Massimo Sergio - Poesie e Racconti

Impressioni  diaristiche

 

Ho visto due donne, di sera, che litigavano. Vestite di nero ed entrambe anziane, si spintonavano con forza contro un muro d’una chiesa. Gente intorno che guardava, divertita. Uno spettacolo vergognoso. Passavo di là per caso, mi sono fermato un poco, dopo ho camminato oltre. Anch’io come l’altra gente. Non ho mosso nemmeno un dito per cercare di dividerle. Sono rimasto impassibile ed andando per la mia strada, ogni tanto volgevo lo sguardo indietro, di sfuggita, come complice. Perché?…

Termini Imerese, 3 febbraio 1972.

 

Un faccino di bimba occhieggia tra i banchi di Via Verdura. E’ tanto carino che mi vien voglia di accarezzarlo. Mi guarda meravigliata, la bimba, non ha nemmeno la forza di sorridere un po’. Sembra imbronciata. La guardo anch’io, per la sua semplicità, e le sorrido. Finalmente anche il suo faccino le si apre ad uno smagliante sorriso che la riempie tutta. Un tale sorriso ha riempito anche il mio pomeriggio, e me ne sto rallegrando ancora mentre scrivo…

Termini Imerese, domenica 27 febbraio 1972

 

                                                                                                              Massimo Sergio


 

Cruccio

 

Il giorno era trascorso fra noiosi conversari con lo zio ammalato e la bisbetica cugina Rita. Ora, alla sera, Mauro se ne stava seduto sulla scalinata di legno, con le gambe accavallate. Non gli interessava che la zia lo rimproverasse ogni volta che faceva cenno di accoccolarsi a terra: i pantaloni nuovi e le scarpine di cuoio brunastro si sarebbero impolverate, ma non gliene importava ugualmente. La mamma gli aveva detto di curarsi degli abiti nuovi e gli aveva anche raccomandato di comportarsi da bravo bambino. Ma la mamma, egli ne era scontento e non osava dirlo, lo considerava ancora un bambino da essere guardato a vista, sorvegliato con cura. Non sapeva, lei, che aveva ormai quindici anni? Certo non l’aveva dimenticato, ma i sentimenti di una madre sono i medesimi anche quando si hanno quarant’anni. Se ne stava ora, così seduto, con la testa poggiata fra le mani, a pensare alla mamma. Avrebbe preferito non darsi  pensiero per lei, ma la mente ritornava, di proposito forse, su quel viso ancora giovanile. Egli non era stato l’unico figliolo, ma Ermanno, il fratello maggiore, era morto prima che egli si abituasse a considerarlo tale: una granata e la giovinezza di Ermanno si era nascosta in una verde terra alle pendici del Carso. La povera mamma piangeva sempre al suo ricordo, non le era rimasto che una foto scolorita, in cui egli era assieme ai commilitoni, allegro, inconscio ancora del suo crudele destino. Ma la vita aveva seguitato il suo corso e la madre, pur non essendosi rassegnata alla morte del primogenito, aveva rivolto le sue amorevoli cure a Mauro. Ed il viso che ora appariva nei pensieri di Mauro era triste e vuoto, ma di una vacuità tragica ed erronea. Aveva quindici anni e già si poneva quesiti più grandi di lui. Non perché volesse sembrar grande agli occhi dei compagni e dei superiori, ma era nel suo carattere il porsi problemi intrisi di tristi presagi, di drammaticità familiare. Ed ora, mentre volgeva, quasi assonnato, lo sguardo aldisopra delle sue ginocchia, vide un tondo splendente riflettere in una pozzanghera dinanzi ai suoi piedi, dinanzi alle scarpine nuove e ben lucide. Alzò maggiormente il viso e si sorprese a scorgere in cielo la bianca luna. La guardava fissamente, come se la mente di un allucinato agisse impetuosamente sui suoi occhi. Era forse la prima volta che la vedeva con simili occhi, ma non pensava ad essa. La mamma gli appariva entro la tondeggiante cornice lunare, e non gli dava pace…

                                                                                                   Massimo Sergio

(marzo 1966)


 

In/comprensione (dialettica)

 

C’eravamo incontrati per strada, un giorno, all’improvviso e per caso. Dopo aver  parlato del più e del meno, entrammo in argomenti che ci riguardavano più da vicino: la famiglia, il lavoro, lo svago, i viaggi. Però niente d’impegnativo o di più approfondito per capire meglio chi fosse. Poi, nel lasciarci aveva detto:- “Vediamoci! Ciao!”. Ed io di rimando:- “Scusa, quando e dove?”. Avrei voluto chiedergli anche “Perché?” ma quell’interrogativo mi rimase in gola, inespresso. “Ma come, non lo sai? Quando vuoi tu! Il dove, logicamente al mio solito indirizzo. Sei mio amico, dovresti ricordartelo!”. “Già, hai ragione. Allora, arrivederci, e a presto!. Feci per andare via ma mi venne spontaneo di aggiungere:- “Scusa, ma com’è che fai di nome?. E lui di rimando, un po’ accigliato (era il suo carattere):- “Prima di tutto dammi del lei, perché sono laureato, come tu sai. Perciò, règolati di conseguenza!.                              

Poi, frettolosamente salutandomi per congedarsi, aggiunse:- “E tu…”,  ma il resto della frase si perse mentre girava l’angolo del casamento. Percepii appena, come in un sussurro o in una eco, le sue ultime parole:  “…come ti chiami?!”… 

 

                                                                                                                Massimo Sergio



Un povero diavolo

 

Gran trambusto, qui giù, nel vicolo. Tutto il circondario ormai lo sa e la notizia fa in fretta a scorrere di bocca in bocca, di orecchio in orecchio, magari anche frastagliata, rappezzata e poi ben messa su, da mani esperte con parole acconce. Da queste parti, abita un pescatore di nome Giovanni: è un povero diavolo con moglie e sette figli. Ha solamente una peculiarità; è un po’ tocco. Qui dicono: “fuor di cervella”. Beve sempre  e già a prima mattina lo si può vedere facilmente cercare di camminare sulle proprie gambe in maniera eretta. Una volta, all’incirca verso mezzanotte, mi ha svegliato di soprassalto, passando per il vicolo, col suo immancabile giradischi a pile, tenuto ad altissimo volume, che di più non si potrebbe. Lo tiene sottobraccio, quasi accarezzandolo più affettuosamente d’una bottiglia di nero vino siciliano. Ed immancabilmente vi farà ascoltare canzoni napoletane. La sera se ne va per i vicoletti di Termini bassa, con il giradischi in una mano e con l’altra cercando puntelli accosto ai muri per non cadere.Vi dicevo del trambusto causato da questo povero matto innocuo, tanto che alla fine anche i carabinieri si son fatti le più matte risate. E’ accaduto che l’altro giorno Giovanni, meschino, si è recato con tutti i suoi risparmi (centomila lire circa) da un artigiano, suo amico, ma un artigiano di un genere tutto particolare: infatti costruisce casse da morto. Se ne è fatta apprestare una tutta per sé, Giovanni, bella, comoda e su misura. Seduta stante, se l’è caricata sulle spalle e l’ha portata a casa. Ha cambiato letto, insomma. Infatti vi dorme comodamente e più d’un materasso a molle. I carabinieri, accorsi alla chiamata d’una moglie sconvolta, sono rimasti dapprima allibiti (ed infatti Giovanni li ha accolti con un sorriso dicendo umilmente che la morte, se veniva, l’avrebbe trovato già bell’e pronto) e poi hanno cercato invano di far desistere il povero diavolo. E’ finita che Giovanni ha ancora la sua bella cassa nera di mogano, che tiene sempre lustra e pulita, proprio come si conviene. E la notizia, alla fine ha fatto anche il giro dei giornali isolani. Una legittima aspirazione, finita sulla bocca di tutti (e sappiamo di quali malizie sono capaci certe bocche) oppure una stravaganza, come tante altre?!!!…

Termini Imerese, 19 aprile 1972, sul tardi.

                                                                                                         Massimo Sergio


 

Addio, mr. Kennedy!

 

                                                                                  (Tre giorni dopo l’uccisione, del presidente  

                                                                                  USA, J.F. Kennedy, a Dallas (Texas))

 

Un uomo, un uomo grande è caduto.

Un’idea più vasta è scomparsa.

Il tuo volto di ragazzo,

cresciuto un po’ in fretta

mi sorride e mi chiede pian piano:

- Perché mi hanno colpito, perché mi hanno ucciso?

Una lacrima è spuntata sul mio viso.

- Perché ti hanno colpito, perché ti hanno ucciso? –

 

Sulla fredda e nera tua bara solo un vessillo stellato

ricopre il tuo corpo martoriato e stanco.

Come un eroe caduto in guerra, su un fusto di cannone

ti hanno condotto all’ultima dimora, in silente corteo.

Ci hai lasciati per sempre e soli

come la tua Jacky e i tuoi figli adorati.

Anch’essi si chiedono con rammarico:

- Perché l’hanno colpito, perché l’hanno ucciso?-

Addio, mister Kennedy!…

(25.11.1963)


In memoria di Bob (Kennedy)

 

I. – C’era un uomo della non-violenza…

  Si era messo in marcia un uomo nuovo

un uomo della non-violenza, con parole

coraggiose e stimolanti.

  L’Umanità non sta aspettando

una cieca imitazione del passato.

  Dobbiamo voltare pagina. Nella lunga e desolata 

notte della violenza, un uomo nuovo s’era messo in marcia…

II. – Questa sera…

  Questa sera noi siamo infelici;

abbiamo da rimproverarci tante colpe.

  I nostri occhi che hanno visto un rivolo

di sangue innocente sono sbarrati,

pieni di sgomento e di timore.

  L’odio non sconfigge l’odio.

Solo l’amore dà forza e coraggio.

Ora dobbiamo chiedere perdono e pregare…

(6 giugno 1968)


Il tempo fuori del tempo

 

                                          A.M. (Aldo Moro), un uomo

 

Il falso perbenismo ha steso un velo

sull’angoscia ormai sopìta:

amara caligine d’un mondo

 

che nel sopruso trova l’infame sbocco.

Il grido d’ogni cuore onesto

resta nel chiuso delle coscienze

a martoriare il tempo fuori del tempo.

Resta l’esempio d’un uomo,

della sua ideologìa, a dirimere

per noi il livore quotidiano.

(maggio 1978)


 

Al modo delle rondini…

 

E’ un piccolo specchio d’acqua,

con increspature silenziose, il cuore

della fanciulla ch’io tengo per mano,

al modo delle rondini che tornano

a gara, nel cielo, stridenti e gàrrule…

(gennaio 1974)



Mors

 

Una lucertola ansiosa

sgattaiola lesta tra e crepe dei muri,

si bea al tepore primaverile.

 

Il colore della pelle, 

verdastro e bianchiccio 

riluce flutti radiosi di sole splendente.

 

Riposa e sta all’erta,

son guizzi rapidi i suoi movimenti.

Rumori sommessi crescono

intensi; un filo d’erba,

cappio funesto di bimbo crudele,

spunta pigro sul muro, in agguato.

 

Morte nera aleggia al calore.

Un guizzo e un tonfo:

è presa alla gola fremente.

Son colpi sconnessi che stringono

e pulsano d’angosciosa agonìa.

(marzo 1964)



Parafrasando…

 

Parafrasando 

incontri di una volta

mi son trovato

a riscoprire gioie

in fondo in fondo

al tempo dei miei giorni

smaglianti come biglie colorate,

felici come volti di fanciulli…

(dicembre 1968)