendente dolore.

Come un martello

batte bruciante

ormai da quel giorno

distante nel tempo

questo mio inesorabile

fare a meno di te.


Lettera a mio figlio

 

E domani potrò darti

tutto quell’amore

di cui non sono pronto,

di cui non son capace.

 

Potrò spiegarti

il buio e anche la luce,

potrò asciugarti

le lacrime rabbiose,

sarò capace

di ogni presunzione,

di non farti sfuggire

neppure un’emozione.

 

E domani sarò pronto

a tessere fortune,

ad ascoltare muto

la tua disperazione.

 

Potrò donarti

il mare più grande,

dove affogare

i grigi tuoi affanni,

sarò anche capace

di farti capire

che a te rinunciare

è il prezzo più alto

che ho dovuto pagare.


Buio

 

Sulle are di gloria

sui tetti di pietra

sui canti d’autunno

il buio sarà.

 

Sulle foglie di inchiostro

sugli affreschi di vento

sui muri di gesso

Il buio verrà.

 

Sulle trepide attese

sui sogni traditi

sui cieli di latta

il buio cadrà.

 

Ma sui tramonti degli anni

sui calici santi

su questa mia penna

la luce vivrà.


Angeli

 

 

Talvolta lo sento

il sospiro fremente

di angeli infranti

a metà del percorso.

 

Raccontano storie

di vita e di ansie,

di fiabe incantate,

di giochi e speranze.

 

E chi non s’acceca

di vino e d’ambrosia,

li vede oltremare

sulle punte danzare,

li sente dal cuore

una nenia cantare.


Il mio mare

 

Scaglie di sole

accarezzate dal vento,

mentre un respiro

è il tuo lento ondeggiare.

Corre una vela,

vibrante asceta,

se pigra e assonnata

percore la strada

di infinito stupore.

Ed io qui disteso

sulla rupe salmastra,

di te mi compenetro,

accecato e voglioso,

azzurra sorgente

di linfa e di vita


 Gli occhi di Luca

 

Annichilito e stanco,

vago sempre a piedi nudi

nei sentieri dell’ignoto,

mentre un afflato di vita

taglia in due il buio più pesto.

 

Non c’è orizzonte, non c’è confine

se il battito del mio cuore

si innalza fiero sulle lacrime,

se affannato come naufrago

protendo le bianche mani adunche

verso il sole, verso il cerchio della vita.

 

Rivendico fiero ognora

le spine del mio cielo

che, come lame taglienti,

hanno graffiato l’anima

e ancora stracciano il mio cuore,

ma fiero vado per esser sempre buono

di perpetuare il mio tenace canto,

come dolce e generosa vibrazione

che accarezza piano questo mondo

e lo riempie di soave calore.

 

Aduso sempre a sostenere

il moto eterno dell’umana gioia,

anelo impavido un respiro d’infinito,

tremulo calice di antiche speranze

che si specchia compiaciuto

in questi occhi lucidi e puliti,

sinceri palpiti di universo d’amore.


Il canto della memoria secondo Kevin

 

Alberi di ulivo

dai tronchi nodosi

e rami intensi

che narrano il tempo

al tramonto stanno

come una gemma di rimembranze,

come il canto sempiterno

dell’umano affanno.

 

Nel superiore anelito

d’imperitura impronta,

un muretto a secco

illumina la via

e l’anima si nutre,

pingue ed attonita,

del nettare della storia,

del canto della memoria.


Francesco, il tempo e il mare

 

Scaglie di sole

accarezzate dal vento,

mentre un respiro,

melodioso e struggente,

è il tuo lento ondeggiare.

 

Corre una vela,

silente clessidra,

che pigra e assonnata

percorre la strada

di infinito stupore.

 

Ed io qui disteso

sulla rupe salmastra

ruggisco al maestrale

che a tratti beffardo

mi trafigge le membra,

lasciandomi esanime

a lenire il tumulto.

 

Poi schiudo i miei sensi,

remiganti distesi,

e di te mi compenetro,

in picchiata voglioso,

azzurra sorgente

di linfa e di vita.


La danza di Stefano

 

Ho danzato sul cuore,

sulle note del tempo,

ho cosparso di petali

i sentieri del canto.

 

Ho danzato pauroso

sulle lande scoscese,

sull’ardente dirupo

di infinita passione.

 

Sui ritmi incessanti

dell’umano tumulto,

ho danzato suadente

come neve sul fuoco.

 

Inabile sempre

a ferire di spada,

ho allietato danzando

ogni trepido senso.

 

Sulle spine dei giorni,

con le piaghe sul corpo

macilento, io danzo

e sono eco nel vento.


Giuseppe: la voglia, la follia

 

Come in cima a un’emozione,

aspetto trepido il momento,

impaziente vago intorno

e il respiro si comprime,

mentre l’anima si vende

all’inferno che si apre

quando le tue spoglie membra

accarezzano il mio corpo,

calpestato e martoriato

per la voglia che ho di te.

Come lava mi tormento

sotto il peso del tuo cuore,

la ragione si disperde

tra sentieri di passione;

poi un lamento mi sorprende

perché amo con trasporto

ogni graffio sulla pelle,

perché sento ormai impotente

che non sono mai abbastanza

queste spine, dolci lame.

Come affranto nella notte,

resto fiacco e ammutolito

e mi arrendo ormai incosciente

alla dolce sensazione

di voler morire dentro,

di guaire e soffocare,

di confondere nel vento

la follia dei sensi obliqui,

mentre esplodo di piacere

se il mio petto puoi tediare.


Tommaso e le sirene

 

Ho percorso a passi svelti

ogni strada dissestata,

ho stracciato il cielo al tempo

e ne ho fatto il mio timone.

 

Contro il fiele della gente,

sopra i monti abbarbicato,

ho ammirato compiaciuto

i trofei da gladiatore.

 

Ho risposto forsennato

con le spade ai traditori,

con carezze di velluto

all’effigi perse e smunte.

 

Ma quel canto di sirene,

sempre puro ed armonioso,

scioglie squallidi livori,

ogni plumbea percezione.

 

Sento il cuore traboccare,

per questi occhi trasalire,

e mi sciolgo scompigliato,

figlie mie, al nostro amore.


Le mani di Giorgio

 

Ad ogni naufrago del cuore

tendo sempre le mie mani,

conscio e certo che un sorriso

scalda l’anima affranta e gelida

sotto coltri di neve e di cupi destini.

Perché il mio soffio caldo di vita

schiarisce i volti e disseta labbra protese

come alberi avvizziti dall’arsura,

dall’attesa logorante di una lacrima d’amore.

 

Sotto i cieli di novembre,

nei meandri bui dell’esistenza,

le mie mani accarezzano leggere

ogni dolce fremito d’armonia

e l’emozione in stella fulgida trasmutano.

Ad ogni anelito di slancio d’infinito

le mie mani non si fiaccano al sostegno

e sempre sogliono, fratello mio, inneggiare

il tuo mirabile volo di gioia e di immenso clamore.


Danilo si arrende

 

Percosso ed affranto,

vago in cerca di ragioni,

perch’è arduo intendimento

di questo lembo d’esistenza,

che amara scorre

su giorni arruffati,

su lacrime stanche

di volti innocenti,

su spiagge assolate

di antiche disfatte.

 

Alle grida sorde di misericordia,

al sangue riverso d’altrui misfatto,

all’acciaro infido dell’umana frode,

che lacera turpe l’anima mia bianca,

al mondo malato e di bisunto satollo,

agli inverni ventosi di mesti rimpianti,

ai seni feriti da squallidi artigli -

ciechi e sospinti dalla turgida sete -,

io rifuggo e sconfitto mi arrendo,

accorato e sprovvisto di buoni perché.

 

Nell’intimo supplico

la mia pronta risalita,

che prode io accetti

l’altrui folle distorsione,

che torni avido a cantare

primavere di magnolie,

ma esausto m’inabisso

al cospetto di brutture

e nascondo malcelato

quest’insano viver gramo.


Nel cortile, da Paolo

 

Ci ritroviamo ad ogni sera

e divaghiamo di bandiera,

della stortura liberale,

dell’uguaglianza sostanziale.

 

Ma come han fatto a calpestare

la rossa falce, a rinnegare

il senso stretto e l’ideale

di carità, d’equità sociale?

 

Vieppiù delusi da certa gente

che il capitale ha sol in mente,

e dentro brucia il risentimento

della bugia, del tradimento.

 

E poi si parla della memoria

che pare han perso di nostra storia,

dei nostri padri che han patito

tribolazioni per quel Partito.

 

Qualcuno dice: “E’ evoluzione!

Il socialismo è pia invenzione”,

ma che disgusto per quel diritto

di perseguir sol il profitto!

 

Ai governanti ed ai banchieri

che a impoverir van tutti fieri,

la storia amica darà giustizia

e dal disprezzo trarrem letizia.


Amici miei

 

In un mondo che gira sbagliato,

tra gli squali di oceani in tempesta,

navighiamo paurosi ed affranti

e celiamo i diamanti del cuore.

Noi lecchiamo silenti ferite

e lo abbiamo col tempo capito:

affonderemmo ad un altro sopruso,

alla beffa molesta del fato infedele.

 

Ma in silenzio ho scostato la tenda

e ho goduto di immensa beltade,

della vostra mirabile essenza

la mia penna ne ha tratto vantaggio.

E’ la fiaba di piccola gente,

che non trovi sui libri di storia:

amici avvezzi a speranze tradite,

per voi il mio canto è atto d’amore.