Massimiliano Micci - Poesie

Ardea

 

 

Sole alto nel cielo di Ardea

un fumoso ricordo torna a galla

la sabbia anch’essa ardéa,

la spiaggia par lunga e gialla.

 

Dalla muta veranda al mare,

lo sguardo scruta la costa.

Cerca un volto che non sa trovare,

torna ad essere vista.

 

Solo il fragor delle onde,

il vento col suo frusciar,

diventan compagni donde,

solitudine incontra il mar.


Pagine sparse da riordinare 

                  

 

 

Appena desto da un sonno acido,

un sonno stancante.

Gli occhi gonfi e il viso arido,

il battito incostante.

 

Mi guardo allo specchio;

Un fantasma, un miserabile!

Dieci, forse venti anni più vecchio

ma non per questo meno fragile.

 

Pagine sparse da riordinare,

mi chino, ma

mi accorgo che è impossibile,

alcune mancano: le tue.


Binario 20bis 

 

Incontrare sulla banchina

del binario 20bis,

quello lontanissimo,

tanti sguardi.

 

Guardo bene, 

rivedo il tuo,

(di sguardo).

 

Quella notte di pioggia,

quando venni a prenderti

in arrivo dal Milano-Roma.

 

Ma non eri tu e il binario

era il 3.


La neve e il suo silenzio.

 

La neve e il suo silenzio,

sull’ulivo centenario,

curvo al giogo bonario.

 

La neve e il suo silenzio,

su campi e su orti,

su anfratti di arbusti ritorti.

 

La neve e il suo silenzio,

su strade e su sentieri,

su viandanti di oggi ,di ieri.

 

La neve e il suo silenzio,

scendon assieme,

tutt’uno, unica speme.

 

La neve e il suo silenzio,

a fecondar, candido seme,

la terra  la quale preme, poi spreme.

 

La neve e il suo silenzio,

durano un giorno e

poi  attender dell’inverno il ritorno.

 

Ma quel giorno guarda e godi,

il soave canto del cui precipitar 

nulla odi.

 

Precipitar dolce e si lieve,

far del cadere un mestiere,

impara da lei, la neve.

 

Del suo cader ha fatto bellezza,

risveglia ma con tenerezza

l’animo tuo che da troppo s’avvezza.


Or m’hai potato.

 

Or m’hai potato 

e il tuo mastice

tarda tanto a indurire.

 

Così son fatto preda della cimice,

del mal bianco, della ruggine

ed ancor non si fa la cicatrice.

 

Dissecco come arbusto,

dalla vite divelto,

infine, solo e sgomento.

 

Non vi è forse guaina per la mia ferita?

Ma se ancor vi anelo vita,

la speranza d’un incanto

dal fior nel terreno accanto

 

E nuova linfa m’apporta,

vivo di nuovo stavolta

e la radice già ritorta 

 

Verso il basso e nel profondo,

a cercar nutrimento, 

e iniziato l’affondo,

di vita è nuovo saziamento.


Arioso deserto

 

Ci son certi cieli qui,

se tu li vedessi,

ti sarebbero piaciuti,

ne son certo.

 

E poi cielo, ancora ,cielo aperto

e cumulonembi sparuti,

del sole gli ultimi riflessi;

Blu, viola e rossi tenui

 

I ricordi ormai si fan vacui,

lasso immergermi in essi,

a rievocar momenti perduti,

resto qui al coperto.

 

Ti sarebbe piaciuto questo arioso deserto,

ce ne saremmo innamorati

e vorrei tu tornassi

ma solo per un attimo e noi con lui.

 

crepuscolo di colori, come tavolette,

di rosa, di viola, di blu,

e in lontananza il Soratte,

in fondo, per ultimo, laggiù.

 

Ecco Tivoli, di fronte,

fievolmente illuminata,

come dama adagiata

e come giaciglio suo il monte.

 

Dinnanzi la forte fratta

di cespugli odorosi 

e dietro, dal fil di ferro trafitta,

la vigna, sui declivi erbosi.

 

i raggi si fan sempre più bui,

la notte avanza a lunghi passi,

ci siam mestamenti congedati

e ognuno poi via, morigerati.

 

Silenzio d’intorno,

rotto da qualche passante, 

dall’impiegato di ritorno

sulle scale ansante

 

Chiudo l’imposta,

mi ritraggo dentro 

e la mano gia sappresta 

a cercar il giusto metro.


 

 

Carmela

 

Stanca e provata,

il rugoso collo torto,

di lacrime la pelle ora solcata.

 

Dolente per l’ennesima caduta,

il respiro s’è fatto corto,

sovente assorta e muta.

 

La testa ispida e canuta

con la stampella ti fai supporto

claudicante, come fu la tua vita.

 

Di vecchiaia non vuoi sentir parlare,

meglio forse soprassedere.

Ancora imprechi per quel mesto deambulare,

e l’umana sorte ora invochi.

 

Ma negli occhi ancor quei fuochi,

se parliamo di ricordi

tu di raccontar non demordi.

 

E ancor la memoria torna svelta,

alla scena che tu hai scelta,

e di nuovo il volto si illumina

e il pensier come lama s’acumina.

 

Come faro nella tenebra,

parla alla donna che sei stata

alla belligerante battaglliera

che ci è stata tolta.

 

In fondo, cuore dolce e amante,

non capimmo il tuo dolore veramente.

Carmela tu sei nonna e lo sarai sempre,

questo vuol esser il mio componimento, 

vuol esser un ringraziamento.


Er conducente.

 

E’ un lavoro impegnativo er conducente!

nun è solo portà la gente.

 

Ce vole carma e sangue freddo,

nun è facile pe gnente

Ce devi sta con la testa,

l’occhi aperti e la mano lesta.

 

L’amico mio guida da na vita,

de gente su quer purmann n’e salita.

 

Certi giorni è n’po nervoso,

nun vede l’ora je arrivi er riposo.

 

Giorno dopo giorno,

anno dopo anno,

la linea der sessantuno va facendo.

 

Da Termini a Bufalotta,

ogni tanto quarche fijo de na signorotta,

parcheggiando a strada je blocca.

 

A gente sale er bijetto nun timbra,

d’estate fa callo e manco l’aria,

manco un po d’ombra.

 

Ma l’amico mio guida contento:

in core lo sa,

a casa Ilaria lo sta ad aspettà.

 

A deciso de sposasse senza indugio, 

e ner caldo rifugio,

da conducente se fatto segugio!


Giovane Fioraia

 

Ammiro la tua pazienza, 

il sorriso e la giusta riverenza,

a chi compra un fiore

o altra semenza.

 

Or del tuo viso non riesco a far senza.

Passan le stagioni e tu sempre sola.

Provo a venir a la stessa ora

ma non riesco proferir parola.

 

Le labbra m’ hai serrato,

il respiro in gola hai strozzato

e senza verbo proferito

mi defilo dall’ordito.


Quando la cera bollì

 

Quando la cera bollì,

quando la luce si spense,

il calcolo dei dadi

non è tornato più.

 

Ma in un angolo della mia memoria,

c’è un immagine di noi ,

una sera d’estate, seduti vicini, con amici.

 

Li è tutto eterno, 

nulla cambia e,

stiamo ancora insieme.